[ 8 febbraio ]
«La Lega cerca – con preoccupante successo – di egemonizzare il movimento antieuropeista su una linea di populismo reazionario, xenofobo, di marca dichiaratamente lepenista. Assistiamo persino al tentativo di capitalizzare a destra lo stesso straordinario successo diSyriza nelle elezioni greche, oscurandone l’imprinting radicalmente antiliberista. Anche il M5S cavalca l’onda, sebbene con un profilo più basso e confuso, esibendo come distintivo indennitario la pura e semplice, propagandistica, uscita dall’euro tramite il Referendum.
L’agognato ritorno alla moneta nazionale non è tuttavia auspicato da costoro per restaurare diritti espropriati (welfare, diritto del lavoro), o per proteggere i salari, o per ostacolare il processo di privatizzazione selvaggio, o per definire nuove regole per il commercio e controllare la circolazione dei capitali, o per pubblicizzare banche e asset nazionali. Tutto il contrario. Si tratta di un nazionalismo autarchico e reazionario che si sdraia su un senso comune sempre più diffuso e sulla crescente disperazione di un popolo che non sa più a che santo votarsi, per lucrarne un vantaggio politico-elettorale a buon mercato.
E noi? Noi comunisti nel congresso abbiamo detto “Disobbediamo ai trattati!“, facciamo leva sulle contraddizioni del monetarismo Ue a trazione tedesca, sottraiamoci al ricatto del moderno “Mago di Oz“, di un’Unione Europea che gioca con le carte truccate. Ma cosa vuol dire, in concreto, disobbedienza? Come si declina questa linea, al centro e in periferia, vale a dire nelle regioni, nei comuni, nelle politiche di bilancio e fiscali? Ancora: cosa vuol dire opporsi al Patto di Stabilità che impedisce persino ai comuni “virtuosi” di spendere risorse disponibili? Ebbene, noi non l’abbiamo ancora detto, col risultato che la nostra proposta rimane chiusa in quella parola, non si traduce in una politica e in una mobilitazione. Dunque: “non morde“, “non si vede“, “non seduce“. E rimane in una “terra di mezzo“, priva di realtà, vaso di coccio fra vasi di ferro.
L’analisi da cui dovrebbe in realtà prendere le mosse ogni scelta politica razionale ed efficace non può accontentarsi di una critica rivolta al liberismo “in generale” e ad un processo di unificazione europea che non avrebbe portato a compimento il suo più ambizioso progetto politico, perché rimasta a metà del guado e perché diventata, via via, preda degli spiriti animali del capitalismo. Per cui oggi si tratterebbe di costringere il manovratore a venire a più equi patti, introducendo qualche variante negli ingranaggi esistenti, qualche artifizio economicistico, qualche espediente di tecnica monetaria capace di mutarne l’indirizzo di fondo.
Il fatto è che l’Unione Europea è prima di tutto la forma politica di un rapporto sociale e, precisamente, di un rapporto sociale imperniato sul dominio del capitale finanziario: l’architettura monetaria che esso ha posto al suo fondamento (e che trova nell’euro non già un sottoprodotto fenomenico, ma il proprio funzionale apparato strumentale) serve appunto a stabilizzare il potere dell’oligarchia liberista che governa l’Europa. La complessa impalcatura monetarista si configura, cioè, come la specifica risposta strategica del capitalismo continentale (a egemonia tedesca) alla caduta del saggio di profitto e la condizione, dentro un quadro politico-sociale in rapida mutazione reazionaria, per riplasmare l’economia nella conservazione di rapporti capitalistici di produzione fortemente compromessi dalla crisi.
