giovedì 24 ottobre 2013

IL LORO PIANO E QUELLO NOSTRO di Moreno Pasquinelli

24 ottobre. Consiglio la lettura del fondo di Ernesto Galli Della Loggia apparso sul Corriere della Sera del 20 ottobre Il potere vuoto di un paese fermo. Il fatto che negli anni egli abbia preso numerose cantonate e scritto varie amenità nulla toglie al valore del suo intervento. Per una volta non ci si arresta alle soloniche invettive contro la “casta politica”, si mostra anzi che esse sono il precipitato della putrefazione (aggettivo mio) del capitalismo italiano, nonché delle deformità, oramai trapassate nel suo Dna, della classe dominante e delle sue consorterie:
«Di coloro che negli ultimi vent’anni hanno avuto nelle proprie mani le sorti dell’industria e della finanza del Paese. Quale capacità imprenditoriale, che coraggio nell’innovare, che fiuto per gli investimenti, hanno in complesso mostrato di possedere? La risposta sta nel numero delle fabbriche comprate dagli stranieri, dei settori produttivi dai quali siamo stati virtualmente espulsi a opera della concorrenza internazionale, nel numero delle aziende pubbliche che i suddetti hanno acquistato dallo Stato, perlopiù a prezzo di saldo, e che sotto la loro illuminata guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo del proprio. Né meglio si può dire delle banche: organismi che invece di essere un volano per l’economia nazionale si rivelano ogni giorno di più una palla al piede: troppo spesso territorio di caccia per dirigenti vegliardi, professionalmente incapaci, mai sazi di emolumenti vertiginosi, troppo spesso collusi con il sottobosco politico e pronti a dare quattrini solo agli amici degli amici».
Della Loggia segnala come serpeggi lo “scoraggiamento generale”, l’idea diffusa che «per l’Italia non ci sia più speranza… la sensazione di una nostra segreta incapacità di reggere sulla distanza alle prove della storia».
La tesi è che:
«L’Italia non sta precipitando nell’abisso. Più semplicemente si sta perdendo, sta lentamente disfacendosi. (…) Si tira a campare, con le “larghe intese”, questo sì: ma a forza di tirare a campare alla fine si può anche morire». Che dunque: «Mai come oggi abbiamo bisogno di segni coraggiosi di discontinuità, di scommesse audaci sul cambiamento, di gesti di mutamento radicale».
 Analisi spietata ma vera quant’altre mai, con la doverosa precisazione che il disfacimento del paese —dei suoi tessuti economico-sociali come del suo ordito etico-morale— deve appunto, prima o poi, condurre al crollo, all’abisso; a meno che non intervenga prima, appunto, l’anelato “mutamento radicale”.

Ma di quale mutamento si sta parlando? E quale sarà il blocco sociale, e entro di esso la classe sociale, che ne saranno artefici?

Dall’analisi di Della Loggia (che potremmo corroborare con ben più solidi e macroscopici dati sulla struttura del capitalismo nostrano) se ne deduce: che la borghesia italiana non è capace di produrre questa svolta; che non possiede gli anticorpi contro il disfacimento; che non porta in grembo il drago della rinascita.

Per questo i settori egemoni delle élite dominanti si affidarono al processo che portò all’Unione europea e alla moneta unica. Essi sperarono che il famigerato “vincolo esterno” avrebbe avuto l’effetto di raddrizzare il legno storto del capitalismo italiota, di rimuovere il carattere patriziale della sua cupola finanziario-industriale, di mettere in riga la schiera di microimprese che tiravano a campare grazie alle svalutazioni competitive e ad un corporativismo paternalistico, di rimuovere il vecchio ceto politico. Per realizzare questo disegno strategico nacque la “Seconda Repubblica” di cui il centro-sinistra doveva essere l'architrave.

