[ 27 febbraio ]
L'Unione Europea non è riformabile
Uscire dall'euro e dall'UE: così la Grecia può ancora salvarsi
Vista la centralità assunta dalle vicende greche, specie dopo l'esito del voto dello scorso 25 gennaio, il Coordinamento della sinistra contro l'euro ha seguito con grande attenzione i recenti incontri del cosiddetto "Eurogruppo" a Bruxelles. Quelle che seguono sono le nostre riflessioni sull'accordo che ne è scaturito.
La Grecia è stata costretta alla prosecuzione dell'austerità. Quella che si è svolta nelle riunioni dell'Eurogruppo non è stata una vera trattativa. Il governo Tsipras si è infatti trovato con una pistola puntata alla tempia. Ad impugnarla il governo tedesco, con il plauso più o meno convinto di tutti gli altri membri dell'area euro. Questa è l'Europa, questo è il sistema imperniato sulla moneta unica.
«Colpirne uno, per educarne diciotto», la Germania ha voluto impartire la sua lezione: non si scherza con le regole dell'oligarchia eurista, con il contenuto ultra-liberista dei suoi trattati; tantomeno si può scherzare se si punta a riconquistare almeno un briciolo di sovranità nazionale.
Questo, prima di ogni altra cosa, ci insegnano i negoziati di Bruxelles, una vera pietra tombale sull'idea della riformabilità dell'Unione Europea. Questa linea, che è anche quella di Syriza, è stata non solo battuta, essa è stata annichilita. Molti, anche in Italia, avranno ora da riflettere sul significato di quanto avvenuto.
La verità è che non si può pretendere di iniziare una nuova via, di cambiare una politica economica improntata ai dogmi del neoliberismo, se non si dispone della propria moneta. La piena sovranità monetaria è uno strumento imprescindibile se si vuole invertire la rotta. Uno strumento certo non sufficiente, ma assolutamente necessario. Senza di esso non c'è vera politica economica che possa tentare di rispondere al dramma della disoccupazione di massa ed a quello del crescente impoverimento della società greca.
L'assenza di questo strumento è stata la vera arma impugnata dalla Merkel: «finché siete nell'euro, gli euri ve li diamo noi, ovviamente alle nostre condizioni».
La tracotanza della Germania, confermata pure da quel che è trapelato sullo svolgimento degli incontri, ha potuto dispiegarsi pienamente anche in virtù di un altro fatto assolutamente decisivo: la morte del progetto federale europeo, di quell'unione politica di cui ancora molti straparlano in Italia. Ormai ogni stato persegue esclusivamente i propri interessi. E - particolare non trascurabile - tutti gli altri stati dell'eurozona sono creditori della Grecia.
Non solo. Mentre il grosso dei paesi nordici sta da sempre dalla parte del rigorismo tedesco, anche quelli mediterranei - sui quali puntava evidentemente l'azione diplomatica del governo di Atene - si sono schierati da subito con Berlino. Perché lo hanno fatto? In proposito possiamo solo avanzare alcune ipotesi: la Spagna ed il Portogallo per non vedere smentite le politiche austeritarie messe in atto nei rispettivi paesi, l'Italia di Renzi per ottenere il lasciapassare su qualche decimale del proprio deficit, la Francia forse per illudersi di avere ancora un posto a tavola (vedi negoziati di Minsk) tra le potenze che contano. Comunque, siano giuste o sbagliate queste ipotesi, resto il dato di fatto di un'Europa dove ognuno pensa innanzitutto ai propri interessi, ma in cui tutti seguono - riconoscendone così l'indiscussa leadership - la linea tracciata dal governo di Berlino.
Da un quadro di questo tipo non poteva che uscire quel che è poi uscito. L'accordo di Bruxelles è una sconfitta pesante per Tsipras. In buona sostanza, la Germania ha confiscato il programma elettorale di Syriza. Esso infatti, almeno per i prossimi quattro mesi, sarà sotto lo stretto monitoraggio dei creditori, cioè dell'UE, della BCE, del FMI; in definitiva la cosiddetta troika che da anni imperversa nel paese ellenico.
La domanda allora è questa: poteva andare diversamente questo round? La risposta è no. Un esito diverso avrebbe potuto esserci solo se Italia e Francia avessero deciso di smarcarsi dal rigorismo tedesco e se il governo greco fosse andato allo scontro. Uno scontro che il governo Tsipras non ha voluto, non avendo pronto il necessario «piano B».
