[ 27 febbraio ]
Basta scorrere i titoli delle Conclusioni dell’ultimo Consiglio
Europeo (17-18 dicembre 2015), per cogliere la gravità delle crisi in cui si
dibatte l’UE: migrazioni, terrorismo, unione monetaria, mercato interno, clima,
Brexit, ISIS e Siria. Leggendole ci si accorge subito che l’UE le affronta con
il consueto approccio: varare misure per affrontare nell’immediato le crisi senza
essere mossi da prospettive di lungo periodo, attuarle passo dopo passo, sempre
però in funzione della costruzione e gestione del mercato unico sovranazionale,
il vero e solo grande disegno delle élite europee. Nella ‘realtà effettuale’,
per usare parole di Machiavelli, quelle che si vanno compiendo non sono scelte
di routine, anche se l’UE le presenta business
as usual. Questo approccio non è casuale, in quanto tipico del
pluridecennale metodo funzionalista – ‘da cosa nasce cosa’, ciò che raffinati
esegeti chiamano ‘effetti di spill over’;
in secondo luogo, perché questa routine dai tratti burocratici esprime la
consapevolezza delle élite europee dell’ampiezza dei loro poteri in grado di
imporre le proprie scelte senza che in nessun paese – neanche là dove sono
stati infranti equilibri politici come in Spagna Grecia e Portogallo – governi,
partiti, sindacati o movimenti abbiano l’intenzione e, soprattutto, la forza di
opporvisi. A scontrarsi, almeno a parole, con l’UE sono formazioni di estrema
destra che si battono esclusivamente contro l’ingresso dei migranti e che come
alternativa prospettano al più il ritorno allo Stato-nazione, ormai indebolito dalla
devoluzione di poteri sovrani; oppure sono capi di governo, come Renzi, che
sperano grazie alle polemiche con la Commissione di lucrare consensi nei
sondaggi d’opinione e alle elezioni.
1. Migrazioni e valori europei
Rispetto alle possenti migrazioni, che né
i naufragi né le rigidità invernali fermano a segno della disperazione di chi
fugge guerre e povertà, l’UE ha a cuore solo la salvaguardia dell’Accordo di
Schengen e la libera circolazione delle persone tra i 28 Stati membri,
prerequisiti del funzionamento del mercato interno. Se vengono meno, crolla un
pilastro dell’Unione Economica e Monetaria e i colpi assestati da ben sei paesi
all’Accordo di Schengen, con la chiusura temporanea dei propri spazi nazionali,
si aggiungono all’innalzamento dei muri intorno all’Ungheria per respingere i
migranti. L’obiettivo dell’UE è di salvare la libera circolazione al suo
interno, rafforzando i confini esterni con FRONTEX, con un corpo di guardie
europeo, con gli hotspots, e con
misure di contrasto in mare e a terra. Salvare la libera circolazione nello
spazio Schengen e contenere i flussi migratori è un’equazione di difficile
soluzione.
Nonostante le procedure d’infrazione,
avviate il 10 dicembre 2015, perché gli Stati membri non hanno dato vita al
sistema europeo di asilo, si continuano ad adottare provvedimenti nazionali che
frappongono ostacoli non solo ai ‘migranti economici’ ma agli stessi
richiedenti asilo; d’altra parte la stessa Commissione, invece di avviare il
superamento della Convenzione di Dublino che in base all’articolo 3 vieta di
richiedere lo status di rifugiato in qualsiasi paese, acconsente alla
sospensione temporanea di Schengen e preme affinché con gli hotspots si
rilevino le impronte digitali da trasmettere al centro EURODAC in modo da impedire
ai richiedenti asilo di muoversi (anche per ricongiungersi con i propri
familiari). L’UE continua a oscillare tra la spinta tedesca, viepiù
affievolitasi, ad accogliere i migranti provenienti dalle zone dichiarate
non-sicure, e la pressione dei governi di destra a tenere sbarrate le
frontiere. Le decisioni – 2105/1523/UE e 2015/1601/UE – hanno definito misure
per ricollocare tra i paesi UE i richiedenti asilo, senza che queste abbiano
avuto alcun seguito. In questo campo, gli Stati fingono di intraprendere azioni
comuni, mentre si sottraggono ai doveri della protezione internazionale sotto le
pressioni della destra e dei gruppi xenofobi.