Questo disegno ha fatto fiasco per due ragioni fondamentali. La prima, evidente, è che il processo di unificazione europea culminato nell’euro, alla prima prova seria (la crisi finanziaria venuta dagli Usa), si è inceppato e non riesce a riprendere slancio. La seconda è che (pur sempre in nome della nuova religione civile eurista) le forze sociali recalcitranti al processo di disinfestazione, una volta individuato nel berlusconismo uno scudo difensivo, hanno opposto una resistenza inattesa e tenace.
Visto questo doppio fallimento incosa sperano, quale potrebbe essere il "piano di mutamento radicale" di quelle stesse élite che parlano per bocca di Della Loggia? La risposta è semplice, almeno io ritengo, ed è quella che invocano un grosso e risolutivo shock esterno, più profondo e devastante di quello dell’estate-autunno 2011 e che portò al defenestramento di Berlusconi e all’arrivo di Monti. L’Italia è too big to fail, il suo disfacimento farebbe saltare non solo la moneta unica ma seppellirebbe la stessa Unione. Ecco quindi, a maggior ragione visto che le “larghe intese” non producono alcun effetto davvero risolutivo, che una catastrofe preventiva pilotata potrebbe sortire l’effetto sperato. La tecnica per causare un collasso che giustifichi un grande shock è collaudata, un attacco concertato al debito pubblico italiano —con l'effetto collaterale di fare saltare il sistema bancario italiano.

A quel punto l’Italia dovrebbe, non differentemente dall’Irlanda, dalla Grecia e dal Portogallo (quindi in misura ben maggiore che la Spagna) chiedere aiuto non solo all’Unione (col ricorso ai fondi di Esm/Mes) ma pure alla Bce, ed il che significa, dato che le Ltro si sono dimostrate solo un palliativo, far scattare le annunciate da Draghi Omt, operazioni monetarie definitive. Note sono le condizioni draconiane affinché la Bce possa ottenere il lasciapassare tedesco per giungere in soccorso delle finanze pubbliche e delle banche italiane. 


Chi gestirebbe questo economicidio? Un nuovo governo di “larghe intese” è escluso, com’è eslcuso che il Pd, coi suoi ammennicoli possa farlo. Qui l’inquietante prospettiva del “podestà forestiero”, non a caso adombrata dal Gaulaiter Mario Monti nell’agosto 2011. L’Italia, che è già paese ad amministrazione controllata, verrebbe a quel punto governato da un direttorio emanazione della troika.

La minaccia di un nuovo crollo finanziario globale, come fu quello del 2008, che molti analisti ritengono probabile dopo anni di sbronza monetaria e di bolla dei valori borsistici, renderebbe cogente questa drammatica eventualità.

Il "piano" opposto non potrebbe essere cheuna sollevazione popolare. Che questa possa sopraggiungere prima, come noi ci auguriamo, è possibile ma altamente improbabile. E’ molto probabile invece che lo shock colpisca il paese tra capo e collo, che avremo solo a quel punto, oramai precipitati nell’abisso, una sollevazione generale.

Non immaginatevi una sollevazione fulminea e risolutiva. Il paese entrerà in un periodo di acutissime convulsioni sociali e politiche, la sollevazione procederà per fiammate, non seguirà una linea retta ascendente. Occorre rassegnarsi ad una sinfonia caotica e sconnessa, poiché mancano sia lo spartito che una direzione d’orchestra. Detto altrimenti avremo un conflitto coriandolare, policentrico, poiché, mentre la borghesia italiota è oramai una classe parassitaria e al tramonto, non abbiamo nemmeno, perché oramai spappolato, imborghesito, eviscerato, un proletariato che possa candidarsi a ruolo guida di un blocco sociale in grado di sovvertire l’ordine delle cose e prendere in mano le redini del paese.

E’ dentro questo marasma disordinato che le forze democratiche e sovraniste saranno chiamate e portare ordine e introdurre senso. Un blocco sociale e politico antagonista prenderà forma nel mezzo dello sconquasso. L’egemonia l’avrà chi saprà gettarsi nel conflitto trasformando la disperazione in rabbia consapevole; di chi saprà fare, di coloro a cui è stato tolto tutto, la forza motrice di un blocco ampio con i molti che vorranno difendere il poco che gli resta; di chi, portatore di un’idea nuova di società, saprà indicare la via e i mezzi per aprirgli una strada.

Se, su questo d'accordo col Della Loggia, ho ragione nel sostenere che da questa crisi si esce solo con soluzioni radicali; se sono nel giusto nel ritenere che la borghesia italiana non ha né la volontà né la forza per rompere la gabbia eurista e liberista; se, come ritengo, per questo abdicherà e accetterà di fare del Paese una semi-colonia; se, come penso, la forza motrice della sollevazione saranno i settori sociali dilaniati dalla crisi sistemica; non solo lo scontro si farà durissimo, ma la società subirà un processo di polarizzazione sociale, politica e ideologica violento che divaricherà lo stesso campo delle forze sovraniste. 

