31 ottobre. Occorre sempre distinguere, nella sfera delle idee, ciò che è caduco da ciò che è invece imperituro. I tempi lunghi della storia hanno sempre condannato all’oblio le concezioni che rivelano di non avere sostanza veritativa, che non poggiano cioè né su sicure basi etico-politiche, né su fondamenta storico-sociali. Essendo di quest’ultima specie la sorte dell’idea secondo cui sarebbe finita l’antitesi destra-sinistra si è dimostrata una teoria di piccolo cabotaggio.
La fine del postmodernismo
Essa non venne al mondo bell’e fatta, ma dopo un lungo travaglio. Si doveva bonificare il terreno, sradicare la "malapianta" del marxismo. Furono i filosofi francesi post-strutturalisti coloro che fecero la gran parte del lavoro. Incarnando il desiderio delle classi dominanti di rimuovere i “terribili” anni ’70, postularono che l’epoca della “modernità” si fosse chiusa, che si era oramai entrati in quella della “postmodernità”. In altre parole che le società occidentali non erano più capitalistiche ma strane amebe “post-borghesi”. Una visione che ebbe pieno corso negli anni ’80 del secolo scorso, per poi dilagare negli anni ‘90.
Qual era il cuore di questa visione? Che col tramonto dell’epoca delle contrapposizioni di classe moriva ogni progetto di trasformazione rivoluzionaria della società, che deperiva l’ordine simbolico che aveva strutturato l’immaginario collettivo novecentesco. Quindi i funerali del comunismo, liquidato come desueta “grande narrazione” utopistica.
Alla domanda se questa visione avesse qualche ragionevole consistenza la risposta è: certamente sì.
Dopo il decennio rivoluzionario dei ’70 il sistema capitalistico occidentale conobbe un durevole periodo di pacificazione e di stabilizzazione. L’avanzata del movimento operaio e rivoluzionario si arrestò, dilagò il fenomeno della cetomedizzazione di vasti strati di proletariato, il grosso delle sinistre politiche, da espressione per quanto riformistica della spinta emancipativa operaia dal lavoro salariato, divennero forma di istanze opposte, quelle all’imborghesimento. Eccetto lodevoli sacche di resistenza, esse subirono una trasformazione sostanziale: la loro identità non era più ancorata all’obbiettivo di abolire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e quindi delle classi, ma alla difesa e alla conquista di nuovi e variopinti diritti civili. Per cui la dicotomia sinistra-destra non aveva più altri contenuti se non quelli ideal-tipici dei valori etici, la cui cifra stava sulla retta sbilenca ai cui poli stavano il “progresso” e la “conservazione”.
Il crollo del Muro di Berlino (1989) e la dissoluzione dell’URSS (1991), segnando l’epitaffio dei tentativi di fuoriuscita dal capitalismo, consolidarono la fascinazione narrativa del discorso sulla fine della tradizionale dicotomia destra-sinistra, che divenne così un vero e proprio mantra, un segno distintivo del pensiero unico liberal-progressista. Grandi apparati culturali e mediatici lavorarono alacremente affinché questa pappetta diventasse “senso comune”.
E qui ci spieghiamo come mai accadde che anche pensatori eretici, provenienti sia dall’estrema sinistra che dalla barricata opposta, caddero nella trappola, fecero loro il concetto, lo trasformarono anzi in una bandiera, teorizzando addirittura, di contro al partito-unico-politicamente-corretto, il sodalizio politico del “pensiero radicale oltre la destra oltre la sinistra”. Tentativo condannato alla sterilità ma che fece gridare allo scandalo del “rosso-brunismo” le anime belle della sinistra borghese. II limite fatale di questi pensatori stava proprio nel manico, nel fatto che essi, prendendo il pacco della morte della “grande narrazione marxista” si son tenuti anche il suo contenuto, quello della fine del conflitto antagonista e di ogni idea di emancipazione rivoluzionaria dal capitalismo.
Il filosofo che in Italia si fece araldo di questo discorso e lo portò alle estreme conseguenze è stato Costanzo Preve, che scriveva:
Il tentativo di sradicare l’eredità del "secolo breve", di far diventare “senso comune” la nuova ideologia “oltre la destra oltre la sinistra”, non ha scavato così a fondo. Resta pressoché intatta, nel’inconscio, come in larga parte dell’immaginario collettivo, l’idea che di sinistra è chi difende i diritti degli sfuttati e degli oppressi e immagina una società egualitaria, mentre di destra è chi sta dalla parte dei ricchi e difende la divisione in classi della società. Lo stesso Preve, al netto della “fine della dicotomia”, non può che confermalo. [2]
Ideologia e rapporti sociali
Che un postulato esprima processi sociali reali non è sufficiente affinché questo sia vero. Il fatto è che quello sulla fine della dicotomia, presentandosi appunto come paradigma teorico, presumeva che i fenomeni di cui era riflesso nella sfera ideologica, fossero definitivi e irreversibili —essi invece non lo erano, di qui la portata necessariamente transitoria di quel postulato.
Il capitalismo occidentale, per ragioni che esulano adesso dal nostro campo d’indagine, è entrato, almeno dal collasso finanziario del 2008, dentro una crisi storico-sistemica di lunga durata. La fase della stabilizzazione è finita e siamo entrati in quella di sconquassi a catena. L’apparenza che fossimo entrati in una società post-capitalista e post-borghese, che la storia fosse finita, che la lotta di classe fosse un ricordo di tempi andati, ha lasciato tracce ma sta esaurendo la sua forza espansiva. Dalla crisi il capitalismo occidentale non potrà infatti uscire senza produrre un pauperismo generalizzato, senza strappare al lavoro salariato tutti i privilegi che l’avevano corrotto, senza quindi mezze misure e forse anche preparandosi ad un’epoca di vere e proprie guerre civili e nuovi conflitti nazionali.
Entriamo in un periodo di tempeste sociali, in cui nuove generazioni proletarie, pur prive di memoria storica, saranno obbligate a guardarsi allo specchio inorridite e quindi a riacquisire coscienza dei loro propri interessi, a combattere per non precipitare nella schiavitù, e quindi tenute ad immaginare un mondo in cui si produca e si viva per il comune benessere, e non invece per valorizzare il capitale e i fasti di un’ esigua classe sociale milionaria.
Che il marxismo debba essere depurato dalle sue aporie e dal suo messianismo; che sia necessario riformulare un pensiero rivoluzionario; che debba essere ricostruita e forgiata nel conflitto una nuova idea di socialismo; tutto questo è certo. Ma allora è anche certo che lo scontro tra le classi fondamentali farà a pezzi tutti gli effimeri travestimenti e si rappresenterà nuovamente nelle forme polari di sinistra e destra. Poiché, al di là di tutte le fumisterie concettuali, i concetti di sinistra e destra non sono che l’espressione simbolico-politica della lotta irriducibile tra le classi, lotta che risorgerà dopo che era stata temporaneamente soppressa.
Il fatto che questo proletariato nascente, figlio della tempesta storica, riesca finalmente ad avere la gramsciana capacità di fungere da “guida morale e spirituale” del popolo, ovvero di essere la forza motrice di un mutamento sistemico e di universale emancipazione, questo non è predeterminato, dipende da diversi fattori sociali e politici; ma ciò ha poco a che vedere con la opposizione tra le classi, motore del divenire storico, da cui la dicotomia inequivocabilmente scaturisce.
Terzocampismo e sovranismo
E’ un fatto tuttavia che dopo un periodo d’inabissamento il pensiero terzocampista della fine della dicotomia sembra conoscere un momento di gloria.
Il terreno su cui rifiorisce è concimato dalla tendenza all’implosione dell’Unione europea e della moneta unica. La percezione che il nostro paese viva una catastrofe di portata storica, che l’uscita dalla gabbia eurista sia la precondizione per la salvezza, si è diffusa velocemente, se non tra le larghe masse, negli ambienti del ceto medio e dell’intellighentia che hanno ripreso coscienza dopo il lungo letargo occuopaato dalla pantomima berlusconismo-anti-berlusconismo. Si tratta di migliaia di cittadini provenienti da diverse sponde politiche, ma il più dei quali viene proprio dall’implosione del blocco sociale berlusconiano, mondo dal quale si portano appresso non pochi pregiudizi anticomunisti.
Non abbiamo nulla contro i berlusconiani e contro i fascisti che che hanno compreso la truffa liberista dell’euro e che si sono pentiti del loro peccato originale. E’ un brutto spettacolo che ci siano diversi preti i quali, pur di assolverli e di rimuovere il loro intimo senso di colpa, assecondino la loro falsa coscienza facendo del superamento dell’antitesi destra sinistra addirittura una vera e propria teologia. Pur di consolarli tali intellettuali giungono a dimenticare il fatto storico inoppugnabile che l’Unione e l’euro sono figli di un progetto strategico NATO a destra e cresciuto imperialistico. Usano l’alibi della tarda conversione europeista della sinistra sistemica per nascondere il fatto che quella stessa sinistra, quando era tale, si è sempre opposta a quel disegno. Non è ammissibile che, allo scopo di lisciare il pelo a chi fino a ieri inneggiava alla magnifiche e progressive sorti del capitalismo, tali pastori si prestino all’operazione di far credere che la sinistra sia tutta eurista. Questo è davvero troppo, sintomo di una sfrontata disonestà intellettuale.
Sta di fatto che da un paio d’anni è tutto uno sbocciare (vivaddio!) di voci che inneggiano contro il regime dell’euro e alla riconquista della sovranità nazionale perduta. Fin qui tutto bene. Il fatto è che la richiesta sensata di una lotta unitaria contro il comune nemico del blocco bipolare eurista viene agganciata al discorso sulla “estinta dicotomia destra-sinistra”.
Questa visione delle cose ha vari interpreti, tra questi Diego Fusaro, che così ha recentemente espresso questa fisima:
Non ci è chiaro se Fusaro abbia in testa la fondazione di un vero e proprio partito, se parli di un fronte basato su una comune piattaforma programmatica per il governo del paese, o se alluda a quello che, per semplificare, potremmo chiamare Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Ci sono non solo indizi ma "pistole fumanti" che alcuni intendono per “aggregato” un vero e proprio “partito sovranista”. Pur non confondendo quest’idea con la tesi scandalosamente fatalistica e politicamente vergognosa di Alberto Bagnai —secondo cui “saranno le persone sbagliate a fare la scelta giusta”, ovvero che non ci resterebbe che dare una mano alle élite di destra a farci uscire dal regime dell’euro—, noi la riteniamo una colossale sciocchezza.
Il “sovranismo” è un concetto non solo polisemico, è astratto. Pensare di fondarci sopra un partito è come volerne fare uno sulla “democrazia”, sulla "giustizia" o sulla “libertà”. Vent’anni di berlusconismo e antiberlusconismo hanno lasciato il segno, di qui l’idea che si possano fondare partiti sulla fuffa, privi di una visione del mondo, protesi di élite volontariste e narcisiste.
