[ 14 giugno 2017 ]
Corbyn è riuscito a fare con il Labour ciò che Sanders non è riuscito a fare con i Democratici: ha trasformato il suo partito in un movimento: questo il commento che il New York Times dedica alla sconfitta di misura — che vale di fatto come una squillante vittoria — di Jeremy Corbyn nelle elezioni inglesi.
Corbyn è riuscito a fare con il Labour ciò che Sanders non è riuscito a fare con i Democratici: ha trasformato il suo partito in un movimento: questo il commento che il New York Times dedica alla sconfitta di misura — che vale di fatto come una squillante vittoria — di Jeremy Corbyn nelle elezioni inglesi.
Contro ogni aspettativa, contro l’unanime ostracismo di media ed élite, contro l’ala destra del suo stesso partito (che controlla la maggioranza del gruppo parlamentare), la quale auspicava una sconfitta per potersene sbarazzare, il “vecchio marxista” ha preso il 40% dei voti (con punte bulgare fra i giovani), sfiorando la vittoria nei confronti dell’algida Theresa May.
Come è stato possibile? Semplice: Corbyn ha saputo infondere entusiasmo in uno stuolo di attivisti che hanno convinto una generazione di ragazzi — i quali altrimenti non avrebbero votato — a sostenerlo; ora questi ragazzi non si professano laburisti ma “corbinisti”. Corbyn, come Sanders, è infatti un leader “populista” capace di coagulare il consenso trasversale di quella marea di cittadini (a partire dalla base sindacale inferocita dal tradimento del New Labour) che non si riconoscono nei partiti dell’establishment.
Ci riesce restituendo speranza con un programma dichiaratamente socialista (rinazionalizzazione delle ferrovie, accesso libero e gratuito all’istruzione superiore, miliardi per rivitalizzare la sanità pubblica – il tutto da finanziare con tasse duramente progressive su imprese e redditi elevati). Ci riesce perché non corteggia i media, ma incontra le persone per parlare con loro ed ascoltare cosa hanno da dire. Ci riesce perché sovverte le regole di un gioco politico ingessato dalle caste dei partiti di regime. Ci riesce perché la sua storia e la sua immagine – ha votato contro la guerra in Iraq, si è opposto alle riforme economiche neoliberiste, si batte contro la restrizione delle libertà civili in nome della sicurezza, controllando i giustificativi di spesa dei parlamentari i giornalisti hanno verificato che i suoi ammontano a nove sterline, si sposta regolarmente in bicicletta, non sgomita per occupare posti di potere – finora oggetto di scherno e barzellette da parte di media e avversari politici, si scopre ora che sono esattamente quelle che chiede la gente, stanca di politici avidi di potere, cinici e corrotti.
Perfino l’Economist, preso atto che anche quei parlamentari che fino a ieri lo insultavano e ne auspicavano la sconfitta ora ne esaltano le virtù (non è mai troppo tardi per saltare sul carro del vincitore), è costretto a riconoscere che l’era del New Labour di Blair è definitivamente tramontata. Lo stesso Economist, tuttavia, si avventura in un’improbabile analisi che interpreta quanto successo come l’effetto di una sorta di “americanizzazione” del sistema politico inglese: da un lato una destra sostenuta dagli strati popolari appartenenti ai livelli culturali e di reddito inferiori (quelli che hanno votato per la Brexit), dall’altro una sinistra fatta di classi medio alte, colte e cosmopolite (contrari all’uscita dalla Ue).
Come è stato possibile? Semplice: Corbyn ha saputo infondere entusiasmo in uno stuolo di attivisti che hanno convinto una generazione di ragazzi — i quali altrimenti non avrebbero votato — a sostenerlo; ora questi ragazzi non si professano laburisti ma “corbinisti”. Corbyn, come Sanders, è infatti un leader “populista” capace di coagulare il consenso trasversale di quella marea di cittadini (a partire dalla base sindacale inferocita dal tradimento del New Labour) che non si riconoscono nei partiti dell’establishment.
Ci riesce restituendo speranza con un programma dichiaratamente socialista (rinazionalizzazione delle ferrovie, accesso libero e gratuito all’istruzione superiore, miliardi per rivitalizzare la sanità pubblica – il tutto da finanziare con tasse duramente progressive su imprese e redditi elevati). Ci riesce perché non corteggia i media, ma incontra le persone per parlare con loro ed ascoltare cosa hanno da dire. Ci riesce perché sovverte le regole di un gioco politico ingessato dalle caste dei partiti di regime. Ci riesce perché la sua storia e la sua immagine – ha votato contro la guerra in Iraq, si è opposto alle riforme economiche neoliberiste, si batte contro la restrizione delle libertà civili in nome della sicurezza, controllando i giustificativi di spesa dei parlamentari i giornalisti hanno verificato che i suoi ammontano a nove sterline, si sposta regolarmente in bicicletta, non sgomita per occupare posti di potere – finora oggetto di scherno e barzellette da parte di media e avversari politici, si scopre ora che sono esattamente quelle che chiede la gente, stanca di politici avidi di potere, cinici e corrotti.
