23 ottobre. Guido Lutrario (nella foto), storico esponente della sinistra antagonista romana, tira un bilancio delle due giornate di mobilitazione del 18 e 19 ottobre. Lo fa indicando i punti di forza dei movimenti metropolitani che si sono messi in moto, non senza segnalare, alludendo al gransciano "blocco storico", le difficoltà di saldatura tra "gli "ultimi", gli esclusi e i non-garantiti, ed il grosso dello stesso lavoro dipendente. Per questo, per ampliare il front, Lutrario afferma che occorre "produrre un discorso". Giusto! Non può esserci alcun "discorso" che sia convincente e che abbia potenza politica inclusiva che possa prescindere dall'uscita dall'euro e dall'Unione europea, quindi dalla riconquista della sovranità nazionale, democratica e monetaria.
«Le giornate del 18 e 19 ottobre hanno stupito e sorpreso molti osservatori, convinti che si sarebbe trattato di manifestazioni assai più ridotte nei numeri ed obbligate a ripetere il cliché confezionato dalla stampa. Questo errore di valutazione nasconde la convinzione che i settori sociali più deboli della società siano destinati per sempre a rimanere esclusi dalla politica, incapaci di produrre un “discorso” che faccia breccia nella società e si faccia volano di movimenti sociali più ampi.
Che cosa si è manifestato nell’ultimo fine settimana? Un duplice processo di aggregazione, uno attorno al sindacalismo indipendente e conflittuale, l’altro attorno al movimento di lotta per la casa, che è al contempo movimento popolare e meticcio delle periferie urbane delle nostre metropoli. Chi ha lavorato in questi mesi affinché i due appuntamenti si parlassero, fino al punto da realizzare un autentico ponte tra le due manifestazioni con l’occupazione della piazza s. Giovanni, aveva chiaro che tra i due poli esiste una dialettica ed anche una potenziale convergenza.
A chi ha vissuto entrambe le manifestazioni salta subito agli occhi una grande quantità di differenze. La prima manifestazione metteva insieme tante categorie di lavoratori di tutte le regioni del paese in una forma ordinata, potremmo dire tradizionale, producendo la sensazione che è in marcia il consolidamento e l’espansione di un nuovo soggetto autorganizzato dei lavoratori che aspira a ricostruire l’agire sindacale in tutto il paese. Una sorta di grande forza organizzata in fieri, consapevole della propria forza, che costruisce in modo calmo ma determinato un percorso di crescita e di rafforzamento del movimento dei lavoratori. La seconda manifestazione invece portava in piazza la rabbia della parte più povera della società, necessariamente molto più irruenta a causa della drammaticità della propria condizione e sotto la spinta dell’urgenza delle risposte concrete. Dentro le due manifestazioni, ma probabilmente molto più nella seconda, non a caso assai più numerosa, hanno convissuto anche altri temi come quello della salvaguardia del territorio o quello della precarietà giovanile, ma in una forma ancora secondaria e potremmo dire collaterale.
L’esperimento dell’accostamento dei due poli ha funzionato molto bene, uno ha potenziato l’altro, ma occorre essere realisti, siamo soltanto all’inizio di un percorso assai complicato. Si tratta innanzitutto di comprendere bene quello che sta succedendo. Da un lato si sta producendo una spinta tra i lavoratori ad abbandonare le tradizionali sigle sindacali, un po’ come succede in politica con i partiti, per accedere alla forma democratica dell’azione sindacale, dove a decidere sono le assemblee dei lavoratori e dove i delegati sono facilmente revocabili. Se non ci fosse il ricatto del lavoro e Cgil, Cisl e Uil non producessero continue azioni per reprimere il diritto dei lavoratori a darsi rappresentanze elette democraticamente (come l’accordo sulle RSU del 31 maggio u.s.) questo processo sarebbe molto più avanzato. Tuttavia si tratta di una dinamica in corso e la manifestazione del 18 ne è la testimonianza più evidente.
Dall’altro attorno al movimento per la casa si è innescato un processo di aggregazione di settori popolari che nella difesa di un diritto elementare stanno trovando le condizioni per affermare la loro dignità di cittadini.
I due poli alludono a due segmenti sociali abbastanza distinti, anche se poi le contaminazioni e gli intrecci sono molti. Ma soprattutto rappresentano gli estremi di un campo nel quale possono collocarsi ed intersecarsi molti altri temi e quindi nuovi potenziali poli di aggregazione. Uno è certamente il tema del welfare, dei servizi e dei beni comuni che vede insieme, anche se da condizioni sociali distinte, lavoratori pubblici e dei servizi, disoccupati, lavoratori a basso reddito e precariato giovanile, migranti ed abitanti delle periferie urbane. L’altro è quello della difesa del territorio, della sovranità sul suolo, della salvaguardia del paesaggio, dell’ambiente e della salute. Entrambi questi temi, che hanno attraversato le manifestazioni di Roma, rimandano a quei concetti di diritto alla città e di nuovi diritti urbani che possono rappresentare l’orizzonte di un nuovo movimento.