Qual è l’esempio di paese sovrano per eccellenza che viene in mente a voi? A noi gli Stati Uniti. Il “sovranismo” si può sposare infatti con almeno tre opposti modelli sociali: il primo è appunto quello imperialista-liberista, il secondo quello autarchico (che ha diverse varianti), il terzo quello socialista e internazionalista.
E’ quindi autoevidente che si può uscire dall’euro in diverse e opposte maniere. E da che dipende la natura politica dell’uscita? Dipende dal blocco sociale che lo guida, dipende dall’idea di società che lo muove.
Non coniughiamo sovranità e socialismo per capriccio, lo facciamo a ragion veduta, perché pensiamo che un paese che voglia essere sovrano senza lasciar per strada la democrazia e giustizia sociale, non deve sganciarsi solo dall’euro ma anche dal capitalismo-casinò, ovvero dalla morsa dei colossi finanziari imperialistici. Sappiamo bene che il socialismo è un punto d’arrivo che implica una lunga transizione. Quel che diciamo è che occorre sì uscire dall’euro ma avendo come fine lo sganciamento e la fondazione di una società che non affidi tutto al mercato, il cui motore non sia più la caccia al profitto.
Su questa strada è non solo possibile ma auspicabile un fronte ampio che mobiliti diverse forze sociali e politiche democratiche, sulla base di una piattaforma comune che metta al centro gli interessi e i bisogni del popolo lavoratore e che, attraverso una sollevazione generale, conduca alla nascita di un governo che guidi la fuoriuscita dal regime dell’euro. Questa è quella che chiamiamo “uscita da sinistra”, di contro alla “uscita da destra”, nelle sue due varianti principali possibili, la liberista e la lepenista.
Se abbiamo ragione, se diavolo e Acqua Santa non possono stare assieme, vedrete che noi avremo non uno, ma due fronti o blocchi sovranisti anti-euro. I terzocampisti si mettano l’anima in pace, questi blocchi saranno infatti percepiti dal senso comune, e quindi etichettati, uno come di sinistra e l’altro di destra. Essi marceranno in modo separato. Che possano coalizzarsi contro il nemico comune dipenderà dalle circostanze, se davvero precipiteremo in uno stato di sudditanza neocoloniale.
Qui entra in gioco il discorso sul CLN, questo si un "aggregato", necessariamente temporaneo, tra forze e blocchi sociali e politici non solo diversi ma opposti, che quindi, una volta ottenuta la “liberazione nazionale”, non potrebbe che sciogliersi, poiché ci sarebbe chi andrà al governo e chi all’opposizione.
Siamo forse in una situazione del tipo di quella della seconda guerra? Forse che lo strapotere odierno della Germania è paragonabile all’occupazione militare nazista?
E’ certo che la battaglia per evitare l’abisso ha una dimensione nazionale ma affermare che il nostro Paese sia già ridotto ad una sudditanza di tipo coloniale è una semplificazione fuorviante, anzi una mistificazione. Il nemico fondamentale non sta solo oltre le Alpi, lo abbiamo dentro casa, ed è costituito dai settori dominanti della borghesia italiota che non sono mere cinghie di trasmissione della dittatura eurista, che sono parte integrante del regime di oppressione.
Ove la crisi conoscesse un’ulteriore avvitamento, ove i funzionari politici italiani facessero definitivo fallimento, ove quindi la troika imponesse davvero un regime dispotico di protettorato in stile coloniale; ove questo accadesse la fondazione di un CLN sarebbe non solo plausibile ma un atto storicamente necessario.
Non siamo ancora a questo punto. Il punto, adesso, è battere il regime politico e quindi le sue due gambe, del centro-sinistra e del centro-destra. Lo si può battere se daremo finalmente vita ad un fronte popolare che si candidi alla guida del Paese. E per guidare il Paese occorre un fronte, ampio sì, ma che abbia un chiaro e forte programma di governo articolato in poche e grandi trasformazioni sociali. [4] E’ su questo terreno che i sovranisti debbono provare la consistenza del loro accordo, e così lottare per ottenere un consenso di massa senza il quale non ci potrà essere vittoria.
Note
[1] "Comunitarismo". Torino, 5 settembre 2001. cfr. C. Preve, "Destra e Sinistra", Editrice CRT, Pistoia, 1998).
[2] «Benché resti convinto del sostanziale esaurimento storico di questa polarità simbolico-politica, vorrei comunque segnalare due cautele metodologiche da tenere presenti per una migliore comprensione del problema. In primo luogo, non bisogna dimenticare che di fatto oggi la stragrande maggioranza delle prese di coscienza individuali e collettive del conflitto politico avviene (a mio avviso purtroppo, non per fortuna) sul terreno ideologico della polarità Destra/Sinistra. Il fatto che questa polarità sia quasi sempre artificiale e manipolata da apparati intellettuali interni al sistema di dominio non cambia il dato storico della situazione, per cui appunto ancora oggi la dicotomia funziona ancora da quadro genetico-psicologico per la simbolizzazione del conflitto politico. In proposito, non è sufficiente "smascherare" il carattere illusorio e manipolato della dicotomia, perché questo smascheramento non incide concretamente nella situazione, ma bisogna lavorare per una nuova e credibile teoria politica complessiva. In secondo luogo, è bene ricordare che l’esaurimento della dicotomia Destra/Sinistra riguarda soltanto i paesi centrali del dominio mondiale imperialistico (come USA, Inghilterra, Francia, Germania e Italia), mentre nei paesi dominati o minacciati dall’imperialismo (dalla Palestina alla Colombia, da Cuba alla Turchia), questa polarità continua a rispecchiare conflitti reali, ed è dunque ancora politicamente e culturalmente espressiva». Ibidem
[3] Dall'intervento di Diego Fusaro al convegno di A/simmetrie. Pescara 26/10/13. Vedi anche: Se il capitalismo diventa sinistra; 3 aprile 2013; Lo spiffero
[4] Fronte popolare e governo d'emergenza, del Segreria nazionale del Mpl
La fine del postmodernismo
Essa non venne al mondo bell’e fatta, ma dopo un lungo travaglio. Si doveva bonificare il terreno, sradicare la "malapianta" del marxismo. Furono i filosofi francesi post-strutturalisti coloro che fecero la gran parte del lavoro. Incarnando il desiderio delle classi dominanti di rimuovere i “terribili” anni ’70, postularono che l’epoca della “modernità” si fosse chiusa, che si era oramai entrati in quella della “postmodernità”. In altre parole che le società occidentali non erano più capitalistiche ma strane amebe “post-borghesi”. Una visione che ebbe pieno corso negli anni ’80 del secolo scorso, per poi dilagare negli anni ‘90.
Qual era il cuore di questa visione? Che col tramonto dell’epoca delle contrapposizioni di classe moriva ogni progetto di trasformazione rivoluzionaria della società, che deperiva l’ordine simbolico che aveva strutturato l’immaginario collettivo novecentesco. Quindi i funerali del comunismo, liquidato come desueta “grande narrazione” utopistica.
Alla domanda se questa visione avesse qualche ragionevole consistenza la risposta è: certamente sì.
Dopo il decennio rivoluzionario dei ’70 il sistema capitalistico occidentale conobbe un durevole periodo di pacificazione e di stabilizzazione. L’avanzata del movimento operaio e rivoluzionario si arrestò, dilagò il fenomeno della cetomedizzazione di vasti strati di proletariato, il grosso delle sinistre politiche, da espressione per quanto riformistica della spinta emancipativa operaia dal lavoro salariato, divennero forma di istanze opposte, quelle all’imborghesimento. Eccetto lodevoli sacche di resistenza, esse subirono una trasformazione sostanziale: la loro identità non era più ancorata all’obbiettivo di abolire lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e quindi delle classi, ma alla difesa e alla conquista di nuovi e variopinti diritti civili. Per cui la dicotomia sinistra-destra non aveva più altri contenuti se non quelli ideal-tipici dei valori etici, la cui cifra stava sulla retta sbilenca ai cui poli stavano il “progresso” e la “conservazione”.
Il crollo del Muro di Berlino (1989) e la dissoluzione dell’URSS (1991), segnando l’epitaffio dei tentativi di fuoriuscita dal capitalismo, consolidarono la fascinazione narrativa del discorso sulla fine della tradizionale dicotomia destra-sinistra, che divenne così un vero e proprio mantra, un segno distintivo del pensiero unico liberal-progressista. Grandi apparati culturali e mediatici lavorarono alacremente affinché questa pappetta diventasse “senso comune”.
E qui ci spieghiamo come mai accadde che anche pensatori eretici, provenienti sia dall’estrema sinistra che dalla barricata opposta, caddero nella trappola, fecero loro il concetto, lo trasformarono anzi in una bandiera, teorizzando addirittura, di contro al partito-unico-politicamente-corretto, il sodalizio politico del “pensiero radicale oltre la destra oltre la sinistra”. Tentativo condannato alla sterilità ma che fece gridare allo scandalo del “rosso-brunismo” le anime belle della sinistra borghese. II limite fatale di questi pensatori stava proprio nel manico, nel fatto che essi, prendendo il pacco della morte della “grande narrazione marxista” si son tenuti anche il suo contenuto, quello della fine del conflitto antagonista e di ogni idea di emancipazione rivoluzionaria dal capitalismo.
Il filosofo che in Italia si fece araldo di questo discorso e lo portò alle estreme conseguenze è stato Costanzo Preve, che scriveva:
Costanzo Preve e Diego Fusaro |
«Quando l’opposizione fra Destra e Sinistra nacque alla fine del Settecento in Francia, e quando poi si sviluppò e si allargò nell’Ottocento e nel Novecento nel mondo intero, vero e proprio esempio di globalizzazione ideologica che accompagnava una contestuale globalizzazione economica capitalistica, questa opposizione rispecchiava divisioni storiche reali, e strutturava un campo politico di conflitti nel nuovo modo orizzontale che sostituiva il vecchio modo verticale tipico dei conflitti di tipo precapitalistico, signorile e feudale. Alla verticalità del vecchio campo simbolico religioso si sostituiva l’orizzontalità del nuovo campo simbolico politico. La politica sostituiva progressivamente la religione nell’espressività individuale e collettiva dei conflitti sociali. Tuttavia, nel corso degli ultimi duecento anni, a causa soprattutto dell’integrazione culturale negli apparati ideologici e politici della classe dominante, in un primo tempo borghese-capitalistica e poi oggi semplicemente capitalistica (e post-borghese), l’opposizione fra Destra e Sinistra ha smesso di descrivere un conflitto sociale reale, ed ha cominciato a funzionare come protesi artificiale di strutturazione simbolica di un conflitto controllato e manipolato. In proposito, mi permetto di rimandare ad un mio breve scritto in cui questo fondamentale problema è trattato in modo più sistematico». [1]Sono oramai trent’anni (un bell’arco di tempo) che si chiacchiera della fine della dicotomia, ma da nessuna parte sono sorti, né un pensiero, né un movimento politico anti-sistemici, che siano stati capaci di andare "oltre" la destra e la sinistra —a meno di non credere alla battute di Sgarbi, alla autorappresentazione confusionaria di Beppe Grillo, o di farsi abbindolare dalla novella Giovanna D'Arco di Marine Le Pen. E non sarà un caso se dopo trent’anni di cupio dissolvi dell’eredità del novecento, tutta la comunicazione verbale e segnica, per quanto in maniera deviata, non riesca a prescindere da questa polarità, che dimostra una vitalità irriducibile.
