[ venerdì 7 giugno 2019 ]
La scomparsa del giornalismo in Italia
Un pregevole studio sul sistema mediatico del nostro collaboratore Alceste De Ambris.
Abbiamo preferito non spezzarlo in due parti affinché il lettore interessato non perda il filo del suo discorso.
“Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia
l'ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell'antro; essi vi
stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare
immobili e guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via
della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un fuoco,
e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale
immagina che sia stato costruito un muricciolo, come i paraventi sopra i
quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro
spettacoli”
(Platone, Repubblica, VII)
I - C'ERA UNA VOLTA
Un altro lutto funesta il
nostro Paese, dopo che altre tipiche istituzioni di un certo modello sociale (l’economia
mista, i diritti dei lavoratori, la democrazia sostanziale...) erano venute
meno. Tutto si tiene.
L’arresto di Julian Assange, colpevole di aver
svelato i segreti del Potere (ossia di aver svolto il compito di ogni
giornalista coraggioso), accolto dall’indifferenza o addirittura dal consenso
dell’intera stampa, segna simbolicamente la morte in Italia del giornalismo come
professione.
È difficile stabilire esattamente la data del decesso. La televisione
non è mai stata libera, e di radio libere ne sono sopravvissute poche. Il nostro
requiem è dedicato alla carta stampata.
In Italia l’impressione è che fino agli anni Novanta vigeva ancora una certo
pluralismo di stampa, (quasi) tutte le posizioni erano rappresentate. Un
cittadino volenteroso, recandosi in edicola ed acquistando tutti i giornali,
poteva farsi un'idea dei fatti accaduti nel mondo, e soprattutto delle diverse
interpretazioni. Poi l’omologazione si è imposta progressivamente, come se
fosse entrata in vigore una legge censoria “occulta”; fino ad arrivare alla
situazione attuale in cui tutti i quotidiani (sopravvissuti alla crisi), sia
nazionali che locali, sono allineati sull’orientamento generale, che potremmo
definire “conservatore” (nel senso di conservazione dello status quo e dei
rapporti di forza economica).
Per fare un imbarazzante
confronto, immaginiamo di tornare indietro all’inizio del secolo scorso; in
circolazione troveremmo pubblicazioni di tutti gli orientamenti: monarchici,
repubblicani, liberali, democratici, cattolici, anticlericali, nazionalisti,
socialisti riformisti e rivoluzionari, anarchici ecc.
II - DEL PENSIERO UNICO
Secondo la concezione
liberale, la libertà di stampa e di espressione garantisce il pluralismo delle
idee all’interno della società; una stampa indipendente fornisce
un’informazione diversificata e quindi completa; inoltre la necessità di
conservare il prestigio e l’etica professionale spingono i giornalisti a
fornire notizie oggettive e verificate. Così si stimola un dibattito
pubblico sulle idee e i cittadini, correttamente informati, possono votare in
maniera consapevole. Inoltre l’opinione pubblica ha la possibilità di
controllare l’operato del governo. Tutto ciò, evidentemente, è strettamente
connesso con l’essenza della democrazia.
Rispetto a tale modello ideale,
ora ci troviamo agli antipodi. I mezzi di comunicazione di massa veicolano
messaggi uniformi, circola un’unica narrazione, il cd. Pensiero unico o
mainstream. Una situazione paragonabile alla propaganda dei regimi
totalitari, con la differenza che ora viene subita in modo inconsapevole, e
quindi più efficace. I metodi coercitivi del passato, basati sulla censura,
dipendevano dall’arbitrio di governi e polizie, invece il Sistema attuale
funziona in modo automatico, e quindi più capillare, mediante una serie di
filtri sulle persone e sui contenuti: la voce dei Padroni ha accesso ai grandi
media, mentre alle voci dissonanti viene “tolto
il microfono”.
Tra i mille esempi,
pensiamo a come è stata raccontata la cd. grande Recessione del 2007: evitando
di indagare le cause strutturali della crisi (il capitalismo finanziario) e i
veri responsabili, all’unanimità i media hanno colpevolizzato le vittime (i
Piigs), additato come modello chi costituiva parte del problema (la Germania
con il suo mercantilismo) e suggerito ricette economiche (austerità di
bilancio, diminuzione dei salari) che avrebbero aggravato la situazione,
censurando le soluzioni alternative (l’abbandono del cambio fisso, la
separazione bancaria ecc.).