L’ambizioso progetto è quello di liquidare in radice il welfare novecentesco, ridurre strutturalmente i salari a livello di sussistenza, consegnare alla marginalità le forme di aggregazione politica di impronta classista, con l’obiettivo di rendere strutturale l’estrazione di plusvalore assoluto dal lavoro vivo, condizione necessaria in una fase storica in cui la composizione organica e la stupefacente concentrazione del Capitale hanno raggiunto un livello tale da non riuscire a offrire agli investimenti un adeguato rendimento. Siamo, cioè, di fronte a una vera e propriaristrutturazione della formazione economico-sociale capitalistica (nell’accezione marxiana) che coinvolge la struttura economica, cioè il modello di accumulazione, i rapporti sociali e di proprietà, la sovrastruttura politica, i modelli istituzionali ed elettorali e l’ideologia che tiene insieme l’impasto:
– Il modello di Accumulazione: attraverso la costruzione di un paradigma che produce e riproduce il Capitale finanziario, parassitario e speculativo;
– I rapporti di Proprietà: attraverso la spoliazione della proprietà pubblica, la privatizzazione integrale, la messa a profitto di tutto ciò che può assumere i caratteri della merce, la reductio ad unum delle quattro forme di proprietà previste dalla Costituzione repubblicana (statale, privata, comunitaria, cooperativa);
– La superstruttura Politica e Giuridica: attraverso la sterilizzazione del Parlamento e l’annichilimento della democrazia rappresentativa in favore della concentrazione di tutto il potere negli esecutivi; lo stravolgimento del modello elettorale in funzione maggioritaria, bipartitica e in forma tendenzialmente presidenziale;
– La superstruttura Culturale e Ideologica: sostenuta da un imponente apparato mediatico, che ha sradicato nella coscienza di larghe masse ogni anelito solidaristico per sostituirvi la concezione individualistica e iper-competitiva della borghesia liberale classica.
L’Europa odierna è dunque tutto meno che uno spazio neutro, più efficace per la lotta dello Stato nazionale. Non è vero che lo spazio statuale più grande, quello europeo, sia il modo migliore per collocare una controffensiva di classe al livello del Capitale; esso lo è solo quando consente alla classe dominata di esprimere la propria autonomia politica. Quando il dominio di classe assume forma nazionalistica si deve essere internazionalisti, europeisti e in qualche caso autonomisti. Quando invece, come succede in Europa, quel dominio passa proprio attraverso la distruzione dello stato nazionale, si deve elaborare un nazionalismo democratico orientato verso una nuova Europa confederale.
L’Europa non è un soggetto politico che aiuta il multipolarismo e contiene l’espansione Usa, considerto che siamo alla vigilia della sottoscrizione del devastante Trattato di Libero Scambio Transatlantico che consegnerà alle multinazionali, ai più rapaci players economici internazionali il potere – con tanto di legittimazione giuridica e tribunali al seguito – di subordinare all’attesa di profitto ogni aspetto delle legislazioni nazionali, mettendo la mordacchia ad intere Costituzioni nazionali.
L’Europa non è neppure un’entità sovranazionale che riequilibra le legislazioni e prepara un assetto federativo. La costruzione forzosa di un’unica area valutaria aumenta la divaricazione fra i paesi, perché impone una moneta unica ad economie del tutto diverse. E perché questa moneta “incorpora” le “virtù” del marco: deflazione, indipendenza della Bce e stabilità monetaria, i tre dogmi su cui è costruito l’euro, le tre cause, o concause, della distruzione dell’unità europea.
L’euro serve anche a rendere stabile la gerarchia fra Nord e Sud, fra paesi creditori e paesi debitori. Il comportamento del creditore nord-europeo è solo apparentemente illogico. Perché incaponirsi in politiche che, riducendo la domanda dei paesi debitori, riducono il mercato per i prodotti del nord, considerato che il 70% delle esportazioni di quei paesi avvengono nell’area europea? Per due motivi: perché diminuire il salario dei lavoratori del Sud, in buona parte terzisti del Nord, significa diminuire i prezzi dei prodotti del Nord stesso; e perché la generale deflazione del Sud abbatte il costo del patrimonio industriale ed immobiliare dei paesi colpiti. La logica che guida queste scelte è una logica semi-coloniale, che punta a costruire un sistema industriale ed un mercato del lavoro duali, concentrando la proprietà nelle mani del Nord e trasformando il Sud in un mare di mano d’opera a basso costo. La logica dell’euro è la più cocente smentita di chi crede che l’Unione Europea sia il terreno più favorevole per la lotta di classe.
