8 ottobre. Mimmo Porcaro risponde a Bellofiore e Garibaldo, il cui saggio abbiamo pubblicato il 5 ottobre scorso. Una critica che si svolge non solo sul piano squisitamente economico (in particolare all'idea di una nuova moneta comune) ma che si sviluppa sul piano politico. Porcaro contesta giustamente come una grande illusione quella accarezzata dalla sinistra radicale «...secondo cui uno spazio “più grande” [l'Europa, NdR] sia necessariamente uno
spazio più favorevole alla lotta dei lavoratori e dei movimenti civili.
Per cui, se c’è la globalizzazione, viva la globalizzazione: tanto la
democratizzeremo “dal basso”».
La questione dell’uscita dall’euro non può più essere esorcizzata. E così, opportunamente, Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo (due studiosi delle cui analisi ci siamo sempre giovati) hanno discusso in un denso articolo le tesi di Alberto Bagnai, che della moneta unica è lucido e tenace avversario. L’hanno fatto senza esorcismi, appunto, e senza eccessive semplificazioni (anche se, per dirne una, né dal libro dal blog di Bagnai si può dedurre che questi creda che la svalutazione risolve tutto o quasi), ma anche senza convincere chi, come noi, vede nelle tesi di Bagnai un importante contributo alla definizione di una strategia che liberi i lavoratori ed il paese dal giogo che da tempo è stato loro imposto. Vediamo meglio.
Bellofiore e Garibaldo ritengono che Bagnai ben descriva gli squilibri tra le economie dell’Unione europea ed il ruolo in essi giocato dalle bilance dei pagamenti, ma non credono che siano questi squilibri ad aver generato la crisi europea – che è piuttosto una conseguenza della crisi del capitalismo anglosassone e quindi del modello neoliberista in quanto tale – né credono che il recupero della sovranità monetaria e dunque della possibilità di svalutare possano risolvere i problemi dell’innovazione produttiva e della redistribuzione del reddito. Anzi: come l’esperienza italiana dimostra la sovranità monetaria e la svalutazione possono ben essere compatibili con politiche economiche pro-business; ed in più le svalutazioni di oggi (in un ambiente mondiale assai turbolento, conflittuale e segnato dalle incognite derivanti dalla crisi di un intero modello economico) possono avere esiti del tutto imprevedibili. A nulla serve quindi che Bagnai ci tranquillizzi mostrando (ed in maniera non convincente, secondo i due critici) come le svalutazioni di ieri non siano affatto state catastrofiche: quelle di oggi lo potrebbero essere.
Bagnai, se crede, saprà senz’altro rispondere molto meglio di noi a queste critiche. Qui ci limitiamo a dire che, da punto di vista di chi propende per l’uscita dall’euro, esse non sembrano risolutive. E’ infatti ben probabile che la crisi europea, nei suoi peggiori aspetti, sia un effetto di quella statunitense: ma il punto è che l’Unione europea – nata anche, nelle illusioni di qualcuno, per temperare il potere di Washington e quello dei mercati finanziari – non è riuscita a far muro contro l’onda lunga della crisi atlantica (ed anzi alla fine l’ha usata per disciplinare i paesi del sud).
Il punto è che sono stati proprio gli squilibri trai paesi europei (lasciati volutamente irrisolti dai vertici dell’Unione) ad aggravare gli effetti della crisi esponendo la parte debole del continente alla speculazione. Essendo una “moneta senza stato”, ossia non essendo l’espressione di un vero stato unitario, l’euro ha infatti lasciato sguarniti gli stati più deboli: è servito a suo tempo a togliere sovranità monetaria (e quindi strumenti di manovra) a quegli stati ma non è servito, al momento del bisogno, a sostituirla con la garanzia dell’appartenenza ad una forte comunità economica.
Inoltre, se è certamente vero che la sovranità monetaria e la possibilità di svalutare possono tranquillamente essere messe al servizio di politiche che fanno aumentare le esportazioni e i profitti senza indurre investimenti (e quindi senza creare lavoro, domanda interna, ecc.) è altrettanto vero che nella situazione attuale entrambe si presentano ormai come condizione necessaria, anche se certamente non sufficiente, per qualunque tipo di politica economica che voglia anche solo moderatamente intervenire sui meccanismi di formazione del capitale, e poi sulla sua destinazione.
Per quanto male si possa dire della svalutazione (ma Bagnai ci ha spiegato con sufficiente chiarezza in che senso essa possa essere considerata un meccanismo fisiologico, e non un atto criminale) è evidente a tutti che un paese che è ormai in deficit commerciale permanente, come il nostro, non può essere condannato in eterno ad avere la stessa moneta di un paese in surplus. Anche perché, corrispettivamente, il paese in surplus ha la stessa moneta di un paese in deficit: insomma l’euro è sopravvalutato rispetto all’economia italiana e sottovalutato rispetto a quella tedesca, e così inibisce le esportazioni di chi dovrebbe aumentarle e favorisce quelle di chi già esporta. Se a ciò si aggiunge che gli squilibri commerciali sono anche e soprattutto squilibri tra crediti e debiti (cosa essenziale, a cui Bellofiore e Garibaldo non danno qui sufficiente risalto) e che questi implicano che il denaro costi di più nei paesi più deboli, appare chiarissimo anche a chi economista non è che l’euro funziona come un meccanismo che fa star peggio chi sta male e fa star meglio chi sta bene, rendendo impossibile ai primi di accumulare capitale da investire e consentendo ai secondi di attrarre capitale nei propri confini. Funziona come un vantaggio competitivo permanente per le economie già forti, aumenta necessariamente gli squilibri, rende molto difficile saldare i debiti e quindi condanna alcuni paesi alla subordinazione costante. Ed in questi paesi condanna soprattutto i lavoratori: perché se non si svaluta la moneta e se la carenza di domanda e di capitali deprime l’innovazione, la competitività può essere cercata solo svalutando i salari.
L’uscita dall’euro si presenta quindi non certo come la salvezza, ma come la condizione preliminare di ogni tipo di politica economica e di ripresa produttiva.
Bellofiore e Garibaldo insistono sul fatto che la bilancia commerciale non fa che registrare i rapporti tra le imprese, e che i problemi di questi rapporti non si risolvono agendo sulla bilancia stessa, ma intervenendo direttamente sulla produzione industriale, sull’innovazione ecc... In tal modo si connettono a quel particolare modo di eludere la questione dell’euro che consiste nel dire, con Marx, che la moneta è frutto dei rapporti sociali, e che quindi prima si devono trasformare tali rapporti e solo dopo, semmai, si parlerà della forma monetaria che ne è espressione. Ma in tal modo non si capisce, a differenza di Marx, che la moneta non è soltanto espressione, bensì anche forma concreta di funzionamento di determinati rapporti sociali: rapporti che non possono essere modificati se non si modifica anche la moneta stessa. Cosicché, intervenendo sull’euro, in realtà si interviene direttamente (anche se non conclusivamente) sulle relazioni tra classi e tra Stati di cui l’euro è espressione e modalità di esistenza. E, nel nostro caso, si offre alla nostra economia quel po’ di respiro che consente di intervenire sui nodi effettivamente cruciali della formazione del capitale (che oggi deve tornare ad essere in buona misura pubblico), dell’innovazione (che richiede un forte e centralizzato intervento statale), del salario (che deve crescere grazie a nuova occupazione e grazie al riconoscimento del ruolo imprescindibile del lavoro nella gestione dell’innovazione stessa). Tutte cose impossibili se non c’è (o se non si può creare) denaro.
Ma, avvertono i due critici, uscire dall’euro e svalutare ci esporrebbe, oggi, ad incertezze e rischi molto maggiori di quelli di ieri, e di quelli che Bagnai sembra immaginare.