Come è possibile dunque,
se i mezzi di informazione sono tanti, che dicano tutti “la stessa cosa”,
forniscano le stesse notizie nello stesso modo, diffondano la medesima visione
del mondo, così smaccatamente faziosa e limitata?
Storicamente l’espansione
della libertà di stampa va di pari passo i progressi civili e la partecipazione
del popolo alla vita politica. Com’è avvenuto che la stampa, che dovrebbe
svolgere il ruolo di cane da guardia della democrazia contro il potere, sia
divenuta il cane da guardia (o da compagnia, se si preferisce)
del Potere contro la democrazia?
Alcuni elementi, sommati
tra loro, aiutano a capirlo. Non sono concetti nuovi né originali (anzi sono
stati indagati fin dall’inizio secolo scorso); ma curiosamente vengono di
solito ignorati nei discorsi retorici sulla libertà di informazione.
Ogni argomento trattato
richiederebbe un libro a sé: qui cercherò solo di fornire un quadro generale,
il più completo possibile, procedendo per accenni.
Prima una precisazione.
Quando parlo di media, mi riferisco a quelli tradizionali: televisione, radio,
stampa quotidiana e periodica. Per quanto riguarda internet, il discorso
è diverso. La rete telematica è ancora un ambito di libertà espressiva (invero
utilizzata anche per futili o pessimi scopi) e non si sa per quanto lo rimarrà...
Essa ospita una vivace presenza di siti di contro-informazione e blog di
opinione, che costituiscono una valida alternativa al conformismo e
autoreferenzialità delle testate ufficiali. I costi irrisori di apertura di
questi spazi (rispetto ad es. al mantenimento di una redazione) consentono a
chiunque di dar vita a una sorta di giornalismo fai-da-te, di tipo artigianale.
L’attività si affida all’intraprendenza e buona volontà di attivisti e
intellettuali indipendenti, ma non ha sufficienti risorse economiche (ad es.
per fare inchieste, inviare in giro corrispondenti ecc.) né costituisce un
mestiere, anche perché in rete prevale la logica della consultazione gratuita.
A parte casi specifici, manca la visibilità sufficiente per fare
concorrenza ai media tradizionali (che peraltro hanno una propria versione
online). Un messaggio televisivo, radio, persino una pagina di giornale possono
casualmente essere intercettati da chiunque; invece la rete tende ad aggregare
gli utenti per comunanza di idee e interessi, sicché certi spazi telematici
sono frequentati solo da chi ha già certe opinioni, restando ignoti ai più.
Nonostante l’ottimismo di alcuni sulle potenzialità della rete di diffusione
delle conoscenze, prevedo che nemmeno in futuro essa potrà assumere il ruolo
svolto storicamente dalla carta stampata.
III - L'AGO IPODERMICO
Nella società moderna il potere dei mezzi di comunicazione di massa è immenso,
perché svolgono la funzione appunto di “mediatori” tra ciò che accade in luoghi
e ambienti lontani e il pubblico che ne viene a conoscenza. La maggior parte
delle nostre esperienze sul mondo
non sono di prima mano, ma indirette. I media dunque costruiscono una
visione del mondo, soprattutto degli avvenimenti presenti, ma in una certa
misura anche del passato (riscrittura della storia), e non solo riguardo ai
fatti, ma anche riguardo ai valori (orientamento etico).
Non è nuova la constatazione
che i media condizionano l’opinione pubblica. Indeboliti i legami sociali
tradizionali (la comunità, la famiglia allargata ecc.), nella società di massa
molti individui vivono psicologicamente isolati e privi di riferimenti. Già
all’inizio del secolo scorso studiosi americani (Lippmann, Lasswell) avevano
compreso che, in tali condizioni, le persone sono facilmente influenzabili e
indifese di fronte all’azione dei media: i messaggi e gli stereotipi creati dai
mezzi di comunicazione penetrano agevolmente all’interno delle menti, si
diceva, come un ago ipodermico.
Naturalmente
le persone ricevono influenze anche da altri canali, tipicamente la famiglia,
gli amici e la scuola. Ma i media esercitano un influsso più’ universale (es.
ogni famiglia ha le proprie consuetudini, ma il messaggio dei media è uguale
per tutti) e più persistente (es. la scuola ha un termine). La televisione in
particolare svolge sui giovani un ruolo di contro-educazione, nel senso
che promuove valori consumismi e individualisti, sostanzialmente opposti
rispetti a quelli che dovrebbe perseguire l’istituzione scolastica (cultura,
impegno, autonomia di giudizio, rispetto per l’altro ecc.).
