9 ottobre. Un'articolata analisi del quadro politico italiano dopo l'inattesa vittoria del duo Napolitano-Letta. Berlusconi esce sconfitto, ma i veri vincitori sono peggori di lui, sono le euro-oligarchie, che così hanno rafforzato la loro garrota sul nostro Paese.
Cambiamenti veri e presunti di una nuova fase politica
Dunque, da una settimana siamo «stabili». Il che, detto nel cuore della peggior crisi economica del dopoguerra, non dovrebbe suonare troppo rassicurante per nessuno. La ripresa delle solite diatribe all'interno della maggioranza (ancora sull'IMU!) sta ora spegnendo le grida di trionfo del partito trasversale della «stabilità». E' dunque il momento di ragionare più a freddo su quanto avvenuto, sulla sua portata, le sue conseguenze, i suoi possibili sviluppi.
Di certo nessuno poteva prevedere il pittoresco dietrofront di Berlusconi. Quest'uomo, che ha costruito il suo successo sull'«immagine», ha chiuso la sua presenza in parlamento consegnando alle amate telecamere l'immagine di una persona distrutta, incerta, spaesata, tradita... E tuttavia convinta di poter in qualche modo congegnare l'ultima furbata.
Quanto sarà stata furba quest'estrema furbata ce lo dirà la storia. Al momento tanto scaltra non sembra: il Pdl è diviso e in netto calo nei sondaggi, la scissione sembra solo rimandata, il duo Letta-Napolitano è ben saldo al posto di comando, mentre il noto truffatore che a loro si appellava si acconcia ormai ai «servizi sociali».
Ma andiamo oltre. La vicenda personale di Silvio Berlusconi è strettamente intrecciata con la politica italiana da vent'anni ma, almeno da questo punto di vista, i fatti del due ottobre segnano una svolta. Concentriamoci allora sulle prospettive, ed in particolare sulle caratteristiche che avrà la nuova fase politica che la sconfitta del Cavaliere, nel partito da lui stesso fondato, ha evidentemente aperto.
La vittoria delle oligarchie europee
Si dice che questa volta le pressioni europee siano state ben più forti del solito. Quel che è certo è che hanno avuto successo, spaccando il Pdl e ricollocandone una parte decisiva in quella specie di «partito unico europeo» che detta le danze da tempo, certamente dal novembre 2011, quando Monti salì a Palazzo Chigi con la regia del Quirinale.
Due sono dunque le novità rispetto alla fase precedente. La prima è rappresentata dall'allungarsi delle prospettive temporali del governo Letta. Se fino ad una settimana fa queste non superavano i primi mesi del 2014, ora l'orizzonte sembra come minimo il 2015. La seconda novità è ancor più sostanziale, e consiste nel ristabilimento di una piena continuità con il governo Monti. Non che il primo Letta abbia segnato una discontinuità politica, ma l'azione del governo è stata in questi mesi assai debole, con più rinvii che decisioni. Da ora in avanti, prevedibilmente, non sarà più così. E la linea austeritaria prenderà nuovo vigore.
I vampiri di Bruxelles e Francoforte hanno dunque i loro motivi per gioire. Così pure la cancelliera di Berlino, tutt'altro che disponibile ad alleggerire i vincoli che strozzano le economie del Sud del continente. Lorsignori hanno ottenuto la loro «stabilità», quella che impone il pagamento del debito, i tagli a non finire, l'attacco ai salari e alle pensioni. Il governo Letta-Alfano gliela garantirà. Farà di tutto per garantirgliela, come e fino a quando ce lo diranno i fatti.
I limiti di questa vittoria
La vittoria degli strozzini europei ha però, e fortunatamente, diversi limiti: la destra non è ancora pienamente normalizzata, e nuovi scossoni sono assai probabili; nella società, il consenso al governo non è certo così alto come si vorrebbe far credere; l'accordo sulla legge elettorale è per certi aspetti più difficile di prima.
Cosa succederà davvero nel Pdl/Forza Italia non sappiamo, ma è difficile credere ad un semplice ricompattamento. E se per caso davvero avvenisse, questo non contribuirebbe di certo a rendere più facile la navigazione a Letta. Più probabile comunque la rottura. Una separazione che potrebbe veder prevalere i filo-Letta nei gruppi parlamentari e gli anti-Letta nel corpo elettorale.
