[13 giugno ]
«Sanno che in Anatolia non c’è mai stato un inverno senza neve, né un’estate in cui gli animali non siano morti per la siccità, né un movimento dei lavoratori senza repressione. Le utopie esistono solo nelle discussioni. Sanno però anche che ciò che hanno dovuto subire nel corso delle loro vite è intollerabile. E nominare l’intollerabile è di per se un atto di speranza. Una volta che si è detto che qualcosa è intollerabile, non si può che passare ai fatti. I fatti sono soggetti a tutte le vicissitudini della vita. Ma la speranza allo stato puro sta innanzitutto nella capacità di dare all’intollerabile il suo nome; e questa capacità viene da lontano, dal passato e dal futuro. Ecco perché politica e coraggio sono inevitabili».
** Fonte: ora-costituente
«Sanno che in Anatolia non c’è mai stato un inverno senza neve, né un’estate in cui gli animali non siano morti per la siccità, né un movimento dei lavoratori senza repressione. Le utopie esistono solo nelle discussioni. Sanno però anche che ciò che hanno dovuto subire nel corso delle loro vite è intollerabile. E nominare l’intollerabile è di per se un atto di speranza. Una volta che si è detto che qualcosa è intollerabile, non si può che passare ai fatti. I fatti sono soggetti a tutte le vicissitudini della vita. Ma la speranza allo stato puro sta innanzitutto nella capacità di dare all’intollerabile il suo nome; e questa capacità viene da lontano, dal passato e dal futuro. Ecco perché politica e coraggio sono inevitabili».
John Berger
L’intollerabile è un limite tra il sopportabile e l’insopportabile, che una volta oltrepassato impone uno scatto di livello, il passaggio dalla riflessione all’azione, dal lamento senza efficacia ai fatti concreti. Il dispiegarsi di una volontà di forzare un cambiamento reale e percepibile come traguardo di un processo migliorativo della nostra vita che prima non c’era.
Ogni forma di resistenza, intesa come opposizione attiva ad un sopruso, si basa infatti sul riconoscimento del sopruso stesso e l’elaborazione della situazione come oggettivamente e soggettivamente insostenibile che apre la via ad un nuovo momento di conflitto e spesso anche a nuovi ambiti di lotta.
Al giorno d’oggi la percezione dell’intollerabile è però portata sottotraccia, attutita dall’incapacità di condivisione, dalla mancanza di legami solidali, nascosta da una narrazione diversa che ci confonde. Mai come oggi infatti esiste una profonda divaricazione tra lo stato mentale delle persone e lo stato delle cose. La realtà che abbiamo sotto gli occhi pare avere meno importanza della sua narrazione che ci arriva rivestita della luce azzurra di un televisore.
L’intollerabile esiste ancora, ma non siamo più in grado di nominarlo, di circoscriverlo, di analizzarlo, di capirlo. Forse ci hanno sequestrato anche il linguaggio e condannato al silenzio. Ordine, Democrazia, Giustizia, Libertà oggi vengono usati nel loro significato contrario. Caos, Manipolazione, Regressione, interessi truccati e potere d’acquisto questi sono i significati reali di queste parole.
Senza parola e senza significato, tutto diventa passivo. Quando invece la prima parola dà forma alla nostra disobbedienza, ecco che tutto allora diventa chiaro ed improvvisamente davanti a noi si erge la sfida con un nemico ben definito, la causa del nostro sopruso e il nostro motivo di vita. L’atto di resistenza è rifiuto dell’assurdità dell’immagine del mondo che ci è offerta e la sua denuncia. Quando un inferno viene denunciato dall’interno, smette di essere inferno.
Quando si formarono le formazioni partigiane, l’intollerabile era la violenza fascista, la dittatura, gli invasori tedeschi. C’era un nemico chiaro e netto da affrontare con il mitra spianato, senza dubbi. C’era un nemico da combattere. Il concetto di intollerabile e nemico sono infatti intrecciati a doppia corda come passi di uno stesso cammino, ma l’evoluzione da un concetto all’altro può essere tanto rapida quanto lenta, veloce in presenza di avvenimenti violenti ma lenta invece in processi culturali più ampi.
Ricominciare a pensare in modo nuovo le dinamiche della lotta è uno dei compiti di qualsiasi forza politica abbia il desiderio di imporsi come alternativa. L’inizio del processo di ribellione individuale scaturisce quindi dal mormorio di un “Adesso Basta” che ci porta alla consapevolezza dell’azione. Viviamo tempi drammatici, tempi in cui l’erosione lenta di valori un tempo intoccabili stanno portando ad una deriva culturale e sociale senza precedenti con il pericolo sempre maggiore di scivolare in una post-democrazia dominata dalla dittatura del mercato in cui, ogni giorno sempre più, si confonde il concetto di consumatore e quello di cittadino. Ma cosa è oggi intollerabile?