IV - AUDIENCE, PROFITTO E VERITÀ
Il fatto, apparentemente
strano, che i messaggi dei media siano univoci, nonostante la pluralità degli
emittenti, si spiega con una serie di ragioni, che vanno indagate: in parte tecniche (il contesto e la forma del
messaggio influenzano il contenuto), in parte economiche (tutti devono stare sul mercato e vendersi a un
pubblico), in parte ideologiche,
ossia con l’intenzione cosciente di trasmettere certi messaggi anziché altri.
La maggior parte dei media
sono imprese private (un discorso in parte diverso vale per i media pubblici,
meno vincolati al successo commerciale ma più soggetti a sollecitazioni politiche).
In quanto società commerciali, naturalmente hanno come scopo fondamentale il profitto
economico. La missione che si pongono dunque, nel diffondere le notizie, non è
di dire la “verità” o di diffondere saperi (finalità che potrebbe proporsi solo
un ente senza scopo di lucro), ma appunto di guadagnare il più possibile.
Conta conquistare il pubblico
e fare audience; le notizie equivalgono a merci da vendere. Si otterrà
tale risultato cercando di attrarre lettori e spettatori con tecniche in grado
di incuriosire ed emozionare, sia dando una tono spettacolare a tutte notizie,
sia scegliendo quelle notizie che per le implicazioni emotive meglio si
prestano a questo fine. E
riducendo le spese non indispensabili, ad es. per le inchieste. Perché se non lo fa un mezzo di informazione, lo farà un suo concorrente, sottraendogli risorse pubblicitarie: come spesso accade, la concorrenza significa abbassamento della qualità. Difficilmente quindi verranno svolti gli approfondimenti necessari a comprendere veramente il significato degli eventi; assisteremo invece a profluvi di cronaca nera e cronaca rosa (sangue e sesso insomma), sport, catastrofismi, notizie dubbie ma accattivanti, scandali e polemiche su questioni irrilevanti. I media preferiranno assecondare i pregiudizi della folla, anziché divulgare verità impopolari.
riducendo le spese non indispensabili, ad es. per le inchieste. Perché se non lo fa un mezzo di informazione, lo farà un suo concorrente, sottraendogli risorse pubblicitarie: come spesso accade, la concorrenza significa abbassamento della qualità. Difficilmente quindi verranno svolti gli approfondimenti necessari a comprendere veramente il significato degli eventi; assisteremo invece a profluvi di cronaca nera e cronaca rosa (sangue e sesso insomma), sport, catastrofismi, notizie dubbie ma accattivanti, scandali e polemiche su questioni irrilevanti. I media preferiranno assecondare i pregiudizi della folla, anziché divulgare verità impopolari.
La propensione al sensazionalismo genera alcuni effetti
collaterali. Alimenta una cultura dell’allarmismo e della paura, che sfibra i
legami sociali, inducendo a sopravvalutare certi rischi (es. la
microcriminalità), e silenziando invece i gravi problemi quotidiani (es. il disagio
abitativo) che non fanno notizia.
In secondo luogo, chi ha
capito come “bucare” lo schermo, sa che i media, quando stigmatizzano certe
dichiarazioni (es. di stampo razzista) o criticano certi personaggi, in realtà,
consapevolmente o meno, gli danno spazio, notorietà e in fondo legittimità.
V - IL MONOPOLIO ANGLOSASSONE
Procediamo oltre con
l’analisi delle cause. Marx rilevava che “le idee della classe
dominante sono in ogni epoca le idee dominanti”, in quanto “la classe che
dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo,
dei mezzi della produzione intellettuale”. (Marx peraltro fu
redattore-capo di un importante giornale tedesco, nonostante le sue idee
radicali - situazione oggigiorno inimmaginabile). Insomma, chi paga
l’orchestra decide la musica. La mancanza di indipendenza economica determina
la mancanza di indipendenza ideologica.
Editori e proprietari di
reti televisive sono individui e gruppi notevolmente facoltosi, che fanno parte
di una classe sociale specifica, nazionale o sovranazionale: promuoveranno
dunque la diffusione di messaggi favorevoli agli interessi di quel ceto
privilegiato, presentandoli come fossero interessi collettivi. Ne consegue che
la linea editoriale, al di là delle differenze ideologiche, ormai
minime, non si potrà discostare dai capisaldi dello status quo (fondamentalmente: capitalismo finanziario, liberismo
europeista e imperialismo atlantista).
