Le nostre radici.
I
movimenti socialisti che sorsero in Europa nel XIX secolo salirono sulle spalle
delle rivolte sociali che avevano segnato la plurimillenaria storia del
continente. Di esse raccolsero l’ideale di un ordinamento sociale egualitario in cui non ci fossero più
oppressi e oppressori.
Tra
i movimenti socialisti fu quello marxista a diventare egemone. Esso seppe
infatti cogliere, a differenza degli altri, i profondi mutamenti che stava subendo
il mondo con l’avvento del capitalismo. Questo sistema, grazie all’utilizzazione
su larga scala dei diseredati come schiavi salariati e all’applicazione su
larga scala delle nuove scoperte tecnico-scientifiche, avrebbe spazzato via
tutti i residui feudali, stimolato progressi economici senza precedenti, e
sarebbe quindi dilagato afferrando le diverse civiltà.
Marx
spiegò tuttavia che questo sistema sarebbe perito presto sotto il peso delle
sue irresolubili contraddizioni interne. Tra le necessità del capitale ed i
bisogni della società nel suo complesso non solo non c’è corrispondenza, ma contraddizione.
La
produzione di beni è infatti, nel capitalismo, produzione di merci, finalizzata
a soddisfare non le esigenze della società nel suo insieme, ma la brama di
profitto della esigua minoranza dei detentori di capitale. Mossi da questa
brama essi, in accanita concorrenza fra loro, sono spinti a sfornare merci
senza limiti, a tal punto che non possono essere vendute a prezzi che
consegnino il profitto atteso. Sopraggiungono
così le crisi di sovrapproduzione, che da un singolo settore economico possono
diventare generali. Di qui il paradosso per cui, nonostante la società conosca
un bisogno crescente di beni, la macchina economica capitalistica viene arrestata,
le forze produttive distrutte, masse enormi di lavoratori gettati sul lastrico
e dunque costretti ad accettare salari da fame.
Dunque
la tesi di Marx che borghesia, da agente del progresso sociale, sarebbe
diventata un suo freno, e che la classe proletaria, data la sua natura
rivoluzionaria, fosse destinata a strappare le leve del potere statale per
riorganizzare l’economia in funzione della soddisfazione dei bisogni sociali ed
umani, ovvero una società modernamente socialista.
Cos’era il socialismo per
Marx?
Esso
può essere racchiuso in una proposizione: “Da ciascuno secondo le sue
possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
Una
società in cui gli uomini sarebbero diventati pienamente liberi, dove quindi l’eguaglianza
formale nella sfera politica, sarebbe diventata sostanziale, nella stessa sfera
dei rapporti economici. Una società in cui il lavoro, le forze produttive e la
scienza sarebbero state orientate ad assicurare il bene comune e non i
privilegi di pochi.
Dato
che il lavoro avrebbe potuto fare bene a meno del capitale (mentre non può
essere vero il contrario), Marx proponeva che i principali mezzi di produzione
e di scambio, dalle mani della classe sfruttatrice, sarebbero dovuti passare in
quelle dei lavoratori associati. Immaginando la società come una totalità
organica, di cui i diversi settori erano arti dell’unico corpo sociale, egli riteneva
che la pianificazione economica avrebbe consentito un uso e un’allocazione più
razionale ed efficiente delle risorse e dei beni, quindi progressivamente consentito
di sopprimere il mercato, spogliando così il lavoro ed i suoi prodotti del loro
carattere di merci.
Alla
concezione della ricchezza propria del capitale, consistente nell’ammucchiare
valore di scambio, di cui il denaro la forma suprema e feticizzata, Marx opponeva
quella per cui la vera ricchezza consistesse nei valori d’uso —siano essi
quelli consegnati dalla natura che quelli creati dal lavoro—, i beni atti a soddisfare i plurimi e sempre più ricchi bisogni del genere
umano.
Le cose, nel ‘900, si sono
rivelate enormemente più complesse
A
partire dalla Rivoluzione d’Ottobre, una serie di paesi si sono incamminati
sulla via del socialismo. I processi di restaurazione del capitalismo che hanno
riguardato la gran parte di essi, hanno sancito il sostanziale fallimento di
quei modelli di transizione al socialismo. Questo fallimento si deve a due
cause principali.
La
prima è che, contrariamente a quanto Marx si augurava, quelle rivoluzioni
sociali sono avvenute in paesi con una base economica molto arretrata nei quali
dunque tutte le forze dovevano essere indirizzate anzitutto a gettare le fondamenta
del progresso economico, anche a spese dei bisogni della collettività e dei
cittadini.
La
seconda è che mentre si dedicavano a questo compito immane, quei paesi, invece
che l’aiuto da parte delle rivoluzioni nei paesi più avanzati, dovettero far
fronte ad un attacco ostile da parte del soverchiante ambiente capitalistico il
quale spingeva quei sistemi ad ossificarsi in regimi autoritari se non in veri
e propri Stati di polizia.
