[ martedì 11 giugno 2019 ]
7 maggio 2019, Ivanovo. La parata militare che celebra il 74. anniversario della vittoria sul nazismo |
Russia mediterranea e non sionista
Il lettore che ha avuto la pazienza di seguirci sino a questo punto, comprenderà che la geopolitica eurasiatica pura, come molti “filorussi” la propongono, non solo non rientra nei piani strategici del Cremlino ma è una trappola delle élite occidentali e imperialiste per imporre l’arrocco della Russia.
Viceversa Putin ha dichiarato in diversi contesti, anche di recente, che la Russia è un leader globale “ortodosso” alternativo all’Occidente euroatlantico. Condivido il giudizio complessivo espresso da Sollevazione in base a cui il presidente russo non sia un rivoluzionario, ma un conservatore verticale, una sorta di Breznev di destra conservatrice, come condivido il pensiero, sottinteso, che quando Putin dice leader globale tutto intende tranne che sovversione dell’equilibrio globale o di quel poco che resta di questo.
Attualmente l’unica potenza "revisionistica" è infatti la Cina di Xi, non certo la Russia. Sia l’Occidente, sia tutto sommato la Russia putiniana, risorta dopo la catastrofe degli anni ’90, avrebbero voluto conservare quel presunto ordine globale ormai classificato quale “disordine globale”. L’irruzione sulla scena globale della Cina di Xi, ormai esplicitamente lanciata verso il primato globale e di una potenza che per quanto frammentata e multiforme va considerata decisamente sovversivistica quale l’Islam, non ha reso possibile il proseguimento tale progetto. Fu, infatti, la Rivoluzione iraniana del 1979, come più volte abbiamo specificato, a mettere geopoliticamente sul banco degli imputati l’ordine di Yalta: “Né Oriente, Né Occidente” scrivevano nei loro stendardi, nazionalisti persiani e militanti sciiti, riprendendo un significativo pensiero che Imam Khomeini dai primi anni ’60 aveva lanciato all’intero mondo musulmano.
Emergeva così, con l’intervento diretto in Siria (2015), la Realpolitik russa a base mediterranea. Secondo Camille Grand, viceversa, direttore della Fondazione della ricerca strategica di Parigi, la strategia mediterraneista della Russia “ortodossa” di Vladimir Putin è coerentemente iscritta in una profonda dimensione “neo-primakoviana”.
Di seguito, vari analisti anglosassoni e americani hanno fatto di Evghen Primakov il padrino dell’attuale interventismo mediterraneista del Cremlino. Putin stesso, durante le esequie funebri del grande statista russo (giugno 2015), secondo taluni testimoni avrebbe sostenuto che la Russia mediterranea, alternativa concreta al globalismo occidentalista, era il “sogno di Primakov”.
Primakov, che lavorò nel corso degli anni ’60 e ‘70 in Medio Oriente sia come inviato della “Pravda” che come uomo di punta del KGB (nome in codice Maksim), fu l’intendente principale della relazione strategica tra Mosca sovietica e il Ba’as di governo in Siria ed in Irak. In base alla visione pragmatica e neo-machiavellica di Primakov, che criticò a più riprese nel corso della sua carriera sia l’indirizzo geopolitico staliniano sia quello originario di Lenin, le chiavi del potere politico globale si sarebbero trovate in Mediterraneo, non in Eurasia. Il Nostro considera l’ascesa e lo sviluppo di una pluralità di centri globali una realtà oggettiva e tra questi egli avrebbe immaginato al centro un polo mediterraneo con una forte presenza russa e russofila. Molto più che nei suoi scritti di memorie, tale strategia avrebbe preso corpo proprio dall’azione sul campo del “Grande Medio Oriente”.
Severe critiche furono riservate dal Nostro anche alla teoria stessa di Nikita Krouchtev, una sorta di socialsociovinismo “neo-zarista” applicato ai paesi del Corno d’Africa e del Mediterraneo. Il Nostro assegna infatti una centralità strategica, non compresa dalla conservatrice burocrazia sovietica, alla Guerra dell’Ogaden (1977-1978); le sbagliate scelte sovietiche, di acritico sostegno all’etiope DERG (che sembra vedesse la presenza ai vertici di sionisti russofobi), avrebbero prodotto, con i suoi effetti letali a catena, il definitivo crollo dell’URSS. La mancanza di una politica di Stato realista e machiavellica era anche dovuto, secondo Primakov, al pesante dogmatismo unilaterale di scuola
hegelomarxista, che il bolscevismo avrebbe portato impresso nel suo dna stesso.