Con buona pace degli azzeccabarbugli che dai loggioni strillano lo stesso mantra del pensieero unico mainstraeam, quello della “morte delle ideologie” e della “fine della dicotomia tra destra e sinistra”.

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Che si arrivasse allo scontro finale era,per così dire,nell'ordine naturale delle cose.Che l'ignobile classe dominante italiana costituita da "capitani d'industria senza portafoglio",da imprenditori "illuminati"e da "coraggiosi"innovatori del capitalismo nostrano(con il danaro pubblico),mostrasse prima o poi il conto definitivo alle classi subalterne era anche questo oltremodo sicuro.Ma che ci si arrivasse con questa debolissima e fluttuante forza di contrasto,non lo si poteva ipotizzare nel lungo periodo.Chi ancora spera nella riformabilità del capitale come extrema ratio alla barbarie prossima ventura è bene che inizi a ricredersi.

Anonimo ha detto...

Geremia
Questo saggio del da me apprezzatissimo opinionista (di sinistra) dott. Pasquinelli mette parecchia carne al fuoco e tenta previsioni profetiche preconizzando eventi tali da proporsi come soluzioni (benché drammatiche e persino violente) alla tremenda situazione attuale del paese. Con lucidità elenca le cause attribuibili ad una classe dirigente alleatasi ad un nemico misterioso ed invisibile dimostrando uno zelo a danno degli interessi della Nazione che ben si può definire collaborazionistiCo. Se è vero che secondo l'opinione di chi ne trae vantaggio, le ideologie sono morte, seguendo il pensiero unico non si arriva però ad altro che allo sfacelo totale (putrefazione definitiva). E mi dispiace constatarlo, mi sembra che ci sia anche un "pensiero unico" di sinistra altrettanto dogmatico quanto quello cosiddetto "di destra" (ma non c'è una sola destra comunque). L'ho detto ancora. non siamo più nel 1917. Il dogmatismo finisce per essere pernicioso perché sbarra la strada alla ragione e all'istinto. La situazione attuale sarà anche risultato di meccanismi economicistici inesorabili ma è anzitutto una crisi etica e morale: una crisi di pensiero e di cultura umana. Ci sarebbe bisogno di qualche pensatore veramente capace di pensiero divergente.
Ma siamo sicuri che un pensatore veramente libero non farebbe una brutta fine? Nel Medioevo c'era il Vecchio della Montagna asserragliato nella fortezza di Alamuth che sguinzagliava i suoi hascicshim a togliere di mezzo i nemici. Anche oggi mi pare funzioni qualcosa di simile, purtroppo.

Veritas odium parit ha detto...

Senza nessun malanimo e augurandomi che Pasquinelli abbia ragione, non condivido né le sue conclusioni né l’articolo di Galli.

Galli fa la solita pantomima autodisfattista italiota senza (voler) vedere che le nostre disgrazie nascono dalla globalizzazione (mobilizzazione dei capitali e della forza lavoro), ormai trasvalutata in totem fondativo che nemmeno si tematizza per impedire che il credente sia indotto a ragionare sul dogma di fede. Non gli viene in mente che un terzo dell’Europa è ridotta peggio di noi, che la Francia senza l’appoggio politico-economico della Germania starebbe come noi, e che agli stessi paesi del nord vada poco meglio (uno di questi giorni devo ricordarmi di tradurre un articolo sullo spopolamento industriale della Ruhr).

Per quanto riguarda le conclusioni di Pasquinelli, il passaggio dalla constatazione che “occorra rassegnarsi ad una sinfonia caotica e sconnessa, poiché mancano sia lo spartito che una direzione d’orchestra”, fa a pugno col pio desiderio di uno “scontro durissimo” e di un “processo di polarizzazione sociale, politica e ideologica violenta”. In Grecia lo sfacelo è all’ordine del giorno e i servi della Trojka sono ancora al potere (ed eletti per via più o meno demokratica).

Ciò che ci possiamo realisticamente aspettare sono 15 anni di lento sfacelo seguiti da una serie di guerre, verosimilmente più mondiali che non civili e rivoluzionarie. L’unica speranza concreta di un rivolgimento prematuro risiede nei partiti di estrema destra (soprattutto nell Front national), che capitalizzano sull’odio della povera gente verso le orde migratorie.

Vedrete che quando dagli sviluppi della situazione politica dipenderà il fatto che ti fucilino o meno i figli al gregge passerà la voglia di seguire la politica spettacolo.