Il tentativo di sradicare l’eredità del "secolo breve", di far diventare “senso comune” la nuova ideologia “oltre la destra oltre la sinistra”, non ha scavato così a fondo. Resta pressoché intatta, nel’inconscio, come in larga parte dell’immaginario collettivo, l’idea che di sinistra è chi difende i diritti degli sfuttati e degli oppressi e immagina una società egualitaria, mentre di destra è chi sta dalla parte dei ricchi e difende la divisione in classi della società. Lo stesso Preve, al netto della “fine della dicotomia”, non può che confermalo. [2]
Ideologia e rapporti sociali
Che un postulato esprima processi sociali reali non è sufficiente affinché questo sia vero. Il fatto è che quello sulla fine della dicotomia, presentandosi appunto come paradigma teorico, presumeva che i fenomeni di cui era riflesso nella sfera ideologica, fossero definitivi e irreversibili —essi invece non lo erano, di qui la portata necessariamente transitoria di quel postulato.
Il capitalismo occidentale, per ragioni che esulano adesso dal nostro campo d’indagine, è entrato, almeno dal collasso finanziario del 2008, dentro una crisi storico-sistemica di lunga durata. La fase della stabilizzazione è finita e siamo entrati in quella di sconquassi a catena. L’apparenza che fossimo entrati in una società post-capitalista e post-borghese, che la storia fosse finita, che la lotta di classe fosse un ricordo di tempi andati, ha lasciato tracce ma sta esaurendo la sua forza espansiva. Dalla crisi il capitalismo occidentale non potrà infatti uscire senza produrre un pauperismo generalizzato, senza strappare al lavoro salariato tutti i privilegi che l’avevano corrotto, senza quindi mezze misure e forse anche preparandosi ad un’epoca di vere e proprie guerre civili e nuovi conflitti nazionali.
Entriamo in un periodo di tempeste sociali, in cui nuove generazioni proletarie, pur prive di memoria storica, saranno obbligate a guardarsi allo specchio inorridite e quindi a riacquisire coscienza dei loro propri interessi, a combattere per non precipitare nella schiavitù, e quindi tenute ad immaginare un mondo in cui si produca e si viva per il comune benessere, e non invece per valorizzare il capitale e i fasti di un’ esigua classe sociale milionaria.
Che il marxismo debba essere depurato dalle sue aporie e dal suo messianismo; che sia necessario riformulare un pensiero rivoluzionario; che debba essere ricostruita e forgiata nel conflitto una nuova idea di socialismo; tutto questo è certo. Ma allora è anche certo che lo scontro tra le classi fondamentali farà a pezzi tutti gli effimeri travestimenti e si rappresenterà nuovamente nelle forme polari di sinistra e destra. Poiché, al di là di tutte le fumisterie concettuali, i concetti di sinistra e destra non sono che l’espressione simbolico-politica della lotta irriducibile tra le classi, lotta che risorgerà dopo che era stata temporaneamente soppressa.
Il fatto che questo proletariato nascente, figlio della tempesta storica, riesca finalmente ad avere la gramsciana capacità di fungere da “guida morale e spirituale” del popolo, ovvero di essere la forza motrice di un mutamento sistemico e di universale emancipazione, questo non è predeterminato, dipende da diversi fattori sociali e politici; ma ciò ha poco a che vedere con la opposizione tra le classi, motore del divenire storico, da cui la dicotomia inequivocabilmente scaturisce.
Terzocampismo e sovranismo
E’ un fatto tuttavia che dopo un periodo d’inabissamento il pensiero terzocampista della fine della dicotomia sembra conoscere un momento di gloria.
Il terreno su cui rifiorisce è concimato dalla tendenza all’implosione dell’Unione europea e della moneta unica. La percezione che il nostro paese viva una catastrofe di portata storica, che l’uscita dalla gabbia eurista sia la precondizione per la salvezza, si è diffusa velocemente, se non tra le larghe masse, negli ambienti del ceto medio e dell’intellighentia che hanno ripreso coscienza dopo il lungo letargo occuopaato dalla pantomima berlusconismo-anti-berlusconismo. Si tratta di migliaia di cittadini provenienti da diverse sponde politiche, ma il più dei quali viene proprio dall’implosione del blocco sociale berlusconiano, mondo dal quale si portano appresso non pochi pregiudizi anticomunisti.
Non abbiamo nulla contro i berlusconiani e contro i fascisti che che hanno compreso la truffa liberista dell’euro e che si sono pentiti del loro peccato originale. E’ un brutto spettacolo che ci siano diversi preti i quali, pur di assolverli e di rimuovere il loro intimo senso di colpa, assecondino la loro falsa coscienza facendo del superamento dell’antitesi destra sinistra addirittura una vera e propria teologia. Pur di consolarli tali intellettuali giungono a dimenticare il fatto storico inoppugnabile che l’Unione e l’euro sono figli di un progetto strategico NATO a destra e cresciuto imperialistico. Usano l’alibi della tarda conversione europeista della sinistra sistemica per nascondere il fatto che quella stessa sinistra, quando era tale, si è sempre opposta a quel disegno. Non è ammissibile che, allo scopo di lisciare il pelo a chi fino a ieri inneggiava alla magnifiche e progressive sorti del capitalismo, tali pastori si prestino all’operazione di far credere che la sinistra sia tutta eurista. Questo è davvero troppo, sintomo di una sfrontata disonestà intellettuale.
Sta di fatto che da un paio d’anni è tutto uno sbocciare (vivaddio!) di voci che inneggiano contro il regime dell’euro e alla riconquista della sovranità nazionale perduta. Fin qui tutto bene. Il fatto è che la richiesta sensata di una lotta unitaria contro il comune nemico del blocco bipolare eurista viene agganciata al discorso sulla “estinta dicotomia destra-sinistra”.
Questa visione delle cose ha vari interpreti, tra questi Diego Fusaro, che così ha recentemente espresso questa fisima:
«Auspico la creazione di un nuovo aggregato politico che sappia spingersi al di là della vecchia dicotomia destra-sinistra...bisogna organizzare in forma unitaria tutte le forze sovraniste...uniti si vince, divisi si perde...bisogna fare astrazione dalle differenze che ci sono, dalle appartenenze politiche....perchè siamo davanti ad un incendio che bisogna spegnere...e chiedere la carta di identità dei pompieri è esiziale». [3]L’unione fa la forza: un appello di un buon senso disarmante. Il fatto è che nella sfera politica il “buon senso” ha il fiato corto.
Non ci è chiaro se Fusaro abbia in testa la fondazione di un vero e proprio partito, se parli di un fronte basato su una comune piattaforma programmatica per il governo del paese, o se alluda a quello che, per semplificare, potremmo chiamare Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Ci sono non solo indizi ma "pistole fumanti" che alcuni intendono per “aggregato” un vero e proprio “partito sovranista”. Pur non confondendo quest’idea con la tesi scandalosamente fatalistica e politicamente vergognosa di Alberto Bagnai —secondo cui “saranno le persone sbagliate a fare la scelta giusta”, ovvero che non ci resterebbe che dare una mano alle élite di destra a farci uscire dal regime dell’euro—, noi la riteniamo una colossale sciocchezza.
Il “sovranismo” è un concetto non solo polisemico, è astratto. Pensare di fondarci sopra un partito è come volerne fare uno sulla “democrazia”, sulla "giustizia" o sulla “libertà”. Vent’anni di berlusconismo e antiberlusconismo hanno lasciato il segno, di qui l’idea che si possano fondare partiti sulla fuffa, privi di una visione del mondo, protesi di élite volontariste e narcisiste.
Qual è l’esempio di paese sovrano per eccellenza che viene in mente a voi? A noi gli Stati Uniti. Il “sovranismo” si può sposare infatti con almeno tre opposti modelli sociali: il primo è appunto quello imperialista-liberista, il secondo quello autarchico (che ha diverse varianti), il terzo quello socialista e internazionalista.
E’ quindi autoevidente che si può uscire dall’euro in diverse e opposte maniere. E da che dipende la natura politica dell’uscita? Dipende dal blocco sociale che lo guida, dipende dall’idea di società che lo muove.
Non coniughiamo sovranità e socialismo per capriccio, lo facciamo a ragion veduta, perché pensiamo che un paese che voglia essere sovrano senza lasciar per strada la democrazia e giustizia sociale, non deve sganciarsi solo dall’euro ma anche dal capitalismo-casinò, ovvero dalla morsa dei colossi finanziari imperialistici. Sappiamo bene che il socialismo è un punto d’arrivo che implica una lunga transizione. Quel che diciamo è che occorre sì uscire dall’euro ma avendo come fine lo sganciamento e la fondazione di una società che non affidi tutto al mercato, il cui motore non sia più la caccia al profitto.
Su questa strada è non solo possibile ma auspicabile un fronte ampio che mobiliti diverse forze sociali e politiche democratiche, sulla base di una piattaforma comune che metta al centro gli interessi e i bisogni del popolo lavoratore e che, attraverso una sollevazione generale, conduca alla nascita di un governo che guidi la fuoriuscita dal regime dell’euro. Questa è quella che chiamiamo “uscita da sinistra”, di contro alla “uscita da destra”, nelle sue due varianti principali possibili, la liberista e la lepenista.
Se abbiamo ragione, se diavolo e Acqua Santa non possono stare assieme, vedrete che noi avremo non uno, ma due fronti o blocchi sovranisti anti-euro. I terzocampisti si mettano l’anima in pace, questi blocchi saranno infatti percepiti dal senso comune, e quindi etichettati, uno come di sinistra e l’altro di destra. Essi marceranno in modo separato. Che possano coalizzarsi contro il nemico comune dipenderà dalle circostanze, se davvero precipiteremo in uno stato di sudditanza neocoloniale.
Qui entra in gioco il discorso sul CLN, questo si un "aggregato", necessariamente temporaneo, tra forze e blocchi sociali e politici non solo diversi ma opposti, che quindi, una volta ottenuta la “liberazione nazionale”, non potrebbe che sciogliersi, poiché ci sarebbe chi andrà al governo e chi all’opposizione.
Siamo forse in una situazione del tipo di quella della seconda guerra? Forse che lo strapotere odierno della Germania è paragonabile all’occupazione militare nazista?
E’ certo che la battaglia per evitare l’abisso ha una dimensione nazionale ma affermare che il nostro Paese sia già ridotto ad una sudditanza di tipo coloniale è una semplificazione fuorviante, anzi una mistificazione. Il nemico fondamentale non sta solo oltre le Alpi, lo abbiamo dentro casa, ed è costituito dai settori dominanti della borghesia italiota che non sono mere cinghie di trasmissione della dittatura eurista, che sono parte integrante del regime di oppressione.