Il sistema
dell’informazione è fortemente concentrato: poche grandi testate e reti
televisive dominano il mercato internazionale e quelli nazionali. Si tratta in
sostanza di oligopoli, con
fortissime barriere all’ingresso, dovute alla necessità di ingenti investimenti
e alla presenza di posizioni dominanti. Le economie di scala consentono infatti
di ridurre i costi. Spesso le proprietà sono multiple e
intrecciate: veri e propri magnati dell’informazione e conglomerati multinazionali
(Bertelsmann, Murdoch...) detengono una pluralità di media di tipo diverso
(editoria, radiotelevisione, audiovisivi ecc.).
I principali canali
informativi americani trasmettono all’estero edizioni nelle lingue
locali, laddove Paesi anche grandi (es. Cina o India) hanno un’influenza
all’estero minima. A livello geopolitico sussiste una sorta di monopolio anglosassone, o comunque una
asimmetria tra Paesi che “producono” informazioni e Paesi che le subiscono.
Oltre alla proprietà, vi sono altri interessi costituiti a cui i media sono
inestricabilmente vincolati. Nella misura (che può essere considerevole) in cui
i media si finanziano con la pubblicità, le preferenze degli
inserzionisti modificano la linea editoriale (ad es. privilegiando la
prospettiva degli imprenditori su quella dei lavoratori). Spesso banche e
istituti finanziari vantano crediti nei confronti delle società
dell’informazione, o ne detengono pacchetti azionari, il che non resta certo
senza effetto. Vi è la dipendenza dalle istituzioni, che garantiscono ai media
il flusso costante e gratuito di informazioni di cui hanno bisogno. Infine vi
sono Stati stranieri che svolgono un’azione di lobby ad alto livello per
tutelare la propria immagine e interessi sui nostri media (pensiamo agli Usa ma
anche ad Israele).
L’insieme di tutti questi legami
concentrerà l’attenzione dei media su certi fatti e punti di vista, lasciandone
in ombra altri, affinché l’opinione pubblica sia mobilitata a sostenere i
progetti e gli interessi dei gruppi di potere che dominano la società e lo
Stato.
A livello personale, i giornalisti più accreditati
fanno parte di un’Élite che, sia per interesse alla carriera sia per
identificazione psicologica, difficilmente saranno portati a mettere sotto
accusa. I cronisti di più basso livello, per ottenere l’approvazione di
superiori e colleghi, si adeguano.
Il sistema vive dunque di
dogmi e di tabù, di favoritismi e di autocensura,
soprattutto sugli argomenti sensibili (economia e politica estera, essenzialmente),
per i quali l’obbiettivo sembra essere non di far conoscere
ai cittadini i termini delle questioni affinché orientino le decisioni politiche in merito, ma al contrario
scongiurare questo pericolo lasciandoli nell'ignoranza.
L’influenza dei mezzi
di comunicazione di massa sulla vita politica è enorme, e duplice: ex-ante i media
"selezionano" i candidati e i partiti (nessuno dei quali ha la
possibilità di farsi conoscere e rimanere in auge se non è di loro
gradimento); ex-post indirizzano le scelte dei governi tramite apposite
campagne. Nulla di male se i media esprimessero la varietà del panorama
politico, ma in realtà, come si è detto, agiscono all’unisono nel legittimare
solo alcune forze politiche, condannando all’oblio i dissidenti.
L’esito tipico di questo
processo è una falsa contrapposizione tra due partiti, identici nelle scelte di
fondo, che si differenziano per elementi secondari (es. i diritti civili). Nella politica-teatrino l’immagine di un
politico conta più dei programmi, e ciò favorisce l’emergere di politici -“attori”,
brillanti e telegenici, ma vuoti di contenuti (e con personalità narcisistiche).