Perfino l’Economist, preso atto che anche quei parlamentari che fino a ieri lo insultavano e ne auspicavano la sconfitta ora ne esaltano le virtù (non è mai troppo tardi per saltare sul carro del vincitore), è costretto a riconoscere che l’era del New Labour di Blair è definitivamente tramontata. Lo stesso Economist, tuttavia, si avventura in un’improbabile analisi che interpreta quanto successo come l’effetto di una sorta di “americanizzazione” del sistema politico inglese: da un lato una destra sostenuta dagli strati popolari appartenenti ai livelli culturali e di reddito inferiori (quelli che hanno votato per la Brexit), dall’altro una sinistra fatta di classi medio alte, colte e cosmopolite (contrari all’uscita dalla Ue).
Quindi, contando sul fatto che Corbyn ha raccolto largo consenso fra i giovani “creativi”, l’Economist sembra illudersi di trovare in lui un alleato per rovesciare l’esito del referendum. Una speranza mal riposta, ove si consideri: 1) che Corbyn fu tutt’altro che deciso nel sostenere il no alla Brexit (anche perché molte delle Trade Union radicali che ne hanno favorito l’ascesa, erano – e restano - per il sì); 2) che la sua idea di “soft Brexit” non mira a difendere gli interessi del capitale globale ma quelli dei lavoratori stranieri a rischio di espulsione; 3) che il suo programma non è concepito per compiacere le classi medio alte, bensì per migliorare la vita di quelle inferiori.
La verità è che il progetto politico di Corbyn, come quello di Sanders, ha il merito di aggregare un blocco sociale trasversale che unifica strati sociali inferiori e medi contro le politiche neoliberiste (e il suo successo dimostra che se il candidato democratico fosse stato Sanders probabilmente avrebbe sconfitto Trump). Molti commentatori politici gettano però acqua sul fuoco: Corbyn ha sfiorato la vittoria ma non ha vinto, ma soprattutto, con quel programma e con quelle idee, non potrà mai vincere perché, quand’anche ottenesse la maggioranza, non potrà metterle in pratica, visto che le “leggi” dell’economia lo vietano.
La verità è che il progetto politico di Corbyn, come quello di Sanders, ha il merito di aggregare un blocco sociale trasversale che unifica strati sociali inferiori e medi contro le politiche neoliberiste (e il suo successo dimostra che se il candidato democratico fosse stato Sanders probabilmente avrebbe sconfitto Trump). Molti commentatori politici gettano però acqua sul fuoco: Corbyn ha sfiorato la vittoria ma non ha vinto, ma soprattutto, con quel programma e con quelle idee, non potrà mai vincere perché, quand’anche ottenesse la maggioranza, non potrà metterle in pratica, visto che le “leggi” dell’economia lo vietano.
Ma il vero punto è un altro: l’obiettivo di politici come Corbyn, Sanders, Iglesias e Mélenchon dovrebbe davvero essere andare al governo per cambiare le cose restando all’interno del sistema? Su questo dilemma si è dibattuto nell’ultimo congresso di Podemos, e la risposta di Pablo Iglesias, che ne è uscito vincente, è stata chiara: non si tratta tanto di andare al governo —anche se non si rinuncia a lottare per riuscirci— quanto di mettere all’ordine del giorno un cambio di civiltà, non si tratta di riformare il sistema bensì di uscirne. Ecco perché Sanders non ha mai smesso di parlare di rivoluzione.
* Fonte: Micromega
3 commenti:
D' accordo con le nazionalizzazioni, il rilancio dello stato sociale, una tassazione fortemente progressiva, il no alla guera all' Iraq.
Ma il fatto "che Corbin fu tutt' altro che deciso nel sostenere il no alla brexit" -SIC!- e che sia per un "soft brexit" anziché per un' uscita "sbattendo la porta" e magari "facendo una gran pernacchia" mi induce a temere che le premesse per una solenne presa per il culo del popolo lavoratore "a là Tsipras - Varufakis" ci siano tutte !
G.B.
Questa volta non concordo con Formenti.Ci siamo già scordati la posizione tutt'altro che favorevole alla Brexit e i balbettii inconcludenti in merito alla "convenienza"o meno della Gran Bretagna sull'uscita da una gabbia neoliberista che ogni sincero socialista avrebbe sottoscritto senza proferire verbo alcuno.Si doveva sostenere la Brexit tralasciando ogni sofistico argomento ingannevole per le classi dominate.Un nuovo Tzipras?Temo di si.
E poi cosa avrebbe fatto di socialista? Va bene che non avendo una teoria del socialismo scientifico non ha senso neppure parlare di uscita dal capitalismo (spero che la storia provveda ma ha i suoi tempi che non sono i miei). Tuttavia, è intervenuto su quell'obbrobrio di sussidio i cui difetti son stati ben descritti dal pedante? Avrebbe parlato di piena occupazione dicendo come intende ottenerla senza che nessuno resti escluso? Non credo. Troppo poco per dargli la patente di socialista.
Condivido il pessimismo dei precedenti due commentatori. Aggiungo solo che la contraddizione principale è lo scontro interno agli USA, lui su quale lato si colloca rispetto a questo scontro? Trump o Obama-Clinton&Co? Per carità entrambi i lati sono fetenti ma è su questo che si deve discernere. Anche perché quello che voi in un altro articolo avete chiamato "il partito tedesco" in realtà è solo "la corrente tedesca" del partitone pro-global Obama-Clinton&Co; il sospetto che Corbyn rappresenti solo un altra corrente di questo partitone, magari la "corrente britannica", mi pare più che fondato.
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