Ciò
alimentava il crescente e sordo malcontento dei cittadini, che infatti non
hanno contrastato, o hanno addirittura salutato come salvifico il ritorno del
capitalismo, che venne stimolato e
pilotato dalle stesse élite dirigenti.
Il
fallimento dei tentativi di passaggio al socialismo ha tuttavia messo in luce
alcune falle nella stessa teoria marxista.
Si
sono dimostrate fallaci almeno cinque postulati basilari:
(1) che la classe proletaria possedesse un’innata natura rivoluzionaria per cui essa non solo avrebbe presto rovesciato la borghesia a partire dai paesi più sviluppati industrialmente, ma sarebbe stata capace non solo di amministrare il potere ma di dissolversi come classe—mentre, almeno nei paesi in cui la borghesia è stata scalzata dal potere, tende a consegnarlo ad un ceto politico dirigente da essa separato che ha preso possesso delle leve del potere utilizzandole per perpetuare la propria supremazia politica e sociale;
(2) che la statizzazione dei mezzi di produzione sarebbe sfociata necessariamente nella completa socializzazione e autogestione —mentre la statizzazione, stante il trasferimento del potere ad un ceto politico professionale, può cristallizzarsi in forme autocratiche creando una nuova divisione castale tra lavoro manuale e intellettuale;
(3) che la pianificazione economica avrebbe non solo evitato gli squilibri tra settori economici ma, ipso facto, soppresso l’economia mercantile, producendo una crescente eguaglianza sostanziale e abolito ogni forma di oppressione e di antagonismo sociale — mentre abbiamo visto che la pianificazione può assumere diverse forme, creando nuovi squilibri, causare non solo spreco e distruzione di risorse naturali e sociali, diventare addirittura un freno allo sviluppo sociale e delle forze produttive;
(4) che la “dittatura proletaria” oltre che di breve durata avrebbe soppresso la democrazia lasciando il posto ad un regime libertario integrale — mentre essa si può ben pietrificare in un regime dispotico e antidemocratico; (5) che una volta rivoluzionata la struttura economica della società le sovrastrutture, i modi di vita e la sfera spirituale si sarebbero adeguate pressoché automaticamente — mentre queste ultime, date le loro profonde radici, hanno dimostrato una capacità di resistenza formidabile.
Un socialismo radicalmente
rifondato e appoggiato su basi nuove e più solide
L’uomo
è il nostro punto di partenza e di arrivo. Esso ha un carattere duplice: in
quanto essere biologico è creato della natura mentre, come essere storico, è plasmato dalla società. Egli
non può vivere se non in comunione con la natura e con gli altri suoi simili. Esso
è portatore di pulsioni e desideri bio-psichichi primari che resistono ad ogni
tentativo di scardinarli o manipolarli. Sbagliata si è rivelata la tesi che ci
sia una relazione meccanica di causa ed effetto tra sfera economica e sfera
spirituale, di cui la tesi che cambiata la struttura economica, voilà, si
sarebbe fabbricato “l’uomo nuovo”.
Gli
uomini, con i loro bisogni bio-psichici, materiali e spirituali, sono al
contempo il soggetto e l’oggetto della trasformazione socialista. Il fine è la loro
massima felicità possibile, la rivoluzione sociale un mezzo. In altre parole
l’abolizione delle diseguaglianze di classe e del lavoro coatto non sono che
condizioni necessarie per un profondo rinnovamento sia materiale che spirituale.
La
condizione dell’uomo è stata sin qui segnata dalla contraddizione tra la spinta
a soddisfare i suoi molteplici bisogni e la penuria dei beni e dei mezzi per
soddisfarli, ciò che lo obbliga a lavorare incessantemente per creare quei
mezzi e produrre quei beni. Questo perenne tribolare, questo dover trasformare
la maggior parte del proprio tempo di vita in tempo di lavoro, se è la molla di
ogni progresso economico, è al contempo il principale fattore di sofferenza.
Chiamiamo
socialismo il sistema che si organizza e si struttura affinché gli uomini
possano ridurre al minimo la durata del tempo di lavoro, accrescendo invece
quello libero, affinché, al di là del riposo, egli possa dedicare questo suo
tempo, una volta soddisfatti i bisogni primari, a realizzare quelli
immateriali, a nutrire il suo spirito, estrinsecando le sue molteplici facoltà
ed attitudini, dedicandosi infine alla cura delle faccende politiche e
comunitarie.
Affinché
ciò possa accadere sono necessarie due condizioni: il massimo sviluppo delle
forze produttive materiali e di quelle spirituali, ovvero il più alto grado d’automazione
e informatizzazione dei processi lavorativi; una nuova e qualitativa gerarchia
dei bisogni, quindi nuove concezioni di sviluppo e di benessere, opposte a
quelle oggi imperanti, consumistiche e feticistiche.