Questo è un punto di analisi importante, su cui concordiamo: nell’attuale situazione di turbolenza mondiale un’operazione di riconquista, anche parziale, della sovranità monetaria, comporta conseguenze e controeffetti che devono essere assolutamente presi in considerazione. Vuol questo dire che si debba perciò rinunciare all’exit? No: vuol dire che la cosa deve essere affrontata sapendo che l’uscita non è la soluzione definitiva ma l’apertura di nuovi problemi, problemi che potranno essere affrontati solo grazie ad un programma economico e politico assai serio, capace di attrare a sé un forte consenso popolare. E che essa implica, per avere un significato di sinistra, misure radicali quali: indicizzazione dei salari, controllo dei prezzi e del movimento dei capitali, nazionalizzazioni, forte politica industriale, e – last but not least – sganciamento del nostro paese dal riferimento preferenziale al capitalismo atlantico e conseguente apertura al sud europeo, al mediterraneo, ai Brics.
Non quindi, come temono Bellofiore e Garibaldo, un semplice ritorno alla nazione, ma la creazione di un nuovo spazio internazionale. Un passaggio molto radicale, certo, che proprio per questo fatica ad essere proposto e tentato. Un passaggio ricco di incognite, nel quale ci impegneremo solo quando la situazione sociale diverrà insopportabile. Ma nel restare fermi non ci sono incognite: c’è piuttosto la certezza di andare verso il completo impoverimento del paese.
Qual è, invece, la soluzione proposta da Bellofiore e Garibaldo? Essi riconoscono, e non è poco che «la sopravvivenza dell’euro nel breve e nel medio termine, in questo quadro, non può che danneggiare il lavoro e le classi popolari, senza per altro che vi sia garanzia alcuna che la moneta unica sia davvero in grado di costituirsi, fuori dalla tempesta, su base stabile». Prevedono però che, grazie alle OMT di Draghi (le misure che consentono – in forme limitate ed in cambio di duri sacrifici – l’acquisto di titoli di stati in difficoltà da parte della Bce) non vi sarà nessuna precipitazione della crisi della moneta unica. E propongono di puntare non già allo smantellamento dell’euro, ma ad una sua radicale riforma, oppure alla sua sostituzione con una moneta comune, come risultato di una lotta di classe non rinchiusa negli spazi nazionali, ma finalmente dispiegata su scala sovranazionale.
Possiamo parzialmente concordare sul fatto che non sia alle viste alcun crollo imminente dell’euro. Non tanto perché le misure di Draghi abbiano finalmente dato (come pensano i nostri due interlocutori) una dimensione almeno parzialmente sovranazionale alle scelte economiche europee: in realtà gli stati in difficoltà possono ottenere gli acquisti di bond da parte della Bce solo se tutti gli altri stati sono d’accordo sulle loro intenzioni di “risanamento”. Piuttosto conta il fatto che al momento nessuna frazione delle classi dominanti europee ha veramente interesse a rompere la macchina: non la Germania, che ci guadagna, non le classi dirigenti italiane e sudeuropee, che grazie al ”vincolo esterno” sono ormai felicemente dispensate dal render conto ai propri elettori, non i nostri grandi capitalisti, che in Europa trovano se non altro uno spazio consono alle politiche di privatizzazione che li hanno rimpinguati. Nella situazione attuale, e a meno di particolari shock economici, la fine dell’euro può essere provocata solo da una ribellione sociale dei popoli europei e da una direzione politica che sappia indicare con chiarezza sia gli obiettivi che le forme dell’azione.
Quanto agli obiettivi, diciamo subito che l’idea di una “moneta comune” europea non ci convince affatto. Non soltanto perché è difficilmente comprensibile e comunicabile, laddove un secco “no euro” sarebbe molto più efficace. Ma perché questa idea, che nasce per risolvere il problema degli squilibri fra le diverse economie nazionali, presuppone, per essere attuata, che quegli squilibri siano già stati magicamente superati. Nella versione più diffusa (che è quella di Frédéric Lordon) l’euro sarebbe una vera e propria moneta-merce solo nelle relazioni tra economie europee ed estero. All’interno varrebbero le monete nazionali —inconvertibili tra di loro e con la valuta extraeuropea— e l’euro sarebbe solo una moneta scritturale che regolerebbe i rapporti trai diversi paesi europei, rapporti che prevedono la negoziazione continua di svalutazioni e rivalutazioni e/o (ma ciò è più chiaro in altre versioni) meccanismi che impongano il risparmio a chi è in deficit ma anche la spesa a chi è in surplus.
Ora, a parte il fatto che, restando intatte le attuali gerarchie tra economie europee, l’obbligo formale alla negoziazione delle svalutazioni favorirebbe inevitabilmente le aree più forti, c’è il fatto macroscopico che, essendo la moneta comune una valuta puramente scritturale e quindi non una merce, essa non è tesaurizzabile e quindi cozza inevitabilmente contro gli interessi del creditore, il quale vive proprio dell’essere il detentore di una merce particolare: il denaro. E creditori sono, in Europa, lo stato più forte e la frazione più significativa del capitalismo, quella bancaria. “Fare” la moneta comune significherebbe quindi aver messo in un angolo Germania e banche, e quindi aver già distrutto l’Unione per quel che oggi è.
Quanto alle forme d’azione, infine, qui si manifesta una delle più grandi illusioni ancora accarezzate dalla sinistra radicale: quella secondo cui uno spazio “più grande” sia necessariamente uno spazio più favorevole alla lotta dei lavoratori e dei movimenti civili. Per cui, se c’è la globalizzazione, viva la globalizzazione: tanto la democratizzeremo “dal basso”. E se c’è l’Europa, viva l’Europa: tanto la trasformeremo in Europa “sociale”. Peccato che sia l’una che l’altra abbiano messo in competizione i lavoratori di tutto il mondo, e che l’Europa, lungi dall’essere semplicemente uno spazio “più ampio” e quindi per ciò stesso (chissà perché) migliore, abbia mostrato di essere piuttosto un meccanismo che più funziona più rende impossibile la propria democratizzazione, perché frantuma il soggetto che dovrebbe “migliorarla”. Lo squilibrio, santificato dall’euro, fra economie e stati europei si traduce infatti in una divisione dei lavoratori: tra chi dal mercantilismo ossessivo ottiene almeno qualche briciola e chi paga solo dazio. E tutto ciò non può che aggravarsi.
Vogliamo dire che siamo contro le lotte su scala europea? Tutt’altro. Si facciano, si organizzino. Anzi: i gruppi dirigenti della “sinistra-sinistra” si abituino a passare il 70% del loro tempo in Europa o comunque a dedicarlo all’organizzazione di movimenti continentali. Dimostrino così che il richiamo all’Europa ed al mondo non è più, come a volte è stato per tutti noi, un trucco per non impegnarsi in cose concrete. Si faccia tutto ciò: ma il risultato positivo di questa azione sarà, con le inevitabili eccezioni, un movimento soprattutto sudeuropeo, che sarà infine inevitabilmente indotto a proporre quantomeno un’uscita regolata e consensuale dalla moneta unica, pur nel quadro di permanenti accordi cooperativi.
E si faccia comunque presto, perché altre minacce incombono, forse peggiori dello stesso euro. Fra poco tutta la costruzione europea mostrerà di essere stata solo la preparazione di un’area atlantica di libero scambio, un’area che imporrà alle nostre produzioni gli standard statunitensi, imporrà definitivamente ai nostri stati di privatizzare praticamente tutto, renderà più acuta la concorrenza tra lavoratori.
