[ 4 febbraio ]
Un importante intervento pubblicato oggi sul sito di Programma 101 (P101)
Renzi punta al regime ma l’attacco alla democrazia viene da lontano, dal neoliberismo e dall’Europa
Renzi punta al regime ma l’attacco alla democrazia viene da lontano, dal neoliberismo e dall’Europa.
Quello che si svolgerà in autunno sarà il referendum più importante della storia repubblicana. Il suo esito sarà decisivo per due motivi: si deciderà lì se lo stupro in atto da un quarto di secolo della Costituzione del 1948 avrà condotto infine alla sua definitiva sepoltura; si deciderà lì il destino del progetto di regime incarnato da Matteo Renzi. Le due cose sono strettamente legate tra di loro, e chi le separa sbaglia.
Detto questo è detto quasi tutto. Le ragioni del nostro no sono evidenti. Si tratta di impedire una svolta autoritaria, riaprendo concretamente la battaglia per la democrazia. Si tratta di mandare a casa un famelico gruppo di potere, portatore delle più feroci politiche ultraliberiste (jobs act, privatizzazioni, mercatismo allo stato puro, eccetera). Ma se da tempo insistiamo sulla centralità di questa battaglia non è solo per la sua oggettiva rilevanza, è anche perché siamo convinti – contrariamente a quel che vorrebbe far intendere il tam tam mediatico – che vincerla sia assolutamente possibile. È questo un punto che va affermato con forza, battendosi contro la logica da eterni sconfitti di certa sinistra sinistrata.
Il referendum può essere vinto per due motivi. Primo, perché sarà innanzitutto un pronunciamento su Renzi, il quale è sì segretario del partito di maggioranza relativa, ma è ben lontano da quella assoluta. Secondo, perché la sensibilità democratica è ancora forte in vasti strati popolari. Se queste osservazioni sono corrette, ne discendono due precise indicazioni su come condurre la campagna elettorale.
In primo luogo, la polarizzazione pro o contro Renzi non va rifiutata (come fa la maggioranza del Comitato per il no, al quale peraltro come P101 aderiamo), bensì apertamente accettata. In sostanza, se Renzi sarà sconfitto dovrà andarsene a casa, ed un nuovo parlamento dovrà essere eletto con la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale del gennaio 2014.
In secondo luogo andrà lanciato un vero e proprio allarme democratico, stando attenti ai concetti fondamentali da gettare nella mischia. Poc’anzi ho sostenuto che la sensibilità democratica è ancora forte nel nostro paese. So benissimo che questa affermazione troverà molti in disaccordo. E capisco pure le ragioni di chi la pensa diversamente. Proprio per questo voglio spiegarmi meglio. È vero, assolutamente vero, che certe idee antidemocratiche – alcuni esempi: legge elettorale maggioritaria, accentramento dei poteri negli esecutivi, parallelo svuotamento di quelli delle assemblee elettive – hanno sfondato in tutti gli strati sociali. Potrebbe essere diversamente dopo 35 anni (trentacinque) di martellamento bipartisan in quella direzione? Probabilmente no. E tuttavia, questo è il punto decisivo, le cose cambiano quando quegli stessi strati sociali avvertono non solo il pericolo di un totale stravolgimento della carta costituzionale, ma quello incombente di un vero e proprio regime.
Ovvio che in campagna elettorale si discuterà pure del Senato e della sua assurda composizione, ma la parola forte di chi si batte per il no non dovrà essere “senato”, bensì "Regime". Altrettanto ovvio che questa parola andrà spiegata. Ma in realtà questa è la cosa più semplice da farsi, dato che il combinato disposto rappresentato dalla controriforma costituzionale e dall’orrenda legge elettorale renziana (l’Italicum) disegna per l’appunto un regime. Se il sì dovesse prevalere, ne verrebbe fuori un presidenzialismo di fatto, senza i contrappesi del presidenzialismo di diritto; un premier padrone del parlamento, i cui membri di maggioranza avrà peraltro designato precedentemente uno per uno; una Corte costituzionale posta sotto il controllo del governo; un Senato ridotto a dopolavoro per consiglieri regionali sfaccendati, anch’essi peraltro largamente scelti uno ad uno dal partito di maggioranza relativa.