L’elemento dell’organizzazione metropolitana, della scala urbana del movimento, è l’altro aspetto da non sottovalutare delle giornate del 18 e 19 ottobre. A piazza di Porta Pia l’assemblea riconosceva come forme di rappresentazione dei soggetti, i movimenti di lotta per la casa e dei migranti, i movimenti in difesa del territorio, il sindacalismo di base e le aggregazioni territoriali metropolitane. C’è in tutto ciò l’allusione a dare vita a forme cittadine di organizzazione delle lotte urbane, di consolidare gli intrecci, di favorire gli scambi e le sinergie tra forme organizzate distinte che invece di competere possono cominciare a collaborare in modo sistematico. Il sindacalismo di base così come il movimento di lotta per la casa hanno una propria dinamica generale di organizzazione e di lotta, ma sul piano metropolitano possono tentare di dare vita a forme innovative di organizzazione stabile comune, dentro le quali convergano anche gli altri aspetti del vivere urbano, con i loro conflitti e le loro forme specifiche di organizzazione.
La connessione tra soggetti sociali diversi non è un processo breve e facilmente risolvibile, ma la sua potenza è enorme. La saldatura in una sorta di blocco storico è lontana, ma a questo dobbiamo lavorare, senza distruggere le forme di organizzazione sociale che siamo riusciti a promuovere fin qui ma spingendole a rinnovarsi e a collegarsi. Si tratterà di mettere in movimento altri frammenti importanti della nostra società come per esempio i lavoratori della conoscenza, gli operatori culturali e dei media, il mondo della ricerca, ecc. che possono svolgere una funzione essenziale proprio nella saldatura identitaria di un blocco sociale. Per uscire dalla sola sovrapposizione di spezzoni di società e provare a costruire una sintesi di prospettiva.
Mettendo in connessione le tante soggettività disperse e frantumate di compagni e compagne che non hanno perso la voglia di assaltare il cielo e che siano disponibili ad accompagnare l’evoluzione di un movimento sociale che faticosamente sta cercando di costruire il suo percorso».
* Esponente dell'Usb
«Le giornate del 18 e 19 ottobre hanno stupito e sorpreso molti osservatori, convinti che si sarebbe trattato di manifestazioni assai più ridotte nei numeri ed obbligate a ripetere il cliché confezionato dalla stampa. Questo errore di valutazione nasconde la convinzione che i settori sociali più deboli della società siano destinati per sempre a rimanere esclusi dalla politica, incapaci di produrre un “discorso” che faccia breccia nella società e si faccia volano di movimenti sociali più ampi.
Che cosa si è manifestato nell’ultimo fine settimana? Un duplice processo di aggregazione, uno attorno al sindacalismo indipendente e conflittuale, l’altro attorno al movimento di lotta per la casa, che è al contempo movimento popolare e meticcio delle periferie urbane delle nostre metropoli. Chi ha lavorato in questi mesi affinché i due appuntamenti si parlassero, fino al punto da realizzare un autentico ponte tra le due manifestazioni con l’occupazione della piazza s. Giovanni, aveva chiaro che tra i due poli esiste una dialettica ed anche una potenziale convergenza.
A chi ha vissuto entrambe le manifestazioni salta subito agli occhi una grande quantità di differenze. La prima manifestazione metteva insieme tante categorie di lavoratori di tutte le regioni del paese in una forma ordinata, potremmo dire tradizionale, producendo la sensazione che è in marcia il consolidamento e l’espansione di un nuovo soggetto autorganizzato dei lavoratori che aspira a ricostruire l’agire sindacale in tutto il paese. Una sorta di grande forza organizzata in fieri, consapevole della propria forza, che costruisce in modo calmo ma determinato un percorso di crescita e di rafforzamento del movimento dei lavoratori. La seconda manifestazione invece portava in piazza la rabbia della parte più povera della società, necessariamente molto più irruenta a causa della drammaticità della propria condizione e sotto la spinta dell’urgenza delle risposte concrete. Dentro le due manifestazioni, ma probabilmente molto più nella seconda, non a caso assai più numerosa, hanno convissuto anche altri temi come quello della salvaguardia del territorio o quello della precarietà giovanile, ma in una forma ancora secondaria e potremmo dire collaterale.