Viceversa, con la teoria Primakov nasceva in Russia una scuola di geopolitica fondata sul realismo politico italiano del Machiavelli. Da Primakov in avanti la Russia si concepisce come una perfetta potenza realistica: viene elaborata una netta distinzione tra politica interna e politica internazionale, all’esterno del “vicino estero”, in quanto gli altri Stati occidentali avrebbero l’obiettivo strategico di massimizzare la loro potenza sfruttando le tradizionali debolezze geopolitiche russe. La cultura strategica primakoviana, che non dà eccessivo valore alla partnership, alla distensione, persino all’alleanza militare, ha assorbito il principio fondamentale dell’arte operativa forse ancora prima che lo si trascrivesse nei manuali militari dell’URSS. La vittoria non è ottenuta con la tecnologia militare ma tramite l’uso politico e tattico che se ne fa ben coordinando le forze a disposizione sul campo. Primakov non ha paura della sconfitta e della catastrofe perché la storia russa è in tal senso maestra; da una sconfitta nascono sistematicamente germi di autentica rinascita. Primakov, memore della tragedia sovietica, ha politicamente paura del conservatorismo e del burocraticismo immobilistico. Questo potrebbe forse il punto di maggior distinzione tra l’ideologia universalistica mediterranea di Primakov e il putinismo di stato.
Primakov è comunque un realista e un tattico, convinto che la strategia abbia in un mondo multipolare, in continua innovazione, il fiato corto. Primakov fu il primo teorico della guerra ibrida o asimettrica, con ogni probabilità ben prima di L. Qiao–Wang. La sua impronta sulla trazione mediterranea della Nuova Russia sarebbe così, secondo l’analisi di Gran, fuori discussione: fonti occidentali e israeliane, più volte citate dal Financial Times, già dal 2007 segnalavano la presenza fissa di uomini ben addestrati e disciplinati del GRU in terra siriana e libanese. Gli ultimi due capi del GRU sarebbero entrambi giunti al trapasso, ufficialmente per cause naturali, proprio in Libano: Igor Sergun, eroe di stato della Federazione russa ed Igor Korobov deceduto pochi mesi fa. Particolarmente significativa appare allora, alla luce del “neo-primakovismo” putiniano, l’opposizione del Cremlino al “piano di pace” Sionista per il Medio Oriente degli ebrei ortodossi Kushner-Greenblatt, che scavalca anche il Dipartimento di stato USA.
Mascherato come piano di pace, è il classico progetto razzista e arabofobo della Grande Israele messo in campo, con il Sionismo imperiale unico padrone incontrastato del Mediterraneo. Questo alla faccia della totalità di analisti e geopolitici che ci propongono a iosa una nuova centralità strategica del centro globale che sarebbe rappresentato dalla regione dell’Indo-Pacifico. Nel recente incontro (6 giugno) Putin e Xi Jinping hanno espresso in prima istanza sostegno totale al Venezuela bolivariano di Maduro, di seguito Xi ha sostenuto l’obiettivo strategico della creazione di uno stato palestinese indipendente entro i confini del 1967 con Al-Quds (Gerusalemme) capitale del mondo arabo. L’ambasciatore cinese Guo ha annunciato, quindi, che Russia Cina e Siria hanno concordato congiuntamente il boicottaggio del piano Kushner.
Preoccupante, d’altro canto, il chiaro flirt commerciale del blocco russo-cinese con i sauditi, che potrebbe avere effetti letali, irreversibili, nelle relazioni con Iran e Turchia, che Russia e Cina sembravano aver privilegiato dal 2016 a oggi.
Tre superpotenze, Cina, Russia, Israele han comunque posto al centro dei loro progetti strategici il polo globale Mediterraneo. Non esiste oggettivamente altro centro globale ove la competizione politica tra superpotenze sia così pesante. Le analisi geopolitiche a taglio esclusivamente economicistico sono però portate a trascurare tali elementi più politici, che non sarebbero compresi, almeno in prima istanza, nella mera dimensione economicistica.
Senza affatto cancellare la tradizionale politica “filopalestinese” russa (il cristiano capo di Hamas, Ismail Haniyeh avrebbe di recente ricevuto un invito ufficiale da parte del Cremlino), Putin, probabilmente grazie ad una personale rielaborazione della dottrina Primakov, ha però messo al centro della scena globale il dramma dei cristiani
mediorientali. Questi ultimi, non a caso, dall’intervento siriano a oggi, vedono nella Russia ed in Putin, ben più che nel Vaticano, l’unica barriera al genocidio avanzante. Si pensi che in Siria i cristiani rappresentavano circa il 12% della popolazione a fronte del modesto 7% di pochi mesi. Da 7 anni a Mosca, sulla via Zabelina, nel centrale quartiere di Kitay Gorod, l’edificio della IPPO (Società Imperiale Ortodossa palestinese) è diventato il simbolo della stretta collaborazione tra Stato e Chiesa sul dossier dei cristiani mediorientali. Il 12 novembre 2012, giorno dell’inaugurazione della comunità, la platea era composta da Serghei Lavrov, Serghei Sobyanin e dal presidente della comunità ortodossa, Serghei Stepashin, già primo ministro quando al Cremlino vi era Boris Elstin. L’organizzazione, messa al bando dopo la rivoluzione bolscevica, riprenderà vigore proprio grazie a Putin; ha nel frattempo organizzato viaggi spirituali in Terra Santa e nel Monte Athos, aperto una scuola a Gerusalemme ed è impegnata in prima linea proprio nella difesa dei cristiani in Medio Oriente.