L’esistenza di un’area europea come spazio già predisposto al libero afflusso dei capitali è lo scivolo che ci porta dritti alla TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), e non è escluso che l’insistenza di Draghi a tenere in piedi l’euro ricorrendo addirittura a misure “non convenzionali” sia dovuta anche al desiderio di non far fallire questo grande progetto che, pietra tombale sulla globalizzazione, coinvolgerebbe definitivamente il nostro Paese, ridotto a misera periferia, in un conflitto con quei Brics che invece dovremmo imitare quantomeno sul punto del controllo dei capitali.
Ogni giorno, ogni secondo in più di sopravvivenza dell’euro ci avvicina irreversibilmente alla TTIPP, e quindi alla distruzione integrale delle basi sociali ed istituzionali per l’azione efficace di una qualunque vera sinistra: è bene che gli “amici” dell’euro tengano conto anche di questo.
La questione dell’uscita dall’euro non può più essere esorcizzata. E così, opportunamente, Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo (due studiosi delle cui analisi ci siamo sempre giovati) hanno discusso in un denso articolo le tesi di Alberto Bagnai, che della moneta unica è lucido e tenace avversario. L’hanno fatto senza esorcismi, appunto, e senza eccessive semplificazioni (anche se, per dirne una, né dal libro dal blog di Bagnai si può dedurre che questi creda che la svalutazione risolve tutto o quasi), ma anche senza convincere chi, come noi, vede nelle tesi di Bagnai un importante contributo alla definizione di una strategia che liberi i lavoratori ed il paese dal giogo che da tempo è stato loro imposto. Vediamo meglio.
Bellofiore e Garibaldo ritengono che Bagnai ben descriva gli squilibri tra le economie dell’Unione europea ed il ruolo in essi giocato dalle bilance dei pagamenti, ma non credono che siano questi squilibri ad aver generato la crisi europea – che è piuttosto una conseguenza della crisi del capitalismo anglosassone e quindi del modello neoliberista in quanto tale – né credono che il recupero della sovranità monetaria e dunque della possibilità di svalutare possano risolvere i problemi dell’innovazione produttiva e della redistribuzione del reddito. Anzi: come l’esperienza italiana dimostra la sovranità monetaria e la svalutazione possono ben essere compatibili con politiche economiche pro-business; ed in più le svalutazioni di oggi (in un ambiente mondiale assai turbolento, conflittuale e segnato dalle incognite derivanti dalla crisi di un intero modello economico) possono avere esiti del tutto imprevedibili. A nulla serve quindi che Bagnai ci tranquillizzi mostrando (ed in maniera non convincente, secondo i due critici) come le svalutazioni di ieri non siano affatto state catastrofiche: quelle di oggi lo potrebbero essere.
Bagnai, se crede, saprà senz’altro rispondere molto meglio di noi a queste critiche. Qui ci limitiamo a dire che, da punto di vista di chi propende per l’uscita dall’euro, esse non sembrano risolutive. E’ infatti ben probabile che la crisi europea, nei suoi peggiori aspetti, sia un effetto di quella statunitense: ma il punto è che l’Unione europea – nata anche, nelle illusioni di qualcuno, per temperare il potere di Washington e quello dei mercati finanziari – non è riuscita a far muro contro l’onda lunga della crisi atlantica (ed anzi alla fine l’ha usata per disciplinare i paesi del sud).
Il punto è che sono stati proprio gli squilibri trai paesi europei (lasciati volutamente irrisolti dai vertici dell’Unione) ad aggravare gli effetti della crisi esponendo la parte debole del continente alla speculazione. Essendo una “moneta senza stato”, ossia non essendo l’espressione di un vero stato unitario, l’euro ha infatti lasciato sguarniti gli stati più deboli: è servito a suo tempo a togliere sovranità monetaria (e quindi strumenti di manovra) a quegli stati ma non è servito, al momento del bisogno, a sostituirla con la garanzia dell’appartenenza ad una forte comunità economica.
Inoltre, se è certamente vero che la sovranità monetaria e la possibilità di svalutare possono tranquillamente essere messe al servizio di politiche che fanno aumentare le esportazioni e i profitti senza indurre investimenti (e quindi senza creare lavoro, domanda interna, ecc.) è altrettanto vero che nella situazione attuale entrambe si presentano ormai come condizione necessaria, anche se certamente non sufficiente, per qualunque tipo di politica economica che voglia anche solo moderatamente intervenire sui meccanismi di formazione del capitale, e poi sulla sua destinazione.
Per quanto male si possa dire della svalutazione (ma Bagnai ci ha spiegato con sufficiente chiarezza in che senso essa possa essere considerata un meccanismo fisiologico, e non un atto criminale) è evidente a tutti che un paese che è ormai in deficit commerciale permanente, come il nostro, non può essere condannato in eterno ad avere la stessa moneta di un paese in surplus. Anche perché, corrispettivamente, il paese in surplus ha la stessa moneta di un paese in deficit: insomma l’euro è sopravvalutato rispetto all’economia italiana e sottovalutato rispetto a quella tedesca, e così inibisce le esportazioni di chi dovrebbe aumentarle e favorisce quelle di chi già esporta. Se a ciò si aggiunge che gli squilibri commerciali sono anche e soprattutto squilibri tra crediti e debiti (cosa essenziale, a cui Bellofiore e Garibaldo non danno qui sufficiente risalto) e che questi implicano che il denaro costi di più nei paesi più deboli, appare chiarissimo anche a chi economista non è che l’euro funziona come un meccanismo che fa star peggio chi sta male e fa star meglio chi sta bene, rendendo impossibile ai primi di accumulare capitale da investire e consentendo ai secondi di attrarre capitale nei propri confini. Funziona come un vantaggio competitivo permanente per le economie già forti, aumenta necessariamente gli squilibri, rende molto difficile saldare i debiti e quindi condanna alcuni paesi alla subordinazione costante. Ed in questi paesi condanna soprattutto i lavoratori: perché se non si svaluta la moneta e se la carenza di domanda e di capitali deprime l’innovazione, la competitività può essere cercata solo svalutando i salari.
L’uscita dall’euro si presenta quindi non certo come la salvezza, ma come la condizione preliminare di ogni tipo di politica economica e di ripresa produttiva.
Bellofiore e Garibaldo insistono sul fatto che la bilancia commerciale non fa che registrare i rapporti tra le imprese, e che i problemi di questi rapporti non si risolvono agendo sulla bilancia stessa, ma intervenendo direttamente sulla produzione industriale, sull’innovazione ecc... In tal modo si connettono a quel particolare modo di eludere la questione dell’euro che consiste nel dire, con Marx, che la moneta è frutto dei rapporti sociali, e che quindi prima si devono trasformare tali rapporti e solo dopo, semmai, si parlerà della forma monetaria che ne è espressione. Ma in tal modo non si capisce, a differenza di Marx, che la moneta non è soltanto espressione, bensì anche forma concreta di funzionamento di determinati rapporti sociali: rapporti che non possono essere modificati se non si modifica anche la moneta stessa. Cosicché, intervenendo sull’euro, in realtà si interviene direttamente (anche se non conclusivamente) sulle relazioni tra classi e tra Stati di cui l’euro è espressione e modalità di esistenza. E, nel nostro caso, si offre alla nostra economia quel po’ di respiro che consente di intervenire sui nodi effettivamente cruciali della formazione del capitale (che oggi deve tornare ad essere in buona misura pubblico), dell’innovazione (che richiede un forte e centralizzato intervento statale), del salario (che deve crescere grazie a nuova occupazione e grazie al riconoscimento del ruolo imprescindibile del lavoro nella gestione dell’innovazione stessa). Tutte cose impossibili se non c’è (o se non si può creare) denaro.