VI - TEMPO REALE E GUERRA IBRIDA
Le necessità e scadenze
temporali in cui operano i giornalisti spiegano certe dinamiche. I media
devono pubblicare le informazioni velocemente,
sotto l’assillo della concorrenza, alla ricerca spasmodica di scoop, con il
terrore di prendere un “buco” (omettere notizie date da altri). Tendono dunque
a copiarsi l’un l’altro, a muoversi all'unisono (effetto gregge). Telegiornali
e quotidiani hanno sempre la stessa durata e lunghezza, benché in certi giorni
accadano molti eventi rilevanti e in altri quasi nulla: la notizia, anche se
non c’è, va trovata. Ne approfittano gli uffici stampa, gli spin doctors e i
manipolatori anonimi, al servizio di poteri pubblici e privati, i quali
organizzano eventi mediatici e diffondono notizie “preconfezionate” (e quindi
di parte). I giornalisti risparmiano il tempo e la fatica necessari per
cercare le notizie, confrontare le fonti, studiare gli argomenti, ma così
cadono in tutti tranelli della disinformazione.
O, se vogliamo essere meno ingenui, diremo che i media sono complici (o addirittura attori) in certi processi. Tutti possono commettere errori, se però questi errori sono sempre a senso unico, viene il dubbio che siano dolosi. Non si spiega altrimenti come essi siano compiacenti con certi governi in carica, ma ostili ad altri (ad es. Trump o i partiti sovranisti in Europa), come supportino certi tipi di proteste di piazza, ma ne criminalizzino altre (es. i no-Tav). Come essi edifichino la carriera di certi personaggi politici, apparentemente sorti dal nulla, o la distruggano, facendo semplicemente scomparire la sua immagine dai palinsesti. Evidentemente i Poteri a cui rispondono sono più profondi di quello del governo del momento.
O, se vogliamo essere meno ingenui, diremo che i media sono complici (o addirittura attori) in certi processi. Tutti possono commettere errori, se però questi errori sono sempre a senso unico, viene il dubbio che siano dolosi. Non si spiega altrimenti come essi siano compiacenti con certi governi in carica, ma ostili ad altri (ad es. Trump o i partiti sovranisti in Europa), come supportino certi tipi di proteste di piazza, ma ne criminalizzino altre (es. i no-Tav). Come essi edifichino la carriera di certi personaggi politici, apparentemente sorti dal nulla, o la distruggano, facendo semplicemente scomparire la sua immagine dai palinsesti. Evidentemente i Poteri a cui rispondono sono più profondi di quello del governo del momento.
La diffusione di canali “all news”, che trasmettono informazioni
24 ore su 24, acuisce tali problemi: la necessità di trovare immagini da
mostrare, l’impellenza di dare le notizie in diretta, senza il tempo di
controllare e approfondire, la continua ripetizione a tutte le ore... ne fanno
una perfetta macchina di propaganda.
La polemica contro le
cd. “fake news” che proliferano
in rete (dove certamente circolano, ma con scarsa diffusione) nasconde il fatto
che la maggior parte delle bufale
vengono diffuse proprio dai media ufficiali. Nel mondo dell’informazione conta
il breve periodo: la notizia falsa,
dopo qualche mese o anno, verrà smascherata da chi indaga l’argomento; ma ormai
è tardi, perché nel frattempo avrà svolto il compito per cui era stata creata.
Così nel corso degli anni
i media ci hanno fatto credere che Saddam possedeva armi di distruzione di
massa (poi mai trovate), che i Serbi erano gli unici colpevoli della guerra
nella ex-Jugoslavia (omettendo di parlare delle pulizie etniche subite dai
Serbi in Croazia e Kossovo), che Assad stava reprimendo ribelli “moderati” (in
realtà mercenari jihadisti finanziati da Stati fondamentalisti), che in Ucraina
era in corso una rivoluzione democratica (anziché un colpo di stato organizzato
dalla Nato e da movimenti neo-nazisti), che occorreva difendere i diritti umani
in Libia (gettando nell’anarchia il Paese più ricco dell’Africa), che la carenza
di generi di prima necessità in Venezuela dipende dall’incapacità di Maduro
(anziché dall’embargo e dalla guerra economica portata avanti dagli Usa)…
Qui va introdotto il
concetto di “guerra ibrida”, quale forma moderna di conflitto
finalizzato ad annichilire il nemico non sul piano militare, ma con una serie
di aggressioni su molteplici piani: economico, finanziario, energetico,
informatico, diplomatico... e appunto mediatico. Gli organi di informazione
vengono quindi utilizzati per condurre campagne che orientino l’opinione
pubblica contro un certo capo politico che si vuole rimuovere o contro un Paese
che si vuole sottomettere. Questo tipo di campagne propagandistiche sono facilmente
riconoscibili, perché faziose martellanti e coordinate.