L’Europa è oggi un meccanismo non democratizzabile perché distrugge deliberatamente, con metodo, il solo soggetto che potrebbe democratizzarla: il Lavoro. Non è forse superfluo ricordare la lettera a firma congiunta con cui, alla fine del 2011, Draghi e Trichet intimavano all’Italia di mettere mano a pensioni, salari, diritti del lavoro e privatizzazioni e come Napolitano abbia investito poi Mario Monti del ruolo di esecutore testamentario di queste direttive; o il documento con cui J.P.Morgan, nel maggio del 2012, ribadiva lo stesso concetto, con un “taglio“, per così dire, più sistemico, dove ad essere messe all’indice erano le costituzioni antifasciste troppo venate di socialismo; o – per tornare a casa nostra – la determinazione con cui il compìto demolitore del giusvalorismo moderno è stato mirabilmente interpretato da Matteo Renzi.
Uno sguardo alla situazione della Grecia.
Ha ragione Emiliano Brancaccio: le ricette della Troika saranno ricordate come uno dei più colossali inganni della storia della politica europea. La Grecia le applica già da quattro anni con enormi (e crescenti) sacrifici per la popolazione. Rispetto al 2010 la pressione fiscale è aumentata di 8 punti percentuali rispetto al Pil e la spesa pubblica è diminuita di quasi 4 punti, corrispondenti ad un crollo di 30 miliardi; i salari monetari sono caduti di 12 punti percentuali e il loro potere d’acquisto è precipitato, in media, di 14 punti, con picchi negativi di oltre 30 punti in alcuni comparti.
La Commissione Europea ha sempre sostenuto che queste politiche non avrebbero depresso l’economia. Ma le sue previsioni sull’andamento del Pil greco sono state totalmente smentite: per il 2011 la Commissione previde un Pil stazionario, che in realtà crollò di 7 punti; per il 2012 addirittura una crescita di un punto, e fu sconfessata da una caduta di 6 punti e mezzo; nel 2013 la previsione fu di crescita zero, e invece il Pil greco precipitò di altri 4 punti. Anche per il 2014 si registra uno scarto fra le rosee previsioni di Bruxelles e la realtà dei fatti ad Atene.
La verità, che ormai riconoscono a denti stretti persino al Fmi, è che le ricette della Troika rappresentano la causa principale del crollo della domanda e della conseguente distruzione di produzione e occupazione avvenuta in Grecia: negli ultimi 5 anni, ben 800.000 posti di lavoro in meno. Né si può dire che tali ricette abbiano stabilizzato i bilanci: il crollo della produzione ha implicato un’esplosione del rapporto fra debito pubblico e Pil, aumentato in 5 anni di 30 punti percentuali.
Questi soggetti – osserva ancora Brancaccio – stanno ottenendo quello che volevano: perché dovrebbero mutare la loro posizione a seguito di una vittoria di Tsipras? Al limite offriranno un’austerità appena un po’ mitigata, un piatto avvelenato che – se accettato – condannerebbe Syriza alla stessa agonia che ha ridotto ai minimi termini il Pasok di Papandreu
Il rigetto di una parte del debito accumulato sarebbe una soluzione logicamente razionale. Un problema, tuttavia, esiste: la disapplicazione unilaterale del Memorandum, il ripudio anche solo di una parte del debito indurrebbe la Bce a bloccare le erogazioni e determinerebbe una nuova crisi di liquidità. A quel punto la Grecia e il suo nuovo governo di sinistra sarebbero costretti ad abbandonare l’euro per tornare a stampare moneta nazionale.