Anonimo ha detto...

Non dico proprio che siano arrivati a fucilare i figli, ma a lasciarli disoccupati con i padri esodati o strangolati dalle tasse sì. A mio parere si profila in questa situazione un progetto di genocidio su grande scala più che una fase di "dissodamento" di resistenze vanificate dalla disinformazione a da atteggiamenti prudenziali. Mi pare che il massacro sia già cominciato da un bel po' per non accorgersi delle vere intenzioni dei "Cherubini".
Spero di sbagliarmi, comunque.

Unknown ha detto...

L'unica "speranza" (addirittura!) sta nell'estrema destra?! Che culo...

SOLLEVAZIONE ha detto...

VERITAS PREMITUR, NON OPPRIMITUR

No, le disgrazie del capitalismo italiano (che solo un malinteso patriottismo chiama "nostre") non nascono con la globalizzazione. La globalizzazione, per essere più precisi la crisi sistemica —venuta a galla col crollo finanziario del 2008— ha disvelato le magagne strutturali del capitalismo italiano. Così come, è sicuro, ha messo in luce anche quelle di altri capitalismi.

Tanto per usare un parametro macroscopico: se si confronta l'andameno del PIL dei vari paesi occidentali nell'ultimo ventennio solo quello italiano mostra un ristagno continuativo fino alla perdita di circa 10 punti percentuali dopo il 2008 —se si guarda ai dati della produzione industriale siamo ad un vero e proprio crollo.

Su quali siano queste deficienze il discorso sarebbe lungo. Il primo è evidente, è la struttura pulviscolare e atomizzata del suo tessuto industriale.

Dopo le due grandi crisi petrolifere, agli inizi degli anni '80, il sistema italiano era davanti ad un bivio:

(1) basarsi sulla centralità ed il rilancio della grande industria, che era in gran parte pubblica o partecipata dallo Stato (chimica, siderurgia, meccanica ecc.) puntando su un riposizionamento sui mercati mondiali fondato sull'avvio di un nuovo potente ciclo di investimenti di capitale di lungo periodo,
OPPURE
(2) mirare ad un modello (liberista) basato su (A) privatizzazioni e svendita della grande impresa pubblica e (B) favorire un modello di specializzazione a basso contenuto innovativo, a basso tasso di investimenti, a bassi salari, ad alto tasso di evasione fiscale, con produzioni standardizzate e con un tessuto imprenditoriale piegato sulla piccola e media impresa.

E' questa seconda la strada che venne intrapresa. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

La grande borghesia italiana che fece? Approfittò dei doni delle privatizzazioni a prezzi di saldo non per rilanciare la grande industria, ma per fare spezzatini i cui guadagni si giocò poi nelle bische del capitalismo casinò, nella finanza speculativa e bancaria.

L'adesione all'euro, che doveva fungere da terapia salvifica, si è dimostrata al contrario come la mazzata definitiva.

Moreno Pasquinelli

Ps
Veritas scrive infine: «L’unica speranza concreta di un rivolgimento prematuro risiede nei partiti di estrema destra (soprattutto nell Front national), che capitalizzano sull’odio della povera gente verso le orde migratorie». Dio ce ne scampi! E' quella che chiamiamo "mobilitazione reazionaria delle masse". E' proprio per questo che un processo di polarizzazione sociale e politica violento è nell'ordine delle cose.

Anonimo ha detto...

Pasquinelli scrive: "La grande borghesia italiana che fece? Approfittò dei doni delle privatizzazioni a prezzi di saldo".

Può spiegare a me Pasquinelli, quali sono stati questi doni delle privatizzazioni ricevuti dalla borghesia italiana?

Ringrazioe saluto...Franco.

SOLLEVAZIONE ha detto...

PRIVATIZZAZIONI

solo pochi cenni dato la spazio.

Mi riferisco alla trasformazione di IRI, ENI, ENEL, BNL, IMI e INA in società per azioni (decreto Amato, ovvero il D.L. n. 333, convertito nella Legge 8 agosto 1992, n. 359,).

A questo primo passo del 1992 seguì il secondo nel 1994 (legge 474/94) che dettò le regole che dovevano portare alla cessione di una parte o dell’intera proprietà delle società pubbliche a soggetti privati.

Il terzo passaggio avvenne nel 1995 con la normativa 481/95, che avvio la privatizzazione generale dei servizi e dei beni pubblici.