E qui veniamo al problema del consenso, che è poi quello che ha affondato Monti. Un problema che il governo ha sul lato destro come su quello sinistro. Al di là degli scontati sondaggi di questi giorni nessuno può realisticamente credere ad un rafforzamento delle posizioni del Pd. Un partito che, sia pure con la sicura ascesa di Renzi alla segreteria, ben difficilmente potrà recuperare i punti persi in questi anni.
Il problema del consenso è sicuramente quello più serio. Certo, se si hanno i numeri in parlamento, è possibile governare anche con un consenso molto basso. E' possibile, ma per un periodo di tempo non troppo lungo. E qui diventa decisivo il contesto, che è quello di una profonda crisi sistemica aggravata dai vincoli europei. In una situazione come questa, come ha dimostrato la vicenda del governo Monti, la perdita del consenso iniziale è questione di mesi, non di anni. E con la perdita del consenso - peraltro già oggi assai basso - le maggioranze traballano ed i governi vanno in crisi.
C'è, infine, la questione della legge elettorale. Paradossalmente il superamento del Porcellum è più difficile ora, con il rilancio del governo Letta, di quanto sarebbe stato con le dimissioni e la nascita di un governicchio bis, come chi scrive - sbagliando - aveva ipotizzato.
Il perché è presto detto: un governo a termine, che avesse escluso il Pdl, avrebbe avuto come missione principale proprio l'approvazione di una nuova legge elettorale. Ed a quel punto si sarebbe certamente imposto un modello ultra-maggioritario a doppio turno, sullo schema proposto da Violante. Ora, invece, la situazione è diversa. Il Pdl è della partita e non si vede perché dovrebbe favorire più di tanto il Pd. Questo non significa che il Porcellum sia destinato a restare così com'è, ma la ricerca di un accordo si presenta tutt'altro che facile.
Un nuovo «regime Dc»? Andiamoci piano
Molti a sinistra, commentando quanto accaduto una settimana fa, parlano di un "nuovo regime". Molti, e non solo a sinistra, vedono la formazione di una «nuova Dc». E' davvero questa l'evoluzione più probabile del nuovo assetto politico uscito dalle convulsioni di questo 2013, iniziato - non dimentichiamolo - con il terremoto elettorale di febbraio?
Non lo crediamo, ed in ogni caso occorrerebbe più prudenza. Le suggestioni sono una cosa, i fatti un'altra. Un regime è una cosa seria, ed anche una «nuova Dc» non sarebbe roba da poco. Le cose sono comunque un po' più complesse.
Intanto, occorre intendersi su che cosa sia un regime. Perché un regime già lo abbiamo, ed è quello di una strutturazione e di una classe politica interamente asservita alle politiche, ai vincoli, ai diktat europei. Se c'è un regime è quello dell'euro. Ed è così dai tempi di Maastricht, che certo non casualmente coincidono in maniera pressoché perfetta con quelli della seconda repubblica bipolare. E' il regime che ha imposto sacrifici, modifiche alla costituzione, cessione continua di sovranità. Ora il bipolarismo è in crisi, e si risponde con le «larghe intese», ma per fare esattamente le stesse cose che hanno fatto i diversi governi per vent'anni. Un regime già c'è, ed è quello che nella percezione popolare fa dire, con semplicità: «tanto sono tutti uguali».
Ma chi parla solo oggi di regime, si riferisce evidentemente in primo luogo alla possibile convergenza neo-centrista, di tipo appunto democristiano, simboleggiata dal duo Letta-Alfano. La suggestione può essere comprensibilmente forte, ma è davvero fondata?
Intendiamoci, al netto del fattore Berlusconi le distanze tra Pd (e quel che c'era prima) e Pdl (e quel che c'era prima) non sono mai state troppo grandi. Ed avevamo difatti il regime bipolare ed eurista, mentre non è mai esistito un regime del centrosinistra e neppure un regime berlusconiano. Per vent'anni più che la stabilizzazione al potere di una parte politica, vi è stata l'intercambiabilità, condizione essenziale per dare una parvenza democratica al vero regime di fatto.
Con la crisi le cose si sono complicate, ma né Monti, né (crediamo) Letta, passeranno alla storia come creatori di un vero regime politico. Ci passeranno soltanto come dei miserabili Quisling, come servili esecutori di un potere straniero che sta impoverendo il paese e massacrando il popolo lavoratore.