Non lo aveva pronto, pensiamo, per tre motivi: il primo risiede nell'ideologia europeista del gruppo dirigente di Syriza (che è poi la zavorra più pesante del suo governo), il secondo nell'impreparazione del popolo greco (la cui netta maggioranza è ancora a favore dell'euro), il terzo nell'impossibilità materiale di un suo effettivo approntamento nel breve tempo avuto a disposizione.
A causa della sua illusione europeista, il governo di Syriza non poteva vincere questo round. E noi pensiamo che Tsipras farebbe bene ad ammetterlo, piuttosto che fingere di aver vinto, un atteggiamento che mira ad allontanare piuttosto che ad avvicinare il momento della consapevolezza sulla necessità della rottura e dello sganciamento dall'euro e dall'UE.
Si aprono ora 4 mesi decisivi. Mesi nei quali Berlino e Bruxelles cercheranno di logorare l'ampio consenso di cui il governo greco gode. Mesi nei quali Tsipras tenterà comunque di realizzare i punti del primo paragrafo del Programma di Salonicco, quelli a favore degli strati sociali maggiormente colpiti dalla crisi, nel tentativo di affrontare concretamente quella che viene giustamente definita come «crisi umanitaria».
E' probabile che il perseguimento di questi obiettivi inneschi nuove tensioni con i guardiani dell'ortodossia austeritaria. Così come è altamente probabile che una parte degli impegni presi dal governo greco si rivelino assolutamente aleatori. Il punto fondamentale è però un altro: questo periodo di tempo verrà utilizzato, oppure no, per prepararsi all'uscita dal regime dell'euro?
Dopo aver perso un primo round oggettivamente insostenibile, ora il governo di Atene ha davanti a se il secondo round, quello decisivo. Un round in ogni caso difficile, ma che dipenderà in larga parte dalle scelte politiche di Syriza e dal ruolo che assumerà la sinistra interna anti-euro di quel partito. Se nel primo round non si poteva prescindere dalla pistola puntata alla tempia, ora il primo obiettivo dovrà essere quello di rendere scarica quell'arma.
Detto in altri termini: preso atto della irriformabilità dell'Ue, Syriza rifiuterà di venire «riformata» dall'oligarchia eurista o accetterà le politiche dei sacrifici imposte al popolo greco? Nel primo caso esiste solo una strada, quella dell'uscita e dello sganciamento dal regime dell'euro. E' questa l'unica alternativa ad una sconfitta politica che altrimenti diventerebbe devastante. Naturalmente, questa alternativa richiede una svolta radicale negli orientamenti di Syriza. Una svolta imposta quantomeno dal realismo politico, dall'analisi concreta della situazione concreta.
Detto questo, non tocca a noi insegnare ai greci come intraprendere questo percorso. Alcune cose ci sentiamo però di dirle. In particolare tre elementi ci sembrano decisivi: il primo è la determinazione, ed essa non può che nascere dalla razionale consapevolezza della situazione data; il secondo è il consenso, che può essere mantenuto ed esteso non solo attraverso le misure sociali, ma anche mostrando ad ogni passo l'incompatibilità concreta tra di esse e la permanenza nel quadro europeo; il terzo riguarda la geopolitica, in concreto lo sviluppo dei rapporti verso i Brics, ed in particolare la Russia. L'obiettivo dovrà essere quello di trovarsi, nel momento decisivo, con un'azione di governo decisa, un ampio consenso popolare ed un quadro internazionale in cui l'isolamento (sul quale punteranno le oligarchie finanziarie transatlantiche, non solo quelle europee) non sia totale.
Sarà possibile vincere questo secondo round? Noi pensiamo di sì. Per quel che possiamo daremo tutto il nostro sostegno alla resistenza del popolo greco, in particolare ai compagni del blocco ANTARSYA-MARS che si stanno battendo per dare vita ad un fronte popolare che prepari e guidi la necessaria rottura con l'Unione europea e il regime della moneta unica, quindi per riconsegnare al popolo greco la sovranità nazionale senza la quale non ci sarà salvezza.
Coordinamento nazionale sinistra contro l'euro
L'Unione Europea non è riformabile
Uscire dall'euro e dall'UE: così la Grecia può ancora salvarsi
Vista la centralità assunta dalle vicende greche, specie dopo l'esito del voto dello scorso 25 gennaio, il Coordinamento della sinistra contro l'euro ha seguito con grande attenzione i recenti incontri del cosiddetto "Eurogruppo" a Bruxelles. Quelle che seguono sono le nostre riflessioni sull'accordo che ne è scaturito.