Cos’è questa, se non la cornice istituzionale di un regime? Ovvio che di regimi ne esistono di tanti tipi. Quello che scaturirebbe da una vittoria del sì, Renzi se l’è disegnato su misura per sé stesso e per il gruppo di potere che gli si raccoglie attorno. È così difficile capirlo? Credo proprio di no.
Come mi è già capitato di affermare in un altro articolo
Il Referendum costituzionale e il Neoliberismo
Il No al regime renziano sarà dunque la chiave di volta decisiva per vincere il referendum. Sbaglieremmo però a non inquadrare questo progetto in un attacco più complessivo alla democrazia in atto da almeno 35 anni. Il fatto è che la democrazia è palesemente incompatibile con la logica ed il funzionamento del sistema neoliberista. Ed essa è – nella sostanza ovviamente, che la forma la si salva sempre – incompatibile con l’esistenza stessa dell’Unione Europea, che del sistema neoliberista è uno dei centri pulsanti a livello mondiale. Detto in altri termini: oggi Renzi è il nemico, ma il male che egli rappresenta viene decisamente da lontano.
Perché la democrazia, anche nella sua forma tradizionale di democrazia borghese, sia incompatibile con l’attuale sistema di capitalismo-casinò è presto detto: perché quest’ultimo esige il dominio dell’economia (o addirittura dei “mercati”) sulla politica. Ora, siccome la democrazia si applica alla politica è ovvio che se questa è subalterna all’economia (per giunta guidata dalla finanza), della democrazia può restare soltanto un vuoto simulacro. Da qui l’attacco sistematico a tutti gli spazi di democrazia. Nei luoghi di lavoro, anzitutto; nell’informazione, dove al pluralismo si è sostituito un pensiero unico che ammette poche deviazioni da quel che è ritenuto “politicamente corretto”; nelle assemblee elettive, sempre più ridotte a parco buoi controllato da esecutivi che rispondono in definitiva alle oligarchie finanziarie dominanti. Restando al nostro paese, basti pensare allo stravolgimento dello Statuto dei lavoratori, a quel che è oggi il panorama dell’informazione (ma anche della cultura), alla cancellazione del sistema proporzionale e tutto ciò che ne è conseguito.
Dunque, limitandoci per brevità al terreno istituzionale, chi si oppone giustamente alla porcata dell’Italicum farebbe bene a riflettere sul fatto che il processo che ora arriva all’estreme conseguenze della legge renziana è iniziato in realtà con il referendum Segni-Occhetto e con la successiva legge maggioritaria chiamata Mattarellum, dal nome (guarda un po’!) dell’attuale inquilino del Quirinale. È da lì che è arrivata la Seconda repubblica, che ha portato con sé il processo di accentramento dei poteri negli esecutivi, i partiti ridotti a strumento dei leader, la personalizzazione sfrenata, l’americanizzazione delle campagne elettorali, il trasformismo elevato a norma, una classe politica istituzionale degna del Bar Sport.
A qualcuno risulta che le cose siano andate diversamente? Ce lo spieghino, che siamo disposti a discutere. Nel frattempo un qualche accenno di riflessione sarebbe gradito, ma ben difficilmente ci sarà.
Il Referendum costituzionale e l’Europa
Abbiamo già detto che non c’è solo il neoliberismo, c’è pure l’Unione Europea. Perché quest’ultima sia incompatibile con la democrazia è davvero questione semplice, semplice. Forse non alla portata di un piddino o di un “sellino”, ma certamente a quella di una persona mediamente informata sulle cose del mondo. Il fatto è che l’UE, per sua natura, ma non potrebbe essere altrimenti, non può che procedere alla sistematica distruzione di ogni residuo delle preesistenti sovranità nazionali. E siccome senza sovranità non può esservi democrazia, è ovvio che quest’ultima è nella sostanza destinata a perire.
Detto questo in generale, è ovvio che si renderebbero necessarie alcune precisazioni. Sappiamo benissimo, ad esempio, che la sovranità “concessa” alla Germania è ben diversa da quella ammessa per l’Italia, sappiamo anche che è in corso un processo di sgretolamento dell’UE ed una parallela riemersione delle sovranità nazionali, così come sappiamo della peregrina tesi che vorrebbe una “democrazia europea” basata proprio sulla cessione di sovranità dagli stati all’Unione.