Ora, il QE varato dalla Bce è stato rappresentato come il tentativo di correggere – di fronte al generale scivolamento deflativo – lo sciovinismo economico e rigorista di marca tedesca. La Banca Centrale si è sì decisa – sia pure in forma edulcorata, cioè scaricando la parte di gran lunga più cospicua dei rischi sulle banche centrali dei paesi membri – a stampare moneta per l’acquisto massiccio di titoli del debito nazionali. Peccato che gli acquisti di titoli di Stato non avverranno – a differenza di quanto avvenuto negli Usa e in Giappone – rastrellandoli sul mercato primario, direttamente dagli organi emittenti, cioè dai ministeri del Tesoro dei singoli stati. Gli acquisti saranno fatti sul mercato secondario, cioè dalle grandi banche della zona euro.
“Si tratta quindi – come osserva Domenico Moro – dello stesso meccanismo già deciso da Draghi nel 2011, e basato sull’offerta di liquidità a tassi ridottissimi alle banche affinché acquistassero titoli di Stato. Una mossa che non ha sortito alcun effetto positivo sull’economia e sull’occupazione, che hanno continuato a peggiorare. Infatti, la liquidità erogata dalla Bce non si tradusse in prestiti alle famiglie dei salariati, agli artigiani e alle piccole imprese, ma rimase nelle banche”.
“Ad avvantaggiarsene – continua Moro – furono le banche stesse, che guadagnarono sul differenziale tra i finanziamenti a tasso zero della Bce e gli interessi pagati dallo Stato. Il risultato fu che i bilanci delle banche, gravati dalle perdite della crisi del 2007-2008, migliorarono notevolmente, grazie alla crescita degli utili. Un meccanismo simile si verificherà anche questa volta. Di fatto, l’operazione è a carico delle singole nazioni. Insomma, dove sta la svolta, dov’è la solidarietà e l’azione finalmente combinata a livello europeo? Il rischio sovrano si è internalizzato ancora di più, con sollievo della Germania. In terzo luogo, gli acquisti verranno effettuati non selettivamente, in base alle difficoltà dei singoli Stati nel finanziare il proprio debito, ma in modo proporzionale alle quote di capitale detenute dai singoli stati nella Bce. Dunque, la Germania, che paga già interessi reali negativi sul suo debito, verrà ‘beneficiata’ da questa operazione in proporzione come la Grecia che paga alti tassi d’interesse“.
“Dunque – conclude Moro – l‘obiettivo di Draghi non è quello di rilanciare il Pil, cioè la produzione, e l’occupazione, ma di tenere alti i profitti delle banche e delle grandi imprese soprattutto multinazionali. Il QE ha come obiettivo il contrasto alla deflazione, perché questa riduce i profitti o ne inibisce l’aumento, in quanto il calo dei prezzi erode i margini operativi delle imprese. Un’inflazione troppo forte beneficia i debitori rispetto ai creditori e questo è eresia in un ambiente capitalistico, soprattutto per le banche. Ma l’inflazione troppo bassa, o peggio la deflazione, erodono i profitti. Inoltre, il QE ha già cominciato a svalutare l’euro rispetto al dollaro e altre valute, facilitando le esportazioni che sono pressoché di esclusiva pertinenza delle imprese di grandi dimensioni e multinazionali“.
Si tratta di segni piuttosto evidenti che l’ingranaggio è in crisi, che le misure adottate non fanno che confermare ilcarattere organico della crisi capitalistica e, ancora, che la diga eretta per scongiurare il cedimento rischia di rivelarsi alquanto fragile, poiché la manovra rimane pur sempre incardinata sull’impalcatura monetaria che ha prodotto l’austerity e non è arduo prevedere che i suoi effetti si riveleranno del tutto modesti.