L’esperimento dell’accostamento dei due poli ha funzionato molto bene, uno ha potenziato l’altro, ma occorre essere realisti, siamo soltanto all’inizio di un percorso assai complicato. Si tratta innanzitutto di comprendere bene quello che sta succedendo. Da un lato si sta producendo una spinta tra i lavoratori ad abbandonare le tradizionali sigle sindacali, un po’ come succede in politica con i partiti, per accedere alla forma democratica dell’azione sindacale, dove a decidere sono le assemblee dei lavoratori e dove i delegati sono facilmente revocabili. Se non ci fosse il ricatto del lavoro e Cgil, Cisl e Uil non producessero continue azioni per reprimere il diritto dei lavoratori a darsi rappresentanze elette democraticamente (come l’accordo sulle RSU del 31 maggio u.s.) questo processo sarebbe molto più avanzato. Tuttavia si tratta di una dinamica in corso e la manifestazione del 18 ne è la testimonianza più evidente.
Dall’altro attorno al movimento per la casa si è innescato un processo di aggregazione di settori popolari che nella difesa di un diritto elementare stanno trovando le condizioni per affermare la loro dignità di cittadini.
I due poli alludono a due segmenti sociali abbastanza distinti, anche se poi le contaminazioni e gli intrecci sono molti. Ma soprattutto rappresentano gli estremi di un campo nel quale possono collocarsi ed intersecarsi molti altri temi e quindi nuovi potenziali poli di aggregazione. Uno è certamente il tema del welfare, dei servizi e dei beni comuni che vede insieme, anche se da condizioni sociali distinte, lavoratori pubblici e dei servizi, disoccupati, lavoratori a basso reddito e precariato giovanile, migranti ed abitanti delle periferie urbane. L’altro è quello della difesa del territorio, della sovranità sul suolo, della salvaguardia del paesaggio, dell’ambiente e della salute. Entrambi questi temi, che hanno attraversato le manifestazioni di Roma, rimandano a quei concetti di diritto alla città e di nuovi diritti urbani che possono rappresentare l’orizzonte di un nuovo movimento.
L’elemento dell’organizzazione metropolitana, della scala urbana del movimento, è l’altro aspetto da non sottovalutare delle giornate del 18 e 19 ottobre. A piazza di Porta Pia l’assemblea riconosceva come forme di rappresentazione dei soggetti, i movimenti di lotta per la casa e dei migranti, i movimenti in difesa del territorio, il sindacalismo di base e le aggregazioni territoriali metropolitane. C’è in tutto ciò l’allusione a dare vita a forme cittadine di organizzazione delle lotte urbane, di consolidare gli intrecci, di favorire gli scambi e le sinergie tra forme organizzate distinte che invece di competere possono cominciare a collaborare in modo sistematico. Il sindacalismo di base così come il movimento di lotta per la casa hanno una propria dinamica generale di organizzazione e di lotta, ma sul piano metropolitano possono tentare di dare vita a forme innovative di organizzazione stabile comune, dentro le quali convergano anche gli altri aspetti del vivere urbano, con i loro conflitti e le loro forme specifiche di organizzazione.
La connessione tra soggetti sociali diversi non è un processo breve e facilmente risolvibile, ma la sua potenza è enorme. La saldatura in una sorta di blocco storico è lontana, ma a questo dobbiamo lavorare, senza distruggere le forme di organizzazione sociale che siamo riusciti a promuovere fin qui ma spingendole a rinnovarsi e a collegarsi. Si tratterà di mettere in movimento altri frammenti importanti della nostra società come per esempio i lavoratori della conoscenza, gli operatori culturali e dei media, il mondo della ricerca, ecc. che possono svolgere una funzione essenziale proprio nella saldatura identitaria di un blocco sociale. Per uscire dalla sola sovrapposizione di spezzoni di società e provare a costruire una sintesi di prospettiva.
Mettendo in connessione le tante soggettività disperse e frantumate di compagni e compagne che non hanno perso la voglia di assaltare il cielo e che siano disponibili ad accompagnare l’evoluzione di un movimento sociale che faticosamente sta cercando di costruire il suo percorso».
* Esponente dell'Usb
3 commenti:
Questo mi pare un intervento, anche condivisibile nello spirito, in cui però le idee che sembrano chiare in realtà danno ben poche indicazioni.
Non c'è alcuna previsione spendibile nella pratiche relativa all'evoluzione futura.
Non c'è alcun suggerimento a come, nella pratica, costruire la convergenza (leggi: quali azioni e quali battaglie sono prioritarie).
Se questa è l'avanguardia, c'è da essere pessimisti.
Individuare il comune strumento di dominio nell'euro e lottare per abbatterlo. Poi potremo ridefinire gli obbiettivi specifici.
Insomma: nebbia fitta e oscurità , sebbene sofferta e partecipata la volontà di fare "qualcosa di sinistra" per tentare di uscire dalla "tonnara" prima della "camera" finale.
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