Dopo le aggressioni contro le donne a
Colonia la notte di capodanno, si è innescata la marcia indietro, tanto che la
stessa Cancelliera Merkel spinge, oltre che per un più stretto controllo delle
frontiere esterne e l’apertura degli hotspots, per potenziare le risorse per il
rimpatrio, e soprattutto per apprestare il più rapidamente possibile i tre
miliardi di euro per la Turchia affinché trattenga nei propri campi i profughi siriani.
Nel rapporto con la Turchia emerge la
doppiezza con cui l’UE si muove nello scenario internazionale e nelle politiche
migratorie. Alla Turchia si concedono tre miliardi di euro, pur essendo attiva
nella guerra in Siria e porta d’ingresso di armi e guerriglieri verso l’ISIS, ripagata
da questa con l’attacco nel centro di Istanbul. Dopo la strage terroristica di
Parigi del 13 novembre 2015, l’UE reagisce avallando legislazioni eccezionali
nelle diverse nazioni, ingaggiando una lotta militare in Europa grazie ad una
specifica Agenzia di Controterrorismo (attiva dal 25 gennaio 2016), e offrendo
un sostegno politico alle guerre in Medio Oriente e in Libia. In Francia, il
governo socialista ha dichiarato lo stato d’eccezione con la sospensione di
fondamentali garanzie della libertà personale e ha presentato un disegno di
legge perché, oltre alla condanna penale, si tolga la cittadinanza a chi dei
suoi 3.500.000 abitanti con doppia nazionalità fosse implicato nel terrorismo –
l’unico precedente di cancellazione della cittadinanza risale al regime di
Hitler e di Pétain. Proprio per impedire il ripetersi di queste odiose misure è
stato approvato nel 1963, e modificato nel 1994, il Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dell’uomo e
delle libertà fondamentali, che all’articolo 3 vieta l’espulsione dei cittadini sancendo che
‘nessuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato
di cui è cittadino’.
In Danimarca sotto la spinta del
governo di destra, il Parlamento ha varato il 26 gennaio 2016 una legge per l’esproprio
dei beni dei rifugiati, di valore superiore ai 1.350 euro, al fine di ripagarsi
delle spese di soggiorno, in violazione della Convenzione del 1951, che agli articoli 8, 13 e 30 prevede invece
specifici trattamenti economici a loro favore. Consapevole di questa
violazione, il governo danese chiede ora la modifica della Convenzione venendo
però meno al principio-base del diritto internazionale – pacta sunt servanda –, che implica il divieto di modificazioni unilaterali
delle clausole dei Trattati.
I governi, pur seguendo ideologie
diverse – i ‘valori repubblicani’ in Francia, il multiculturalismo in Gran
Bretagna, Olanda e Germania – seguono pratiche di assimilazione perché non sono
intenzionati a mettere in discussione le tradizioni politico-culturali
dell’Occidente. Nell’UE si agitano retoricamente i valori di libertà e
democrazia, che non guidano certo le sue politiche e che, pur richiamati nei
primi articoli del Trattato di Lisbona, cozzano con l’insieme delle sue norme
predisposte solo al fine del buon funzionamento dei mercati.
Prevale la volontà di affermare la supremazia
dei ‘valori europei’, a cui i migranti dovrebbero adeguarsi. Galli della Loggia
ha scritto che le regole “rappresentano e tutelano sempre determinati modelli
di vita, determinati valori, frutto di una determinata storia specialmente
religiosa [...]. Per gli immigrati integrarsi implica necessariamente la
rinuncia a una parte più o meno importante della propria cultura”1.