Allora, tornando al tema iniziale, attenzione a spiegare che se si mette in discussione l’euro significa essere anti-europei; attenzione a dire che la rivendicazione della sovranità popolare (che, non dimentichiamolo, sta scritta nell’Articolo 1 della Costituzione) significa, “necessariamente“, portare acqua ai nazionalismi xenofobi e fascistoidi; attenzione a dire che chi vuole fare saltare questo ingranaggio infernale non fa che “lavorare per il Re di Prussia“, altrimenti si corre il rischio che qualcuno il Re di Prussia lo invochi davvero e, magari, che lo scontro si concluda non con una restaurazione della democrazia, ma proprio con l’avvento dei populismi reazionari.
Del resto, non ci sono evidenze empiriche – come ci spiegano Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini – che l’uscita dall’euro provocherebbe una svalutazione nelle proporzioni che si paventano e, soprattutto, che lo scenario sarebbe in quel caso peggiore della drammatica deriva in corso. Lo dico perché il “diavolo” capitalista fa le pentole, ma non sempre riesce a trovare i coperchi e fra non molto potremmo trovarci di fronte alla caduta dell’euro per… autocombustione…, cioè per autonoma decisione del potere finanziario, una volta condotti a termine lo sventramento del welfare, il processo di privatizzazione integrale, la riduzione a simulacro della democrazia rappresentativa, l’annichilamento del potere di contrasto del soggetto lavoro.
Il punto, allora, è cosa fare per impedire che si intraprenda questa strada, proprio per l’incapacità delle classi dominanti di perseguire una rotta diversa. Allora tocca a noi dire in modo chiaro che all’uscita dall’euro dovrà corrispondere una nuova politica economica e sociale:
- proteggendo i salari attraverso un rilancio delle lotte e del ruolo contrattuale del sindacati;
- reintegrando i diritti del lavoro espropriati dalla crociata anti-operaia in corso;
- rilanciando l’indicizzazione delle retribuzioni al corso della vita;
- ricostruendo un régime previdenziale che così com’è precluderà il diritto alla pensione a due generazioni di italiani;
- riducendo su scala nazionale e in tutti i settori l’orario di lavoro;
- varando nuove politiche fiscali che restituiscano progressività all’imposta sul reddito e prevedendo una tassa strutturale sui grandi patrimoni;
- ponendo un tetto alle retribuzioni e alle pensioni;
- nazionalizzando le banche e i principali asset industriali, a partire dalla siderurgia;
- ridefinendo le regole che disciplinano gli scambi commerciali e i movimenti di capitale.
Si tratta, insomma, di costruire le premesse per un’uscita da sinistra dalla crisi e riscattare l’Europa dal giogo della finanza e dei proprietari universali che stanno succhiando il sangue dei popoli. Certo, per fare queste cose occorrono altri rapporti di forza, e si può a ben titolo obiettare che siamo lontani dalla capacità di mettere in campo una forza d’urto quale sarebbe necessaria, ma con questa piattaforma potremmo rivolgerci sul serio ai proletari di questo Paese e alle forze intellettuali non compromesse con la vulgata corrente, usando argomenti, parole, programmi, proposte che nessun altro può, sa, vuole utilizzare. Proposte che abbiano in sé la forza di rilanciare lotte e dare il senso di una mobilitazione nazionale, ma non nazionalista, solidale, ma non corporativa, europeista, ma non prigioniera dei dogmi del monetarismo liberista.
Ne abbiamo la forza? Nella situazione presente, no. Ma avere una linea chiara oppure non averla non è la stessa cosa. Del resto, una posizione attendista produrrebbe tre effetti massivamente negativi:
a) consegnerebbe la protesta contro l’austerity alla demagogia parafascista di Matteo Salvini, consentendo alla destra più reazionaria di riscuotere la rappresentanza di ampi strati popolari e di ridurre la dialettica politica italiana ad un duello fra la “nuova” Lega in versione lepenista e il Partito Democratico organico al liberismo europeo;
b) genererebbe, di fronte ad una deflagrazione dell’euro, la peggiore delle condizioni, perché il ritorno alla moneta nazionale – senza adeguate contromisure – rovescerebbe sui lavoratori, sui disoccupati, sugli strati più deboli della popolazione uno tsunami sociale di proporzioni devastanti;
c) contribuirebbe all’isolamento della Grecia di Syriza che, invece di schiudere le porte di un’altra Europa, si ritroverebbe sola, stritolata fra le ganasce della tenaglia dei poteri forti europei.