Sappiamo tutto ciò, ma a parte l’insostenibilità della tesi federalista, ormai riconosciuta impraticabile da tutti, quel che resta è la realtà di un’Unione Europea certamente in crisi ma non per questo meno antidemocratica.
In ogni caso, per farla breve, limitiamoci anche su questo punto al nostro paese. Non solo la Legge di bilancio, perlomeno nelle sue linee di fondo, viene decisa a Bruxelles, ma ormai ogni questione rilevante – si pensi alle norme sui migranti, come a quella delle banche – è avocata da un governo europeo che nessuno ha davvero eletto, che comunque risponde a tutto fuorché ad una qualsivoglia volontà popolare. Ma non è solo questo, è che a Bruxelles (ma sarebbe più esatto dire a Berlino) si vogliono scegliere anche i servitori, pardon i governanti, dei paesi considerati in qualche modo inaffidabili. Ovvio che non stiamo parlando in astratto, basti pensare al golpe bianco messo in piedi da Napolitano nel novembre 2011, con l’insediamento a Palazzo Chigi del Quisling Monti.
Ora qualcuno dirà: ma cosa c’entra con il referendum costituzionale? C’entra, c’entra eccome. Non solo perché senza uno strappo alle regole costituzionali come quello operato dall’ex presidente della repubblica, anche il disegno renziano sarebbe stato decisamente più difficile. Ma anche perché il dottor Monti, con un consenso quasi unanime in parlamento, volle introdurre nella Costituzione (art. 81) la follia rigorista del pareggio di bilancio. Un vincolo che, se davvero applicato, renderebbe impossibile ogni politica di uscita dalla crisi e di lotta alla disoccupazione.
E non sarà un caso se lo stesso Napolitano – decisamente il più grande eversore della legalità repubblicana -, infischiandosi bellamente della sentenza della Consulta, consentì di andare avanti ad un parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale, affidandogli addirittura il compito di scrivere la nuova legge elettorale e quello di modificare in profondità la stessa Costituzione.
Conclusioni
Torniamo adesso a bomba, al decisivo referendum d’autunno. Ma torniamoci avendo chiaro che tutti i misfatti del fiorentino, a partire dall’aver deciso legge elettorale e controriforma costituzionale a colpi di una risicatissima maggioranza, peraltro resa tale solo in virtù di un premio elettorale dichiarato illegittimo, sono solo il colpo finale di un processo che viene da lontano.
Proprio per questo l’esito del voto referendario è ancora più importante. Se ce la faremo, se il no vincerà, non solo Renzi dovrà andarsene a casa, ma tutta la partita istituzionale (a partire dall’Italicum) tornerà in discussione. Una discussione che a quel punto dovrà investire le ragioni strutturali della crisi della democrazia: il dominio dei “mercati” e i vincoli imposti dalla gabbia eurista.
Nel nostro piccolo sono queste le cose che diremo in campagna elettorale. Naturalmente con uno spirito unitario, quello stesso spirito con il quale abbiamo partecipato agli incontri del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e con il quale aderiamo al Comitato per il no al referendum. Siamo per la massima unità perché è giusta e necessaria per vincere. Ma siamo anche per la chiarezza politica, che è altrettanto giusta e necessaria per riaprire la questione dell’alternativa. Un’alternativa politica e sociale all’esistente, al neoliberismo ed alla gabbia eurista.
La possibilità di far avanzare la prospettiva dell’alternativa in tempi non troppo lunghi si gioca anche nel referendum d’autunno. Una ragione in più per mobilitarsi da subito per promuovere e partecipare – come già stiamo facendo in diverse realtà – ai comitati unitari per il no. Vincere è possibile, lottare per la vittoria è necessario.
Un importante intervento pubblicato oggi sul sito di Programma 101 (P101)
Renzi punta al regime ma l’attacco alla democrazia viene da lontano, dal neoliberismo e dall’Europa
Renzi punta al regime ma l’attacco alla democrazia viene da lontano, dal neoliberismo e dall’Europa.