Ove la crisi conoscesse un’ulteriore avvitamento, ove i funzionari politici italiani facessero definitivo fallimento, ove quindi la troika imponesse davvero un regime dispotico di protettorato in stile coloniale; ove questo accadesse la fondazione di un CLN sarebbe non solo plausibile ma un atto storicamente necessario.
Non siamo ancora a questo punto. Il punto, adesso, è battere il regime politico e quindi le sue due gambe, del centro-sinistra e del centro-destra. Lo si può battere se daremo finalmente vita ad un fronte popolare che si candidi alla guida del Paese. E per guidare il Paese occorre un fronte, ampio sì, ma che abbia un chiaro e forte programma di governo articolato in poche e grandi trasformazioni sociali. [4] E’ su questo terreno che i sovranisti debbono provare la consistenza del loro accordo, e così lottare per ottenere un consenso di massa senza il quale non ci potrà essere vittoria.
Note
[1] "Comunitarismo". Torino, 5 settembre 2001. cfr. C. Preve, "Destra e Sinistra", Editrice CRT, Pistoia, 1998).
[2] «Benché resti convinto del sostanziale esaurimento storico di questa polarità simbolico-politica, vorrei comunque segnalare due cautele metodologiche da tenere presenti per una migliore comprensione del problema. In primo luogo, non bisogna dimenticare che di fatto oggi la stragrande maggioranza delle prese di coscienza individuali e collettive del conflitto politico avviene (a mio avviso purtroppo, non per fortuna) sul terreno ideologico della polarità Destra/Sinistra. Il fatto che questa polarità sia quasi sempre artificiale e manipolata da apparati intellettuali interni al sistema di dominio non cambia il dato storico della situazione, per cui appunto ancora oggi la dicotomia funziona ancora da quadro genetico-psicologico per la simbolizzazione del conflitto politico. In proposito, non è sufficiente "smascherare" il carattere illusorio e manipolato della dicotomia, perché questo smascheramento non incide concretamente nella situazione, ma bisogna lavorare per una nuova e credibile teoria politica complessiva. In secondo luogo, è bene ricordare che l’esaurimento della dicotomia Destra/Sinistra riguarda soltanto i paesi centrali del dominio mondiale imperialistico (come USA, Inghilterra, Francia, Germania e Italia), mentre nei paesi dominati o minacciati dall’imperialismo (dalla Palestina alla Colombia, da Cuba alla Turchia), questa polarità continua a rispecchiare conflitti reali, ed è dunque ancora politicamente e culturalmente espressiva». Ibidem
[3] Dall'intervento di Diego Fusaro al convegno di A/simmetrie. Pescara 26/10/13. Vedi anche: Se il capitalismo diventa sinistra; 3 aprile 2013; Lo spiffero
[4] Fronte popolare e governo d'emergenza, del Segreria nazionale del Mpl
38 commenti:
Estinta la dicotomia "destra-sinistra"? Per forza: è la sinistra che non esiste più; le hanno tolto l'ossigeno, le hanno mozzato la testa con la dissoluzione dell'URSS; i suoi genitori l'hanno ripudiata, condannata, squalificata: in una parola: l'hanno condannata all'estinzione.
Ed è inutile girarci attorno. Allora: senza una prospettiva di "libertà" (termine per altro di una ambiguità tremenda) la persona umana oppressa dall'angoscia, muore, il suo spirito si rattrappisce, avvizzisce.
Magari tenta una strada tinta di illusione utopica ed ecco il risorgere dei sovranismi.
Del resto non è difficile essere arrivati (troppo tardi però) a comprendere come le ostriche senza guscio facciano inesorabilmente la fine delle limacce.
Suona un proverbio russo:
«Chi viene seppellito ancora in vita, è destinato a vivere molto a lungo».
Spes ultima dea.
Accontentiamoci degli aforismi.
Chi viene seppellito vivo campa a lungo?
Accidenti quanto è strano sto proverbio russo.
Per disperazione verrebbe da urlare "Arriba el frente para la victoria"!
Sembra strano, ma significa che la "sinistra", nonostante ogni fatwa che vorrebbe averla seppellita, interpretando il cuore del popolo sarà difficile che si estingua finché ci sarà Popolo.
E' troppo chiedere ai lettori che si prendono la briga di commentare di entrare nel merito, ed eventualmente di farsi capire se non sono d'accordo?
A me pare che i commenti rientrino nel merito.
In un blog è restrittivo e forse anche poco produttivo attenersi unicamente al ping pong. L'orizzonte va sempre allargato.
Comunque, per attenersi strettamente al "testo" :"Ove la crisi conoscesse un’ulteriore avvitamento, ove i funzionari politici italiani facessero definitivo fallimento, ove quindi la troika imponesse davvero un regime dispotico di protettorato in stile coloniale; ove questo accadesse la fondazione di un CLN sarebbe non solo plausibile ma un atto storicamente necessario. "
Mi pare che tutto il pasticciaccio sia ampiamente accaduto. O aspettiamo di superare la Grecia? Usque tandem Catilina?
Anzitutto, Moreno, lasciami notare che il procedimento retorico che usi, quello di accomunare sotto la voce di "sostenitori della fine della dicotomia" i pensatori totalitari tipo Fukushima o i nouveaux philosophes e i sostenitori della necessità di abbattere questo sistema come Preve e Fusaro è piuttosto discutibile, direi al limite della diffamazione. ma questa è una questione di etica del discorso, e andiamo ai contenuti.
Il fatto è che tu separi le conclusioni previane dai tre assunti teorici che lo motivano: l'incapacità del soggetto nato dalla proletarizzazione a trascendere il modo di produzione capitalistico; la caratteristica del capitalismo assoluto a disfarsi della stessa borghesia(ti faccio notare, per fare solo un esempio, che la bce vuole sequestrare i conti correnti per salvare il capitale di rischio); l'errore del marxismo di subordinare la filosofia all'ideologia, cioè di immaginarsi che potesse esistere un soggetto che partendo dai propri bisogni liberasse la società.
Non esiste una "uscita da destra" e una "da sinistra". Uscire dall'euro e dalla globalizzazione significa uscire da un sistema basato sul profitto come variabile indipendente, sul tasso di sfruttamento come determinante unica del modello sociale, e dunque l'uscita è in ogni caso "di sinistra", e vale a poco notare che anche dopo ci potranno essere politiche più di sinistra e di destra: cambia l'ambito truccato in cui quelle diverse opzioni possono farsi valere. Come tu stesso sai, l'euro è un sistema di governo, non uno strumento tecnico. E, sì, è più che paragonabile all'occupazione nazista, perché i risultati di questo tipo di governo si sono già visti in questo secolo con l'azzeramento della germania est e di altri paesi ex socialisti, o dell'argentina pre-2001, e nel secolo scorso con la distruzione "via sterlina" dell' Irlanda dopo l'abolizione delle leggi protezionistiche sul grano. In un caso come nell'altro, un genocidio.
Tu pensi di costruire un fronte "di sinistra" anti euro. Ma per ora, non ci sei riuscito. Infatti, ennesima dimostrazione della fine della dicotomia fra destra e sinistra, la Fiom va a cercare Rodotà, non gli anti euro. E perché và a cercare Rodotà? E' il segreto dell'azionismo. L'idea che possa esistere un capitalismo perfetto senza gli sprechi, la piccola borghesia, i proprietari. Un capitalismo totale, quello che unisce Rodotà e Landini, insieme a Ingroia che vuole mettere in galera i capitalisti mentre sogna l' Europa. Gli azionisti erano all'avanguardia, avevano già capito 70 anni fa che il proletariato non faceva paura. O forse vuoi costruire il fronte con quei cascami decadenti dell'individualismo neoliberale dei centri sociali?
Dei marxisti, oggi, c'è assoluto bisogno. perché c'è bisogno di chi connetta gli esiti distruttivi del capitalismo neoliberale al conflitto di classe che lo ha generato. C'è bisogno di chi contesti le idee aconflittuali di chi pensa, per esempio, che la spesa pubblica possa mettere a tacere tutti gli antagonismi e i problemi. Con queste idee non si vince, non si esce dall' Euro. ma la prospettiva che potremmo costruire non sarà né imperialista, né autarchica, né socialista (internazionalista sì perché costruiremo un nuovo modello di rapporti fra le nazioni). E' il "socialismo" che non c'è, e la lotta per superare lo scambio fra obbedienza e sicurezza contro responsabilità lo dovremo risolvere in un modo diverso che nel passato.
A. C. (Sì, sono sempre io, ci rivediamo a Roma)
Concordo con il metodo storico materialistico e non volontaristico ma non con la analisi economica che ne consegue. La crisi del capitalismo italiano nasce in primis dalla ipertrofia di un apparato burocratico, politico e capitalistico assistito che vive sulle spalle dei ceti produttivi, borghesi e proletari, provocandone l' asfissia. La lotta ormai si esprime tra queste due nuove classi sociali, che non hanno alcuna attinenza con la dicotomia storica destra-sinistra. È vero che tale situazione nasce dalla concorrenza degli ex paesi emergenti creata dalla globalizzazione, questa effettivamente voluta dalla classe dominante, finanziaria industriale, del mondo, ma come possiamo pensare di combattere una globalizzazione che ha migliorato lo status vitale di miliardi di proletari?
Insomma sarebbe ora che apriste gli occhi. Avete una sola carta da giocare ed è quella di rovesciare il tavolo.
Scordatevi un popolo che prenda coscienza sotto la spinta della controrivoluzione elitaria; scordatevi alleanze tattiche fondate su ragionevoli punti programmatici in comune.
Potete solo sperare che salti tutto e che nella tempesta del casino generale le menti si snebbino al vento della presa di posizione e dell'azione forzate (perché se succederà sarà praticamente impossibile fare il pesce nel barile).
Come si fa? Semplice, uscendo dall'euro e dall'Europa; di fronte al depotenziamento della loro arma di dominio più importante le élites si butteranno sul "tutto per tutto" e saranno crisi finanziarie mai viste, limitazione delle libertà democratiche etc etc
E solo questo può essere il terreno di gioco sul quale avrete un minimo di possibilità, appunto perché finalmente, sotto la pressione degli eventi, una buona parte del popolo dovrà per forza aprire gli occhi.
Quindi chiacchierate meno, filosofeggiate meno che non interessa se non a quattro gatti spelacchiati e focalizzatevi (se necessario anche in modo populista) solo sulla assoluta necessità di uscire dall'euro in "qualsiasi" modo e da qualsiasi parte, destra sinistra centro, per voi deve andare bene tutto.
Dopo di che, non adesso ma al momento giusto, i duri cominceranno a giocare.
SUL DISCORSO DI PREVE
Il discorso si Preve, alla fin fine, si può così riassumere: che la sinistra è morta poiché è diventata «... una appendice intellettualistica della globalizzazione neoliberale». [Risposta di Preve a Losurdo, novembre 2009]
Intento: questa sentenza è valida lato, non stricto sensu. Non tutte le sinistre infatti sono diventate appendice del neoliberismo.