Mi fermo qui con la citazione, perché è
sufficiente per cogliere l’esaltazione acritica della ‘civiltà europea’ di
molti opinionisti, retaggio dell’epoca coloniale. I ‘valori europei’, se non si
vogliono confondere con le ideologie e le idiosincrasie dei maîtres à penser, sono incorporati nelle
Costituzioni: sono i diritti inviolabili e le libertà personali, i diritti
politici e sociali, mentre le limitazioni dell’agire individuale sono scritte
nei Codici penali. Le Costituzioni e i Codici penali valgono per tutti, nativi
e non nativi, senza discriminazioni di razza, di religione o di sesso. La
retorica xenofoba sulle tendenze criminali dei migranti a causa della loro
diversità culturale non ha ragion d’essere: chiunque faccia violenza contro una
qualsiasi altra persona, deve essere perseguito secondo quanto prescritto dalla
legge penale. Oltre questo, nessuno può pretendere di imporre modelli o stili
di vita, men che mai la supremazia di determinati valori. E non bisogna mai
dimenticare che l’Europa ha conosciuto le nefandezze del fondamentalismo cristiano2
e i crimini del razzismo. Si è dovuto aspettare Giovanni XXIII perché gli ebrei
fossero dai cattolici chiamati ‘fratelli’ e venisse cancellata l’espressione
‘perfidi giudei’ dalla preghiera del venerdì santo; Giovanni Paolo II perché il
13 aprile 1986 avvenisse la prima visita di un papa ad una sinagoga; Francesco
perché si riconoscesse che anche “da un punto di vista teologico, appare
chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei”3, andando
così oltre la Dichiarazione Nostra aetate
del Concilio Vaticano II, che pure fece cadere l’affermazione secondo cui extra ecclesia nulla salus – fuori della
Chiesa nessuna salvezza. Il teologo Brunetto Salvarani ha scritto che,
nonostante siano passati più di cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, questo
tempo non è stato ancora sufficiente a “estirpare dalla teologia e dalla
mentalità cattolica diffusa i normali e radicati atteggiamenti di
antigiudaismo”4. L’Europa non può certo impartire lezioni sul
fondamentalismo quando per secoli e secoli la Chiesa di Roma ha alimentato
l’antisemitismo con l’accusa di deicidio e con l’evocazione della punizione
divina del popolo ebraico.
Non solo la Chiesa cattolica ha da
rimproverarsi amaramente per la propagazione dell’antisemitismo, pure la Chiesa
luterana vi ha largamente contribuito, a cominciare dal suo fondatore Martin
Lutero: nel suo il libello Degli ebrei e
delle loro menzogne, scritto nel 1543, non esitò a incitare a dar fuoco alle
sinagoghe e alle scuole ebraiche. Spinta da questa ideologia antisemitica tenuta
viva nei secoli successivi, la Chiesa luterana ha sostenuto il nazismo e un suo
vescovo, Martin Sasse, giunse a scrivere che con il 10 novembre 1938, la Notte dei Cristalli, finalmente si
metteva fine al potere degli ebrei ‘sulla nuova Germania’. Per questo da più
parti si auspica che il Giubileo luterano del 2017, ricorrenza del cinquecentesimo
anniversario dell’affissione delle 95
Tesi, la Chiesa riformata avvii nella sua collegialità una riflessione
critica per giungere alla condanna di queste degenerazioni ideologiche, che si
radicarono in ampi settori della popolazione e fecero da substrato
dell’egemonia nazista sulla società tedesca5.
Oggi i cristiani, e i cattolici in
particolare, soffrono repressione e morte per la loro fede in molte parti del
mondo, così come infuriano con il fuoco delle armi le lotte tra Sunniti e
Sciiti, ciò che fa risaltare la conquista, che sarebbe un bene valesse su scala
universale, della laicità delle istituzioni pubbliche, come precondizione della
convivenza tra fedi e credenze diverse. Per superare le guerre religiose in
Europa venne istituita, fra il Sei e Settecento, una sfera pubblica separata dalla
sfera privata dove ognuno potesse coltivare il proprio credo, in virtù della garanzia della libertà di coscienza e di
espressione del pensiero. La laicità ha sancito la neutralità delle istituzioni
pubbliche: le moderne Costituzioni, con l’incorporazione dello Stato di
diritto, impediscono che una qualsiasi opinione e un qualsivoglia stile di vita
possano pretendere una qualche superiorità perché lesiva della sfera della
libertà personale. Il nesso tra diritto e libertà è stato messo a fuoco da
Kant: “il diritto è l’insieme delle condizioni, per mezzo delle quali
l’arbitrio dell’uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo una legge
universale della libertà”. Ralws l’ha riformulato scrivendo: “ogni persona ha
un eguale diritto al più esteso sistema totale di eguali libertà fondamentali
compatibilmente con un simile sistema per tutti” 6.