Quello che si svolgerà in autunno sarà il referendum più importante della storia repubblicana. Il suo esito sarà decisivo per due motivi: si deciderà lì se lo stupro in atto da un quarto di secolo della Costituzione del 1948 avrà condotto infine alla sua definitiva sepoltura; si deciderà lì il destino del progetto di regime incarnato da Matteo Renzi. Le due cose sono strettamente legate tra di loro, e chi le separa sbaglia.
Detto questo è detto quasi tutto. Le ragioni del nostro no sono evidenti. Si tratta di impedire una svolta autoritaria, riaprendo concretamente la battaglia per la democrazia. Si tratta di mandare a casa un famelico gruppo di potere, portatore delle più feroci politiche ultraliberiste (jobs act, privatizzazioni, mercatismo allo stato puro, eccetera). Ma se da tempo insistiamo sulla centralità di questa battaglia non è solo per la sua oggettiva rilevanza, è anche perché siamo convinti – contrariamente a quel che vorrebbe far intendere il tam tam mediatico – che vincerla sia assolutamente possibile. È questo un punto che va affermato con forza, battendosi contro la logica da eterni sconfitti di certa sinistra sinistrata.
Il referendum può essere vinto per due motivi. Primo, perché sarà innanzitutto un pronunciamento su Renzi, il quale è sì segretario del partito di maggioranza relativa, ma è ben lontano da quella assoluta. Secondo, perché la sensibilità democratica è ancora forte in vasti strati popolari. Se queste osservazioni sono corrette, ne discendono due precise indicazioni su come condurre la campagna elettorale.
In primo luogo, la polarizzazione pro o contro Renzi non va rifiutata (come fa la maggioranza del Comitato per il no, al quale peraltro come P101 aderiamo), bensì apertamente accettata. In sostanza, se Renzi sarà sconfitto dovrà andarsene a casa, ed un nuovo parlamento dovrà essere eletto con la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale del gennaio 2014.
In secondo luogo andrà lanciato un vero e proprio allarme democratico, stando attenti ai concetti fondamentali da gettare nella mischia. Poc’anzi ho sostenuto che la sensibilità democratica è ancora forte nel nostro paese. So benissimo che questa affermazione troverà molti in disaccordo. E capisco pure le ragioni di chi la pensa diversamente. Proprio per questo voglio spiegarmi meglio. È vero, assolutamente vero, che certe idee antidemocratiche – alcuni esempi: legge elettorale maggioritaria, accentramento dei poteri negli esecutivi, parallelo svuotamento di quelli delle assemblee elettive – hanno sfondato in tutti gli strati sociali. Potrebbe essere diversamente dopo 35 anni (trentacinque) di martellamento bipartisan in quella direzione? Probabilmente no. E tuttavia, questo è il punto decisivo, le cose cambiano quando quegli stessi strati sociali avvertono non solo il pericolo di un totale stravolgimento della carta costituzionale, ma quello incombente di un vero e proprio regime.
Ovvio che in campagna elettorale si discuterà pure del Senato e della sua assurda composizione, ma la parola forte di chi si batte per il no non dovrà essere “senato”, bensì "Regime". Altrettanto ovvio che questa parola andrà spiegata. Ma in realtà questa è la cosa più semplice da farsi, dato che il combinato disposto rappresentato dalla controriforma costituzionale e dall’orrenda legge elettorale renziana (l’Italicum) disegna per l’appunto un regime. Se il sì dovesse prevalere, ne verrebbe fuori un presidenzialismo di fatto, senza i contrappesi del presidenzialismo di diritto; un premier padrone del parlamento, i cui membri di maggioranza avrà peraltro designato precedentemente uno per uno; una Corte costituzionale posta sotto il controllo del governo; un Senato ridotto a dopolavoro per consiglieri regionali sfaccendati, anch’essi peraltro largamente scelti uno ad uno dal partito di maggioranza relativa.
Cos’è questa, se non la cornice istituzionale di un regime? Ovvio che di regimi ne esistono di tanti tipi. Quello che scaturirebbe da una vittoria del sì, Renzi se l’è disegnato su misura per sé stesso e per il gruppo di potere che gli si raccoglie attorno. È così difficile capirlo? Credo proprio di no.
