[ 15 novembre 2017 ]
«Non è un caso che abbia scelto proprio questa meta come primo viaggio da candidato premier del M5S»
«Ricordo a tutti che la prima visita di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dopo il nostro inaspettato successo nel 2013 fu all’ambasciata americana a Roma».
«Ricordo a tutti che la prima visita di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dopo il nostro inaspettato successo nel 2013 fu all’ambasciata americana a Roma».
«Siamo occidentali e il nostro più grande alleato in Occidente sono gli Stati Uniti»...
Il quotidiano LA STAMPA di ieri mette nel giusto risalto il pellegrinaggio di Di Maio negli Stati Uniti d'America. Lo riportiamo integralmente più sotto.
Ci limitiamo a dire che il filo-americanismo della cupola dirigente del M5S non ci stupisce. Chi ci segue sa che noi diciamo che l'establishment italiano non è tutto intruppato nel "Partito Tedesco", che una sua frazione è arruolata nel "Partito Americano". Renzi stesso (non certo tutto il Pd) fa parte di questa fazione. Agli Stati Uniti va benissimo l'Unione europea, ma non la schiacciante supremazia tedesca. Anche la Brexit deve spiegarsi sotto questa luce. La storia ha le sue costanti: l'imperialismo anglosassone non tollerò e non può tollerare un'Europa continentale sotto comando germanico. L'Italia, da questo punto di vista, è l'ago della bilancia, luogo di contesa strategica tra gli USA e il rinascente suprematismo imperialistico tedesco.
Contro entrambi questi partiti dei dominanti, il tedesco e l'americano, deve sorgere il terzo, quello della sovranità nazionale e popolare.
* * *
Di Maio vola a Washington: “Fedeli agli Usa, non a Mosca”
In viaggio per accreditare oltre Oceano la sua candidatura a premier
ILARIO LOMBARDO
INVIATO A WASHINGTON
«Non è un caso che abbia scelto gli Stati Uniti» ci tiene subito a far sapere Luigi Di Maio: «Non è un caso che abbia scelto proprio questa meta come primo viaggio da candidato premier del M5S». C’è un prima e ci sarà un dopo nella politica estera in via di definizione nel Movimento. In un’estrema sintesi: più Stati Uniti meno Russia (e Venezuela). Perché in questa trasvolata atlantica non c’è soltanto lo scontato desiderio di accreditarsi e cercare una vetrina, ma c’è anche voglia di fare chiarezza, di ridisegnare il volto internazionale del M5S. Perché nell’anarchia in cui spesso è stata lasciata, non si capisce bene la direzione verso cui tende la politica estera, rimasta in balia di troppe ombre. «Basta con questa storia della Russia e che siamo alla mercé di Putin - ha detto Di Maio nelle riunioni preliminari al viaggio - È una storia che non sta in piedi e che ci fa solo del male».
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Mr Di Maio va a Washington, infatti, mica a Mosca. Sbarcato nella capitale americana, ieri sera è stato a cena con l’ambasciatore Armando Varricchio accompagnato dal capo della comunicazione Rocco Casalino e dal consigliere politico Vincenzo Spadafora, a cui si deve molto della ribalta internazionale del candidato premier del M5S. Proprio come una fiaba di Frank Capra: il ragazzo di Pomigliano in cinque anni è passato dall’asfalto della strada dell’attivismo al pavimento lucido dei palazzi del potere globale. Di Maio è l’atlantista del gruppo ma sa benissimo che tra i grillini a giocare con la sponda russa sono stati in diversi. Alessandro Di Battista, il senatore Vito Petrocelli e soprattutto Manlio Di Stefano. Le sue perplessità per queste simpatie sono aumentate nel corso di questi anni di presunti condizionamenti elettorali in cui il M5S è stato associato a tutte le forze populiste e antisistema europee tenute in gran considerazione da Mosca. «Ricordo a tutti che la prima visita di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dopo il nostro inaspettato successo nel 2013 fu all’ambasciata americana a Roma». Il ragionamento che fa Di Maio è semplice: «Siamo occidentali e il nostro più grande alleato in Occidente sono gli Stati Uniti», se c’è un interesse della Russia «è da parte loro verso di noi». «Il M5S vuole solo fare gli interessi commerciali dell’Italia. Ecco perché siamo per togliere le sanzioni a Mosca».