VII - LA SORGENTE E LA CASCATA
A livello pratico, come
accade che tutti i media riportino la stessa notizia, anche se irrilevante o
fasulla? L’universo dell’informazione è strutturato come una piramide:
al vertice del Quarto potere vi sono le agenzie di stampa internazionali
(Reuters, Associated press, United press, France presse), poi i grandi giornali
americani, poi la stampa nazionale e infine locale. Analogamente per la
televisione, al vertice vi sono i canali internazionali e le grandi reti
americane (Cbs, Cnn, Fox, Abc, Nbc), poi quelle nazionali, e alla base le
piccole tv. Controllando (o anche “inquinando”) la sorgente, a cascata il flusso dell’informazione risulterà omogeneo
ovunque, fino agli ultimi rivoli.
La disinformazione si realizza
sia tramite la selezione, sia
tramite la presentazione delle notizie.
La selezione attualmente è senz’altro il procedimento principale: con
l’alluvione di informazioni che proviene dalle agenzie di stampa e istituzioni
del mondo intero, filtrare alcuni avvenimenti tra tutti è operazione di nessuna
neutralità. I media assumono il ruolo di “gatekeeper” (guardiani). Il
fatto che, nonostante la pluralità di fonti, sui media italiani circolino
ossessivamente sempre le stesse notizie, dalle stesse fonti, sugli stessi
argomenti - un perimetro di pensiero che cogli anni si fa sempre più ristretto
e soffocante -... non può essere casuale.
L’azione di filtro ha lo
scopo di fissare l’agenda, l’ordine del giorno: ossia i media non
necessariamente impongono al pubblico cosa pensare, quale opinione avere su un
tema, ma semmai determinano “su cosa” pensare, di quali temi discutere. È
emblematico che, durante la peggiore crisi economica della storia del Paese,
anziché discutere di povertà, disoccupazione, privatizzazione dei servizi
pubblici o magari della natura liberista dell’Unione europea o dei crimini
della Nato, abbiamo osservato i telegiornali dedicare la maggior parte dei
servizi agli sbarchi dei migranti, ai femminicidi, ai cambiamenti climatici,
alla riforme elettorali, a questo o quel caso di corruzione ecc. o abbiamo
assistito a talk-show in cui gli ospiti si accapigliavano su temi come la
legittima difesa, i campi Rom, il pericolo islamico, i matrimoni gay ecc.
D’altra parte, nei precedenti quindici anni l’argomento principale erano i guai
giudiziari di Berlusconi... Questioni del tutto marginali che lasciavano fuori
dai riflettori i problemi fondamentali. Il pubblico si schiera a favore o
contro una certa tesi, e ciò che conta resterà immutato. Armi di distrazione di
massa, si è detto.
In questi dibattiti surreali, si nota
una certa tendenza verso l’impoverimento intellettuale e l’imbarbarimento
morale: Chomsky parlava di infantilizzazione del
pubblico come strumento di manipolazione.
L’agenda dei media non
sembra scelta a caso né con criteri puramente commerciali... non sfugge l’impressione
che segua norme non scritte (dettate da chissà chi), ad es. il tabù su ogni
tema che possa infastidire l’Oligarchia finanziaria, o la tendenza ad aizzare
guerre tra poveri, secondo il ben noto principio del capro espiatorio.
Per quanto riguarda la presentazione manipolatoria
delle notizie, vi sono tecniche molteplici e note agli studiosi di psicologia
sociale: ripetere più volte ipotesi dubbie per renderle credibili, mostrare
immagini allusive, usare espressioni tendenziose, riportare scorrettamente le
statistiche, pubblicare sondaggi pilotati, decontestualizzare i fatti,
impostare un dibattito entro una cornice prestabilita ecc.
La regola aurea del tenere
separati i fatti dalle opinioni è facilmente aggirabile: basta riferire come
fatti le opinioni di alcuni (e non di altri).
Un trucco ricorrente è la
tecnica cd. della “terza parte”:
ossia dare la parola a enti all’apparenza indipendenti o esperti che si suppongono neutrali, ma in realtà legati
direttamente o indirettamente a certi interessi. È noto che gli articoli di
fondo dei giornali sono monopolizzati dagli stessi opinionisti, spesso privi di
particolari competenze nell’ambito di cui si occupano: vengono scelti e pagati
appunto per dire ciò che dicono, e verrebbero immediatamente estromessi se
esprimessero opinioni diverse.