Basterebbe questo a invalidare la teoria di Preve, poiché, appunto, si fonda su una generalizzazione arbitraria.
E' come se avessimo detto, dopo il 4 agosto 1914, che tutte le sinistre avevano capitolato ai rispettivi imperialismi.
Non fu così, e lo si vedrà dopo il 1917 e con la fondazione dell'Internazionale comunista.
Il punto debole fatale del discorso di Preve è nel suo sostrato metafisico. Si fonda su figure ipostatiche; la globalizzazione, la sinistra, la fase post-borghese.
Occorre invece usare un metodo materialistico, per cui alla base ci sono i processi sociali, le formazioni sociali coi loro modi di produzione, le loro contraddizioni, che causano incessanti mutamenti.
L'errore consisteva nell'ipostatizzare la "globalizzazione neo-liberista", nel concepirla come fosse un nuovo stadio post-capitalista e meta-storico—contraddistinto (per Preve) dalla fine del conflitto antagonistico tra le classi.
Chiamerei ciò "autofranitendimento della ragione".
Qui c'è, altro che "diffamazione"!, l'obbiettiva convergenza di Preve, non solo coi cascami dello strutturalismo ma, haimé, col pensiero unico mainstream post-ideologico.
L'asse implicito nel mio discorso, invece, è che questa che abbiamo davanti non è solo una crisi passeggera del sistema, è la globalizzazione liberista che collassa. Questo collasso condurrà ad una nuova composizione sociale, segnata da una irriducibile polarizzazione di classe, quindi ad un nuovo lungo ciclo di lotte sociali. Che questo porterà alla rinascita, certo in forme nuove, della sinistra, intesa come rappresentazione politica della spinta della classe proletaria ad emanciparsi dal capitale, ovvero dal lavoro salariato.
L'MPL guarda oltre al presente, si considera uno strumento per questa rinascita.
Il tempo è galantuomo.
Ps: L'uscita dall'euro «è in ogni caso "di sinistra"»? Torneremo su questo tema.
Moreno Pasquinelli
Mi piacerebbe sapere se Moreno trenta anni fa utilizzava le categorie destra e sinistra così spesso come fa oggi. Io, che sono un po' più giovane di lui dal 1985 al 1990 (poi tutto è iniziato a cambiare) parlavo di comunisti, demoproletari, socialisti, socialdemocratici, democristiani, democristiani della sinistra di base, repubblicani, missini, fascisti, radicali, verdi. Insomma la distinzione sarà pure nata secoli fa ma aveva una importanza molto relativa. Era una espressione riassuntiva di diversi gruppi politici. Chi frequentava gli ambienti extraparlamentari magari era portato a considerare di destra persino i togliattiani e certamente i socialisti craxiani e considerava di sinistra soltanto lotta continua, potereo peraio ecc. ecc.. Chi si collocava in una prospettiva parlamentare considerava di sinistra la corrente della sinistra di base della dc i socialisti parte dei repubblicani i comunisti, i socialdemocratici. Ma ciò che contava, ciò che era rilevante, era essere comunista, socialista, demoproletario, repubblicano, cristianosociale, socialdemocratico. Questi erano tutti significanti dotati di preciso significato (spesso all'idea corrispondeva anche un tipo di militante, ossia di uomo). Quando i significanti dotati di significati sono venuti meno, allora l'espressione generica, riassuntiva, e polisemica (sinistra per un extraparlamentare designava gruppi umani del tutto diversi da quelli designati con la parola sinistra da chi si collocava in una prospettiva parlamentare) è emersa per colmare il vuoto. Ma sempre vuoto di idee rimane. La dicotomia sinistra destra è una semplificazione banale che vuole negare la realtà pluralista, complessa, complicata. Come come sud e nord negano che esista un centro italia, come omofobi e omofili negano l'esistenza della maggioranza dei cittadini che non sono né omofili né omofobi, come berlusconiani e antiberlusconiani credono di esaurire lo spettro delle posizioni politiche. Per quanto mi riguarda credo che sovranismo sia termine idoneo, a riunire,nella fase politica dei prossimi quindici anni poi, in caso di vittoria, ovvio che esisterebbero più partiti sovranisti,potenzialmente, l'80% dei cittadini. Sono esclusi dalla prospettiva i rossi rossi (2,5%) i neri neri (2,5%), i rossobruni (0,2%),i fanatici dei diritti civili (2,4%), i fanatici integralisti reazionari (2,4%) e il 10% dei cittadini che ha convenienza economica a continuare ad essere liberista . Insomma sono esclusi soltanto i fanatici e il nemico di classe.
PS Complimenti ad A. C. per il rigoroso commento.
Stefano D'Andrea
Certo destra e sinistra non hanno senso, se scompare la lotta di classe.
In questo orizzonte, in cui la lotta i classe si è eclissata per 30 anni, è evidente che si è eclissata anche la distizione fra destra e sinistra.
Ma si tratta di una eclissi, di qualche minuto (30 anni nella storia sono un niente), non un tramonto.
Moreno fa un'analisi giusta, ma poi sbaglia la conclusione. Non è certo nel sovranismo, nell'uscita dall'euro con l'aggiunta "da sinistra", che si risuscita la sinistra stessa.
Deve ripartire il conflitto di classe. Ha ragione sempre Moreno quando in altri articoli scrive che la classe operaia è catatonica. Ma è vero che o riparte quel conflitto lì oppure di che vogliamo parlare?
Mi fanno ben sperare i movimenti nati dal 19 ottobre: gli scontri di ieri in via del corso, i 20 stabili occupati a Roma in una settimana, i 4500 sottoproletari che si sono presi una casa senza paghare ne affitto ne i politici...
Insomma, la classe operaia è catatonica, le metropoli sono ormai senza fabbriche (a Terni o a Taranto ci sono più metalmeccanici che in tutta Roma), ma c'è un (sotto)proletariato metropolitano e per certi versi antimetropolitano che sta alzando la testa.
A chi dorme su una panchina o sfonda una porta per avere un tetto dell'euro non glie ne frega un cazzo. I convegni di Chianciano hanno formato, spero, un intelletto collettivo, ma ristretto...ora dovete andare per strada!
Perché l'mpl non si unisce a questo movimento e non occupa uno stabile?
caro D'Andrea,
non so cosa ti risponderebbe Moreno, ma io che c'ero, prima dell'89, ben ricordo che il fatto che esistessero più organizzazioni, nulla toglieva al fatto che la categoria di sinistra andasse per la maggiore. E come se ci andava!
Fosse meno giovane capiresti.
Il punto che non capisci, che forse non vuoi capire, che la categoria "sinistra" non qualificava un formale posizionamento su una retta ai cui poli c'erano le estreme. Qualificava piuttosto una comunità di classe, mossa dall'ideale della liberazione dalle catene capitaliste e imperialiste.
Una comunità che non era di tipo religioso o mistico, ma che si basava sulla lotta di classe, su una rete capillare di organismi di contropotere operaio e popolare.
Chi stava dentro quella comunità era considerato un "compagno", quindi di sinistra. Chi era fuori non lo era. Punto.
Quella sinistra lì è venuta giù perché la comunità sociale su cui si basava, la sua ossatura per capirci, è andata in pezzi.
Qui sta la radice della metamorfosi della sinistra tradiazionale (come Moreno segnala), che da espressione politica di una classe sociale oppressa è diventata espressione della classe opposta.
Del resto non è la prima volta che un simile salto di classe avviene, era già avvenuto per tappe diverse con le socialdemocrazie (Psi incluso).
Per cui, o si ricostruisce nel conflitto la comunità proletaria ( e dentro ci saranno tante cose) o in effetti l'idea di sinistra rimane quello che è, un civilismo borghese deviante.
Qui sta il punto D'Andrea. Mpl lega lotta di classe e sovranismo, tu no. Mpl vuole ricostruire nella lotta di classe una comunità proletaria solidale che diriga la nazione, tu ti muovi in una logica interclassista oserei dire classica.
Eugenio
Quello che "lotta di classe" non cerca o forse non vuole comprendere è che la battaglia per la sovranità, per sganciare il paese dalla catene dell'euro-dittatura può e deve diventare una questione di classe. Deve diventare un'arma. Se la impugna la destra avremo un'uscita reazionaria dall'euro, se la impugnamo noi avremo un'uscita rivoluzionaria.
La lotta di classe non è solo la lotta tra operai e padroni per spartirsi il reddito disponibile (economicismo volgare). Questa si manifesta su piani diversi e multiformi. La lotta di classe può assumere varie forme, come del resto la storia insegna. Anche quelle nazionali, culturali, democratiche e addirittura religiose.
Il proletariato può diventare classe dirigente di una nazione (a maggior ragione di più paesi) solo se, di contro all'avversario, da risposte convincenti e autonome sui diversi piani del conflitto. E quello sul destino del nostro Paese lo è per eccellenza.
Altro che occupare uno stabile! Qui si tratta di occupare i sancta sanctorum del potere!
Venendo da una vita e una tradizione familiare di sinistra sul recupero delle nostre sovranita' mi sono trovato spesso a discutere ed essere d'accordo con militanti di forza nuova o casapound strano vero? il comunismo e il nazzifascismo sono stati sconfitti dall'unica vera dittatura ancora rimasta in piedi ovvero il capitalismo liberista/finaziario/globalizzatore/bancario/sionista. Nei miei scambi di opinioni e materiale con i militanti di destra ho capito che su molte cose la pensiamo allo stesso modo e che rimanere divisi serve solo a fare un favore ai padroni del mondo,io direi di mettere da parte cio' che ci divide e cercare di fare un fronte comune per riprenderci le nostre sovranita' dopo potremo tornare a dividerci.In ultimo vi metto un link dove uno che si definisce camerata scrive una lettera ad un ipotetico compagno vedrete come dal suo punto di vista si senta dalla parte della ragione questo per dire che sia a dx come a sx esistono brave persone che vorrebbero il bene del popolo ma che rimangono divisi da ideologie vecchie di secoli.La verita' probabilmente sta' come sempre nel mezzo
http://www.lamoscabianca.eu/OPINIONI/lo%20scaffale%20caro%20compagno%2005082009.htm
"La lotta di classe può assumere varie forme, come del resto la storia insegna. Anche quelle nazionali, culturali, democratiche e addirittura religiose."
Ben detto: considerazione di ampio respiro.
A proposito di "uscite da destra"... e di testa
Bagnai va fiero che BOLKESTEIN ha firmato il suo manifesto!
Bolkestein si unisce al Manifesto
Si proprio così!
Il famigerato liberista olandese Frits Bolkestein (gruppo Bilderberf) il Commissario europeo per il Mercato interno Ue ( 1999-2004, Prodi Presidente).
Sì proprio lui!
Quello della scandalosa "Direttiva Bolkestein" basata sui dogmi della liberalizzazione, della competitività, e della deregolamentazione dei mercati del lavoro, quindi dell'attacco ai salari e ai diritti sindacali dei lavoratori.
C'è ancora chi ha dei dubbi su dove va a parare Albeerto Bagnai?