La Grecia è stata costretta alla prosecuzione dell'austerità. Quella che si è svolta nelle riunioni dell'Eurogruppo non è stata una vera trattativa. Il governo Tsipras si è infatti trovato con una pistola puntata alla tempia. Ad impugnarla il governo tedesco, con il plauso più o meno convinto di tutti gli altri membri dell'area euro. Questa è l'Europa, questo è il sistema imperniato sulla moneta unica.
«Colpirne uno, per educarne diciotto», la Germania ha voluto impartire la sua lezione: non si scherza con le regole dell'oligarchia eurista, con il contenuto ultra-liberista dei suoi trattati; tantomeno si può scherzare se si punta a riconquistare almeno un briciolo di sovranità nazionale.
Questo, prima di ogni altra cosa, ci insegnano i negoziati di Bruxelles, una vera pietra tombale sull'idea della riformabilità dell'Unione Europea. Questa linea, che è anche quella di Syriza, è stata non solo battuta, essa è stata annichilita. Molti, anche in Italia, avranno ora da riflettere sul significato di quanto avvenuto.
La verità è che non si può pretendere di iniziare una nuova via, di cambiare una politica economica improntata ai dogmi del neoliberismo, se non si dispone della propria moneta. La piena sovranità monetaria è uno strumento imprescindibile se si vuole invertire la rotta. Uno strumento certo non sufficiente, ma assolutamente necessario. Senza di esso non c'è vera politica economica che possa tentare di rispondere al dramma della disoccupazione di massa ed a quello del crescente impoverimento della società greca.
L'assenza di questo strumento è stata la vera arma impugnata dalla Merkel: «finché siete nell'euro, gli euri ve li diamo noi, ovviamente alle nostre condizioni».
La tracotanza della Germania, confermata pure da quel che è trapelato sullo svolgimento degli incontri, ha potuto dispiegarsi pienamente anche in virtù di un altro fatto assolutamente decisivo: la morte del progetto federale europeo, di quell'unione politica di cui ancora molti straparlano in Italia. Ormai ogni stato persegue esclusivamente i propri interessi. E - particolare non trascurabile - tutti gli altri stati dell'eurozona sono creditori della Grecia.
Piazza Syntagma: i greci chiedono a Varoufakys di tenere duro |
Non solo. Mentre il grosso dei paesi nordici sta da sempre dalla parte del rigorismo tedesco, anche quelli mediterranei - sui quali puntava evidentemente l'azione diplomatica del governo di Atene - si sono schierati da subito con Berlino. Perché lo hanno fatto? In proposito possiamo solo avanzare alcune ipotesi: la Spagna ed il Portogallo per non vedere smentite le politiche austeritarie messe in atto nei rispettivi paesi, l'Italia di Renzi per ottenere il lasciapassare su qualche decimale del proprio deficit, la Francia forse per illudersi di avere ancora un posto a tavola (vedi negoziati di Minsk) tra le potenze che contano. Comunque, siano giuste o sbagliate queste ipotesi, resto il dato di fatto di un'Europa dove ognuno pensa innanzitutto ai propri interessi, ma in cui tutti seguono - riconoscendone così l'indiscussa leadership - la linea tracciata dal governo di Berlino.
Da un quadro di questo tipo non poteva che uscire quel che è poi uscito. L'accordo di Bruxelles è una sconfitta pesante per Tsipras. In buona sostanza, la Germania ha confiscato il programma elettorale di Syriza. Esso infatti, almeno per i prossimi quattro mesi, sarà sotto lo stretto monitoraggio dei creditori, cioè dell'UE, della BCE, del FMI; in definitiva la cosiddetta troika che da anni imperversa nel paese ellenico.
La domanda allora è questa: poteva andare diversamente questo round? La risposta è no. Un esito diverso avrebbe potuto esserci solo se Italia e Francia avessero deciso di smarcarsi dal rigorismo tedesco e se il governo greco fosse andato allo scontro. Uno scontro che il governo Tsipras non ha voluto, non avendo pronto il necessario «piano B».
Non lo aveva pronto, pensiamo, per tre motivi: il primo risiede nell'ideologia europeista del gruppo dirigente di Syriza (che è poi la zavorra più pesante del suo governo), il secondo nell'impreparazione del popolo greco (la cui netta maggioranza è ancora a favore dell'euro), il terzo nell'impossibilità materiale di un suo effettivo approntamento nel breve tempo avuto a disposizione.