Come mi è già capitato di affermare in un altro articolo
«la vera domanda alla quale gli elettori dovranno rispondere sarà quindi: volete voi l’approvazione di una legge che segnerà la costruzione del regime renziano? A questa domanda, che non sarà scritta sulla scheda ma dovrà essere impressa nella mente degli elettori, è ben difficile che la maggioranza risponda sì».Che Renzi punti al regime è un dato di fatto che viene compreso da elettori di destra, di centro e di sinistra. Importante sarà vedere il grado di impegno delle forze politiche di opposizione, in particolare quello di M5S. Al momento questo impegno è del tutto insufficiente, specie se paragonato all’offensiva del capo del governo.
Il Referendum costituzionale e il Neoliberismo
Il No al regime renziano sarà dunque la chiave di volta decisiva per vincere il referendum. Sbaglieremmo però a non inquadrare questo progetto in un attacco più complessivo alla democrazia in atto da almeno 35 anni. Il fatto è che la democrazia è palesemente incompatibile con la logica ed il funzionamento del sistema neoliberista. Ed essa è – nella sostanza ovviamente, che la forma la si salva sempre – incompatibile con l’esistenza stessa dell’Unione Europea, che del sistema neoliberista è uno dei centri pulsanti a livello mondiale. Detto in altri termini: oggi Renzi è il nemico, ma il male che egli rappresenta viene decisamente da lontano.
Perché la democrazia, anche nella sua forma tradizionale di democrazia borghese, sia incompatibile con l’attuale sistema di capitalismo-casinò è presto detto: perché quest’ultimo esige il dominio dell’economia (o addirittura dei “mercati”) sulla politica. Ora, siccome la democrazia si applica alla politica è ovvio che se questa è subalterna all’economia (per giunta guidata dalla finanza), della democrazia può restare soltanto un vuoto simulacro. Da qui l’attacco sistematico a tutti gli spazi di democrazia. Nei luoghi di lavoro, anzitutto; nell’informazione, dove al pluralismo si è sostituito un pensiero unico che ammette poche deviazioni da quel che è ritenuto “politicamente corretto”; nelle assemblee elettive, sempre più ridotte a parco buoi controllato da esecutivi che rispondono in definitiva alle oligarchie finanziarie dominanti. Restando al nostro paese, basti pensare allo stravolgimento dello Statuto dei lavoratori, a quel che è oggi il panorama dell’informazione (ma anche della cultura), alla cancellazione del sistema proporzionale e tutto ciò che ne è conseguito.
Dunque, limitandoci per brevità al terreno istituzionale, chi si oppone giustamente alla porcata dell’Italicum farebbe bene a riflettere sul fatto che il processo che ora arriva all’estreme conseguenze della legge renziana è iniziato in realtà con il referendum Segni-Occhetto e con la successiva legge maggioritaria chiamata Mattarellum, dal nome (guarda un po’!) dell’attuale inquilino del Quirinale. È da lì che è arrivata la Seconda repubblica, che ha portato con sé il processo di accentramento dei poteri negli esecutivi, i partiti ridotti a strumento dei leader, la personalizzazione sfrenata, l’americanizzazione delle campagne elettorali, il trasformismo elevato a norma, una classe politica istituzionale degna del Bar Sport.
A qualcuno risulta che le cose siano andate diversamente? Ce lo spieghino, che siamo disposti a discutere. Nel frattempo un qualche accenno di riflessione sarebbe gradito, ma ben difficilmente ci sarà.
Il Referendum costituzionale e l’Europa
Abbiamo già detto che non c’è solo il neoliberismo, c’è pure l’Unione Europea. Perché quest’ultima sia incompatibile con la democrazia è davvero questione semplice, semplice. Forse non alla portata di un piddino o di un “sellino”, ma certamente a quella di una persona mediamente informata sulle cose del mondo. Il fatto è che l’UE, per sua natura, ma non potrebbe essere altrimenti, non può che procedere alla sistematica distruzione di ogni residuo delle preesistenti sovranità nazionali. E siccome senza sovranità non può esservi democrazia, è ovvio che quest’ultima è nella sostanza destinata a perire.