Ma, si dice, da due partiti in crisi potrebbe nascere il nuovo polo «centrista». Ora, cosa sia il «centro» è una cosa un po' misteriosa, ma sicuramente allude alla conservazione (oggi pudicamente chiamata «stabilità»). La crisi, però, non produce una spinta alla conservazione, casomai determina spinte di tipo diverso - progressiste, reazionarie, rivoluzionarie - ma mai conservatrici.
Ora, è vero che neppure i «centristi» si definiscono conservatori, quanto piuttosto «riformisti». Ma ormai tutti hanno imparato cosa si nasconda dietro quel trucco semantico, e quel «riformismo» è amato solo da una strettissima minoranza, quella rappresentata dalla vera oligarchia dominante. Mentre non solo i lavoratori dipendenti, ma anche quelli autonomi, sanno bene come quel «riformismo» significhi solo nuovi sacrifici.
In ogni caso, ad oggi, è un fatto che chiunque si sia dato una veste «centrista» ha finito per sbattere la testa in risultati elettorali modestissimi. Si pensi a Monti, a Fini, all'immarcescibile Casini. Riuscirà Alfano laddove hanno fallito costoro? Non lo pensiamo. Ed è questo - in punto di analisi - il nodo principale. Perché, mentre il Pd è costitutivamente un partito centrista (nel senso della sua piena organicità alle oligarchie finanziarie ed alle élite europee), a destra le cose sono assai più complesse, considerate le pulsioni che attraversano quello che è stato finora il blocco sociale di riferimento del Pdl.
Chi vivrà, vedrà. Ma andiamoci piano con le semplificazioni. Storicamente la Dc è nata con la Guerra Fredda, e con essa è morta. Molte le ragioni della sua forza, dal contesto internazionale al ruolo della Chiesa, ma non bisogna mai dimenticarsi un'altra ragione: l'impetuosa crescita economica che in un quarto di secolo trasformò veramente l'Italia, assicurando un consenso più profondo di quanto dicessero gli stessi dati elettorali.
Oggi quelle condizioni proprio non vi sono. Certo, c'è il vincolo esterno. Ma questo più che partorire un partito regime (come è stata la Dc), produce una classe (casta) dirigente pronta a tutto per conservare i suoi privilegi, ma incapace di vera egemonia. E senza egemonia, culturale ancor prima che politica, non può esservi un vero regime politico.
Cosa ci aspetta allora?
Ci aspetta un altro tipo di regime. Quello europeo, che tornerà a chiedere con più forza di morire per l'euro. La politica dell'austerità, peraltro mai finita, verrà rilanciata con decisione. E già la nota di aggiustamento del DEF, elaborata a settembre da Saccomanni, prevede il pieno rispetto del Fiscal Compact (vedremo come in un prossimo articolo).
L'impoverimento ed il saccheggio del paese è dunque il programma delle élite dominanti. La guerra di classe è dichiarata. Che tutto questo possa essere realizzato dal governo Letta lo vedremo. Una cosa però è chiara: se fino ad un mese fa i Quisling che dirigono questo disgraziato paese potevano almeno fingere di credere ad un allentamento dei vincoli europei, le elezioni tedesche del 22 settembre hanno detto che questo non è neppure pensabile. Ecco il senso del trionfo personale della Merkel.
D'altro canto l'uscita dal limbo politico dei primi 5 mesi di governo toglie a Letta ogni alibi. E se Olli Rehn è già venuto a chiedere un puntuale aggiustamento dei conti, d'ora in poi lo farà con ancor più determinazione.
E forse... Forse si inizierà a capire che il peggio deve ancora arrivare. Basterà questo a porre fine al torpore sociale di questo periodo? Non lo sappiamo. Di certo tante illusioni si spegneranno assai presto. Niente salverà le classi popolari se queste non troveranno il coraggio di dire basta e ribellarsi. Ribellarsi per costruire un'alternativa di governo, oggi inimmaginabile, eppure necessaria.
Ps - Sono le 15,30 del 9 ottobre. Tra poco si riunirà il Consiglio dei ministri, che dovrebbe varare la cosiddetta «manovrina». Insomma, si prepara già un piccolo antipasto. Non sappiamo in che cosa consisterà (nuovi tagli o nuove tasse?), ma di certo dovrà garantire che l'ordine eurista venga rispettato. Ecco cos'è la «stabilità», cantata in questi giorni da tutti i giornalisti abilitati dal/del (vero) regime. Che poi questa «stabilità» si stabilizzi è tutto da vedere. Dipende da tante cose, ed un po' anche da ognuno di noi.