Ma, avvertono i due critici, uscire dall’euro e svalutare ci esporrebbe, oggi, ad incertezze e rischi molto maggiori di quelli di ieri, e di quelli che Bagnai sembra immaginare.
Questo è un punto di analisi importante, su cui concordiamo: nell’attuale situazione di turbolenza mondiale un’operazione di riconquista, anche parziale, della sovranità monetaria, comporta conseguenze e controeffetti che devono essere assolutamente presi in considerazione. Vuol questo dire che si debba perciò rinunciare all’exit? No: vuol dire che la cosa deve essere affrontata sapendo che l’uscita non è la soluzione definitiva ma l’apertura di nuovi problemi, problemi che potranno essere affrontati solo grazie ad un programma economico e politico assai serio, capace di attrare a sé un forte consenso popolare. E che essa implica, per avere un significato di sinistra, misure radicali quali: indicizzazione dei salari, controllo dei prezzi e del movimento dei capitali, nazionalizzazioni, forte politica industriale, e – last but not least – sganciamento del nostro paese dal riferimento preferenziale al capitalismo atlantico e conseguente apertura al sud europeo, al mediterraneo, ai Brics.
Non quindi, come temono Bellofiore e Garibaldo, un semplice ritorno alla nazione, ma la creazione di un nuovo spazio internazionale. Un passaggio molto radicale, certo, che proprio per questo fatica ad essere proposto e tentato. Un passaggio ricco di incognite, nel quale ci impegneremo solo quando la situazione sociale diverrà insopportabile. Ma nel restare fermi non ci sono incognite: c’è piuttosto la certezza di andare verso il completo impoverimento del paese.
Qual è, invece, la soluzione proposta da Bellofiore e Garibaldo? Essi riconoscono, e non è poco che «la sopravvivenza dell’euro nel breve e nel medio termine, in questo quadro, non può che danneggiare il lavoro e le classi popolari, senza per altro che vi sia garanzia alcuna che la moneta unica sia davvero in grado di costituirsi, fuori dalla tempesta, su base stabile». Prevedono però che, grazie alle OMT di Draghi (le misure che consentono – in forme limitate ed in cambio di duri sacrifici – l’acquisto di titoli di stati in difficoltà da parte della Bce) non vi sarà nessuna precipitazione della crisi della moneta unica. E propongono di puntare non già allo smantellamento dell’euro, ma ad una sua radicale riforma, oppure alla sua sostituzione con una moneta comune, come risultato di una lotta di classe non rinchiusa negli spazi nazionali, ma finalmente dispiegata su scala sovranazionale.
Possiamo parzialmente concordare sul fatto che non sia alle viste alcun crollo imminente dell’euro. Non tanto perché le misure di Draghi abbiano finalmente dato (come pensano i nostri due interlocutori) una dimensione almeno parzialmente sovranazionale alle scelte economiche europee: in realtà gli stati in difficoltà possono ottenere gli acquisti di bond da parte della Bce solo se tutti gli altri stati sono d’accordo sulle loro intenzioni di “risanamento”. Piuttosto conta il fatto che al momento nessuna frazione delle classi dominanti europee ha veramente interesse a rompere la macchina: non la Germania, che ci guadagna, non le classi dirigenti italiane e sudeuropee, che grazie al ”vincolo esterno” sono ormai felicemente dispensate dal render conto ai propri elettori, non i nostri grandi capitalisti, che in Europa trovano se non altro uno spazio consono alle politiche di privatizzazione che li hanno rimpinguati. Nella situazione attuale, e a meno di particolari shock economici, la fine dell’euro può essere provocata solo da una ribellione sociale dei popoli europei e da una direzione politica che sappia indicare con chiarezza sia gli obiettivi che le forme dell’azione.
Quanto agli obiettivi, diciamo subito che l’idea di una “moneta comune” europea non ci convince affatto. Non soltanto perché è difficilmente comprensibile e comunicabile, laddove un secco “no euro” sarebbe molto più efficace. Ma perché questa idea, che nasce per risolvere il problema degli squilibri fra le diverse economie nazionali, presuppone, per essere attuata, che quegli squilibri siano già stati magicamente superati. Nella versione più diffusa (che è quella di Frédéric Lordon) l’euro sarebbe una vera e propria moneta-merce solo nelle relazioni tra economie europee ed estero. All’interno varrebbero le monete nazionali —inconvertibili tra di loro e con la valuta extraeuropea— e l’euro sarebbe solo una moneta scritturale che regolerebbe i rapporti trai diversi paesi europei, rapporti che prevedono la negoziazione continua di svalutazioni e rivalutazioni e/o (ma ciò è più chiaro in altre versioni) meccanismi che impongano il risparmio a chi è in deficit ma anche la spesa a chi è in surplus.
TTIP, ovvero la NATO sotto mentite spoglie |
Ora, a parte il fatto che, restando intatte le attuali gerarchie tra economie europee, l’obbligo formale alla negoziazione delle svalutazioni favorirebbe inevitabilmente le aree più forti, c’è il fatto macroscopico che, essendo la moneta comune una valuta puramente scritturale e quindi non una merce, essa non è tesaurizzabile e quindi cozza inevitabilmente contro gli interessi del creditore, il quale vive proprio dell’essere il detentore di una merce particolare: il denaro. E creditori sono, in Europa, lo stato più forte e la frazione più significativa del capitalismo, quella bancaria. “Fare” la moneta comune significherebbe quindi aver messo in un angolo Germania e banche, e quindi aver già distrutto l’Unione per quel che oggi è.
Quanto alle forme d’azione, infine, qui si manifesta una delle più grandi illusioni ancora accarezzate dalla sinistra radicale: quella secondo cui uno spazio “più grande” sia necessariamente uno spazio più favorevole alla lotta dei lavoratori e dei movimenti civili. Per cui, se c’è la globalizzazione, viva la globalizzazione: tanto la democratizzeremo “dal basso”. E se c’è l’Europa, viva l’Europa: tanto la trasformeremo in Europa “sociale”. Peccato che sia l’una che l’altra abbiano messo in competizione i lavoratori di tutto il mondo, e che l’Europa, lungi dall’essere semplicemente uno spazio “più ampio” e quindi per ciò stesso (chissà perché) migliore, abbia mostrato di essere piuttosto un meccanismo che più funziona più rende impossibile la propria democratizzazione, perché frantuma il soggetto che dovrebbe “migliorarla”. Lo squilibrio, santificato dall’euro, fra economie e stati europei si traduce infatti in una divisione dei lavoratori: tra chi dal mercantilismo ossessivo ottiene almeno qualche briciola e chi paga solo dazio. E tutto ciò non può che aggravarsi.
Vogliamo dire che siamo contro le lotte su scala europea? Tutt’altro. Si facciano, si organizzino. Anzi: i gruppi dirigenti della “sinistra-sinistra” si abituino a passare il 70% del loro tempo in Europa o comunque a dedicarlo all’organizzazione di movimenti continentali. Dimostrino così che il richiamo all’Europa ed al mondo non è più, come a volte è stato per tutti noi, un trucco per non impegnarsi in cose concrete. Si faccia tutto ciò: ma il risultato positivo di questa azione sarà, con le inevitabili eccezioni, un movimento soprattutto sudeuropeo, che sarà infine inevitabilmente indotto a proporre quantomeno un’uscita regolata e consensuale dalla moneta unica, pur nel quadro di permanenti accordi cooperativi.