Detto questo in generale, è ovvio che si renderebbero necessarie alcune precisazioni. Sappiamo benissimo, ad esempio, che la sovranità “concessa” alla Germania è ben diversa da quella ammessa per l’Italia, sappiamo anche che è in corso un processo di sgretolamento dell’UE ed una parallela riemersione delle sovranità nazionali, così come sappiamo della peregrina tesi che vorrebbe una “democrazia europea” basata proprio sulla cessione di sovranità dagli stati all’Unione.
Sappiamo tutto ciò, ma a parte l’insostenibilità della tesi federalista, ormai riconosciuta impraticabile da tutti, quel che resta è la realtà di un’Unione Europea certamente in crisi ma non per questo meno antidemocratica.
In ogni caso, per farla breve, limitiamoci anche su questo punto al nostro paese. Non solo la Legge di bilancio, perlomeno nelle sue linee di fondo, viene decisa a Bruxelles, ma ormai ogni questione rilevante – si pensi alle norme sui migranti, come a quella delle banche – è avocata da un governo europeo che nessuno ha davvero eletto, che comunque risponde a tutto fuorché ad una qualsivoglia volontà popolare. Ma non è solo questo, è che a Bruxelles (ma sarebbe più esatto dire a Berlino) si vogliono scegliere anche i servitori, pardon i governanti, dei paesi considerati in qualche modo inaffidabili. Ovvio che non stiamo parlando in astratto, basti pensare al golpe bianco messo in piedi da Napolitano nel novembre 2011, con l’insediamento a Palazzo Chigi del Quisling Monti.
Ora qualcuno dirà: ma cosa c’entra con il referendum costituzionale? C’entra, c’entra eccome. Non solo perché senza uno strappo alle regole costituzionali come quello operato dall’ex presidente della repubblica, anche il disegno renziano sarebbe stato decisamente più difficile. Ma anche perché il dottor Monti, con un consenso quasi unanime in parlamento, volle introdurre nella Costituzione (art. 81) la follia rigorista del pareggio di bilancio. Un vincolo che, se davvero applicato, renderebbe impossibile ogni politica di uscita dalla crisi e di lotta alla disoccupazione.
E non sarà un caso se lo stesso Napolitano – decisamente il più grande eversore della legalità repubblicana -, infischiandosi bellamente della sentenza della Consulta, consentì di andare avanti ad un parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale, affidandogli addirittura il compito di scrivere la nuova legge elettorale e quello di modificare in profondità la stessa Costituzione.
Conclusioni
Torniamo adesso a bomba, al decisivo referendum d’autunno. Ma torniamoci avendo chiaro che tutti i misfatti del fiorentino, a partire dall’aver deciso legge elettorale e controriforma costituzionale a colpi di una risicatissima maggioranza, peraltro resa tale solo in virtù di un premio elettorale dichiarato illegittimo, sono solo il colpo finale di un processo che viene da lontano.
Proprio per questo l’esito del voto referendario è ancora più importante. Se ce la faremo, se il no vincerà, non solo Renzi dovrà andarsene a casa, ma tutta la partita istituzionale (a partire dall’Italicum) tornerà in discussione. Una discussione che a quel punto dovrà investire le ragioni strutturali della crisi della democrazia: il dominio dei “mercati” e i vincoli imposti dalla gabbia eurista.
Nel nostro piccolo sono queste le cose che diremo in campagna elettorale. Naturalmente con uno spirito unitario, quello stesso spirito con il quale abbiamo partecipato agli incontri del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e con il quale aderiamo al Comitato per il no al referendum. Siamo per la massima unità perché è giusta e necessaria per vincere. Ma siamo anche per la chiarezza politica, che è altrettanto giusta e necessaria per riaprire la questione dell’alternativa. Un’alternativa politica e sociale all’esistente, al neoliberismo ed alla gabbia eurista.
La possibilità di far avanzare la prospettiva dell’alternativa in tempi non troppo lunghi si gioca anche nel referendum d’autunno. Una ragione in più per mobilitarsi da subito per promuovere e partecipare – come già stiamo facendo in diverse realtà – ai comitati unitari per il no. Vincere è possibile, lottare per la vittoria è necessario.
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