* Membro della Segreteria nazionale del Mpl
Cambiamenti veri e presunti di una nuova fase politica
Dunque, da una settimana siamo «stabili». Il che, detto nel cuore della peggior crisi economica del dopoguerra, non dovrebbe suonare troppo rassicurante per nessuno. La ripresa delle solite diatribe all'interno della maggioranza (ancora sull'IMU!) sta ora spegnendo le grida di trionfo del partito trasversale della «stabilità». E' dunque il momento di ragionare più a freddo su quanto avvenuto, sulla sua portata, le sue conseguenze, i suoi possibili sviluppi.
Di certo nessuno poteva prevedere il pittoresco dietrofront di Berlusconi. Quest'uomo, che ha costruito il suo successo sull'«immagine», ha chiuso la sua presenza in parlamento consegnando alle amate telecamere l'immagine di una persona distrutta, incerta, spaesata, tradita... E tuttavia convinta di poter in qualche modo congegnare l'ultima furbata.
Quanto sarà stata furba quest'estrema furbata ce lo dirà la storia. Al momento tanto scaltra non sembra: il Pdl è diviso e in netto calo nei sondaggi, la scissione sembra solo rimandata, il duo Letta-Napolitano è ben saldo al posto di comando, mentre il noto truffatore che a loro si appellava si acconcia ormai ai «servizi sociali».
Ma andiamo oltre. La vicenda personale di Silvio Berlusconi è strettamente intrecciata con la politica italiana da vent'anni ma, almeno da questo punto di vista, i fatti del due ottobre segnano una svolta. Concentriamoci allora sulle prospettive, ed in particolare sulle caratteristiche che avrà la nuova fase politica che la sconfitta del Cavaliere, nel partito da lui stesso fondato, ha evidentemente aperto.
La vittoria delle oligarchie europee
Si dice che questa volta le pressioni europee siano state ben più forti del solito. Quel che è certo è che hanno avuto successo, spaccando il Pdl e ricollocandone una parte decisiva in quella specie di «partito unico europeo» che detta le danze da tempo, certamente dal novembre 2011, quando Monti salì a Palazzo Chigi con la regia del Quirinale.
Due sono dunque le novità rispetto alla fase precedente. La prima è rappresentata dall'allungarsi delle prospettive temporali del governo Letta. Se fino ad una settimana fa queste non superavano i primi mesi del 2014, ora l'orizzonte sembra come minimo il 2015. La seconda novità è ancor più sostanziale, e consiste nel ristabilimento di una piena continuità con il governo Monti. Non che il primo Letta abbia segnato una discontinuità politica, ma l'azione del governo è stata in questi mesi assai debole, con più rinvii che decisioni. Da ora in avanti, prevedibilmente, non sarà più così. E la linea austeritaria prenderà nuovo vigore.
I vampiri di Bruxelles e Francoforte hanno dunque i loro motivi per gioire. Così pure la cancelliera di Berlino, tutt'altro che disponibile ad alleggerire i vincoli che strozzano le economie del Sud del continente. Lorsignori hanno ottenuto la loro «stabilità», quella che impone il pagamento del debito, i tagli a non finire, l'attacco ai salari e alle pensioni. Il governo Letta-Alfano gliela garantirà. Farà di tutto per garantirgliela, come e fino a quando ce lo diranno i fatti.
I limiti di questa vittoria
La vittoria degli strozzini europei ha però, e fortunatamente, diversi limiti: la destra non è ancora pienamente normalizzata, e nuovi scossoni sono assai probabili; nella società, il consenso al governo non è certo così alto come si vorrebbe far credere; l'accordo sulla legge elettorale è per certi aspetti più difficile di prima.
Cosa succederà davvero nel Pdl/Forza Italia non sappiamo, ma è difficile credere ad un semplice ricompattamento. E se per caso davvero avvenisse, questo non contribuirebbe di certo a rendere più facile la navigazione a Letta. Più probabile comunque la rottura. Una separazione che potrebbe veder prevalere i filo-Letta nei gruppi parlamentari e gli anti-Letta nel corpo elettorale.