W i marxisti dell'Illinois, verrebbe da dire.
Caro Moreno, non avrei replicato se tu non avessi fatto delle delle affermazioni come la seguente:
"L'errore consisteva nell'ipostatizzare la "globalizzazione neo-liberista", nel concepirla come fosse un nuovo stadio post-capitalista e meta-storico—contraddistinto (per Preve) dalla fine del conflitto antagonistico tra le classi."
Ma che assurdità è..? Se Preve, e anche Fusaro, e nella mia irrilevanza, anche io, parliamo di capitalismo assoluto, cioè come dittatura del capitale, vuoi che parliamo di "fine del conflitto fra le classi"? Non è forse dalla guerra che il capitale, intendendo principalmente il grande capitale nella sua forma finanziaria, ma con la parte4cipazione dell'intera borghesia, ha scatenato con la svolta neo liberale che deriva la distruzione delle economie nazionali e la stessa crisi di fette importanti di borghesia? Chiami "idea della fine del conflitto di classe" l'idea che il capitale ha trasformato il profitto in dittatura senza mediazioni?? O pensi che Preve (e altri che ne condividono il pensiero)non condividano l'idea che "L'asse implicito nel mio discorso, invece, è che questa che abbiamo davanti non è solo una crisi passeggera del sistema, è la globalizzazione liberista che collassa"? Non posso pensare che tu conosca poco il filosofo di cui stai parlando, ma allora se cerchi di costruirti degli interlocutori di comodo, non lavori in modo positivo per la discussione, e manchi anche tuo ruolo come informatore, visto che Sollevazione è, in ultima analisi, una rivista. Poi ci sarebbe da dire sulla sinistra, che tu neghi di poter riconoscere in un aggregato che si possa definire nel suo insieme, e resta la differenza sul "dopo". Però per favore cominciamo con l'evitare le diffamazioni
A.C.
Secondo me, chi si richiama anche nella maniera più vaga e più originale che sia al pensiero di Marx, non può abbandonare la dicotomia sinistra/destra.
La sinistra è il partito del proletariato e la destra rappresenta la borghesia. Così, negare il discrimine destra/sinistra, mi sembra implichi negare la divisione in classi, o quantomeno la sua carenza di utilità come categoria di riferimento della politica.
Naturalmente, chi come me non si richiama al pensiero di Marx, può coerentemente sostenere la necessità di superare la dicotomia destra/sinistra, se non altro perchè inchioda la politica su un unico asse.
Mi chiedo se il marxismo non costituisca oggi parte stessa del problema, nel senso che esso viene concepito come l'unica forma possibile di opposizione totale all'ordinamento socio-economico in cui viviamo e che trionfa praticamente in tutto il mondo.
Se per un attimo ammettessimo anche solo come ipotesi di lavoro che il marxismo abbia fallito, in questa ipotesi non sarebbe allora vero che insistere e persistere nel professare il marxismo costituirebbe oggettivamente un fattore di conservazione dell'ordine esistente perchè ostacolerebbe l'affermarsi di pensieri antagonisti alternativi?
Non è qui la sede per entrare nel merito di una radicale critica al pensiero di Marx, ma nel frattempo potrebbe risultare preziosa una posizione più aperta e disponibile verso forme ideologiche nuove.
Le correnti politiche e i movimenti di pensiero (destra e sinistra comprese) sono insiemi di pregiudizi allo stato fluido, in fase di continua evoluzione. Il fatto che due di questi flussi magmatici possano o meno trovare elementi di sintesi dipende da quali fra i tanti e compositi loro elementi si vuole privilegiare. Le idee pratiche sono “immagini socialmente e storicamente costituite, il materiale della narrazione identitaria, del processo di identificazione” (Franchi): un mondo di nuvole e di raggi di luna plasmabile ad libitum.
Ecco perché la questione del superamento della dicotomia destra/sinistra non ammette una risposta univoca. Dipende da cosa si intende con questi termini. La sinistra è sempre stata legata all’adozione di orientamenti umanisti ed egualitari. Se tale aspirazione viene ritenuta soddisfatta dall’abolizione del capitalismo di rapina ed il ritorno a un capitalismo sano, sociale e politicamente controllato (sul modello della socialdemocrazia anni ’70), vi sono innumerevoli punti di contatto coi movimenti di estrema destra, che denunziano con pari forza lo svuotamento della democrazia, la dittatura plutocratica di Bruxelles e delle lobbies installatevisi, e come voi auspicano una sollevazione popolare finalizzata a ripristinare uno stato sociale e sovrano.
Se invece il riferimento umanista-egualitario viene radicalizzato da un punto di vista qualitativo o quantitativo la sintesi si fa problematica. Da un punto di vista qualitativo, nel senso di aspirare al superamento del capitalismo, e/o quantitativo, nel senso di voler estendere la garanzia del benessere alle orde terzomondiste.
E’ un peccato, perché come vi ho già fatto notare qui si entra nel sogno ad occhi aperti. Cosa sia il socialismo libertario a cui vi appellate non lo sapete nemmen voi; come sia possibile difendere il benessere dei lavoratori occidentali stemperandolo in quello dei miliardi di disperati che vivono nel prolifico terzo mondo, non siete mai stati in grado di spiegarlo. E’ però anche vero che, in politica come nella religione, “i termini dal significato più confuso possiedono a volte il più grande potere” (Le Bon): senza messianesimi è difficile convincere il gregge a farsi scannare. Il vostro sogno potrebbe rivelarsi utile.
DIFFAMAZIONI?
Gentile A.C.
con lei si gira il più delle volte in tondo ciò che suscita nell'interlocutore la sensazione disperante della vacuità del dialogo.
Lei sostiene che sia "assurdo" quanto da me scritto a proposito del pensiero preve-fusariano, ovvero che il loro più grave errore consiste: «... nell'ipostatizzare la "globalizzazione neo-liberista", nel concepirla come fosse un nuovo stadio post-capitalista e meta-storico—contraddistinto (per Preve) dalla fine del conflitto antagonistico tra le classi»
Assurdo? ma davvero?
Ma è proprio lei che ci conferma il contrario quando afferma che il vostro paradigma interpretativo è il ..."capitalismo assoluto".
Un'ipostasi, appunto, e nella sua forma chimicamente pura.
Che bestia sarebbe il "capitalismo assoluto"? Una nuova formazione sociale? O solo, come pensa il sottoscritto, una diversa modalità di dominio del captale, qualitativamente non diversa dal sistema tradizionale? Quindi contraddistinto dalle leggi e dalla congenite contraddizioni enunciate da Marx?
Sentiamo come lei stilizza questo "capitalismo assoluto": «dittatura del capitale senza mediazioni». A occhio e croce mi ricorda le scempiaggini di certa ultra-sinistra armata anni '70, quello sullo "Stato imperialista delle multinazionali", o sulla "dittatura borghese dispiegata". La stessa sciocchezza, infatti, per cui il capitale dominerebbe "senza mediazioni". Da questa premessa i brigatisti trassero la logica conseguenza che la sola opposizione efficace fosse quella armata.
Quali conclusioni si debbono ricavare dall'edizione riveduta e corretta di questo radicalismo parolaio? La fuffa che la dicotomia destra-sinistra sarebbe superata. Da un'ipostasi se ne ricava una seconda.
"Capitalismo assoluto" è una vacua definzione letteraria, politicamente inservibile.
Più ci girate attorno più mi convincete che la sorgente del discorso di destra della fine della dicotomia non è che l'interiorizzazione della vittoria del pensiero unico liberista, che infatti si basa sull'assunto che il capitalismo non ha più nemici. Un suo rivestimento sotto le mentite spoglie di una cattiva filosofia.
La globalizzazione neoliberista è venuta avanti solo dopo una grande sconfitta del movimento operaio. Di sconfitte, ed anche più devastanti, il movimento operaio ne aveva già subite altre. E dopo ogni sconfitta c'erano i giullari di corte della borghesia che teorizzavano la vittoria definitiva e la vita eterna del capitalismo. Ma dopo ogni sconfitta il movimento rivoluzionario risorse, e risorse proprio come conseguenza della tendenza del capitale al dominio assoluto, la quale porta all'estremo le sue congenite contraddizioni.
E se anche questa volta, come siamo certi, il movimento risorgerà, l'espressione linguisitica si dovrà adattare al suo fondamento contenutistico.
Come ho detto nel mio articolo un conto è che una determinata opposizione sociale e politica sia temporaneamente soppressa (eclissi), un altro è che sia defunta per sempre (tramonto).
L'errore imperdonabile di Preve e, a rimorchio, di Fusaro è che hanno confuso il temporaneo col perenne, una istantanea con un film. Se mi è consentita la digressione filosofica: il finito con l'infinito.
Moreno Pasquinelli
caro Pasquinelli,
non convincerai mai quelli che dicono che la sinistra, ogni sinistra, è morta e non potrà mai risorgere. Come dici tu questi hanno ormai "interorizzato" la sconfitta e, senza accorgersene, sono prigioneri nel mondo simbolico del nemico di sempre.
A me sembra che la parte più importante del tuo intervento sia quella finale, politica, dove ribadisci la proposta del MPL e spieghi le differenze tra "fronte" e "CLN".
Chi sostiene la fine della dicotomia pensa ad un CLN che metta dentro tutti, dai comunisti, ai badogliani, ai monarchici. Destra e sinistra.
Ed hai hai ragione a dire che la situazione in cui ci troviamo non è come un'occupazione militare, che la lotta oggi è invece per la conquista del potere e non anzitutto una lotta di liberazione nazionale.
Quindi giusto parlare qui e ora di FRONTE, fondato su un programma comune di governo, e non di un CLN.
ma che filosofia e filosofia! I discorso sulla fine delle categorie di sinistra e destra me lo sento fare al bar ogni giorno, da qualunquisti rimbambiti da 20 di propaganda di regime.
Chi fa certi discorsi è un populista che va dietro agli strati più spoliticizzati degli italiani. Invece di svegliarli alla coscienza sociale li lascia nel loro stato ipnotico.
Purtroppo mi pare che il problema non stia tanto nel fatto che non si sia riusciti a creare una forza sistemica che superi la dicotomia Destra-Sinistra...
...il problema è che mi pare che quella che potremmo definire "offerta politica" che proponete come "di Sinistra" sono i soliti argomenti-corollario che da *oltre* 30 anni caratterizzano la politica dell'Estrema Sinistra italiana:
Ma realmente credete di avere qualsivoglia potere aggregante sventolando allegramente bandiere come il "solidarismo pro-immigrazione" ed il "garantismo senza limiti"?
Senza offesa, ma sono tematiche che
avranno avuto pure seguito negli anni '70 ed '80 (io ero bambino negli anni '80, quindi non saprei...)...perchè la gente aveva ancora un pò la pancia piena, perchè di immigrazione ce n'era ancora poca, perchè di delitti pazzeschi e gratuiti forse ce n'erano meno che ora...ma *soprattutto* perchè c'era ancora il grande sogno del "Bel Sol dell'Avvenire" socialista!
