2 ottobre. Consegnamo ai lettori l'ultimo contributo di Bruno Amoroso (nella foto). Dopo un'analisi del percorso che ha condotto alla nascita della moneta unica, quindi del perché essa ha contribuito a esplisivi squilibri, Amoroso passa in rassegna le soluzioni possibili, che tutte conducono alla riconsegna ai singoli paesi della loro sovranità monetaria. Una riconquista, tuttavia non fine a se stessa, ma funzionale a contrastare il processo di globalizzazione.
Il dibattito sull’euro, sul quale molto
è stato detto e scritto, resta incollato ad alcune contrapposizioni che non
hanno alcuna base reale, né nei fatti storici né nei dati empirici.
Euro o caos politico e istituzionale
nel progetto europeo, quando è ormai un fatto acquisito che l’euro è la causa
prima dell’attuale situazione di stallo e di crisi del progetto europeo. Questo
per due ragioni. La prima è che la moneta unica introdotta in alcuni paesi per
ragioni di compromesso e opportunità politica tra due stati europei, la
Germania e la Francia, ha introdotto una divisione tra gli Stati membri dell’UE
- tra i 17 dell’eurozona e i 10 che hanno conservato le monete nazionali -
arrestando così quello che era e poteva essere il processo graduale di una ever closer union. La seconda è che
l’auspicato processo di avanzamento verso forme più strette di cooperazione
politica e istituzionale tra gli Stati membri è stato interrotto e compromesso
proprio a causa dell’impopolarità, e quindi della delegittimazione di entrambi,
prodotta dagli orientamenti neoliberisti delle politiche imposte dalla Troika,
cioè dalla BCE, dal FMI e dalla CE come dimostrato dai referendum popolari in
Francia, Danimarca, e dalla loro crescente impopolarità.
Euro
o crisi economica e sociale, quando noi siamo dentro la più grave crisi
economica e sociale del dopoguerra della quale l’euro è divenuto uno degli
strumenti che paralizzano le possibilità di risposta e di politiche economiche
diverse. Gli effetti della crisi prodotta dall’euro e dal sistema di poteri che
questo esprime hanno aggiunto un’ulteriore divisione tra gli Stati membri
dell’UE, quella tra nord e sud dell’eurozona. Gli eventi dell’ultimo decennio,
per ciò che si è fatto e che non si vuol fare, mettono in evidenza che non si
tratta di politiche sbagliate o di passaggi necessari verso una maggiore
efficienza dei mercati e una ripresa dei sistemi economici dei paesi del sud,
ma di una vera e propria attività di rapina dei risparmi dei cittadini europei
e di esproprio dei sistemi produttivi dei paesi del sud. Il successo ottenuto
da queste politiche nel raggiungimento degli obiettivi perseguiti è dimostrato
dal fatto che nessuna modifica è stata apportata alle politiche e al sistema di
potere che ha causato la crisi, e che provvedimenti nella stessa direzione sono
stati messi in atto nel corso degli ultimi mesi in preparazione di una nuova
rapina nel prossimo autunno. Come documentato nell’indagine ufficiale
statunitense sulle cause e la responsabilità della crisi del 2008 (Financial
Crisis Inquiry Commission, Financial
Crisis Inquiry Report, 2011) non si è
trattato di avidità personale e corruzione, ma del fatto che, come scrive il
Rapporto, dagli anni Ottanta sono state rimosse gradualmente tutte le forme di
regolamentazione introdotte dopo la crisi degli anni Trenta senza introdurne di
nuove. Oltre alle
responsabilità del direttore generale della FED Alan Greensplan che realizzò le
idee neoliberiste rimuovendo ogni controllo, il Rapporto attribuisce le
maggiori respnsabilità agli istituti di rating (Moodys, Standard & Poor og Fitch) che
valutarono a pieni voti (AAA) i nuovi strumenti finanziari e crediti dubbiosi
alimentando così la loro attrazione e legittimità verso I risparmiatori e i
fondi pensione. Al contrario degli Stati Uniti, né l’Italia né l’Unione Europea
hanno mai investigato quegli stessi eventi e i responsabili sono anzi stati
promossi a incarichi di governo e al vertice BCE.
Euro come base per un’alleanza sociale, e per nuove
politiche economiche di ripresa e innovazione dei sistemi produttivi (eurobonus, Tobin tax o altri simili
strumenti). Proposte tutte ben
documentate e discusse ma puntualmente respinte o rielaborate per renderle
impotenti, il che dimostra la loro inconciliabilità con le politiche monetarie
perseguite. Al contrario, l’euro ha introdotto una divisione tra paesi e tra
gruppi sociali diversi che si è cementata con il diffondersi di una cultura che
trova la sua più velenosa espressione nel “noi non siamo come i greci”,
“l’Italia è superiore alla Spagna”, ecc. La concorrenza sullo spread e sul rating ha introdotto un elemento di divisione tra Stati che tende a
diventare un elemento fondamentale del sentire comune. Questo è stato fatto invece di unire i
popoli dell’Europa del sud in un’opposizione e in un fronte politico comune per
imporre ai paesi dell’euro nord una nuova negoziazione che rimetta sui binari
il processo d’integrazione europea e tornando anche a un sistema monetario
unico dei 27 paesi dell’UE.
