[ 5 febbraio ]
L'onore da non ferire
Noi abbiamo pochi dubbi sul fatto che Regeni [nella foto] sia stato punito con la morte da un qualche organismo di sicurezza egiziano —quindi agli ordini del generale golpista Al-Sisi— per la sua opera di contro-informazione sui conflitti sociali e sindacali in Egitto.
Vedremo se il governo Renzi, davanti a questo caso politico-diplomatico gravissimo, inalbererà l'orgoglio tricolore come per i due marò sotto processo in India, oppure si comporterà in maniera codarda col pretesto della "realpolitik".
La seconda ipotesi è quella altamente probabile. La ragione è presto detta: gli ingenti interessi economici dell'imperialismo italiano in Egitto nonché quelli economici e geopolitici in Libia. Lo spiega bene Alberto Negri.
L'onore da non ferire
di Alberto Negri
Il Sole 24 Ore del 5 febbraio
I problemi tra Italia ed Egitto hanno un nome, quello del generale Khalifa Haftar, comandante delle forze di Tobruk che aspira a diventare l’uomo forte della Libia. Il suo sponsor è il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che non nasconde le mire sulla Cirenaica.
È noto che è uno storico interesse egiziano. Si racconta che una volta re Faruk disse a Winston Churchill durante un incontro: «Questo un tempo era Egitto» a proposito dell’est libico. E Churchill replicò con il solito aplomb: «Non mi pare!».
Metà della Libia detesta Hafar, soprattutto le fazioni islamiche di Tripoli che vedono in lui un amico del giustiziere dei Fratelli Musulmani e il portabandiera degli interessi egiziani. Ormai è chiaro che il cuore di tutta la questione libica sta nell’assegnazione del comando delle Forze armate, il resto sono quasi dettagli.
Dopo essere volato in Egitto dal suo protettore, Haftar ha avuto un incontro con una delegazione italiana di diplomatici e membri dell’intelligence nel tentativo di dissuaderlo dall’obiettivo di voler diventare il Sisi libico. A Tripoli non vorranno mai che Haftar entri in città alla testa delle truppe: l’astio contro lui, ormai a livelli non negoziabili, risale almeno al 2013 quando voleva proclamare lo stato di emergenza. Un annuncio da generale sudamericano replicato nel febbraio 2014, quando apparve in televisione proponendosi come il salvatore della patria. Una sorta di tentativo di golpe condannato anche dall’allora ambasciatore americano a Tripoli.
Ma il presidente egiziano, autore del colpo di stato del 2013 contro i Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi, non si è ancora voluto liberare della carta Haftar che gli permette di dire una parola fondamentale nell’eventuale accordo tra Tripoli e Tobruk: insomma in buona parte le sorti del prossimo governo libico, se ci sarà, ma anche di un possibile intervento internazionale stanno nelle mani del generale Al Sisi.
L’insistenza egiziana a puntare su Haftar può mettere in pericolo i nostri interessi in Tripolitania. L’Italia in Libia gioca su un terreno assai rischioso. Per noi sarebbe meglio concentrarsi sui reali obiettivi strategici concentrati nell’area di Tripoli (per esempio l’hub Eni di Mellitah) ed evitare di invischiarci nella Cirenaica. Dobbiamo chiederci quindi qual è il nostro interesse minimo, visto che l’intervento militare del 2011 contro il rais Gheddafi ci ha consegnato una sconfitta sonora, in termini economici e della stabilità di un Paese che è crollato regalandoci ondate di immigrati.
Allo stesso tempo però l’Italia non può rinunciare all'Egitto. Non solo per il sostanzioso interscambio commerciale e il nuovo mega-giacimento di gas di Zhor dell’Eni ma anche per gli altri dossier in cui c’è una collaborazione bilaterale, dall’immigrazione alla lotta al terrorismo, alla cooperazione militare. Non è un caso che nell’agosto del 2014 il premier Matteo Renzi è stato il primo leader europeo ad essere ricevuto dal presidente Al Sisi, insediatosi appena due mesi prima. Anche la visita in Italia del raìs egiziano nel novembre di due anni fa è stato il suo primo viaggio in Europa. Non si è trattato di scambi di cortesie ma di gesti concreti per la sua legittimazione internazionale.
Nei giorni scorsi Renzi aveva annunciato anche un vertice governativo italo-egiziano che doveva essere preceduto dalla missione del ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi, sospesa dopo il ritrovamento del corpo del giovane ricercatore. E quando, il 13 marzo 2015, si tenne a Sharm el Sheikh una grande conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto, il premier volò sul Mar Rosso per il terzo faccia a faccia con Al Sisi al quale espresse «fiducia nella sua leadership» accreditando non solo la lotta al jihadismo nel Sinai ma anche una dura repressione contro ogni opposizione interna.
Abbiamo trattato Al Sisi con i guanti, come del resto Erdogan. «La sfida egiziana - disse Renzi - è anche la nostra sfida, la stabilità dell’Egitto è la nostra stabilità». Sembrò allora di sentire le parole del ministro degli Esteri Carlo Sforza che nel 1947 difese in Parlamento il trattato di pace con il Cairo e il versamento delle riparazioni di guerra sostenendo che l’accordo dove essere considerato l’avvio di una nuova politica mediterranea ed africana nella prospettiva dell’ineluttabile risveglio del mondo arabo. L’Egitto - disse Sforza - in quanto sede della Lega Araba, avrebbe rivestito un ruolo centrale e sarebbe stato un gravissimo errore, per l’Italia, ferirne l’onore. Ecco ora tocca all’Egitto non ferire l’onore dell’Italia raccontando bugie sulla morte di un giovane studente.