Diverso è il discorso sulla Nato. Nel programma del M5S cucito addosso alle teorie più radicali di Di Stefano c’è scritto di voler «ridiscutere la partecipazione italiana nell’Alleanza». Vorrebbe dire strappare un sorriso a Vladimir Putin, insofferente alla presenza militare ai confini del suo impero. Per Di Maio la questione deve essere calibrata meglio. All’indomani della sua incoronazione, sulla Nato rispose così ai giornalisti stranieri: «Non siamo disponibili a rifinanziare il programma militare con altri 14 miliardi di euro». Un messaggio al presidente Trump che ancora avanza questa richiesta agli alleati? Un altro favore a Putin? Di Maio coglierà l’occasione di questo viaggio per chiarire che il M5S non accetterà di mettere più soldi, come vuole Trump, ma che «non è vero che vogliamo bloccare i finanziamenti alle missioni».
Insomma, siamo a una fase di tentata maturazione del pensiero politico grillino anche sullo scacchiere globale. Ora il M5S ha un leader dichiarato, «e una sintesi va trovata» confida Di Maio ai suoi. Basta con iniziative individuali e gaffe: come le dichiarazioni amichevoli sul Venezuela di Maduro della senatrice Ornella Bertorotta e ancora la disponibilità con i russi, considerata a tratti eccessiva, di Di Stefano, responsabile Esteri di fatto esautorato. Il candidato premier vuole una sorta di normalizzazione e la tappa a Washington serve a questo. A rassicurare, a provare a mostrare cos’è il M5S «e a spiegare che non siamo solo quello che raccontano». Ecco perché al di là dei colloqui a Capitol Hill con parlamentari repubblicani e democratici (il leader dei libertari Rand Paul è stato ferito da un vicino e l’incontro potrebbe saltare), è importante, agli occhi Di Maio e dei suoi consiglieri, l’appuntamento al Dipartimento di Stato. È un primo fondamentale approccio con l’amministrazione Usa, con gli ambienti più vicini a Trump verso il quale il grillino non nutre pregiudizi, «anche se - sostiene - restano gli stessi dubbi di tutti sulla sua politica energetica». Pure Trump non se la passa bene quanto a sospetti sulle manovre russe, ben più pesanti di quelli sugli ammiccamenti ai 5 Stelle. E anche se in Italia i rapporti del M5S con i giornalisti sono ai livelli del presidente Usa, Di Maio chiuderà il suo viaggio nella sede del «Washington Post» che di Russiagate e scoop ne sa qualcosa.
5 commenti:
«Siamo occidentali e il nostro più grande alleato in Occidente sono gli Stati Uniti» Giggino Di Maio
Da Gladio alla strage del Cermis da Sacco e Vanzetti a Chico Forti, da Nicola Calipari ad Amanda Knox...infinite conferme della simmetria di questa alleanza: UNO DI LORO vale uno di noi.francesco
Meno male che arrivato il M5S che con quei fresconi dei comunisti stavamo ancora a elemosinare per avere lo 0,1%.
Continuate a farvi le cose a vicenda mi raccomando, noi intanto cerchiamo di vincere le elezioni.
la BBC ammette l'inciucio USA-UK-ISIS
http://www.bbc.co.uk/news/resources/idt-sh/raqqas_dirty_secret
"Vincere le elezioni".....
per fare cosa? Per restare nelle gabbie dell'euro e della NATO?
ma ci faccia il piacere
“Ci faccia il piacere”
Perché tu vuoi fare la campagna elettorale dicendo che esci dalla NATO e dall'euro?
Ecco perché siete dei perdenti
:D
Restate a gingillarvelo a vicenda...nel frattempo il m5s lavora anche per voi.
E non esige che ringraziate.
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