Possiamo tollerare che un primo ministro mai eletto da nessuno, legato a poteri esterni al paese, attorniato da un manipolo di mediocri cortigiani, complice un parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale, possa decidere di manomettere la nostra Carta Costituzionale andando a distruggere i fragili equilibri che i nostri Padri Costituenti avevano finemente costruito?
La riforma costituzionale del titolo V e del Senato, permettendo “il superamento del bicameralismo paritario e la modifica della ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni allo scopo di aumentare la capacità decisionale della democrazia parlamentare” in realtà sarà una pugnalata mortale agli assetti istituzionali democratici come li abbiamo in mente fin dal 1948. Un nuovo abuso che renderà più agevole alle oligarchie controllare i vari livelli istituzionali e l’attività del Parlamento.
Possiamo tollerare che una legge elettorale come l’Italicum porti al ballottaggio due partiti e assegni un premio di maggioranza spropositato e tale da rendere la nostra democrazia monopartitica? La legge elettorale è il fondamento di ogni democrazia in quanto definisce le modalità con cui il popolo elegge i propri rappresentanti e non può essere quindi un modo per garantire il controllo di una maggioranza da parte di una minoranza. La politica è confronto e compromesso, non solo governabilità.
Possiamo tollerare il predominio della finanza e del denaro sulla vita delle persone, il proprio diritto al lavoro e ad un’esistenza dignitosa?
Possiamo tollerare che un governo filo-statunitense fino al midollo possa firmare un Accordo di Libero Scambio che ci lascerà alla mercede di normative al ribasso in molti ambiti (tra cui l’alimentazione) e vincolerà giuridicamente le decisioni di soggetti democratici agli interessi delle grandi multinazionali?
L’approvazione finale del TTIP sarà un’imposizione illegittima che, oltre a mettere a rischio i nostri diritti, metterà in discussione la legalità democratica, ovvero il sigillo ad un patto sociale ormai abusato e stuprato da ogni interesse dominante. Nessuno di noi potrà più parlare di rispetto della legge perché una nuova legalità dovrà essere ristabilita a tutti i costi e con tutti i mezzi a disposizione.
Ecco davanti a questa devastante triade formata da riforma costituzionale, Legge Elettorale e TTIP, io interrogo tutte le coscienze ad un momento di riflessione, affinché si percepisca la gravità della situazione e ognuno nel proprio profondo avverta quella voce sussurrare “Adesso Basta” per poi cercarla negli occhi di chi ci circonda. Saremo pochi, ma non siamo soli.
* Michele Berti è membro del Consiglio nazionale di "ora-costituente"** Fonte: ora-costituente
2 commenti:
la soglia dell'insostenibile è variabile da persona a persona e nei popoli secondo i momenti storici.
L' insurrezione del settembre '43 Le quattro giornate di Napoli avvenne solo quando i cittadini furono chiamati a scegliere tra la sopravvivenza e la morte o la deportazione forzata in Germania.
Secondo me,
il tema dei limiti (sopportazione), individuali o collettivi, è di riflesso il tema del potenziale umano e di cosa significhi “essere umano”;
dal limite si progredisce superandolo con un livello di coerenza superiore (integrità) o si regredisce soccombendo al conflitto indotto dal limite.
il limite è “superato in negativo” quando si è disperati, cioè senza speranza,, quando non resta che sperare di sbagliarsi.
Ma quello che speriamo in questi casi non ha che fare con la nostra responsabilità ma con quella degli altri o con l'evolversi degli eventi (se vince la sx in Francia, se la Grecia esce, se la gente prende coscienza...).
Si, la speranza è quando non siamo nel “qui e ora”.
il limite è superato positivamente con la fiducia di quando siamo connessi con l'esistenza;
quando nonostante i soprusi conserviamo chiara la visione che il nemico che ce li infligge è la prima vittima della sua disumanità;
compiutamente umano è celebrare l'esistenza, saggio è crearne le condizioni: la fiducia, la risata, risuonare con la vibrazione di fondo: la gioia.
Si, la celebrazione accade solo nel “qui e ora” (anche mentre progettiamo il futuro, rivoluzione o meno, ma con la qualità...).
In questo gioco che è la vita si può parlare il linguaggio disperato delle vittime o quello speranzoso dei salvatori (intuendo quello dei carnefici, quelli che “eseguivo un ordine”, quelli che c'è un “trolley problem”..) ma questi linguaggi non potranno che essere calibrati nella limitata prospettiva dovuta alla interscambiabilità e caducità dei ruoli;
forse il linguaggio deve tendere all'universalità risuonando con la sostanza sottile che accomuna l'umanità, quindi trascendere i giudizi morali sui ruoli che tutti, più o meno inconsapevolmente, abbiamo iniziato a giocare per senso di appartenenza;
illuminare le dinamiche di dominio, in atto e passate, consente di individuare la matrice esistenziale del fenomeno, a prescindere dal sistema socioeconomico nel quale si è immersi.
francesco
Posta un commento