VIII - MODELLO HOLLYWOOD
Il sistema dei media è
costituito da tre elementi:
informazione, intrattenimento/divertimento e pubblicità. Ciascun componente dà
il proprio contributo nell’offrire al pubblico la medesima narrazione, la
giustificazione dell’esistente come migliore dei mondi possibili. La
pubblicità, per definizione, è sempre suggestiva e interessata. Per quanto
riguarda l’intrattenimento, sono venuti meno i confini netti tra esso e
l’informazione, nel senso che l’informazione tende a divenire sempre più una
rappresentazione spettacolare priva di contenuti seri (cd. info-tainment).
Anche nel settore dell’intrattenimento puro valgono certe caratteristiche di
cui si è detto, in particolare la concentrazione. Hollywood ha
il quasi-monopolio del cinema destinato al grande pubblico occidentale,
soprattutto quello ad alto budget. Si pensi che la Motion Picture Association,
composta da soli 6 studi cinematografici, produce la maggior parte delle
pellicole e controlla i canali distributivi. Il risultato è che i film
americani (tranne i pochi indipendenti) sono fortemente omogenei negli
stereotipi proposti, nei tabù rispettati, nell’ideologie di sottofondo, e a
volte persino nei contenuti propagandistici (come quelli che esaltano il ruolo
della Cia o dell’esercito americano nel mondo).
Per quanto riguarda i
programmi televisivi di pura evasione, senza pretese, non c’è molto da dire.
Quando scadono sotto un certo livello, solitamente si difendono
dicendo che è ciò che vuole la gente… ma i gusti del pubblico sono
appunto forgiati dai media.
La cultura di massa è
destinata alle masse, ma non nasce da esse spontaneamente, non è una specie di
arte popolare. La scuola filosofica di Francoforte usava l’espressione “industria
culturale” proprio per significare che si tratta di un’attività economica
come tutte le altre, esercitata da chi ha i mezzi per farlo, i cui prodotti
vengono programmati, costruiti e venduti secondo logiche commerciali.
IX - LIBERTÀ DI CHE?
Tutti i media influenzano
il pubblico, ma il mezzo televisivo è senz’altro il più potente. L’uso di
immagini consente sia un effetto suggestivo immediato sulla psiche, sia una
diffusione presso tutte le classi sociali e il grande pubblico. La vista è
il senso più facile da ingannare. Sartori addirittura identificava
l’avvento della televisione con una involuzione antropologica, che avrebbe generato
l’ “homo videns”: una umanità soggetta alle immagini anziché alle
parole, e quindi sminuita nel pensiero astratto e nella capacità di giudizio.
La stampa sta invece
vivendo una grave crisi economica. I quotidiani perdono lettori (le
versioni online non compensano il crollo delle edizioni cartacee) e raccolta
pubblicitaria. Avendo meno risorse, i giornali cercano fonti di finanziamento
alternative rispetto alle vendite, il che ne mina l’autonomia. I giornalisti,
ridotti di numero, spesso mal pagati e precari, pur di ottenere e conservare il
lavoro, accettano di scrivere pezzi poco approfonditi, “copia e incolla”, dai
contenuti strettamente conformi alla linea editoriale; non vi sono più risorse
per fare inchieste. Così la qualità degli articoli si abbassa. Di conseguenza
il pubblico si disaffeziona ai giornali, la categoria perde autorevolezza e
credibilità, e le tirature calano ulteriormente. Quindi le risorse diminuiscono
è così via. È un circolo vizioso da cui è difficile uscire. In tali
condizioni di alto rischio d’impresa e scarse prospettive di guadagno, i
giornali che sopravvivono lo fanno per attuare scopi diversi (e occulti) dal
profitto economico.
Il panorama italiano è
caratterizzato dalla mancanza di editori
puri: prevalgono gli imprenditori interessati alla stampa solo per meglio
concludere affari di altro tipo. I giornali cumulano perdite e debiti, ma
evidentemente assicurano ai proprietari benefici indiretti di altro tipo.