E qui veniamo al problema del consenso, che è poi quello che ha affondato Monti. Un problema che il governo ha sul lato destro come su quello sinistro. Al di là degli scontati sondaggi di questi giorni nessuno può realisticamente credere ad un rafforzamento delle posizioni del Pd. Un partito che, sia pure con la sicura ascesa di Renzi alla segreteria, ben difficilmente potrà recuperare i punti persi in questi anni.
Il problema del consenso è sicuramente quello più serio. Certo, se si hanno i numeri in parlamento, è possibile governare anche con un consenso molto basso. E' possibile, ma per un periodo di tempo non troppo lungo. E qui diventa decisivo il contesto, che è quello di una profonda crisi sistemica aggravata dai vincoli europei. In una situazione come questa, come ha dimostrato la vicenda del governo Monti, la perdita del consenso iniziale è questione di mesi, non di anni. E con la perdita del consenso - peraltro già oggi assai basso - le maggioranze traballano ed i governi vanno in crisi.
C'è, infine, la questione della legge elettorale. Paradossalmente il superamento del Porcellum è più difficile ora, con il rilancio del governo Letta, di quanto sarebbe stato con le dimissioni e la nascita di un governicchio bis, come chi scrive - sbagliando - aveva ipotizzato.
Il perché è presto detto: un governo a termine, che avesse escluso il Pdl, avrebbe avuto come missione principale proprio l'approvazione di una nuova legge elettorale. Ed a quel punto si sarebbe certamente imposto un modello ultra-maggioritario a doppio turno, sullo schema proposto da Violante. Ora, invece, la situazione è diversa. Il Pdl è della partita e non si vede perché dovrebbe favorire più di tanto il Pd. Questo non significa che il Porcellum sia destinato a restare così com'è, ma la ricerca di un accordo si presenta tutt'altro che facile.
Un nuovo «regime Dc»? Andiamoci piano
Molti a sinistra, commentando quanto accaduto una settimana fa, parlano di un "nuovo regime". Molti, e non solo a sinistra, vedono la formazione di una «nuova Dc». E' davvero questa l'evoluzione più probabile del nuovo assetto politico uscito dalle convulsioni di questo 2013, iniziato - non dimentichiamolo - con il terremoto elettorale di febbraio?
Non lo crediamo, ed in ogni caso occorrerebbe più prudenza. Le suggestioni sono una cosa, i fatti un'altra. Un regime è una cosa seria, ed anche una «nuova Dc» non sarebbe roba da poco. Le cose sono comunque un po' più complesse.
Intanto, occorre intendersi su che cosa sia un regime. Perché un regime già lo abbiamo, ed è quello di una strutturazione e di una classe politica interamente asservita alle politiche, ai vincoli, ai diktat europei. Se c'è un regime è quello dell'euro. Ed è così dai tempi di Maastricht, che certo non casualmente coincidono in maniera pressoché perfetta con quelli della seconda repubblica bipolare. E' il regime che ha imposto sacrifici, modifiche alla costituzione, cessione continua di sovranità. Ora il bipolarismo è in crisi, e si risponde con le «larghe intese», ma per fare esattamente le stesse cose che hanno fatto i diversi governi per vent'anni. Un regime già c'è, ed è quello che nella percezione popolare fa dire, con semplicità: «tanto sono tutti uguali».
Ma chi parla solo oggi di regime, si riferisce evidentemente in primo luogo alla possibile convergenza neo-centrista, di tipo appunto democristiano, simboleggiata dal duo Letta-Alfano. La suggestione può essere comprensibilmente forte, ma è davvero fondata?
Intendiamoci, al netto del fattore Berlusconi le distanze tra Pd (e quel che c'era prima) e Pdl (e quel che c'era prima) non sono mai state troppo grandi. Ed avevamo difatti il regime bipolare ed eurista, mentre non è mai esistito un regime del centrosinistra e neppure un regime berlusconiano. Per vent'anni più che la stabilizzazione al potere di una parte politica, vi è stata l'intercambiabilità, condizione essenziale per dare una parvenza democratica al vero regime di fatto.
Con la crisi le cose si sono complicate, ma né Monti, né (crediamo) Letta, passeranno alla storia come creatori di un vero regime politico. Ci passeranno soltanto come dei miserabili Quisling, come servili esecutori di un potere straniero che sta impoverendo il paese e massacrando il popolo lavoratore.