Più in dettaglio:

Le privatizzazioni in Italia hanno avuto un impennata negli anni ’90. Uno studio di Mediobanca ci da risultati agghiaccianti:

Per dimensione di occupati, le imprese appartengono principalmente ai settori dell'alimentare, della distribuzione e della ristorazione (Sme, Gs, Autogrill, Cirio Bertolli De Rica, Italgel, Pavesi), della siderurgia (Ilva Laminati Piani, Accia Speciali Terni, Dalmine, Acciaierie e Ferriere di Piombino, Csc - Centro Sviluppo Materiali), dell'alluminio (Alumix), del cemento e del vetro (Cementir, Siv - Società Italiana Vetro), della chimica e delle fibre (Montefibre, Enichem Augusta, Inca International, Alcantara), della meccanica, dell'elettromeccanica, dell'impiantistica e dell'elettronica (Nuovo Pignone, Italimpianti, Elsag Bailey Process Automation, Alfa Romeo, Savio Macchine Tessili, Esaote Biomedica, VitroselEnia, Dea, Mac - AlEnia Marconi Communications), delle costruzioni (Società Italiana per Condotte d'Acqua), delle telecomunicazioni (Telecom Italia), dell'editoria e della pubblicità (Seat Pagine Gialle, Editrice Il Giorno, Nuova Same).

Spero di aver così risposto a Franco.

Veritas odium parit ha detto...

Premesso che capisco ben poco di economia, la replica di Moreno non mi convince. La globalizzazione si è portata dietro la crisi di tutti gli stati ex-sviluppati (certo con ritmi un po’ diversi a seconda dei casi): mi si nomini un’economia del vecchio blocco occidentale che non sia in gravi difficoltà. Mentre invece crescono i Paesi ex-socialisti e di quelli del Terzo mondo, giusta la legge dei vasi comunicanti.

Forse Francia o Gran Bretagna o gli USA (in realtà anche la stessa Germania) non sono investite dal processo di deindustrializzazione? Agl’inizi degli anni Ottanta hanno fatto tutti la medesima scelta sbagliata? Forse l’alta borghesia americana non ha precorso tutte le altre nel dare il via al processo di finanziarizzazione del capitalismo (al punto che più che di globalizzazione di dovrebbe parlare di americanizzazione)?

Per quanto poi riguarda la mobilitazione reazionaria delle masse vi faccio notare:

1) che ciò che appare reazionario a voi può apparire progressivo ad altri e viceversa. I concetti caricati di connotazioni valutative sono semplici espressioni di preferenze soggettive.

2) Che quasi universalmente le forze di sinistra con un minimo di peso rimangono dietro l’unione europea e l’euro, mentre le forze di destra li combattono. E quindi oggettivamente – materialisticamente, se preferite – le speranze di infrangere la dittatura riposano nell’affermazione delle seconde.

Del resto queste forze hanno ormai rotto ogni ponte col liberalismo ed hanno programmi economici non lontani da quelli della più avanzata socialdemocrazia europea degli anni Settanta. L’unico elemento di incompatibilità consiste nell’atteggiamento verso l’emigrazione. E questo costituisce un ulteriore ragione per confidare nelle destre, perché – come ribadito da Grillo – le masse non acclameranno mai un movimento che vuole conservare e magari accrescere la pressione migratoria. Marine Le Pen raccoglie i massimi consensi fra gli operai: la vostra pietas vi esclude da quel popolo che aspirate a rappresentare.

giorgio ha detto...

Sarebbe interessante uno sviluppo sull'ultimo paragrafo di Veritas odium parit. Pone un problema centrale perché la pressione migratoria è diventata una variabile importante nel dispiegarsi di questi anni di crisi. Migrazioni imponenti e protratte per lungo tempo hanno sempre motivazioni cogenti e quindi sono difficilmente contrastabili. Spesso si devono subire come una inevitabile evoluzione storica. Ricordiamoci dei primi imperatori romani barbari, tanto per capirci.
Se le tinte degli anni a venire saranno veramente così fosche e drammatiche come lasciano presagire il post e i commenti, è assurdo secondo voi pensare che i disperati che cercano rifugio possano essere considerati anche una risorsa anziché solo una minaccia ?

Anonimo ha detto...