A causa della sua illusione europeista, il governo di Syriza non poteva vincere questo round. E noi pensiamo che Tsipras farebbe bene ad ammetterlo, piuttosto che fingere di aver vinto, un atteggiamento che mira ad allontanare piuttosto che ad avvicinare il momento della consapevolezza sulla necessità della rottura e dello sganciamento dall'euro e dall'UE.
Si aprono ora 4 mesi decisivi. Mesi nei quali Berlino e Bruxelles cercheranno di logorare l'ampio consenso di cui il governo greco gode. Mesi nei quali Tsipras tenterà comunque di realizzare i punti del primo paragrafo del Programma di Salonicco, quelli a favore degli strati sociali maggiormente colpiti dalla crisi, nel tentativo di affrontare concretamente quella che viene giustamente definita come «crisi umanitaria».
Atene: manifestazione durante i negoziati di Bruxelles |
E' probabile che il perseguimento di questi obiettivi inneschi nuove tensioni con i guardiani dell'ortodossia austeritaria. Così come è altamente probabile che una parte degli impegni presi dal governo greco si rivelino assolutamente aleatori. Il punto fondamentale è però un altro: questo periodo di tempo verrà utilizzato, oppure no, per prepararsi all'uscita dal regime dell'euro?
Dopo aver perso un primo round oggettivamente insostenibile, ora il governo di Atene ha davanti a se il secondo round, quello decisivo. Un round in ogni caso difficile, ma che dipenderà in larga parte dalle scelte politiche di Syriza e dal ruolo che assumerà la sinistra interna anti-euro di quel partito. Se nel primo round non si poteva prescindere dalla pistola puntata alla tempia, ora il primo obiettivo dovrà essere quello di rendere scarica quell'arma.
Detto in altri termini: preso atto della irriformabilità dell'Ue, Syriza rifiuterà di venire «riformata» dall'oligarchia eurista o accetterà le politiche dei sacrifici imposte al popolo greco? Nel primo caso esiste solo una strada, quella dell'uscita e dello sganciamento dal regime dell'euro. E' questa l'unica alternativa ad una sconfitta politica che altrimenti diventerebbe devastante. Naturalmente, questa alternativa richiede una svolta radicale negli orientamenti di Syriza. Una svolta imposta quantomeno dal realismo politico, dall'analisi concreta della situazione concreta.
Detto questo, non tocca a noi insegnare ai greci come intraprendere questo percorso. Alcune cose ci sentiamo però di dirle. In particolare tre elementi ci sembrano decisivi: il primo è la determinazione, ed essa non può che nascere dalla razionale consapevolezza della situazione data; il secondo è il consenso, che può essere mantenuto ed esteso non solo attraverso le misure sociali, ma anche mostrando ad ogni passo l'incompatibilità concreta tra di esse e la permanenza nel quadro europeo; il terzo riguarda la geopolitica, in concreto lo sviluppo dei rapporti verso i Brics, ed in particolare la Russia. L'obiettivo dovrà essere quello di trovarsi, nel momento decisivo, con un'azione di governo decisa, un ampio consenso popolare ed un quadro internazionale in cui l'isolamento (sul quale punteranno le oligarchie finanziarie transatlantiche, non solo quelle europee) non sia totale.
Sarà possibile vincere questo secondo round? Noi pensiamo di sì. Per quel che possiamo daremo tutto il nostro sostegno alla resistenza del popolo greco, in particolare ai compagni del blocco ANTARSYA-MARS che si stanno battendo per dare vita ad un fronte popolare che prepari e guidi la necessaria rottura con l'Unione europea e il regime della moneta unica, quindi per riconsegnare al popolo greco la sovranità nazionale senza la quale non ci sarà salvezza.
Coordinamento nazionale sinistra contro l'euro
26 febbraio 2015
5 commenti:
"La domanda allora è questa: poteva andare diversamente questo round? La risposta è no. Un esito diverso avrebbe potuto esserci solo se Italia e Francia avessero deciso di smarcarsi dal rigorismo tedesco e se il governo greco fosse andato allo scontro."
Scampato pericolo!
ps ricevere uno squillo comportava pericoli oggettivi
Quello che potrebbe essere il commento l'ho già scritto ieri qui:
http://simoneboemio.blogspot.it/2015/02/ma-ndo-vai-se-la-banana-nun-ce-lhai.html
"Detto in altri termini: preso atto della irriformabilità dell'Ue, Syriza rifiuterà di venire «riformata» dall'oligarchia eurista o accetterà le politiche dei sacrifici imposte al popolo greco? Nel primo caso esiste solo una strada, quella dell'uscita e dello sganciamento dal regime dell'euro. E' questa l'unica alternativa ad una sconfitta politica che altrimenti diventerebbe devastante".