E si faccia comunque presto, perché altre minacce incombono, forse peggiori dello stesso euro. Fra poco tutta la costruzione europea mostrerà di essere stata solo la preparazione di un’area atlantica di libero scambio, un’area che imporrà alle nostre produzioni gli standard statunitensi, imporrà definitivamente ai nostri stati di privatizzare praticamente tutto, renderà più acuta la concorrenza tra lavoratori.
L’esistenza di un’area europea come spazio già predisposto al libero afflusso dei capitali è lo scivolo che ci porta dritti alla TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), e non è escluso che l’insistenza di Draghi a tenere in piedi l’euro ricorrendo addirittura a misure “non convenzionali” sia dovuta anche al desiderio di non far fallire questo grande progetto che, pietra tombale sulla globalizzazione, coinvolgerebbe definitivamente il nostro Paese, ridotto a misera periferia, in un conflitto con quei Brics che invece dovremmo imitare quantomeno sul punto del controllo dei capitali.
Ogni giorno, ogni secondo in più di sopravvivenza dell’euro ci avvicina irreversibilmente alla TTIPP, e quindi alla distruzione integrale delle basi sociali ed istituzionali per l’azione efficace di una qualunque vera sinistra: è bene che gli “amici” dell’euro tengano conto anche di questo.
27 commenti:
Quando ho letto, nell'articolo di Bellofiore e Garibaldo, questa frase: "le bilance commerciali sono sì un indicatore chiave, ma un indicatore, appunto, di una gigantesca e continua ristrutturazione industriale e di ridefinizione del potere di mercato delle singole imprese, non solo in Europa ma a livello globale", sono rimasto di sasso.
L'ho letta e riletta, pensando di aver capito male, o di non aver capito affatto. Mi sembra che B&G dimentichino un dato fondamentale, ovvero che i paesi dell'eurozona mantengono, tutti, le loro contabilità nazionali, sulle quali si riflettono i rapporti di deficit/surplus commerciali dell'attività economica delle aziende. Altro che semplice indicatore! Il deficit commerciale delle imprese italiane si riflette sulla raccolta fiscale e sulla raccolta del sistema bancario nazionale; quest'ultimo diventa dipendente dai finanziamenti dei sistemi bancari dei paesi in surplus (pagando un costo di intermediazione), nonché ricattabile da questi.
Insomma, un circuito infernale determinato dal binomio "moneta unica/contabilità distinte", dal quale si deve assolutamente uscire.
Aver accettato questo scriteriato assetto dell'unione monetaria (sorvolando per il momento sugli aspetti antidemocratici dell'UE) è già, di per sé, motivo sufficiente per sbarazzarci in toto dell'attuale classe dirigente.
Infine: Bagnai afferma che l'uscita dall'euro sarà gestita dalle persone sbagliate. Mi permetto di osservare che costoro lo faranno, di sicuro, nel modo sbagliato. Uno di questi, a mio parere, è tratteggiato nel cosiddetto "Manifesto di solidarietà europea", ma credo che anche l'ipotesi di una moneta comune, come giustamente osserva Mimmo Porcaro, è un modo sbagliato di risolvere il problema.
Dobbiamo e possiamo fare una sola cosa: batterci per l'uscita dall'euro e il recesso dai trattati, dall'Atto Unico in poi (almeno), e solo successivamente, riconquistata la completa sovranità politica e monetaria, ricominciare (eventualmente) a discutere, con i nostri (ahimè) ben poco affidabili vicini, sul modo di coordinare le economie (e molto altro) dei paesi europei.
Certo che ogni tanto... Come ha fatto un "indicatore chiave" a diventare un "semplice indicatore"? Niente, tutti fuori di melone.
Gallino demagogo,i comunisti sono fascisti, la patria è di sinistra, il nero è bianco, e l'Anticristo è alle porte. Mah
bvzm1
"Dobbiamo e possiamo fare una sola cosa: batterci per l'uscita dall'euro e il recesso dai trattati, dall'Atto Unico in poi (almeno), e solo successivamente, riconquistata la completa sovranità politica e monetaria, ricominciare (eventualmente) a discutere, con i nostri (ahimè) ben poco affidabili vicini, sul modo di coordinare le economie (e molto altro) dei paesi europei."
Credo sia possibile trovare questa tesi plausibile.
E' chiaro comunque che bisogna sganciarsi perché il Titanic sta affondando inesorabilmente.
@bvzm1
Hai ragione, avrei dovuto essere più attento ed esprimere il concetto in modo meno precipitoso.
Riconosciuto l'errore di precipitazione, continuo a pensare (e qui l'asserzione è meditata) che gli squilibri tra aziende si riflettono sulle contabilità nazionali, senza che vi sia una possibile compensazione sul cambio a causa della moneta unica.
Ecodellarete
Ho capito che sei frusinate e sei un po' pecione ma sta storia del semplice indicatore non l'hai capita tu, sii buono.
Leggi cosa dicono Bellofiore e Garibaldo:
"E’ stata una crisi importata dall’esterno, un rimbalzo violento della crisi globale nata negli Stati Uniti. Una grande crisi del capitalismo. Questo segna una novità enorme. Noi parliamo di una crisi dell’Europa e dell’euro dentro una crisi finale del neoliberismo, cioè dentro una crisi lunga, di quelle che segnano uno spartiacque tra una fase e l’altra del capitalismo: e noi siamo nel bel mezzo della transizione, senza poter intravedere lo sbocco. Ogni parallelo tra un’eventuale uscita dall’euro e svalutazioni precedenti, che è l’argomento centrale di Bagnai sul perché e sul come bisogna uscire dall’euro, è inficiato anche solo per questa considerazione."
Mo' ce sei Fiore'? None? Te stanno a di' che l'euro è 'na caroggnata, c'hai raggione...però se esci dall'euro nun è che risorvi, te vai a caccia' dentro un casino da paura.
Tu me risponni: ahò, ma nn stamo ggià messi male?
Sine, però se parti coll'uscita dall'euro e nun hai capito cosa succederà, ossia nun sei preparato a una situazione che tte sfuggirà de mano TE GGIOCHI MALE L'UNICA CARTA CHE CC'HAI.
Va a ffini' che fai 'n favore a quelli che t'o o vojjono mette' 'n quer posto.
Va bbene che l'euro è 'na vijjaccata, va bbene che le élites ce vojjono frega', ma se se esce dall'euro senza 'n piano che preveda er brutto, avendo detto alla ggente che le cose mijoreranno, quelli quanno vedono che succede er casotto nun te seguono più e finisci de perde peggio de prima.
Siete divisi fra quelli che hanno capito (Bellofiore e Garibaldo) e quelli che se vonno da' da fa' (voi). Stamo messi bbene.
@bvzm1
In pratica, avrei dovuto scrivere "altro che semplicemente un indicatore chiave", oppure "altro che solo un indicatore chiave".
E in effetti un indicatore (chiave o meno) da indicazioni, ma non è un dato che produce a sua volta effetti sistemici. Nel nostro caso, in presenza della dicotomia "moneta unica/contabilità distinte", invece sì.
O sbaglio? Ricordo a tutti che partecipo alle discussioni soprattutto per imparare dagli errori che faccio.
"Riconosciuto l'errore di precipitazione, continuo a pensare (e qui l'asserzione è meditata) che gli squilibri tra aziende si riflettono sulle contabilità nazionali, senza che vi sia una possibile compensazione sul cambio a causa della moneta unica."
Bravo e pensi che Bellofiore non l'ha capito...:D
Forse ti sta dicendo che oltre a quello significa anche un'altra cosa la quale altra cosa cambia radicalmente le carte in tavola rispetto alla visione à la Bagnai...
Compris?