Obiettivamente, come potete credere
che, ad oltre 20 anni dalla disoluzione dell'URSS e dalla fine del "bel sogno" sovietico, idee del genere possano avere ancora un potere di aggregazione?
Il problema non è l'impossibilità di superare la dicotomia Destra-Sinistra...il problema è che la Sinistra, nella chiave in cui la concepite voi, è entrata in un processo di totale disintegrazione e che ci si è ridotti a litigare persino nello stesso "micro-cosmo"
dell'estrema sinistra extraparlamentare!
Ma vi rendete conto che vi proponete di cercare il consenso in una realtà di m...a dove te lo mettono in c...o e ti tradiscono persino l'amico che credevi fidato o l'ex-collega con cui eri in ottimi rapporti?
...e voi credete di ottenerlo senza mettere da parte i soliti argomenti ed unicamente con la posizione "anti-euro"?
Eugenio: La Sinistra di cui parli aveva in seno i germi per la nascita della Sinistra "di governo" contro cui ci si scaglia ora...e ne aveva anche in seno buona parte degli attuali membri.
Dietro alla stronzata del "siamo tutti compagni" c'erano da ben prima degli anni '80 le coop rosse che si arricchivano, quelli che erano di Sinistra perchè era
"di moda", gli opportunisti putridi
che erano lì perchè avevano modo di esserci (per conoscenze, convenienze e parentele) e quelli che a combattere per il Popolo avevano da tempo rinunciato (quelli a cui, secondo Contessa, bisognava sputare addosso)!
Faccio gentilmente presente che fino alla Bolognina avreste chiamato non solo "compagno", ma persino "comunista" gente come Napolitano, D'Alema, Veltroni (e c'era persino Bondi!!)...e...devo continuare l'elenco?
Il problema è che la parola "Sinistra" è stata per troppo tempo in Italia una coperta di facciata sotto cui si è potuta ficcare tutta la *merda* possibile ed immaginabile...a parte...sì, bè...quelli che si "dichiaravano" fascisti! (XD)
Ê come dire "io sono un carciofo" ed improvvisamente divento uno spinoso fiore!
Pur ammettendo che io stesso sono affascinato da alcuni aspetti di quello che potremmo definire "classico identitarismo di Sinistra"...il mito del Che, le canzoni di Guccini o dei Modena, il "Bel Sol dell'Avvenire" socialista...non si dovrebbe dimenticare questa "coperta" è servita per nascondere cose molto più brutte e che tuttora stiamo pagando salato!
[...mi riferisco a tutta quella feccia ex-comunista che impesta questo Paese facendoci inculare dai capitalisti (nostrani e non)...fosse per i gulag o gli "effetti collaterali" del socialismo reale la coperta poteva pure starci (in fondo persino i milioni di morti furono causati da compagni in perfetta buona fede)! Anzi...francamente vorrei vedere certi "ex-compagni" finire proprio nei gulag!]
Quindi...alla luce di questo...anche se coi fascisti non ci combinerete nulla (e si sa)...è realmente sensato rivangare un identitarismo di Sinistra che si è già ai tempi dimostrato una "pelosa" coperta??
Veritas odium parit: Non saprei:
Quando l'URSS si dissolse ero ancora bambino, tant'è che alla fine delle elementari feci la mia "ricerchina" sulla dissoluzione dell'URSS e che in
seguito continuai a lungo a credere che i comunisti avessero voluto renderci uno Stato satellite del colosso sovietico.
A posteriori però devo ammettere che il sogno del "Bel Sol dell'Avvenire" socialista, incarnato dall'URSS e da altri "paradisi socialisti" (di cui poco si sapeva), era un bel sogno percui valeva davvero la pena di combattere e anche di morire.
Colla coscienza che ho oggi, credo che io stesso, avendo vissuto alcuni decenni prima, avrei potuto credere e lottare per un sogno così grande, nobile e potente.
Il problema è che non mi pare che i "sogni" proposti abbiano eguale valore e significatività...se uno è per il pietismo cristiano c'è già Papa Francesco che è molto più carismatico, sorprendente e mediaticamente accorto dei compagni...e se non si è per il pietismo cristiano che genere di sogno può essere quello di una "Sinistra alla Manu Chao"?
In tutta franchezza...non credo che avrei vissuto bene sotto Stalin (intendo...ho il sospetto che il compagno Stalin mi sarebbe stato un pò sul c...o...), ma un comunismo "muscolare e pragmatico" come quello che venne fuori dalla Rivoluzione d'Ottobre lo capisco e lo apprezzo molto di più che non il pietismo della "Sinistra" moderna!
E no...non credo che quest'ultimo abbia un sogno percui riesco ad immaginare qualcuno potrebbe mai pensare di combattere o morire! (XD)
Molto istruttivo leggere questi commenti. Quelli che Pasquinelli chiama "terzocampisti" dove si aggrapano? Guarda un po' alla questione........ della "orda" (ho letto bene "ORDA") migratoria.
Il "terzocamoismo"....
Una vecchia favoletta fascista ai tempi della guerra fredda: "Nè Usa Nè URSS".
Ora che l'Urss non c'è più ci hanno messo al suo posto "la sinistra".
Gratta gratta sono dei bei fascistoni, xenofobi e razzisti.
Anonimo del 01 novembre 2013 13:34:
A me non mi ha educato nessuno ad "odiare i fascisti", ma a vedere che genere di soggetti ottusamente ringhiosi e lagnosi mi verrebbe quasi da parafrasare un vecchio slogan:
"La Resistenza ce l'ha insegnato, uccidere un fascista non è reato"...no...è una misericordiosa soppressione! (XD)
La cosa particolarmente "succosa" è
che nessuno nega che la Storia possa essere, a posteriori, manipolata dai vincitori, ma l'autore è così preso da vomitare il suo odio contro i comunisti ed una valanga di cazzate propagandistiche "classiche" a mio avviso pressochè chiunque legga l'articolo sente come moto spontaneo quello di dire "ma va a cagare cazzone d'un fascista...tornatene nelle fogne!".
Va detto però che il fatto che, a differenza delle cazzate che vomita sulle foibe o sui gulag, certi argomenti non facciano parte degli "strumenti propagandistici" e che siano perlopiù ignoti fa sospettare che, probabilmente, non ci sia grande fondamento dietro a quei pochi "spunti" che sparge nell'oceano di puttanate che proferisce.
Per quanto riguarda le foibe ed i gulag, la mia personale opinione è questa:
a) L'infoibamento fu una pratica iniziata dai fascisti in Jugoslavia. Colla polarizzazione del conflitto, inevitabilmente la componente nazionalista ha prevalso
in seno alla resistenza jugoslava (perchè il nazionalismo mica è solo "nero"), quindi, finita la guerra, questa pratica fu applicata
anche ad individui italiani non-fascisti. L'odio è una brutta bestia...una volta che lo fai uscire è difficile
che se ne torni "a cuccia" senza conseguenze e, mi pare, nessuno ha invitato i fascisti ad andare a rompere i coglioni agli Jugoslavi.
b) Per quanto riguarda i gulag...
non mi fa nè caldo nè freddo quanti
milioni di morti abbia fatto Stalin coi gulag. In tutta franchezza ci spedirei volentieri
anche una buona fetta degli italiani (politici, clientes, etc...) a crepare in Siberia.
Per me conta che è oltremodo evidente che Stalin non fece ciò che fece per arricchirsi o avvantaggiarsi a scapito del suo popolo e che non "creò in laboratorio" il Comunismo per prendere il potere (come fecero Hitler e Mussolini), quindi quei morti furono probabilmente in parte giustificati e in parte un terribile "effetto collaterale" che
in un importante esperimento sociale putroppo capitano.
Anche la Rivoluzione Francese fece tra i 2 milioni ed i 2,5 milioni di morti...su una popolazione di quasi 28 milioni (circa il 10%)...
ma nessuno mi pare si sia lamentato, dato che quasi tutti tendenzialmente concordano che comunque gli ideali percui combattevano i rivoluzionari
erano più che legittimi.
Quindi...bè...quella "lettera" a mio avviso è "pura fuffa provocatoria".
Interessatissimo alla discussione, e vi entro solo per fare un appunto a Guido:
Le vittime della repressione staliniana furono in numero molto inferiore a quello che si crede, e non si fa distinzione fra incarcerati e dissidenti, e fra carceri e gulag.
P.s. Credo sia stata anche troppo leggera, visto che alla sua morte gli avvoltoi iniziarono a volare in stormi possenti.
Anonimo del 03 novembre 2013 21:59:
Quanti siano stati i morti della repressione staliniana a mio avviso non è un fatto rilevante:
Che siano stati 100.000 o 9.000.000 non cambierebbe nulla del mio ragionamento...
Per quanto riguarda il fatto che sia stata "leggera"...bè...il fatto che uno dei suoi massimi artefici, Lavrentiy Beria, a quanto pare, con Stalin morente, si fosse abbandonato ad un alternarsi di sputi sul moribondo quando sembrava morente e sceneggiate ipocrite quando stava riprendendosi...
http://en.wikipedia.org/wiki/Lavrentiy_Beria#Stalin.27s_death
In effetti è il paradosso di certe scelte radicali:
Le epurazioni talvolta sono necessarie e la soppressione fisica di nemici e traditori (come ci dimostra il Terrore francese) è una dura necessità, ma quando si perde il sottile equilibrio nell'uso della repressione si finisce per avere i peggiori...quelli che sarebbero da uccidere e dare in pasto ai cani...
ad essere tra i più solerti esecutori delle proprie volontà.
Io penso questo,
penso che siamo dentro un passaggio epocale e come in ogni passaggio epocale le forze vecchie saranno messe ai margini dalle forze nuove. Forze che dopo decenni di "crisi delle ideologie" avranno identità forti, si baseranno necessariamente su idee forti di società.
E sono d'accordo con l'autore dell'articolo che come sempre queste forze esprimeranno una profonda polarizzazione sociale.
Non penso che i fascisti si ripresenteranno nella vecchia forma. Non penso nemmeno che i comunisti si ripresenteranno nella vecchia forma.
Le forme cambieranno, ma la sostanza sarà la stessa.
Che pensa ad un'alleanza rosso-bruna ha la testa fra le nuvole. Ci provò Stalin con Hitler, si vide come andò a finire.
Alleanze non possono costruirsi solo per l'odio verso un regime, sarebbero un guazzabuglio. Si costruiscono non su un NO ma su pochi ma chiari SI. Mi dite un singolo sì su cui fascisti e comunisti possono accordarsi?