Dipende da che cosa Tsipras e c. intendano per "sconfitta politica devastante": perdere l' attuale largo consenso popolare oppure perdere il potere in qualità di quisling della troika?
Sinceramente vorrei tantissimo sbagliarmi, ma temo "la seconda che hai detto" (mi fanno molto l' impressione di politicanti alla Berty, Vendo, al limite Fassi-Cupe-Civa...).
Il senso di questo articolo di Fassina è:
"Noi borghesia medio alta ci stiamo rendendo conto che le oligarchie ci stanno distruggendo come soggetto politico; per adesso non ne risentiamo troppo sul piano economico ma è evidente che fra non molto, quando perderemo definitivamente la nostra capacità di influenza politica, verremo attaccati anche sul piano finanziario. A questo punto dobbiamo agire in fretta e ci conviene 'dichiarare' di voler attaccare l'arma delle élites tecnocratiche che è appunto l'euro ponendoci, come offerta politica, sul versante socialdemocratico o, declinato all'italiana, consociativista".
Quindi questo non significa che Fassina e la sua sponda politica SIANO EFFETTIVAMENTE GIA' PRONTI a lasciare l'euro. Adesso per di più è prevedibile un ammorbidimento delle oligarchie che implementeranno gli aiuti alla Grecia, riusciranno a diminuire la deflazione, consentiranno delle fiammate di borsa, faranno abbassare gli spread. Ci sarà un certo miglioramento della situazione generale: come reagiranno i Fassina, Civati, Cuperlo? Come reagirà l'opinione pubblica?
Per questo nel frattempo dovremmo assolutamente dedicarci a un lavoro di ricostruzione ideologica a livello di "popolo", lavoro che purtroppo stiamo abbastanza trascurando.
In generale vorrei far presente che l'esperienza di Syriza dimostra come la strada per noi sia quella di sostenere PER ADESSO un progetto di tipo socialdemocratico che sia anche possibilista rispetto una riforma dell'Unione; ovviamente il nostro fine è quello dell'abbandono della moneta unica ma per adesso ci conviene riuscire ad assumere un ruolo che sia riconosciuto all'interno di queste nuove spinte della sinistra guidate da Fassina, Civati, Cuperlo e Bersani. Abbiamo una buona capacità di mobilitazione che gli potrebbe servire e dovremmo avere la buona volontà di metterla a servizio di questa neo socialdemocrazia in modo da ritagliarci una nostra nicchia politica che ci consenta di avere una voce in capitolo.
Gli sviluppi a non troppo lungo termine lavoreranno per noi e al momento del redde rationem avremmo il vantaggio di trovarci in una posizione che ci permetta di essere ascoltati mentre se ci arroccassimo sugli atteggiamenti da duri e puri ci confineremmo nella marginalità del tutto ininfluente.
Tenete presente che se per ipotesi non si arrivasse alla rottura dell'Unione e della zona euro ma si riuscisse a superare l'austerità realizzando una socialdemocrazia compiuta non sarebbe un insuccesso per noi e, come sopra, avendo collaborato al raggiungimento di questo risultato ci saremo guadagnati uno spazio politico che oggi come oggi non abbiamo (per me si arriva alla rottura sia chiaro, ma la certezza del futuro non la può avere nessuno).
Realizzare una socialdemocrazia, a parte il termine logorato dalla storia che lo rende piuttosto vintage, implica una struttura monetaria dello stato incompatibile con la concezione dell'U.E che è strumentale allo scopo di assoggettare sempre più l'Europa alla filosofia USA ingabbiando gli Stati membri in una prigione debitoria indistruttibie ed eterna (fin che morte non giunga).
La soluzione migliore sarebbe stata evitare di entrare, ma lo scivolone era ben lubrificato dalla crisi monetaria dei primi anni '90 e con la malaugurata corsa alla privatizzazione selvaggia.
Adesso come adesso occorrerebbe dare un taglio netto alla situazione il che potrebbe avvenire forse con qualche conflitto catastrofico. Berlusconi, che nonostante tutto aveva visto giusto a tentare di avvicinarsi a Gheddafi e a Putin, sentiva stretta la gabbia atlantica, ma non ha saputo (o potuto) procedere per la strada intrapresa.
Per la Grecia l'unica speranza è volgere gli sguardi ad Oriente tentando l'approccio ad un diverso assetto geopolitico.
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