I problemi tra Italia ed Egitto hanno un nome, quello del generale Khalifa Haftar, comandante delle forze di Tobruk che aspira a diventare l’uomo forte della Libia. Il suo sponsor è il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che non nasconde le mire sulla Cirenaica.
È noto che è uno storico interesse egiziano. Si racconta che una volta re Faruk disse a Winston Churchill durante un incontro: «Questo un tempo era Egitto» a proposito dell’est libico. E Churchill replicò con il solito aplomb: «Non mi pare!».
Metà della Libia detesta Hafar, soprattutto le fazioni islamiche di Tripoli che vedono in lui un amico del giustiziere dei Fratelli Musulmani e il portabandiera degli interessi egiziani. Ormai è chiaro che il cuore di tutta la questione libica sta nell’assegnazione del comando delle Forze armate, il resto sono quasi dettagli.
Dopo essere volato in Egitto dal suo protettore, Haftar ha avuto un incontro con una delegazione italiana di diplomatici e membri dell’intelligence nel tentativo di dissuaderlo dall’obiettivo di voler diventare il Sisi libico. A Tripoli non vorranno mai che Haftar entri in città alla testa delle truppe: l’astio contro lui, ormai a livelli non negoziabili, risale almeno al 2013 quando voleva proclamare lo stato di emergenza. Un annuncio da generale sudamericano replicato nel febbraio 2014, quando apparve in televisione proponendosi come il salvatore della patria. Una sorta di tentativo di golpe condannato anche dall’allora ambasciatore americano a Tripoli.
Ma il presidente egiziano, autore del colpo di stato del 2013 contro i Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi, non si è ancora voluto liberare della carta Haftar che gli permette di dire una parola fondamentale nell’eventuale accordo tra Tripoli e Tobruk: insomma in buona parte le sorti del prossimo governo libico, se ci sarà, ma anche di un possibile intervento internazionale stanno nelle mani del generale Al Sisi.
L’insistenza egiziana a puntare su Haftar può mettere in pericolo i nostri interessi in Tripolitania. L’Italia in Libia gioca su un terreno assai rischioso. Per noi sarebbe meglio concentrarsi sui reali obiettivi strategici concentrati nell’area di Tripoli (per esempio l’hub Eni di Mellitah) ed evitare di invischiarci nella Cirenaica. Dobbiamo chiederci quindi qual è il nostro interesse minimo, visto che l’intervento militare del 2011 contro il rais Gheddafi ci ha consegnato una sconfitta sonora, in termini economici e della stabilità di un Paese che è crollato regalandoci ondate di immigrati.
Allo stesso tempo però l’Italia non può rinunciare all'Egitto. Non solo per il sostanzioso interscambio commerciale e il nuovo mega-giacimento di gas di Zhor dell’Eni ma anche per gli altri dossier in cui c’è una collaborazione bilaterale, dall’immigrazione alla lotta al terrorismo, alla cooperazione militare. Non è un caso che nell’agosto del 2014 il premier Matteo Renzi è stato il primo leader europeo ad essere ricevuto dal presidente Al Sisi, insediatosi appena due mesi prima. Anche la visita in Italia del raìs egiziano nel novembre di due anni fa è stato il suo primo viaggio in Europa. Non si è trattato di scambi di cortesie ma di gesti concreti per la sua legittimazione internazionale.
Nei giorni scorsi Renzi aveva annunciato anche un vertice governativo italo-egiziano che doveva essere preceduto dalla missione del ministro per lo Sviluppo economico Federica Guidi, sospesa dopo il ritrovamento del corpo del giovane ricercatore. E quando, il 13 marzo 2015, si tenne a Sharm el Sheikh una grande conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto, il premier volò sul Mar Rosso per il terzo faccia a faccia con Al Sisi al quale espresse «fiducia nella sua leadership» accreditando non solo la lotta al jihadismo nel Sinai ma anche una dura repressione contro ogni opposizione interna.
Abbiamo trattato Al Sisi con i guanti, come del resto Erdogan. «La sfida egiziana - disse Renzi - è anche la nostra sfida, la stabilità dell’Egitto è la nostra stabilità». Sembrò allora di sentire le parole del ministro degli Esteri Carlo Sforza che nel 1947 difese in Parlamento il trattato di pace con il Cairo e il versamento delle riparazioni di guerra sostenendo che l’accordo dove essere considerato l’avvio di una nuova politica mediterranea ed africana nella prospettiva dell’ineluttabile risveglio del mondo arabo. L’Egitto - disse Sforza - in quanto sede della Lega Araba, avrebbe rivestito un ruolo centrale e sarebbe stato un gravissimo errore, per l’Italia, ferirne l’onore. Ecco ora tocca all’Egitto non ferire l’onore dell’Italia raccontando bugie sulla morte di un giovane studente.
2 commenti:
Mi sembra una deprecabile leggerezza nel breve commento introduttivo della redazione accomunare senza distinguo (a proposito del ben diverso atteggiamento che assumerà il governo nel secondo caso rispetto al primo) gli assassini di due inermi e onesti pescatori indiani (fra l' altro con l'aggravante "della divisa") con l' onesto e innocente ricercatore trucidato dal boia amico dell' occidente del Cairo.
Caro Giulio,
sarebbe meglio che tu rileggessi l'introduzione redazionale, la hai completamente equivocata.
E' offensivo sospettare questa redazione, di vicinanza o indulgenza nei confronti dei due marò.
Daniela
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