La laicità, ha detto Norberto Bobbio, è
un insieme di regole per la pacifica convivenza di persone appartenenti a fedi diverse,
o senza nessuna fede, e quindi come un metodo per garantire l’uguale libertà di
tutti/e, avversando la costruzione di un’etica laica che andasse al di là di
queste finalità. La neutralità delle istituzioni pubbliche è la condizione
necessaria, posta il luce da Gerald Dworkin, dell’autonomia della persona perché essa implica, non potendosi
stabilire una gerarchia tra i valori o promuoverne alcuni a danno di altri, la libertà di ognuno/a nelle scelte di
vita7.
La neutralità delle istituzioni
pubbliche garantisce il pluralismo dei valori e dei comportamenti, crea le
condizioni di un loro libero confronto e la possibilità di reciproche
influenze. La politica di assimilazione provoca una ‘guerra culturale
permanente’, mentre il rispetto dei diritti costituzionali e del Codice penale può
generare una società aperta a un
futuro comune di persone e collettività diverse per lingua e tradizioni.
2. Brexit
Nelle Conclusioni del Consiglio Europeo del 17-18 dicembre, poche righe
sono dedicate al referendum che il governo Cameron ha deciso di indire, senza
però fissarne la data in vista del negoziato con l’UE. L’European Union Referendum Bill è stato definitivamente approvato il
14 dicembre 2015 e la sua formulazione suona secca: ‘Deve la Gran Bretagna
rimanere membro dell’Unione Europea o abbandonare l’Unione Europea?’.
Rilevanti sono le questioni su cui
Cameron ha avviato la trattativa con una lettera a Donald Tusk, fatta pervenire
anche a Junker, a Schultz e ai Capi di Stato e di governo del Consiglio Europeo8.
Sulla governance economica, il governo britannico chiede di evitare
discriminazioni delle imprese in base alla moneta utilizzata nelle transazioni,
di definire misure a tutela del mercato interno e degli interessi degli Stati
membri che non fanno parte dell’Eurozona, stabilendo la loro non responsabilità finanziaria nel
sostegno dell'euro. La Gran
Bretagna vuole che sia sancito giuridicamente la sua dissociazione dal processo
di creazione di un’unione ‘sempre più stretta dei popoli d’Europa’ – come
recita l’articolo 1 del TUE –, e si fa paladina del ruolo dei parlamenti
nazionali a cui dovrebbe essere dato un potere di veto sulle iniziative
legislative dell’UE. Inoltre, mira a utilizzare il principio di sussidiarietà a
vantaggio degli Stati membri e pretende l’opting-out in materia di giustizia e
affari interni (di cui già gode in relazione all’euro). Il governo Cameron spinge l’UE a promuovere più
attivamente politiche di innalzamento della produttività, e, mentre pretende un
migliore funzionamento del mercato interno attraverso l’attuazione piena della
libera circolazione di merci servizi e capitali, ha intenzione di cancellare i
diritti sociali per i primi quattro anni dei lavoratori comunitari trasferitisi
in Gran Bretagna. L’UE, disposta a compromessi su tutti i punti, si oppone
fermamente alla sospensione dei diritti sociali dei migranti intracomunitari, poiché
limiterebbe la libera circolazione delle persone. Questo sarebbe un colpo di
maglio al mercato interno, che fin dal Trattato di Roma del 1957 si regge sulle
quattro libertà di circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei
capitali. Donald Tusk, nella conferenza stampa del 17 dicembre, ha ribadito il
dissenso sulla questione dei diritti dei lavoratori comunitari, la più spinosa nelle
trattative con la Gran Bretagna.