@Al tipo che dice che sono un pecione frusinate (bella gente che frequenta 'sto blog):
Credo che non abbia capito tu. Io ho segnalato solo il fatto che squilibri tra imprese residenti in paesi con la stessa moneta, ma contabilità nazionali distinte, non possono non ripercuotersi sulla fiscalità e sui bilanci delle banche nazionali. Dunque è meglio uscire. Cosa c'è dopo? Boh!
Se poi siamo in una crisi lunga del capitalismo (o se questo ha i secoli contati), ebbene, su ciò (essendo un pecione frusinate) non mi esprimo.
p.s. questi che "uscire dall'euro non risolve nulla" mi fanno venire in mente una barzelletta ciociara. Dunque, un novantenne chiede a sua moglie "ce faciame 'na scupata?". Lei risponde di sì e lui chiede ""che dici, me mette 'ne preservative?". Al che la vecchia ribatte "hi!, mittece pure 'nu pise 'ncima!" (mettici pure un peso sopra!)
"indicizzazione dei salari, controllo dei prezzi e del movimento dei capitali, nazionalizzazioni, forte politica industriale, e – last but not least – sganciamento del nostro paese dal riferimento preferenziale al capitalismo atlantico e conseguente apertura al sud europeo, al mediterraneo, ai Brics."
Tutto ciò non è "quello che vuole la sinistra", è semplicemente quello che vuole il buon senso economico, finalizzato al bene del proprio paese e all'armonia nel mondo, anzi è l'unico modo per conciliare questi due aspetti della politica, scongiurando conflitti prima economici e poi militari.
Che tutto ciò sia altresì inconciliabile con questo euro è evidente nei fatti, e congruente nella logica, una volta riconosciuti i caratteri tipici di questa sporca moneta: neoliberismo estremista tendente ad una restaurazione medioevale e, contemporaneamente, fattore di destabilizzazione interno all'Unione Europea.
Quanto alla soluzione, cioè euro sì ma come moneta-non-merce e valute inconvertibili tra loro, se non tramite concambio con l'euro, mi permetto di evidenziare la gran confusione mentale che porta a queste assurdità. Le monete, tutte, sono di per sè convertibili tra loro, e non c'è forzatura legislativa che possa impedire ciò. Nel caso un politico ottuso ci volesse comunque provare, il "mercato nero" lo sconfesserebbe il giorno dopo.
La distinzione poi tra moneta-merce accumulabile e unità-di-conto non accumulabile è un evidente idiozia. Significa non aver colto il vero significato di moneta moderna, e questo è tanto diffuso quanto gravissimo, tant'è che consente il paradosso attuale, di "risparmi", non importa quanto tossici, multipli di tutte le ricchezze disponibili sui mercati.
Ristrutturare l'euro non è impossibile, significa però anche uscire da questo paradosso che ci sta uccidendo (non solo noi, ma il mondo intero). Il futuro di un euro come moneta continentale di riferimento per gli interscambi, non è un "compromesso" tra euristi e nazionalisti, al contrario è una proposta forte di superamento del paradigma monetario occidentale imposto al mondo intero, che non è solo di matrice anglosassone, ma contiene i cromosomi ed ancora l'influenza del vecchio capitalismo europeo. Perciò una simile rivoluzione monetaria sarebbe l'esito felice di uno scontro epocale e planetario tra gli iteressi elitari e quelli delle grandi masse. Paradossalmente, e questa è anche una provocazione, mi rendo conto, il modello di riferimento per la prima fase del cambiamento (risorgimento economico, propedeutico a tutto il resto), potrebbe ispirarsi per molti versi alla prima fase delle politiche hitleriane.
Alberto Conti
@ecodellarete
Un indicatore è un indicatore, che vuoi dire col fatto che è un dato? Non solo, ma va anche interpretato. La bilancia dei pagamenti sta migliorando, come saprai, per effetto di una diminuzione delle importazioni. Non è impossibile che vada in pareggio. Fatto questo tutto a posto? In Germania, come ormai sanno anche le pietre, è all'attivo. Tutto a posto lì? Gli operai stanno benissimo? La Harz 4 è splendida?
Ma il problema non è tanto questo - tutto è discutibile, ci mancherebbe - quanto l'isteria di cui siete responsabili sulla questione €. Che vi ha fatto imbarcare gentaglia di tutte le risme (fai un giro su comedonchisciotte, prova a vedere qauli posizioni assumono su altri temi gli anti€ e poi torna a parlarcene) di cui in altri tempo vi sareste vergognati. Ora no, ora avete un feticcio, ora il comunismo non conta più, l'anticapitalismo è superato (lo sapete vero che la discussione intorno all'€ è tutta interna alle dinamiche di tipo capitalistico?) i migranti hanno rotto il cazzo e gli italiani sono brava gente. Di merda sono, come tutti gli altri, come inglesi, tedeschi, americani e scegli tu chi altri. O pensi che il PUDE di cui tanto cianciate sia arrivato lì per grazia divina e volontà della nazione? E' arrivato lì perché doveva difendere interessi precisi, i piccoli imprenditori facevano la fila per entrare nell'€ perché pensavano di migliorare il paese o perché pensavano di aumentare i profitti a scapito come sempre degli operai e dei precari? Chi le fa le discussioni sull'abolizione dell'art. 18? i comunisti? Scusa lo sfogo, ma tu hai l'aria di soffrire della sindrome di Stoccolma con Bagnai, che - cose da pazzi, solo cose da pazzi - si permette di dire che parla di lotta di classe. E tu ancora che non capisci (ma come cazzo te lo devi dire?) che lui è mainstream, tutto all'itnerno del paradigma neoclassico e ingozzato fino al midollo di modello capitalistico. E a dirla tutta, se proprio dobbiamo fare i tecnici, vatti a guardare il grafico pubblicato ieri sulla questione della disoccupazione del 1977. A parte che solo un economista può fare questi raffronti del cazzo (il modo di misurare questo dato è cambiato talmente tante volte negli anni che praticamente non significa una minchia di niente) a parte questo, quel grafico dice che nel 1987 (c'era la Lira) la disoccupazione era ai massimi e che nel 2005 (c'era l'€) la disoccupazione era al minimo dal 1963. Però a che serve guardarlo per intero vero? Ma soprattutto: che minchia c'entra la moneta su questo dato?
Vabbè non rileggo, prego anche la redazione di scusare lo sfogo, ma che anche un brav'uomo come @ecodellarete e tanti altri che militano coscienziosamente contro la moneta unica non si accorgano di che merde hanno imbarcato mi fa girare francamente le palle. E trovo stupefacente che nessuno di voi abbia speso una parola contro quest'altri illuminati di blogstream che danno del demagogo a Gallino. A Gallino! Ma vi rendete conto di chi è la gente di cui vanno blaterando? Può sbagliare, dire la cazzata, quello che volete. Ma mentre questi chissà dov'erano quello si faceva il culo.
bvzm1
Si sprecano le grandi visioni sul mondo che ha da venire: rottura dell'euro, sovranità monetaria, controllo dei movimenti di capitale, e quant'altro...
... e si invoca a questa crociata quale condizione necessaria per avere più crescita e più giustizia sociale.
E mentre puntiamo a questa gerusalemme, dividendoci su questo o quell'aspetto teorico, oggi non riusciamo neanche a unirci per ottenere di spostare il prelievo fiscale su rendite, patrimoni e sommerso ...
Si potrebbe anche pensare che tutte queste chiacchiere siano alimentate per confondere, dividere e lasciare le cose come stanno ... ma no! sarebbe un complimento!
Un cordiale saluto.
http://marionetteallariscossa.blogspot.it/
@bvzm1
Intanto grazie per avermi risparmiato insulti gratuiti. In fondo qui stiamo solo ragionando.