Ma, si dice, da due partiti in crisi potrebbe nascere il nuovo polo «centrista». Ora, cosa sia il «centro» è una cosa un po' misteriosa, ma sicuramente allude alla conservazione (oggi pudicamente chiamata «stabilità»). La crisi, però, non produce una spinta alla conservazione, casomai determina spinte di tipo diverso - progressiste, reazionarie, rivoluzionarie - ma mai conservatrici.
Ora, è vero che neppure i «centristi» si definiscono conservatori, quanto piuttosto «riformisti». Ma ormai tutti hanno imparato cosa si nasconda dietro quel trucco semantico, e quel «riformismo» è amato solo da una strettissima minoranza, quella rappresentata dalla vera oligarchia dominante. Mentre non solo i lavoratori dipendenti, ma anche quelli autonomi, sanno bene come quel «riformismo» significhi solo nuovi sacrifici.
In ogni caso, ad oggi, è un fatto che chiunque si sia dato una veste «centrista» ha finito per sbattere la testa in risultati elettorali modestissimi. Si pensi a Monti, a Fini, all'immarcescibile Casini. Riuscirà Alfano laddove hanno fallito costoro? Non lo pensiamo. Ed è questo - in punto di analisi - il nodo principale. Perché, mentre il Pd è costitutivamente un partito centrista (nel senso della sua piena organicità alle oligarchie finanziarie ed alle élite europee), a destra le cose sono assai più complesse, considerate le pulsioni che attraversano quello che è stato finora il blocco sociale di riferimento del Pdl.
Chi vivrà, vedrà. Ma andiamoci piano con le semplificazioni. Storicamente la Dc è nata con la Guerra Fredda, e con essa è morta. Molte le ragioni della sua forza, dal contesto internazionale al ruolo della Chiesa, ma non bisogna mai dimenticarsi un'altra ragione: l'impetuosa crescita economica che in un quarto di secolo trasformò veramente l'Italia, assicurando un consenso più profondo di quanto dicessero gli stessi dati elettorali.
Oggi quelle condizioni proprio non vi sono. Certo, c'è il vincolo esterno. Ma questo più che partorire un partito regime (come è stata la Dc), produce una classe (casta) dirigente pronta a tutto per conservare i suoi privilegi, ma incapace di vera egemonia. E senza egemonia, culturale ancor prima che politica, non può esservi un vero regime politico.
Cosa ci aspetta allora?
Ci aspetta un altro tipo di regime. Quello europeo, che tornerà a chiedere con più forza di morire per l'euro. La politica dell'austerità, peraltro mai finita, verrà rilanciata con decisione. E già la nota di aggiustamento del DEF, elaborata a settembre da Saccomanni, prevede il pieno rispetto del Fiscal Compact (vedremo come in un prossimo articolo).
L'impoverimento ed il saccheggio del paese è dunque il programma delle élite dominanti. La guerra di classe è dichiarata. Che tutto questo possa essere realizzato dal governo Letta lo vedremo. Una cosa però è chiara: se fino ad un mese fa i Quisling che dirigono questo disgraziato paese potevano almeno fingere di credere ad un allentamento dei vincoli europei, le elezioni tedesche del 22 settembre hanno detto che questo non è neppure pensabile. Ecco il senso del trionfo personale della Merkel.
D'altro canto l'uscita dal limbo politico dei primi 5 mesi di governo toglie a Letta ogni alibi. E se Olli Rehn è già venuto a chiedere un puntuale aggiustamento dei conti, d'ora in poi lo farà con ancor più determinazione.
E forse... Forse si inizierà a capire che il peggio deve ancora arrivare. Basterà questo a porre fine al torpore sociale di questo periodo? Non lo sappiamo. Di certo tante illusioni si spegneranno assai presto. Niente salverà le classi popolari se queste non troveranno il coraggio di dire basta e ribellarsi. Ribellarsi per costruire un'alternativa di governo, oggi inimmaginabile, eppure necessaria.
Ps - Sono le 15,30 del 9 ottobre. Tra poco si riunirà il Consiglio dei ministri, che dovrebbe varare la cosiddetta «manovrina». Insomma, si prepara già un piccolo antipasto. Non sappiamo in che cosa consisterà (nuovi tagli o nuove tasse?), ma di certo dovrà garantire che l'ordine eurista venga rispettato. Ecco cos'è la «stabilità», cantata in questi giorni da tutti i giornalisti abilitati dal/del (vero) regime. Che poi questa «stabilità» si stabilizzi è tutto da vedere. Dipende da tante cose, ed un po' anche da ognuno di noi.