La linea dell’UE verso la Gran
Bretagna è stata più dettagliatamente esposta da Tusk nella Lettera al Consiglio Europeo del 7
dicembre 2015, particolarmente significativa perché rivela il disegno delle
élite europee di un’integrazione sempre più stretta, e vincolante, per gli
Stati dell’Eurozona, e della creazione di un secondo cerchio formato da tutti
gli Stati membri intorno al mercato interno. Afferma Tusk che i 19 paesi
dell’Eurozona dovrebbero intensificare il processo di ‘messa in comune’ delle
sovranità, e che nessun paese può pretendere un diritto di veto sui processi d’integrazione
dell’Eurozona, cosicché “quelli che vogliono rendere più profonda
l’integrazione possono andare avanti, rispettando i desideri di quelli che non
vogliono avanzare oltre”.
3. L’Unione economica e monetaria
Il punto centrale della risposta a
Cameron, si è visto, è il progetto
d’integrazione sempre più stretta dell’Eurozona, investita negli ultimi
mesi da una nuova ondata di innovazioni istituzionali, politicamente sanzionate
dal Consiglio Europeo del 17-18 dicembre 2015. Al capitolo III (punto 14), nel
quadro e nei tempi stabiliti dal Report
dei cinque presidenti, le Conclusioni
fanno riferimento a tre insiemi di misure volte a: i) rendere più efficace la governance
economica e fiscale, ii) dar vita ad una rappresentanza esterna unitaria dell’euro;
iii) procedere nell’Unione bancaria.
Le misure richiamate erano già state
messe in cantiere dalla Commissione, e dunque il Consiglio Europeo si è
limitato ad avallarle politicamente. Anticipo il mio giudizio su di esse, che
suffragherò con i fatti: sono provvedimenti
che conferiscono ancora più penetranti poteri in campo fiscale, economico e
finanziario alla Commissione e alle diverse formazioni del Consiglio dei
ministri, istituendo nuove ‘authorities’, senza che il Parlamento europeo o i Parlamenti
nazionali, per non parlare dei cittadini, ne abbiano potuto perfino discutere.
Ho più volte scritto, anche su questa rivista, delle procedure antidemocratiche
dell’UE, di un’oligarchia che si attribuisce competenze sempre più estese, pur
consapevole del deficit di legittimità democratica che pretende di sanare
depoliticizzando gli ambiti decisionali, devoluti a Comitati di esperti e ad
Agenzie indipendenti. I ministri dei governi nazionali, radunati nelle
formazioni del Consiglio, hanno un ruolo di co-legislatori dei regolamenti che
entrano in vigore direttamente, e attraverso gli altri strumenti normativi quali
le direttive, le decisioni e le raccomandazioni determinano la politica dell’UE
(articolo 288 TFUE), incidendo profondamente sulla vita dei cittadini e delle istituzioni
degli Stati membri: si ricordi che fu l’ECOFIN, il 7 settembre 2010, a varare
il Semestre europeo successivamente corredato da regolamenti e direttive. A sua
volta la Commissione, oltre a detenere il monopolio dell’iniziativa legislativa
ordinaria, attraverso raccomandazioni
e decisioni
adotta misure politiche creando
addirittura organi istituzionali, come ora vedremo; infine il Consiglio Europeo
detta l’agenda politica dell’UE (senza doverne mai rispondere), e detiene
l’iniziativa del potere di revisione dei Trattati (secondo l’articolo 48 TUE).
Vengo ai fatti, accaduti tutti il 21 ottobre 2015 e passati sotto silenzio,
forse perché atti della sola Commissione conosciuti solo dagli addetti ai
lavori9. Comunque, qualora informazioni su di essi fossero circolate
per tempo, nessuno sarebbe potuto intervenire in quanto non sottoposti all’iter
della codecisione, sottratti dunque alla stessa discussione parlamentare,
europea e nazionale.
Il 21 ottobre 2015 la Commissione invia
una Comunicazione, COM(2015)600, al
Parlamento europeo, al Consiglio dei ministri e alla BCE, in cui si annunciano iniziative
per far avanzare l’Unione Economica e Monetaria. Il primo obiettivo è di modificare
alcune procedure del Semestre europeo in modo che nel processo decisionale si
prendano in considerazione prioritariamente le tematiche dell’Eurozona e in
funzione di queste valutare le questioni relative ai singoli paesi, mentre oggi
avviene il processo inverso: partendo dall’analisi e dalle proposte di politica
economica dei singoli paesi si costruisce la visione d’insieme dell’Eurozona.