Le ragioni del continuo
riproporsi di queste contrapposizioni e false alternative sono diverse. Tra
queste la più comune, a mio avviso, è la confusione che si fa tra processi
reali e processi istituzionali, mentre la distanza tra i primi e i secondi, in
modo particolare nell’Unione Europea, è enorme e paradigmatica. Esiste un
percorso evolutivo di pensiero nell’Unione Europea intorno all’idea del modello
sociale europeo (coesione sociale interna negli Stati e tra Stati), e della
cooperazione economica e pacifica con altri grandi aree e meso-regioni
(co-sviluppo) proclamato e continuamente riaffermato ma a fronte di una realtà
politica e istituzionale che questi obiettivi contraddice e combatte.
L’affermazione continua di democrazia e di diritti dei quali sono pieni i trattati
e documenti dell’UE non ha alcun riscontro nelle scelte politiche e
istituzionali adottate da Maastricht in poi. Dopo l’89 i ben noti “deficit
democratico”, “deficit sociale”, “deficit strutturale” dell’UE si sono aggravati
e organicamente inseriti nelle nuove configurazioni della governance europea. Tuttavia le dichiarazioni sono potenti armi di
distrazione di massa che consentono ai sindacati e ai governi di portare a casa
principi e diritti ai quali fanno puntualmente seguito decisioni contrarie che
hanno ridotto sia i primi sia i secondi al ruolo di valletti del potere. In
parallelo questo alimenta la cultura dei principi e dei diritti che tiene
occupate le accademie con sofisticate elaborazioni giuridiche e di “scienza”
sociale e mobilita sul nulla gran parte dei movimenti della società civile.
Il sistema
monetario europeo (SME)
Gli eventi successivi al 2008 hanno
diffuso la convinzione, o almeno il sospetto, che l’Unione Economica e
Monetaria istituita nel 1999 sia stata costruita su premesse sbagliate e su un
numero troppo ampio di paesi. I 17 paesi dell’eurozona hanno differenze troppo
forti nelle loro strutture economiche e preferenze politiche che impediscono di
trarre vantaggio da una moneta comune. Al contrario, si accrescono le
differenze tra i paesi partecipanti come mostra con tutta chiarezza l’aumento
della disoccupazione e il declino dei sistemi produttivi d’interi paesi e aree.
Poiché al centro dell’attenzione ci sono i sistemi monetari è opportuno ripercorrere
brevemente questo percorso storico.
Il sistema
monetario in vigore in Europa nel secondo dopoguerra era quello deciso dagli
Accordi di Bretton Wood (1944) e rimasto in vigore fino al 1971. Il sistema
prevedeva un corso fisso con ridotte possibilità di variazione per le monete
nazionali. Fu la decisione degli Stati Uniti nel 1971 di sganciare il valore
del dollaro dall’oro, al quale facevano riferimento anche gli Stati europei,
che spinse i paesi della Comunità Europea a istituire un sistema monetario
europeo basato su una cooperazione tra valute nazionali.
Nacque così il
Sistema Monetario Europeo (SME), detto anche Serpente Monetario Europeo, con
una rapporto di cambio fisso e limitata possibilità di variazione delle valute
nazionali (-/+ 2 ¼ %). Il sistema, in vigore dal 1971, fu aggiornato con
l’introduzione di un nuovo meccanismo di cambio valutario (ERM2) nel 1979. La
fissazione del corso fisso non impedisce ovviamente la possibilità di
rinegoziare questo rapporto sia verso i singoli paesi sia le autorità centrali
monetarie. La ragione di questi aggiustamenti è che si rendono necessari al
variare delle condizioni di concorrenza dei sistemi produttivi e quindi una
revisione semestrale è raccomandabile. Il limite rivelatosi con il primo
serpente monetario (ERM1) fu quello che gli aggiustamenti dei corsi valutari
non avveniva a brevi intervalli e che il margine di variazione consentito (-/+
2 ¼ /%) era troppo limitato. Questo dette spazio alla speculazione di inserirsi
in queste rigidità imponendo così rapporti reali di cambio maggiori di quelli
previsti, come avvenne nel 1992 quando George Soros costrinse la Gran Bretagna
e l’Italia a uscire dal serpente monetario. In conseguenza di questa crisi lo
SME fu rinegoziato consentendo ai singoli Stati una più rapida reazione
nell’aggiustamento dei corsi di cambio in caso di crisi valutaria e accrescendo
il margine di variazione consentito del -/+ 15% (ERM2) rispetto al cambio
concordato.