Quando si accetta il dogma della disoccupazione inevitabile l'egoismo cresce diceva un vecchio saggio.
E comunque questa cosa che il liberismo sia pro-immigrati (premesso che di difendere il liberismo non me ne può fregare nulla) è una cosa non vera. In Inghilterra c'è un governo ultra-neoliberista e l'atteggiamento verso l'immigrazione è più intransigente e grottesco di quello in salsa leghista.
Il razzismo è trasversale e non ha un colore definito.
Ah, e comunque ai rosiconi, vi informo che in Repubblica Ceca il Partito Comunista ha preso il 15 % diventando l'ago della bilancia, e nella maggior parte degli altri paesi dell'est pare registrarsi un risveglio dei socialisti. Se tutto va bene avremo una realtà simile a quella degli anni trenta, coi fascismi ad ovest e il socialismo ad est.

Alberto ha detto...

"la stessa Germania investita dal processo di deindustrializzazione?"

Tra tante cose giuste, l'anonimo commentatore ha espresso una bufala ipertrofica!

Semmai la Germania si trova incapsulata in un tipo di "reindustrializzazione" che non ha più, come invece aveva nel decennio trascorso, le leve della "ricerca & sviluppo", sia tecnologica che logistica e organizzativa (quest'ultimo vero e principale punto di forza tipicamente teutonico).

Ma a questo può porre rimedio con gli investimenti veri, non puramente "finanziari", fuori dall'Europa.

I dati di oggi sono eclatanti e impietosi, la Germania in Europa ha fatto strike, ma il problema è la mancanza di futuro del dopo-strike, che è il problema già dell'oggi. (certo, molto meno grave dei nostri problemi in assoluto, ma non in termini dinamici e relativi, cioè quanto basta per mettere in ginocchio una locomotiva dopata che ha dato già tutto).

E' purtroppo vero invece l'enorme gap di credibilità, populistica o no è irrilevante, di una LePen rispetto al nulla delle "sinistre".

Alberto Conti

Anonimo ha detto...

Guardando la cosa freddamente, da storici imparziali, cosa possono più fare questi partiti e movimenti di sinistra quando la "sinistra" (come ideologia e come filosofia sociologica) è stata tacciata di "antisionismo" nel 1988?
Dopo quell'anno, se ben si ricorda, è seguito lo sfascio dell'URSS, il crollo del Muro di Berlino e lo sfacelo di tutti i partiti comunisti (ma anche socialisti) europei. E' stato un avvenimento storico dei più drammatici considerando che la "sinistra" era stata una creatura del Sionismo da circa due secoli.
Aveva fallito i suoi obiettivi? Aveva promosso azioni antisionistiche? Erano mutati i fini e le strategie del movimento Sionista? Non è ben chiaro, ma l'anatema funzionò come abbiamo visto.

Anonimo ha detto...

@anonimo, ma il sionismo cosa diamine c'entra adesso? Ma ti pare che al precario, all'operaio e al cassaintegrato interessa qualcosa se tu stai con Israele o no?
Ma forse non lo sai, ma il bello è che c'è gente che sostiene che Marx fosse antisionista e sono più antisionisti di te, presumo.

O siamo al ritornello della setta Vampyrya di Israele comandata dal divino Rotschild, che fece andare Lenin in russia per distruggere la chiesa orto-buddista dell'australandia occipitale? :)))))))))

Anonimo ha detto...

Il capitalismo italiano non ha fatto scelte sbagliate o giuste ma quelle che aveva necessità di fare,visto che nella sfera della produzione di merci non riusciva a realizzare plusvalore.L'europa e le sue scelte sono gli effetti del "naturale" percorso del capitalismo storicamente determinato e soprattutto nell'occidente capitalistico.Non è il "capitalismo casino'" che ha messo in crisi il sistema capitalistico,oppure l'azione delle banche e della finanziarizzazione eccessiva che hanno aggravato il capitalismo.Non ci sono tanti capitalismi ma uno solo che evolvendosi ha portato se stesso ad assunmere certe scelte.La lotta al capitalismo non si fa certamente riproponendo a tutti i soggetti gravati dalla crisi un fronte interclassista salvifico che mette insieme i peggiori padroncini fascisti-razzisti e ignoranti con i lavoratori per una sovranità nazionale che non può più esserci in questo tempo storico e tantomeno può divenire la strada verso una società senza capitalismo.Il problema è la lotta al capitalismo ed alle diseguaglianza che sempre più produce ed allarga e non riproporre un confronto scontro con proletari e poveri di altre nazioni.

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