* Dino Greco, dal 1999 al 2007 segretario della Camera del lavoro di Brescia. Oggi è membro della direzione nazionale del Prc
7 commenti:
L' articolista ha completamente " cannato" l' analisi sugli obiettivi della Lega che sono molto più prosaici e straccioni
Ragazzi mi dispiace dirlo ma con questi articoli chilometrici non si arriva da nessuna parte e non si capisce nulla.
Anche questo antileghismo viscerale non serve a nulla. Esistono forze popolari e antieuro che dovrebbero invece trovare un accordo e sono La lega, alleanza nazionale, i 5 stelle e i comunisti rivoluzionari.
Il fascismo è stato a lungo, nei suoi primi anni in bilico tra essere comunista o corporativista, ma la matrice era quella: rivoluzione proletaria. Dobbiamo ritrovare le radici comuni e allearci con le uniche altre forze popolari del paese.
Perché secondo te l' obiettivo della lega è uscire dall' euro?
Sicuro che Dino Greco ha "cannato" Sulla Lega? Vorrei sapere l'opinione della redazione.
“La Banca Centrale si è sì decisa – sia pure in forma edulcorata, cioè scaricando la parte di gran lunga più cospicua dei rischi sulle banche centrali dei paesi membri – a stampare moneta per l’acquisto massiccio di titoli del debito nazionali”.
Il problema non è la ripartizione dei rischi, ma l’ammontare del QE (servirebbero 3.000 mld, d'altra parte è apposta previsto senza limite), la sua ripartizione in base soltanto alle quote di partecipazione nel capitale della BCE e non su base multipla, tenendo conto, ad esempio, anche del debordo rispetto al 60% del rapporto debito/Pil, e che sia imprescindibilmente affiancato da un'adeguata politica fiscale (taglio di tasse e, soprattutto, aumento di spesa, il cui moltiplicatore è maggiore.
“Peccato che gli acquisti di titoli di Stato non avverranno – a differenza di quanto avvenuto negli Usa e in Giappone – rastrellandoli sul mercato primario, direttamente dagli organi emittenti, cioè dai ministeri del Tesoro dei singoli stati. Gli acquisti saranno fatti sul mercato secondario, cioè dalle grandi banche della zona euro”.
Non è vero. Anche la Federal Reserve non può acquistare titoli del Tesoro direttamente dal Tesoro degli Stati Uniti (cfr. Statuto FED e Why doesn't the Federal Reserve just buy Treasury securities directly from the U.S. Treasury? linkati nell’Allegato alla Petizione al Parlamento europeo: la Bce non rispetta il suo statuto .
“Si tratta quindi – come osserva Domenico Moro –"
Domenico Moro fa parte del vero e proprio esercito di Chi non conosce lo statuto della BCE (elenco in divenire) .
Tipica analisi da sinistra della crisi, coi suoi pregi e i suoi tabù consolidati. Tutti i temi che sono parte integrante della crisi ma collimano colle vs. sensibilità umaniste e cosmopolite vengono semplicemente ignorati.
E' lo stesso principio che porta la maggioranza dei 'sinistri' (per ridere) odierni a negare l'evidente collusione fra EU e Stati Uniti (dall'articolista giustamente messa in risalto). Nessuno è interessato a un principio di lucidità fine a se stesso; in ambito politico "le parole sono armi sul campo di battaglia di un ordine simbolico" e ideale.
Basta leggere l' articolo 1 dello statuto della Lega. La lotta all' euro è strumentale alla secessione; hanno scoperto che la sovranità monetaria è consustanziale a qualsiasi entità statuale.
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