I problemi sociali e quelli politici, economici, sono la conseguenza di come i bisogni emozionali se non pienamente gratificati si trasformano in pensiero che diventa il suggeritore, la memoria insoddisfatta che si cela in ogni mente. Ogni lavoro che l'uomo svolge, e condizionato da questo bisogno, che sarà subliminato dal denaro per accedere ad ogni forma di gratificazione sostitutiva che non potrà mai risolvere il bisogno emozionale primario. E' illusorio pensare di risolvere i problemi sociali, economici e politici sostituendo i soggetti che hanno creato i problemi, perché la causa dei problemi è nell'uomo stesso che trasforma ogni professione nell'occasione di soddisfare il suo bisogno più celato in quanto il pensiero del bisogno lo tenterà o prenderà totalmente il controllo sulla coscienza. La risoluzione dei problemi umani se non parte dai bisogni emozionali sarà vano pensare di sostituire il vecchio con il nuovo, in quando il nuovo cela in sé gli stessi bisogni che inquineranno ogni cosa che l'uomo fa per tentare l'impossibile di soddisfare in modo deformato il celato problema di essere affamato d'amore. Sia a Destra che a Sinistra o al centro, le idee politiche come la storia insegna hanno fallito il loro intento di migliorare la condizione umana verso la consapevolezza. Nella religione, il cristianesimo non è riuscito a mettere in pratica l'idea d'Amore di Cristo. Il comunismo è fallito perché ugualmente gli uomini non hanno concretizzato l'idea rivoluzionaria economica e sociale di Marx che facesse finire lo sfruttamento l'uomo su l'uomo. Potrei continuare ad elencare i fallimenti di idee illuminanti nate da uomini singoli per cercare di far ragionare gli uomini a prendersi la responsabilità del cambiamento in se stessi. Tutti i tentativi religiosi e politici sono franati quando i discepoli e gli attivisti hanno preso in mano il pensiero illuminante e lo hanno deformato al loro bisogno causando i disastri che la storia di tali movimenti racconta.
I problemi umani, non sono imputabili quale fede o pensiero essi appartengano, ma di come il comportamento incoerente umano è in contraddizione ai principi religiosi o laici di cui gli esseri umani a parole dichiarano di appartenere e voler seguire. Essere persone giuste e oneste, esula da essere credenti o non credenti, o di essere, italiani, francesi, ebrei, americani, tedeschi, cinesi, ecc.. ecc.. I sentimenti negativi di odio, rancore, gelosia, invidia, sono universali in ogni latitudine del pianeta terra. Bisogna chiedersi come mai il comportamento distruttivo umano, non è cambiato nonostante si appartenga ad una comunità, religiosa o laica? Come mai in pubblico si parla di Cristo, e poi non si mette in pratica ciò che Cristo ha fatto attraverso il Suo comportamento autentico? Il vero problema quindi e che si continua a tradire con il proprio comportamento, ciò che l'originale esempio di vita vera ha messo in pratica, poiché pochi sono coloro che fanno il lavoro dentro se stessi, per essere delle persone giuste e oneste come gli illuminati che hanno dato inizio ad una religione o un pensiero laico. In 2000 anni il comportamento umano e rimasto identico, e siamo ancora qui, a dividerci perché nessuno si riconosce di essere TUTTI la stessa cosa. Se ci concentrassimo sul comportamento umano, invece di fare lunghe discussione culturali, religiose o politiche, si scoprirebbe il vero motivo del perché gli esseri umani, sono in contraddizioni con i loro stessi credi o pensieri. Il Bene non può avere colore ma continuiamo a dividerci perché ognuno difende la propria identità.
CONTINUAZIONE
-------------
Nell'identità non ci può essere la Verità, perché ogni identità si costruisce una propria verità per salvaguardare se stessa, così tutti si sentono convinti che la propria identità alla fine debba prevalere su tutte le altre identità. Non lo si decide pubblicamente, ma da sempre si opera per ingrandire se stessi perché appunto ogni identità crede che la sua sia la migliore di tutte. Questi sono fatti, la storia non la si può negare, studiare il comportamento malsano umano e trovarne la causa dovrebbe essere la priorità assoluta, sia individualmente in noi stessi, e questo darà più credibilità, a chi si professa Cristiano, Musulmano, Ebreo, perché solo nel cambiare il proprio comportamento distorto, si potrà trovare una possibile convivenza civile, e in seguito superare ogni divisione che purtroppo gli esseri umani ancora hanno dentro di sé e di conseguenza li condiziona a comportamenti che sono il prodotto della corazza caratteriale e somatica che imprigiona la vita nell'ambivalenza di essere la brutta copia della vita libera da cui tutti gli esseri viventi pensanti si sono allontanati e non sanno più esprimerne le basi emozionali della vera vita.
Se non cerchiamo di riflettere sulla reale causa del perché le idee illuminanti non riescono ad essere materializzate nella loro profonda luce di liberazione umana, i fallimenti saranno inevitabili. Le masse degli esseri umani si sono sempre identificate non nelle persone che gli hanno fatto vedere la loro miseria emozionale, ma in quelle persone che trovavano simili, facendo ciò hanno invece messo in croce tutti quelli che cercavano di farli riflettere. Se gli individui non si prenderanno la responsabilità di vedere in se stessi la causa che fa fallire ogni idea religiosa o laica, è illusorio credere o pensare che i partiti politici di qualunque idea, possano risolvere i problemi degli esseri umani che delegano ai politici la loro inconsapevole esistenza incapace di autogoverno. La storia Umana è li, TUTTI la possono studiare. Iniziare a vederla con occhi svuotati da deformazioni emozionali, sarà il primo passo per capire dove sta la via d'uscita alla miseria emozionale che ancora oggi impregna gli esseri umani in ogni angolo del pianeta.
Anonimo del 06 novembre 2013 14:38:
Il Socialismo Reale...cioè quello che tu etichetti come "Comunismo"
...non ha mai cercato di rendere l'uomo migliore di quello che è.
L'uomo è una bestia senziente e sulla base di questa condizione bisogna costruire una società futura.
Il Comunismo sostiene essenzialmente che il Capitalismo è un sistema sociale che, in prospettiva, è suicida e può essere superato o trascinarci tutti in nuove ere buie nel corso della sua agonia (sempre che non ci uccida nel processo).
Nei giorni scorsi mi è capitato di ragionare riguardo alle leve motivazionali degli individui, ho riflettuto sulle burocrazie "malate" come quella che vediamo troppo spesso nel nostro Stato e sono giunto alla seguente conclusione:
Il Socialismo Reale si è suicidato essenzialmente per due ragioni:
a) La mancata comprensione del fatto che non può esservi Uguaglianza senza Giustizia.
b) L'incapacità di superare l'incentivo materiale come strumento motivazionale.
Mi spiego...
L'Uguaglianza nella sua accezione più rozza vuole un trattamento indistinto per tutti...ma questa è una concezione rozza ed ottusa di ciò che "uguaglianza" significa:
Possiamo teorizzare che a tutti vengano date uguali possibilità e diritti, ma, quando un individuo
viene messo alla prova, la Giustizia vuole che chi si comporta bene venga premiato e chi si comporta male venga punito.
Ciascun individuo desidera essenzialmente che i propri sforzi e sacrifici vengano riconosciuti e
che se qualcuno "rema contro" questo paghi o, comunque, non venga ingiustamente premiato.
Il Socialismo Reale ha fallito in modo grave ed estremo su questo punto...ma la cosa più grave è che tra noi comunisti permane la concezione rozza ed ottusa di uguaglianza a cui accennavo prima.
Questa concezione porta a situazioni malsane come quelle che possiamo tristemente riscontrare in tante e troppe realtà pubbliche italiane:
Il burocrate ignavo, acefalo e menefreghista che si trova ad essere onnipotente invece che servire lo Stato (e i cittadini) percui lavora...e magari si trova parificato alle "mosche bianche" che, pur facendo teoricamente lo stesso lavoro, vivono tale ruolo come "servizio allo Stato".
Di fatto gli unici momenti nei quali l'errore, l'inefficienza o il fallimento venivano puniti duramente furono i momenti nei quali i regimi del Socialismo Reale si trovarono di fronte al rischio dell'annientamento (come l'URSS nella 2a Guerra Mondiale), perchè in quei casi tutto ciò era punito con una durezza terrificante, ma la realtà è che il Comunismo troppo spesso ha ignorato la necessità di conciliare
queste due "necessità" umane.
->
-> L'incapacità di superare l'incentivo materiale come strumento motivazionale fu però il punto focale del collasso di questi esperimenti:
Una società dove l'Eguaglianza diveniva livellamento verso il basso e dove la Giustizia non veniva con essa conciliata, la gente era disincentivata a lavorare bene...chi lavorava male riceveva lo stesso trattamento di chi lavorava bene, quindi questo sforzo ulteriore alla fine non lo faceva più quasi nessuno.
Questo si tradusse in una minore produttività ed in un peggioramento
della qualità del lavoro svolto che
col tempo divenne percettibile a tutti, rendendo più "scintillante" il sogno dell'Occidente.
Non avendo cercato di trovare una leva motivazionale alternativa al "possesso", il Socialismo Reale risultò completamente indifeso nei confronti delle lusinghe del Consumismo.
La gente aveva il minimo essenziale, viveva in una realtà ingrigita da una Eguaglianza priva di Giustizia ed il desiderio di "qualcosa di più" spalancò le porte al Consumismo.
In effetti alla base della caduta dei regimi del Socialismo Reale non ci fu nulla di "ideale"...ci fu il fatto che società che si proponevano di fondarsi sulla natura umana (sporca e cattiva) fallirono miseramente nell'analizzare quella stessa natura umana.
Non c'era nulla di "utopico" nel Comunismo...ma il fallimento di comprendere che gli uomini non hanno tutti gli stessi desideri e le stesse motivazioni comportò l'impossibilità di imbrigliare quelle menti che aspirano alla libertà ed al successo (che è alla base dello spirito imprenditoriale)
e l'incapacità di rendere felice persino coloro che aspiravano alla sicurezza (che è alla base dello spirito del lavoratore)...perchè non esiste nessuno che sia "imprenditore puro" o "lavoratore puro"...ma illudersi che tutti fossero dei burocrati desiderosi *solo* di sicurezza fu un errore fatale del Socialismo Reale!
Quindi non condivido la tua lettura del Comunismo...è semplicistica e, a mio avviso, essenzialmente sbagliata.
Il Comunismo è una grande idea che ha un immenso potenziale...
purtroppo troppi di noi sono ancora ancorati agli errori del passato, quindi un suo ritorno "possente" e a breve lo vedo piuttosto remoto...
Dirò di più:
Il Comunismo è il futuro, perchè "Comunismo" è la parola con cui etichettiamo ciò che andrà a soppiantare il Capitalismo se e quando riusciremo a smantellarlo per passare ad un nuovo modo di produrre e di organizzare la società.
Il Comunismo è l'unica via per evitare l'annientamento della specie umana e l'unico modo per poterle consentire di sopravvivere e prospetare come un'entità collettiva su un pianeta a risorse limitate e in costante "erosione".
La mia concezione di Comunismo probabilmente non ha nulla a che vedere colla "pietas" in cui credono i compagni, perchè non nutro nessuna pietà nei confronti degli altri uomini...non nutro sentimenti così sdolcinati nei confronti degli altri esseri umani nè provo pena per la morte o la sofferenza dei singoli individui...
ma la specie umana è la mia specie e desidero che continui ad esistere a lungo (e, possibilmente, in essa, i miei discendenti).
Posta un commento