Grazie
a questa doppia rivoluzione (economica e spirituale) sarà davvero possibile
ottenere da ciascuno secondo le sue possibilità, e dare ad ognuno secondo i
suoi bisogni, abolendo quindi non solo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma
ogni forma di oppressione politica.
Questo
socialismo implica la proprietà collettiva dei principali mezzi di produzione (quindi
non l’abolizione della proprietà privata tout
court) ed uno Stato che funga da sentinella del nuovo ordinamento sociale.
Non
basta l’eguaglianza sul piano economico. La libertà di pensiero, di parola, di
associazione politica, di stampa, di fede religiosa sono principi inalienabili
della persona. Eguaglianza sociale e libertà individuali e collettive sono
indissolubili.
Il
socialismo che auspichiamo, contrariamente a quanto hanno utopisticamente
immaginato i primi socialisti, Marx compreso, lungi dal fare sparire la
democrazia la estenderà, permarrà dunque l’organizzazione statuale, come
necessaria espressione politica e amministrativa della comunità.
Non si giungerà al
socialismo con pochi assalti frontali
L’esperienza
ci consegna numerose evidenze che esso sarà invece frutto di un lungo e
difficile processo fatto di trasformazioni, successive, grandi e piccole.
L’economia capitalistica non può essere abolita per decreto, così come non
potranno essere soppresse dal giorno alla notte le forze mercantili. Con queste
si dovrà convivere a lungo. Per
tutto un periodo, che nessuno può stabilire in anticipo, avremo quindi un’economia
mista, pluralista.
Settori
e forme capitalistici coabiteranno con quelli nazionalizzati, dei beni comuni,
cooperativi, nonché quelli socialisti nascenti, che cioè produrranno e si scambieranno
i beni non per ricavare un profitto (valori di scambio) ma come beni diretti a
soddisfare i bisogni della comunità (valori d’uso), privandoli così della loro forma
merce. La politica avrà il posto di comando e lo Stato, grazie alla
nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia e del sistema bancario,
sarà non solo regolatore ma attore economico primario. L’emissione monetaria
sarà monopolio dello stato, che dovrà tendere progressivamente ad impedire che
la moneta, nella forma di denaro, sia tesaurizzabile come capitale privato. Il
sistema fiscale sarà progressivo, finalizzato a sostenere i comparti quali la
scuola, lo sviluppo scientifico, la sanità, la tutela ambientale, il patrimonio
artistico e culturale, e tutti quei cittadini inadatti al lavoro.
La
pianificazione economica dovrà procedere per gradi. Pur riguardando direttamante
solo i settori nazionalizzati, dei beni comuni e dei servizi, essa dovrà
tendere dunque ad armonizzare e sincronizzare i diversi settori economici
evitando tra essi una competizione selvaggia, tendendo al massimo equilibrio e
al minimo spreco di risorse e lavoro.
Affinché
programmazione e pianificazione diano il massimo dei frutti si farà affidamento ad un articolato sistema di
consultazione che dal basso salga verso l’alto, mettendo in rete le
informazioni e le istanze dei cittadini, organizzati in comitati di base, sia
di produttori che di consumatori.
Le
forme di produzione e di scambio privatistiche potranno essere vinte solo se
saranno superate, solo cioè se le nuove modalità nazionalizzate e socializzate
di produzione e di scambio si riveleranno al contempo più efficaci e meno
divoratrici di risorse naturali ed umane.
Lo
Stato di diritto sarà esteso ed assicurata la divisione tra i poteri dello
Stato, con l’eleggibilità di tutte le principali cariche pubbliche, di cui
quello supremo è l’Assemblea legislativa, i cui membri, eletti a suffragio
universale, saranno revocabili ed eletti con sistema proporzionale.
Nella
sfera dei mezzi di comunicazione dovrà essere assicurata la massima pluralità.
Con
la conquista del potere da parte delle masse lavoratrici inizierà una lunga
“guerra di posizione”, la società sarà un campo di battaglia in cui la posta in
palio sarà il potere dello Stato.
Nessuna
vittoria è irreversibile. Il popolo lavoratore, una volta strappato il potere,
potrà mantenerlo se saprà assicurarsi, assieme al sostegno della più ampia
maggioranza dei cittadini della nazione, l’amicizia e la solidarietà dei popoli
di altri paesi.
25 dicembre 2014
1 commento:
Interessante articolo. Però Marx scrisse anche che il socialismo sarebbe venuto dopo il capitalismo, perché solo il capitalismo avrebbe creato le premesse per il suo superamento. Queste condizioni si devono ancora storicamente realizzare.
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