Detto questo, non è corretto che tu semplifichi in modo così brutale il problema degli equilibri della BdP. L'equilibrio può esservi in condizioni di piena occupazione come in deflazione. Resta il fatto che grossi squilibri ALLA FINE DEVONO ESSERE COMPENSATI. Il problema è: su chi deve ricadere l'onere degli aggiustamenti? Ebbene l'onere, nella costruzione europea, è tutto sui paesi in deficit. Questo è il problema della moneta unica euro. Le attuali politiche di deflazione sono la conseguenza dell'architettura dell'euro, e gli squilibri sono la conseguenza di una deflazione interna operata dalla Germania con le riforme Hartz.
Questa asimmetria può essere risolta in due modi: o modificando radicalmente l'architettura dell'euro, oppure uscendo dall'euro. La prima soluzione mi appare impossibile, per non dire ingenua, dunque non resta, a mio parere, che la seconda. Aggiungo che l'euro è solo l'epifenomeno di una costituzione economica ultraliberista, sancita dal trattato di Maastricht, mentre la costituzione politica (Lisbona) ha privato gli stati di ogni autonomia, e quindi della possibilità, ad esempio, di introdurre controlli sui movimenti di capitale, merci, servizi e persone all'interno dell'UE.
Pensi che sia possibile modificare questo stato di cose restando nell'euro e nei trattati UE? Libero di farlo, ma io la penso diversamente.
Dici che, uscendo dall'euro e dai trattati UE, non per questo staremo bene? Hai ragione, ma intanto ti rispondo, come la vecchietta del commento precedente, "mittece pure 'ne pise 'ncima!".
Grazie ancora per aver postato un commento senza aver ricordato, una volta di più, la mia grave colpa di essere ciociaro.
Fiorenzo Fraioli
p.s. Credo sia giusto ricordare una cosa: il fatto che io commenti su sollevazione non implica che io sia comunista. Non lo sono, non lo sono mai stato, anche se magari potrei diventarlo. Ma prima mi si deve convincere.
Purtroppo il fatto di non aver capito come cacchio ci si registri finisce col dare luogo ad ulteriori equivoci. Io posso mandare al diavolo un sacco di gente e lo faccio spesso volentieri ma mai usando epiteti della minchia come "ciociario" - che per quanto ne so è una zona del Lazio, giusto? la prossima offesa qual è? Langaiolo? - che hanno anche un aria vagamente razzista. Però nello specifico l'altro anonimo mi pareva ti prendesse per il culo più o meno bonariamente. In ogni caso non ero io.
Detto questo torniamo a noi santo cristiano. Ti ringrazio per la lezioncina, ma come diceva il tuo carceriere basta un manuale di macroeconomia di primo anno. Io non sono un economista, ma di manuali ho avuto la sventura di leggerne parecchi - sai come sono fatti i comunisti... - e quindi non ho ben capito dove andrebbe a parare il discorso se non qui: la BdP è un indicatore. Letto il quale devi capire come mai sta andando in quel modo. Se è in pareggio non significa che è tutto a posto, se è in passivo non significa che sei nella merda e - soprattutto - se sei in attivo ci stai per finire, nella merda. Ma come sempre il problema è il soggetto. Di chi si parla? Voi parlate di patria, nazione, italia, e via retorizzando. Ma come forse ho già detto i miei soggetti sono più fighi: operai, precari, disoccupati, immigrati, sfigati della terra. Ci possono anche stare i piccolissimi imprenditori ma magari ricordando che vivono dello sfruttamento del lavoro altrui. Così tanto per chiarire. E quando siamo nella merda prima le donne i bambini o meglio: prima i miei. Che poi il mio popolo sia fatto da gentaglia che sparerebbe volentieri anch'essa ai lampedusani oltre che agli immigrati, sappiamo come spiegarlo (era la classe in sé e la classe per sé) ma questo in genere non ci confonde. E non ci induce a dire ma vaffanculo a questo cazzo di popolo. Tu hai altri soggetti di riferimento. Bene, in qualsiasi tipo di società questi soggetti vivono di sfruttamento di lavoro altrui. E per cortesia non parlarmi degli artigiani che lavorano per i cazzi loro perché solo nella mente malata questi, o le p.iva precari, sono piccoli imprenditori. Di questi italiani me ne fotte il giusto, posso provare una certa empatia per le loro difficoltà ma non saranno mai il "mio popolo" (siamo forti tutti in retorica).
Detto questo: dove ho scritto che penso di restare nell'Euro o nei trattati Euro? Quello che vi ostinate a non capire è che la vostra è una prospettiva politica. Dici che è più verosimile che la Merkel sganci qualcosa? Io penso che voi non abbiate idea di come agiscano le classi dominanti e siete vittime del "paradigma della razionalità" che da almeno 70 anni è una sciocchezza (se non ne hai mai sentito parlare vatti a cercare l'indeterminazine di Heisenberg, è più utile e divertente dei manuali di macroeconomia). E quindi vedrai che la Merkel sgancerà perché sono disposti a qualsiasi cosa per difendere l'euro e considerato come si comportano gli oppositori - che confidano nell'idiozia delle classi dirigenti - non dovranno neanche penare tanto.
Dopo di che fatti una domanda @ecodellarete: dove ti/vi ha portato tutto questo? State crescendo elettoralmente? Avete avuto un qualche riscontro della vostra capacità di incidere? La lotta anti€ ti sembra più forte adesso grazie a voi? (segue)
bvzm1
(2- fine. Ri-scusate la lunghezza)
Io questo sto cominciando a non sopportate più. Dite quello che volete alla sinistra radicale, ma non avete pulpito da cui rimproverarne l'irrilevanza: voi contate meno, vedete di ricordarvelo. Al prossimo congresso di Rifondazione c'è una mozione anti€. Lo sapevi? Oppure meglio seguire quello che fa La Malfa e Scotti? Ci andrai con le tue telecamere? Tutto qui, scusa di nuovo la virulenza, ma come avrai capito a queste domande non risponde mai nessuno almeno mi sfogo. Dall'altra parte d'Andrea mi risponde dicendo che ai profughi i vostri alleati li avrebbero accolti bene. Sarà, io leggo molte cose, e le cloache che si stanno aprendo su don chisciotte o sul sito di Bagnai cominciano a preoccuparmi persino più del PD (no, ancora non ci siamo).
bvzm1
Dice Emilio: "E mentre puntiamo a questa gerusalemme, dividendoci su questo o quell'aspetto teorico, oggi non riusciamo neanche a unirci per ottenere di spostare il prelievo fiscale su rendite, patrimoni e sommerso ..."
E credi che le due cose non siano legate? Che i "deregolamentatori" stiano in un altro universo rispetto ai mafiosi, ai delocalizzatori, ai disoccupati?
Capisco lo sgomento di chi vede la tragedia reale di questo "economicidio" e le cose da fare subito avendone la forza, ma il non riuscire ad inquadrarle in una visione più ampia, veramente sistemica, capendone le reali fondamenta da demolire per riscostruire su criteri opposti, significa condannarsi all'impotenza, o nella migliore delle ipotesi a battagline di retroguardia che possono anche fruttare qualche "contentino" senza in realtà incidere minimamente sulla sostanza dell'enorme contraddizione che dobbiamo superare, pena la catastrofe, quella vera e irreversibile.
Se poi pensiamo ai rivoli della zombi-sinistra rispetto al naif M5S, la "cosa" è ancora più evidente e impietosa. Ci vuole tanto a cambiare nel profondo, lo so, ma questa è l'ultima chanche.
Alberto Conti
@bvzm1
Fammi capire, non sei tu quello che mi ha dato del frusinate e del pecione? Se non sei tu, allora ti chiedo scusa. Questo fatto dei commenti anonimi crea veramente confusione.