Evidente che questo impianto metodologico concentra ancor di più le competenze,
analitiche e decisionali, negli organi dell’UE e facilita la subordinazione
degli interessi dei singoli paesi a quelli dell’Eurozona, spesso coincidenti
con quelli della Germania e dei suoi stretti alleati del Benelux. Pur essendo
gli strumenti del Semestre europeo particolarmente efficaci, la Commissione si
propone di istituire un ulteriore Servizio
di Supporto per le riforme strutturali così da monitorare i paesi
incentivandone al contempo l’attuazione, e un Comitato Fiscale Consultivo Indipendente Europeo per far sì che le politiche nazionali perseguano
l’obiettivo del consolidamento fiscale rispettando i target di deficit e debito
pubblici, come stabiliti nei Trattati e nei regolamenti del Six Pack e Two Pack.
Inoltre, la Commissione ritiene necessaria l’istituzione di Comitati Nazionali per la Competitività
le cui finalità risultano ben evidenti fin dal nome, e di una Rappresentanza unica dell’Eurozona negli
organismi internazionali a cominciare dal FMI – oggetto del provvedimento
specifico COM (2015)603.
Con propositi e azioni, continua
intensa l’integrazione dei paesi dell’Eurozona, i quali nell’ambito dell’Unione
bancaria, dove è già attiva la sorveglianza unica europea da parte della BCE, si
sono dotati di un meccanismo unico di
risoluzione delle banche in crisi (entrato in vigore il 1° gennaio 2016).
Da alcuni mesi si sta approntando la direttiva sulla garanzia dei depositi, ancora
in fase istruttoria date le obiezioni della Germania intenzionata a
dilazionarla fino a quando non si sarà stabilizzata la situazione finanziaria
dei paesi con debiti pubblici eccessivi. Dunque, la garanzia dei depositi a
livello europeo, definita da Draghi la ‘terza gamba’ dell’Unione bancaria,
viene legata a una fase ulteriore di austerità.
Questa dell’Unione bancaria è uno dei
temi su cui Matteo Renzi ha polemizzato con Junker e con la Germania, criticata
anche per il progetto in collaborazione con Gazprom della pipeline North Stream
2, alla cui costruzione le imprese italiane vorrebbero partecipare. Le
polemiche di Renzi con la Commissione Junker hanno l’obiettivo di intercettare
il diffuso malcontento verso l’UE, oggi capitalizzato soprattutto dalle destre estreme.
Ha però obiettivi più immediati quali la concessione della flessibilità nelle
leggi di bilancio del 2016 (ancora sotto osservazione a Bruxelles) e del 2017, e
il via libera alla vendita dell’ILVA senza incappare nella normativa sugli
aiuti di Stato. Renzi ha soprattutto il problema di sostenere le banche
italiane nella liberazione dai loro crediti in sofferenza – in gergo i Non Performing Loans (NPL) – che pesano
sui loro bilanci per ben 201 miliardi (a novembre 2015, secondo le rilevazioni
della Banca d’Italia). Verso la Commissione c’è risentimento da parte di Renzi,
perché essa ha dato disco verde agli aiuti di Stato nel periodo 2008-2013, tollerando
che il governo Merkel erogasse 238 miliardi di euro per ricapitalizzare le
proprie banche, molte delle quali, le Sparkassen e talune Landesbank, sono
addirittura preservate dalla sorveglianza centralizzata delle BCE. Per l’intera Eurozona gli interventi per
il salvataggio delle banche sono ammontati, secondo una ricognizione della BCE,
a 800 miliardi di euro10. Ora con l’entrata in vigore della normativa
BRRD, l’UE non permette più interventi con soldi pubblici essendo chiamati a
pagare le ‘risoluzioni bancarie’ gli azionisti e i detentori di alcune
tipologie di obbligazioni, oltre che i risparmiatori con depositi superiori ai
centomila euro11. Liberarsi dei prestiti deteriorati senza l’aiuto dello Stato per le banche italiane
è difficile, da qui le aspre prese di posizioni di Renzi che con i centri
finanziari intende mantenere buoni legami. Il ministro Padaon ha trovato un
accordo con la Commissione avendo avuto il via libera per la garanzia sulla ‘cartolarizzazione
delle sofferenze per immettere sul mercato finanziario i crediti deteriorati’,
come ha annunciato in un comunicato ufficiale il MEF (27 gennaio). A proposito
delle cartolarizzazioni, fatte tornare in auge per facilitare l’unificazione
dei mercati dei capitali, la Commissione ha proposto due regolamenti. Con la prima proposta, COM(2015)472, si
mira a ‘instaurare un quadro europeo per le cartolarizzazioni’ in modo che esse
risultino semplici, trasparenti e standardizzate, ciò che per definizione va
contro la natura delle cartolarizzazioni, come i crediti impacchettati nei subprimes
ha ben dimostrato. Con la seconda proposta di regolamento, COM(2015)473, si vogliono
stabilire i requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di
investimento. Si stanno rilanciando le cartolarizzazioni, la bomba che ha fatto
esplodere i mercati finanziari nel 2007 essendo esse il veicolo per la vendita
di differenti pacchetti di titoli di credito, messi insieme anche più volte dai
diversi emittenti, ciò che li rende incontrollabili e inaffidabili.