Terra santa, nella accezione ortodossa russa, non significa solo Gerusalemme, o i territori sotto l’Autorità nazionale palestinese ma anche Israele, Siria, Libano. Significa perciò soprattutto presenza russa e più specificamente cristiano-ortodossa (od anche cattolica orientale) in quelle terre. La comunità, sebbene sia un ente religioso e non politico, ha espresso in molte occasioni posizioni chiaramente antisioniste ed in più casi è dovuto intervenire direttamente il Cremlino per dirimere controversie sorte in luogo con le milizie sioniste.
La politica di attivo sostegno alle minoranze cristiane in Medio Oriente da parte della Russia ha finito per sostituire la tradizionale geopolitica francese in Siria e Libano, quella anglosassone o quella stessa cattolica universalistica; di concerto con il Cremlino, opera naturalmente il Patriarcato di Mosca con una mirata politica di solidarietà ortodossa mediterranea. Centinaia di migliaia cristiani, perseguitati e torturati, non si rivolgono quindi, come detto, più a Roma ma finiscono per chiedere la cittadinanza russa. Il basso profilo libico del Cremlino potrebbe forse essere letto anche in considerazione del fatto che, se si esclude una marginale Chiesa copta-ortodossa, non vi è presenza ortodossa in Libia.
Tre superpotenze, Cina, Russia, Israele han comunque posto al centro dei loro progetti strategici il polo globale Mediterraneo. Non esiste oggettivamente altro centro globale ove la competizione politica tra superpotenze sia così pesante. Le analisi geopolitiche a taglio esclusivamente economicistico sono però portate a trascurare tali elementi più politici, che non sarebbero compresi, almeno in prima istanza, nella mera dimensione economicistica.
Senza affatto cancellare la tradizionale politica “filopalestinese” russa (il cristiano capo di Hamas, Ismail Haniyeh avrebbe di recente ricevuto un invito ufficiale da parte del Cremlino), Putin, probabilmente grazie ad una personale rielaborazione della dottrina Primakov, ha però messo al centro della scena globale il dramma dei cristiani
Il simbolo della Società imperiale ortodossa russsa |
Terra santa, nella accezione ortodossa russa, non significa solo Gerusalemme, o i territori sotto l’Autorità nazionale palestinese ma anche Israele, Siria, Libano. Significa perciò soprattutto presenza russa e più specificamente cristiano-ortodossa (od anche cattolica orientale) in quelle terre. La comunità, sebbene sia un ente religioso e non politico, ha espresso in molte occasioni posizioni chiaramente antisioniste ed in più casi è dovuto intervenire direttamente il Cremlino per dirimere controversie sorte in luogo con le milizie sioniste.
La politica di attivo sostegno alle minoranze cristiane in Medio Oriente da parte della Russia ha finito per sostituire la tradizionale geopolitica francese in Siria e Libano, quella anglosassone o quella stessa cattolica universalistica; di concerto con il Cremlino, opera naturalmente il Patriarcato di Mosca con una mirata politica di solidarietà ortodossa mediterranea. Centinaia di migliaia cristiani, perseguitati e torturati, non si rivolgono quindi, come detto, più a Roma ma finiscono per chiedere la cittadinanza russa. Il basso profilo libico del Cremlino potrebbe forse essere letto anche in considerazione del fatto che, se si esclude una marginale Chiesa copta-ortodossa, non vi è presenza ortodossa in Libia.
Dal 2013 sono diventate sempre più frequenti le visite nella Federazione di guide e esponenti cristiani mediorientali; in vari casi proprio il presidente Putin ha voluto riceverli direttamente. Di recente, il presidente libanese Aoun, in vista al Cremlino, ha detto che per l’ “Occidente cattolico” non esisterebbero i fratelli cristiani del Medio Oriente e, di conseguenza, per questi ultimi, anche se cattolici, Mosca Terza Roma è divenuta la capitale mondiale della cristianità ed ha inoltre indicato non solo nell’islamismo sunnita armato ma anche nel sionismo i nemici che vogliono cancellare definitivamente la storica presenza cristiana nel Vicino Oriente.
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