L’ERM2 è rimasto
in vigore fino al 1999 e con risultati positivi per le economie e la Comunità
Europea. L’introduzione dell’euro nel 1999 ha modificato questo sistema
costituito oggi da 11 valute: le 10 valute nazionali e l’euro adottato da 17
paesi. Questo ha introdotto in tutto il sistema fattori di rigidità nei cambi
con conseguenze negative per le singole economie e, per i paesi dell’eurozona
in particolare, la perdita di autonomia nelle politiche economiche sancite nei
vari trattati (Fiscal Compact, Patto di Stabilità, ecc.). L’incapacità dei paesi europei di
reagire alle conseguenze della crisi del 2008 ha origine in questo sistema
divenuto una camicia di forza per i singoli paesi e la stessa UE.
Il buon senso
dimostrato nelle precedenti occasioni suggerirebbe una reintroduzione dell’ERM3
con alcune integrazioni. Non c’è dubbio infatti che il margine di variazione
previsto del -/+15% consentirebbe ai singoli paesi di difendersi verso le
speculazioni. Inoltre, si potrebbe inserire una regola che obblighi i paesi con
surplus nella bilancia dei pagamenti (Germania, Olanda, ecc.) a rivalutare la
loro moneta il che può avvenire in varie forme tra cui il versamento di una
quota (50%) del loro surplus a un Fondo europeo di solidarietà.
Politica ed economia nell’UE
La descrizione
sin qui fatta e le conclusioni tratte corrispondono al contenuto essenziale
delle varie proposte presentate in tal senso da economisti e movimenti. Il solo
scopo è quello di ricordare che le proposte alternative e di buon senso
esistono e che potrebbe aiutare a rimediare al clamoroso passo falso fatto con
l’introduzione affrettata dell’euro. Resta allora da interrogarsi del perché la
ripresa di un percorso di aggiustamenti graduali del sistema monetario europeo
fatto durante i decenni appaia oggi impossibile e si scontri contro il macigno
chiamato euro.
Il problema, a
mio avviso, non risiede nell’assenza di proposte credibili e alternative, come
molti keynesiani continuano a credere
cercando di affinare i loro modelli di analisi e le loro proposte e
proponendosi come improbabili mediatori, ma nel fatto che un’autocritica degli
economisti e delle istituzioni europee non può avvenire perché questi ritengono
a ragione di non avere nulla da rimproverarsi. Il meccanismo messo in moto con
l’euro è l’atto finale di una riforma dei sistemi finanziati e bancari, e della
trasformazione del modo di produzione capitalistico introdotta con la Globalizzazione, che ha potentemente
contributo alla creazione di un nuovo potere in Europa affermatosi con grande
successo. Sono riusciti in pochi decenni a mettere fuori gioco ogni forma di
pensiero e di politica sociale e di riforma dei sistemi europei, ricostruendo
un sistema di produzione e di finanza sostenibile che sorregge il nuovo modello
di economia introdotto con la Globalizzazione
dagli anni Settanta. Cioè un modello di “apartheid globale” la cui
sostenibilità è data dalla coraggiosa restrizione delle aree e delle persone da
includere nel modello di società e economia previsto. Dal Welfare al Warfare,
passando per il Workfare, come
illustrato nella letteratura degli ultimi decenni.
Il discorso,
quindi, si sposta inevitabilmente sul terreno delle forze sociali e politiche
che possono mettere in moto la ripresa di richiesta di un diverso progetto
europeo basato sulla pace e sulla solidarietà. Il punto di partenza è rappresentato
dalla divisione oggi esistente tra nord e sud dell’eurozona risultato delle
politiche della Troika e della governance europea.
Come ricreare un
blocco politico e sociale che ristabilisca un dialogo tra queste due zone euro
e capace quindi di contrastare i centri del potere finanziario e militare di
cui la Troika è espressione? Movimenti sociali di reazione a queste politiche
esistono oggi nei paesi del sud: Movimento 5 stelle in Italia, Indignatos in
Spagna, Syriza in Grecia, ecc.. Espressioni visibili di un malessere sociale e
di una richiesta di cambiamento molto più ampia che deve comprendere per intero
la riscrittura dei Trattati europei da Maastricht in poi.
Superare la
divisione nazionale di questi movimenti, creare una proposta politica per una
nuova Europa che parta dalla più stretta cooperazione dei paesi del sud, e
riconquistare gli spazi della cosa pubblica e del potere politico per un asse sud
europeo capace di imporre una rinegoziazione con i paesi dell’area nord
dell’euro. L’eurozona ha due elementi centrali: il mercato unico e la moneta.