Nel giorno stesso della Comunicazione, la Commissione istituiva
con una sua propria decisione il Comitato
Fiscale – C(2015)8000 – con il compito di contribuire con le proprie
valutazioni e proposte “all’esercizio delle funzioni della Commissione
nell’ambito della sorveglianza del bilancio multilaterale”, al monitoraggio dei
casi particolarmente gravi “di inosservanza delle norme” e alla verifica
dell’adeguatezza “dell'effettivo orientamento di bilancio a livello nazionale e
della zona euro” (articolo 2). Ovviamente la Commissione si è autoinvestita della nomina del presidente e dei
quattro membri del Comitato, con il solo vincolo di consultare gli Uffici
nazionali delle finanze pubbliche, la BCE e l’Eurogruppo (articolo 3). Al pari
di tutte le authorities europee anche
per questo Comitato fiscale vige la garanzia dell’indipendenza rispetto alle
istituzioni, anche rappresentative, nazionali ed europee.
Attraverso tutte queste variegate
disposizioni si può seguire in tempo reale la creazione delle tecnostrutture e
i modi con cui si depoliticizzano le decisioni pubbliche. Si è visto che i
meccanismi del Semestre europeo sono stati resi più efficienti mediante
organismi di valutazione e controllo posti al di fuori del circuito
democratico: questo nuovo Comitato fiscale si aggiunge alla Commissione,
all’ECOFIN, all’Eurogruppo, alle Direzioni generali, che con i loro ‘bracci
preventivi e correttivi’, gli ‘alert mechanisms’, le procedure per gli
squilibri eccessivi di bilancio e macroeconomici ecc. ecc., si sono sostituiti
alle istituzioni rappresentative spossessate delle competenze nelle politiche
fiscali, nerbo della sovranità politica.
Con
un barocchismo burocratico, si tratta infatti di una ‘raccomandazione
di raccomandazione’ rivolta al Consiglio, COM(2015)601, la
Commissione chiede l’istituzione di Comitati nazionali per la competitività nella zona euro per tenere sotto
pressione i governi affinché attraverso le ‘riforme di struttura’ incrementino
la capacità concorrenziale delle rispettive economie. Così si compie un altro
passo verso l’obiettivo di un’economia‘sociale di mercato’, che deve essere però
‘competitiva’ come recita il TUE (comma 3 dell’articolo 3). Tradotta dalla
lingua dell’ordoliberalismo, la disposizione del Trattato significa che i
mercati sono chiamati a coordinare le produzioni di merci e servizi e a
distribuire alle diverse classi sociali le quote di reddito. L’UE è una società commerciale sovranazionale, già
disegnata per il livello nazionale da Adam Smith.
Contro
le decisioni chiave, come quelle richiamate, non si è mai udita una voce nei Parlamenti
nazionali o europeo, né si è mai letta una dichiarazione di un partito o di un
sindacato contro vecchi e nuovi organismi tecnocratici che dominano la vita
economica e politica. Non ci sono mobilitazioni tese a proporre la rottura dell’UE
per costruire un’altra Europa retta da una Costituzione democratica scelta dai
cittadini, e non dai Trattati negoziati dai governi.