In ogni caso, per tutti quelli che argomentano con offese razziste (se non sei tu, ti chiedo ancora scusa per la svista) segnalo questo: Confiteor Ciociarus.
Un saluto a tutte e solo le persone educate, anche se non abbiamo le stesse idee su tutto.
Fiorenzo Fraioli
bvzm1,
curiosità... tra un artigiano che alza 1000 al mese e un dipendente da 2000 al mese, chi è il "tuo popolo"?
compagni comunisti veraci che improvvisamente ereditano n'appartamento da 800.000 o sono dirigenti statali da 4.000 al mese o c'hanno l'agriturismo (non sai quanti ne conosco!), sono il "tuo popolo"?
non immaginate quanto mi piacerebbe sapere, di voi tutti, che lavoro fate, quanto guadagnate, che patrimonio avete o avrete in eredità.
vedi, secondo me le idee contano poco se non ho un quadro dei fondamentali antropologici delle persone...
antonio.
No ecodellarete, davvero non mi sarei mai permesso. Però mi assumo lo stesso le mie responsabilità, perché ho sorriso un po' quando ho letto non mi è sembrato particolarmente razzista, mi sembrava che prendesse di mira il tuo autodefinirti.
Ma tu ti arrabbi per queste cose?
A me pare più grave che nessuno risponda alle domande...
bvzm1
ps. per il futuro: "non capisci una minchia" "sei un testone" "sei più coglione o più non capisci un cazzo"... da questo mi si riconosce...
"pecione" è offensivo e "frusinate" non c'entrava niente. uscita felice non fu. oddio, ogni tanto ci si lascia un po' andare. questo dare aggettivi allegramente, "razzisticamente", ai quali è sotteso un giudizio negativo, è un fenomeno molto comune, serve per depotenziare l'avversario... ad esempio a me qualcuno mi ha dato "razzisticamente" del "difensore delle elites eurocrati" solo perchè sono contrario al default del debito...
bisognerebbe attenersi scientificamente a ciò che uno dice e non fare deduzioni ad fallum canis.
antonio.
Antonio, mi pare di averlo specificato che l'artigianato che fa tutto da solo e che guadagna neanche il necessario per la sussistenza col cacchio che è un imprenditore. Il resto è sciocca provocazione, tipica di chi o non sa bene di cosa parla o di chi crede che la via d'uscita possa passare per una ridicola guerra tra poveri. Abbiamo fin qui mantenuto un certo livello, non dobbiamo abbassarlo per forza. Per non parlare delle ridicole domande finali. Potrei mentire, potrei guadagnare milioni o centesimi. Quando capirete che non c'entra una minchia tutto questo sarà sempre troppo tardi. Meglio il livore per chi guadagna 1400 € vero?
bvzm1
il livore nello scrivere non è mio. se leggi i miei commenti io esordisco sempre in modo tecnico, asettico. in cambio ricevo "fesso", "sciocco", "saccente arrogante", "difensore dei banchieri eurocrati".
io non ho nessun livore verso chi guadagna 1400 e nemmeno 3400. la provocazione però serviva a capire CHI per voi sono i buoni e i cattivi, perchè non è detto che chi ha una proprietà (che qualcuno di voi non vede l'ora di espropriare) sia più benestante di chi non ha proprietà ma guadagna il quadruplo. e non è detto che un lavoratore dipendente che non possiede il mezzo di produzione sia più povero di un imprenditore che possiede il mezzo di produzione.
insomma la mia provocazione verteva sulla definizione di "CLASSE", che non può essere più quella ottocentesca.
e girava intorno al discorso "ripudio del debito", perchè mi pare assurdo che se sono un impiegato con 200.000 di titoli di stato devo essere relegato nella classe dei kattivi da scotennare e invece se mi sputtano i soldi o apro il centro yoga sono un bravo compagno sfruttato dai rentiers.
comprì?
antonio.
Chissà cosa intendi per "tecnico", Antonio. La domanda è scema o ignorante perché i casi di cui parli - se esistono - sono marginali, non servono a una beata fava. Non si fa politica con le eccezioni non te l'hanno mai detto? Ma neanche sociologia o cose di questo tipo. Cosa sei un altro che pensa che la società dell'Ancien Regime era semplice e questa invece è complessa? Sono tutte chiavi di lettura, idealtipi, approssimazioni alla realtà. Che palle ricordare queste cose. Facciamo una cosa: tu ti studi le inferenze deboli e io la prossima volta non ti prendo per provocatore scemo, ok?
bvzm1
guarda, puoi chiamarmi come ti pare, per me conti meno di un 2 di coppe.
allora, tecnicamente e asetticamente:
- tagliamo il debito
- sequestriamo c/c
- nazionalizziamo pure la briscola e il tresette
- aumentiamo le tasse al 99% del pil
sono robe da "diversamente intelligenti" che non capiscono un "diversamente vagina" di economia ma sono solo tossici di ideologia (morta).
oppure sono ipocriti.
va bene così?
antonio.
Secondo me bvzm1 ti sei fatto un'idea esageratamente sbagliata di cosa voglia dire per MPL e altri movimenti analoghi l'uscita dall'euro e dall'ue.
Avrai trovato blog e siti con individui deprecabili, non potrai sopportare che venga attaccata una certa sinistra radicale o altre cose giustificabili.
Però non si può certamente farne una colpa a chi come Eco o come Sollevazione se attorno a queste lotte (perchè questo sono) si sono radunati anche tali elementi.
Anzi si cerca proprio di evitare che queste lotte diventino proprie di questi individui e possano invece portare a benefici le "classi" che riteniamo tutti giusto tutelare.
Io consiglierei di portare il dibattito su un piano più concreto e non su quello più personale del tipo "preferite la malfa" o "avete visto chi vi portate dietro".
Se si va in questo campo può starci tutto, io per esempio ho amici militanti di RC (ora non più perchè meno presente in zona) che insistono su temi neoclassici e giustizialisti e come loro molti altri, che conclusioni devo dare? Posso generalizzare e dire che RC è liberista? Ovviamente no, però capisco perchè sia ridotta così.
@Pigghi, mi sembra di aver provato a distinguere tra Sollevazione e il resto. E anche su @ecodellarete mi pareva di aver riconosciuto diverse posizioni. Su Rifondazione in verità non sono tanto d'accordo perché se è vero che esisteranno quei tipi che dici mi sembra che siano largamenti minoritari. Non solo, ma Rifondazione mi pare abbia notevoli anticorpi per "isolare" queste posizioni, legate alla scellerata alleanza con Igroia, che davvero è un altro che non capisce praticamente niente. Ma al prossimo congresso, senza stare a sbraitare troppo, c'è una mozione sull'uscita dall'€. Nei congressi passati c'è semrpe stata. Insomma solo la scadentissima conoscenza di quel partito può portare a dire che è "pericoloso" (non parlo di te, spero di aver capito il paradosso che proponi).
A me pare - posso sbagliare - che il "fronte sovranista" non sia nelle stesse condizioni. Che sia largamente in mano alla destra e che, fra l'altro, non potrebbe che essere così, per motivi che ho provato a spiegare. Tutto qua.
bvzm1
Chiaramente non voglio "dare sotto" a Rifondazione per gli errori del passato, anzi sono contento che ci sia un dibattito vivo, magari con posizioni che stavolta non la portino ad aggrapparsi all'ingroia di turno che stavolta potrebbe essere un Rodotà et similia.
Comunque che dire, meglio così!
Speriamo ma conoscendo un po' Rifondazione non sarei così ottimista Pigghi...
bvzm1
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