* Membro della Segreteria nazionale del Mpl
4 commenti:
Io credo sia facile prevedere che "il peggio deve ancora arrivare".
E non per una tendenza preconcetta al pessimismo, ma perché è proprio la fissazione maniacale per "la stabilità" ad assicurarcelo: stabilità nel disastro di cui, lo si voglia ammettere o non lo si voglia, sono responsabili coloro che hanno condotto la nave Italia a sfasciarsi contro le scogliere: Stessi timonieri, stessi disastri.
I "cromosomi" dei politicanti italiani sono rimasti gli stessi. come possiamo pensare che le cose cambino in meglio?
...e,a proposito di lungimiranza e innocenza del popolo tedesco,si abbia il coraggio di dire che,a loro insaputa naturalmente e incoscientemente,(sic),hanno di nuovo dimostrato quanto tengano alle sorti dei popoli "che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità"(sic),colpevoli di aver troppo "sperperato"inutilmente in maniera dissennata in "costosi servizi sociali",invece di regalare alle loro banche quel denaro tanto utile ai loro pensionati che potranno cosi allegramente continuare a imperversare sul suolo soleggiato del mediterraneo tanto vituperato.Si abbia il coraggio di dire che hanno aspettato pazientemente 50 anni per potere finalmente vincere una guerra a cui si è cambiato solo il nome e che è la più sporca,quella a cui non servono i panzer,ma un semplice e asettico CdA delle loro banche rigonfie proprio di quel denaro sottratto ai lavoratori e pensionati del sudeuropa, bastonati in virtù della loro"inferiorità morale"(sic).Si abbia il coraggio di dire che non sono cambiati in nulla;con buona pace di coloro che sostengono la loro avversità all'introduzione dell'euro!Ancora una volta hanno dimostrato di essere quello che in fondo sono sempre stati,la storia,anche recente sta lì a dimostrarlo.
Pecunia non olet e, soprattutto, non ha la carta di identità né una ben definita o definibile nazionalità. Il denaro di cui, almeno lei lo afferma, sono imbottite le banche tedesche vattelapesca di chi è. Non penso che sia tutto dei tedeschi normali. Se la Germania sembra essere egemone rispetto a Grecia, Spagna, Italia ecc. io ho l'acuto sospetto che se essa come membro dell'UE sembra star molto meglio di noi poveri "PIGS" non è tutt'oro quel che riluce perché anche la Germania soggiace ad un larvato stato d'occupazione che è lo stesso che detiene circa centoventi basi sul territorio italiano. Basi militari, d'accordo, ma che supportano una penetrazione finanziario economica ed anche politica di tutto rilievo come anche qui in Italia, del resto.. Come etnia i tedeschi hanno pregi e difetti. Un pregio è quello della tenacia, della precisione, dell'organizzazione e della pianificazione, doti che qualcosa contano in un mondo industrializzato e contribuiscono alla ricchezza dello stato. Molta di questa ricchezza, finisce però in casa d'altri.
Tenacia,precisione,organizzazione,pianificazione,tutto inserito nel Dna dell'obbediente stirpe germanica,vero?La filosofia,la letteratura tutto ciò che riguarda lo sviluppo delle scienze umane,tutto appannaggio dell'eroico popolo che ha avuto il " pregio" di inventare i lager dove potevano TENACEMENTE,ORGANIZZATIVAMENTE,PRECISAMENTE, PIANIFICARE stermini di massa e "redimere",FINALMENTE,ogni dissenso in merito alla loro mai sopita alta considerazione di sé che altro non é se non disprezzo verso ogni idea di giustizia sociale?I campi di sterminio hanno rappresentato e smascherato la vera natura di quello stato nonchè primo esperimento realizzato di quell'idea nefasta per l'umanità che ha un nome e si chiama RAZZISMO.Le loro classi dominanti assieme alla stragrande maggioranza di quel paese sono in perfetta sintonia e continuità con l'IDEOLOGIA DELL'ESSERE INFERIORE.Pecunia non olet,ma la barbarie ha un lezzo inconfondibile e quando gli "inferiori"lo annuseranno e si risveglieranno dal loro torpore,per gli" eletti" si affacceranno tempi duri,molto duri.
Posta un commento