I
governi, tranne quello di Cameron, non osano chiedere più un referendum, forse
ricordando la lezione francese e olandese del 2005 con la vittoria del no nel voto
sul Trattato costituzionale; non c’è forza politica, sindacale o di movimento
che si mobiliti affinché siano i cittadini a decidere non su questa o quella
scelta particolare, bensì sulla permanenza di un paese nell’UE. L’incastro di
Trattati, norme e sentenze – la cosiddetta Comunità di diritto – fa da base a
un’oligarchia che va assorbendo le competenze sovrane nazionali eludendo i controlli
a cui esse erano sottoposte, grazie alle istituzioni parlamentari e all’esercizio
dei diritti fondamentali, argini nei confronti dei poteri pubblici e privati.
* Fonte: Alternative per il socialismo, n. 38
NOTE
1.
Corriere della Sera, 10 gennaio 2016, p. 28;
2. ha detto il cardinale Schönborn:
“l’Europa è stata sangue e lacrime per secoli di guerra tra cristiani”, Avvenire, 19 gennaio 2016, p. 14;
3. v. il discorso di papa Francesco alla
sinagoga di Roma, pubblicato sull’Avvenire
del 18 gennaio 2016, p. 16; nel suo Messaggio per la Quaresima ha scritto: “ In
quanto uomo, Gesù di Nazareth è infatti figlio di Israele a tutti gli effetti.
E lo è al punto da incarnare quel perfetto ascolto di Dio richiesto ad ogni
ebreo dallo Schemà, ancora oggi cuore
dell’alleanza di Dio con Israele” , riportato dall’ Avvenire del 27 gennaio 2016, p. 5;
4. Avvenire, 14 gennaio 2016, p. 21;
5. il libello di Lutero è stato pubblicato
in Italia da Einaudi nel 2105 con l’introduzione di A. Prosperi; sul Giubileo
luterano si possono proficuamente leggere l’articolo di Vito Punzi, Avvenire, 13 gennaio 2016, p. 21; e
quello di Lorenzo Tomasin, Il Sole 24 Ore,
10 gennaio 2016, p. 23;
6. I. Kant, La metafisica dei costumi, Bari 1970, pp.34-35; J. Ralws, Una teoria della giustizia, Milano 1982,
p. 215;
7. tra gli innumerevoli scritti di Bobbio
sulla laicità, si può leggere la sua Intervista,
in AA.VV. Laicità. Domande e Risposte in
38 interviste, Torino 2003; di Gerald Dworkin si veda Autonomy, in A Companion to Contemporary
Political Philosophy, Blackwell Publishing, 20072, vol. II, p.
445;
8. per una più ampia informazione si veda
la Nota n. 33, Il Regno Unito e l’Unione
Europea, del Servizio Studi del Senato, curata da Lorella Di Gianbattista;
9. puntuali le informazioni fornite dal Servizio
Studi del Senato nella Nota su Atti
dell’Unione Europea dedicata al Consiglio europeo del 17-18 dicembre 2015;
10. si veda Il Sole 24 Ore, del 23 dicembre 2015, p. 8, e dell’11 dicembre 2015
p. 2;
11. la Bank
Recovery and Resolution Directive, BRRD (2014/59/UE), definisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti
creditizi e delle imprese di investimento; la direttiva è stata recepita
dall’Italia con due decreti legislativi, 180 e 181 del 2015; ricordo che il regolamento
806/2014/UE ha istituito, nell’ambito delle procedure del meccanismo unico di
risoluzione, un Comitato Singolo di Risoluzione (presieduto da Elke König),
che, entrato in attività il 1° gennaio 2015 e con pieni poteri dal 1° gennaio
2016, oltre a collaborare con le
autorità nazionali, ha potere diretto su 144 banche europee, 15 in più di
quelle sottoposte al Comitato di Sorveglianza della BCE, istituito quest’ultimo
con il regolamento 1024/2013/UE e guidato attualmente da Danièl Nouy.
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