Entrambi vanno rinegoziati imponendo un sistema sulle linee indicate nel punto
precedente. Il risultato più probabile di questa situazione potrebbe essere
l’uscita della Germania e affiliati dalla zona euro prospettiva peraltro già
ventilata; ma se questi paesi restano nell’UE si può tornare a forme di
cooperazione monetaria del tipo indicato (ERM3). I paesi dell’Europa del sud
potrebbero partecipare a questo sistema mantenendo strutture di rappresentanza
politica e con monete nazionali, in linea con quanto fanno oggi i paesi dell’UE
fuori dell’eurozona, oppure iniziando in modo autonomo un processo di cooperazione economica e politica che possa fare da modello
a tutti gli altri paesi europei: un modello di cooperazione democratica e di
economia sociale.
Di entrambi le
soluzioni esistono precedenti significativi. L’Irlanda, già parte dell’area
monetaria della sterlina, se ne è distaccata e successivamente è entrata a far
parte della zona euro senza disastri economici o guerre civili ma mediante un
processo di negoziazione possibile e attuato. Un paese dell’UE, la Cecoslovacchia,
ha scelto di dividersi in due entità nazionali distinte e con due monete
nazionali diverse. Entrambi gli Stati sono rimasti nell’UE, e l’introduzione di
due monete nazionali non ha significato flagelli e disastri. Per questo chi
preannuncia tempesta in caso di modifiche dei sistemi monetari o si
reintroduzione di valute nazionali fa solo del terrorismo politico per
affermare principi che non hanno altrimenti alcuna consistenza. Lo stesso si
può affermare quando si auspica il costituirsi di un’area di più avanzata
cooperazione tra i paesi dell’Europa del sud. Esempi simili già esistono come
dimostra sia l’esistenza di un asse tedesco comprendente Germania, Olanda,
Austria e Finlandia, sia la cooperazione dei paesi Baltici. Inoltre la
ricostruzione di aree omogenee dentro il quadro dell’Europa deve costituire la
linea rossa di una ricostruzione del progetto europeo su basi confederali tra
le quattro maggiori aree europee (Paesi nordici, Europa occidentale, Europa
Centrale e Europa Mediterranea). Questo allontanerebbe dall’Europa le nuvole nere
della Globalizzazione e della
centralizzazione dei poteri da questa espressi. Le forme monetarie di questa
cooperazione dovranno essere funzionali a questo progetto, politicamente
dipendenti da questo e dalle scelte dei singoli paesi e aree.
Fine settembre 2013
1 commento:
Se c'è un Paese tra i PIIGS che può rompere l'incantesimo malefico dell'euro, questo è l'Italia.
Per diversi motivi, primo tra tutti le dimensioni relative della propria economia (fattore trainante) e la rilevanza del proprio debito pubblico (fattore deterrente), a fronte di un ancor relativamente ridotto debito privato (fattore rassicurante), per lo meno a livello medio (media di Trilussa).
Se c'è un Paese tra i PIIGS che più è vittima del maleficio ideologico neoliberista, questo è l'Italia, per le stesse identiche cause di cui sopra: "che ne sarà dei miei BOT?", "quanto diventerò più povero ancora con l'inflazione?", "chissà quali disastri combineranno questi politici corrotti senza un controllo superiore (esterno)!".
Quest'ultimo è l'argomento dirimente: cambiare tutto o non cambiare nulla, muoversi o star fermi, reagire o continuare a subire.
L'incantesimo è tutto qui: l'effetto (inettitudine e corruzione) che diventa causa (malgoverno, inefficienze), che a sua volta diventa effetto, come un cane che si morde la coda.
A cristallizzare questo anello paralizzante le storiche differenze nord-sud, che 150 anni di storia dell'unità d'Italia non sono ancora riuscite a sanare, e 70 anni di occupazione USA hanno contribuito ad approfondire, negando con la violenza (es. P.zza Fontana - Moro) la necessaria autonomia e libertà d'azione.
Così la principessa Italia rimane narcotizzata dal maleficio, e il bacio liberatorio del principe azzurro è di là da venir anche solo concepito (M5S e referendum sull'euro).
A sentire il discorso di Letta nel momento del (suo) pericolo, questo quadro appare lampante: è tutto una ninna nanna rassicurante, per bambini scimuniti.
A questo punto diventa determinante lo sforzo intellettuale, inizialmente elitario ma destinato a rendersi popolare, per spezzare l'incantesimo e risvegliare la bella addormentata. Ma l'obiettivo non può essere una semplice questione patriottica, al contrario deve coincidere con la fusione della questione nazionale (o meglio di "area sud-Europa) con quella globale, del riassetto rivoluzionario delle regole fondanti della moneta, e cioè la regolamentazione dei commerci e il firewall valutario (lotta frontale alla supremazia del potere finanziario)
Alberto Conti
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