D'altra parte, come si è
detto, nemmeno gli editori puri garantiscono imparzialità e buona fede. In
effetti non sembra che la stampa estera occidentale goda di miglior salute: ad.
es. leggendo le raccolte di articoli della rivista Internazionale, il perimetro
del “giornalisticamente corretto” sembra più o meno lo stesso di Repubblica…
“Reporter senza frontiere”
compila ogni anno un indice mondiale della libertà di stampa, che però è
fuorviante. A parte i dubbi sull’origine dei suoi finanzianti e sulla
scientificità dei criteri di valutazione... il problema è che tale Ong intende
il diritto all’informazione come mera libertà negativa, equivalente alla
libertà di espressione, come assenza di coercizione esercitata dallo Stato, e
non come libertà dei cittadini di essere informati, che presuppone pluralismo e
obiettività dei media. Il risultato è una discutibilissima classifica, che
assomiglia semmai al grado di influenza della Nato e del pensiero mainstream
nel mondo…
X - LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO
Gli intellettuali avrebbero
in teoria gli strumenti culturali per riconoscere le manipolazioni; tuttavia, a
causa sia della specializzazione (per cui sanno poco di ciò che sta fuori del proprio
settore) sia di certi pregiudizi legati al politicamente corretto e al mito del
progresso (ciò che è nuovo è meglio di ciò che è vecchio, o comunque è
inevitabile), spesso si dimostrano ancora più ingenui e ottusi dell’uomo
medio.
Debord aveva coniato l’espressione “società dello spettacolo”, individuando
appunto in tale attività la caratteristica fondamentale della civiltà
contemporanea, la sua principale produzione e ciò che ne assicura la
sopravvivenza. Lo spettacolo, che presuppone spettatori passivi e ammaliati, prende
il posto del dialogo e della discussione sulle scelte pubbliche.
Baudrillard
aveva intuito che viviamo ormai in un
mondo di “simulacri”, immagini a cui
non corrisponde un originale nella realtà: la realtà è stata “uccisa” dalla sua
rappresentazione mediatica.
Le contraddizioni tra le potenzialità
del progresso tecnologico e la desolazione delle vite quotidiane, tra le
ricchezze disponibili e il fatto che siano concentrate entro una cerchia sempre
più ristretta di persone, tra gli ideali che l’Occidente proclama e il loro
tradimento continuo, tali contraddizioni sono divenute talmente esorbitanti che
per occultarle occorre un’azione ininterrotta e onnipervasiva di mistificazione e illusione
collettiva, senza il quale il Sistema collasserebbe.
XI - SOVRANITÀ MEDIATICA
Traiamo, da quanto esposto,
delle conclusioni pratiche. La soluzione per il futuro (quando si riproporranno
le condizioni per progettare una società a misura d’uomo) è molto semplice:
abbandonare l’illusione di un’indipendenza dei media che si stabilisce da se’,
se lasciati agire senza interferenze. La mano invisibile, anche in questo
campo, è un mito deleterio. Persino un liberale come Popper riteneva necessario
controllare la televisione (tanto da proporre l’obbligo per gli operatori di
un’apposita patente).
Occorre puntare invece
all’obbiettivo del controllo democratico sui media, in un’ottica di
servizio pubblico (che non implica la proprietà statale, ma nemmeno la
esclude). La riconquista della sovranità economica e politica di un Paese passa
necessariamente per la riconquista della sovranità
mediatica.
Occorre sbarazzarsi
inoltre dell’illusione che l’informazione libera e di qualità possa essere gratuita
(o quasi). Qualcuno che paga c’è sempre, e sarà lui a decidere cosa pubblicare.
È necessario che ciascuno, se può, sovvenzioni i media che si distinguono per
indipendenza e approfondimento delle notizie, anziché omologarsi su velocità e
sensazionalismo. Per il resto occorre reintrodurre la questione dei
finanziamenti pubblici ai giornali, se realmente indipendenti da altri poteri.
Più in generale, il
cittadino medio si illude di poter comprendere il mondo aggiornandosi
quotidianamente per conoscere i fatti accaduti. Ma il presente acquista senso
se messo in relazione col passato, e la mancanza della dimensione storica è uno
dei limiti dell’informazione di attualità. L’importante non è ciò che accade
una volta, ma ciò che accade sempre (le strutture economiche, i
rapporti geopolitici ecc.), che per definizione non fa notizia.
Alceste De Ambris - maggio 2019
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1 commento:
Una proposta ai 100 mila e più lettori di sollevazione e ai tanti commentatori.
Sollevazione e P101 dicono da tempo di sostenere in maniera critica questo governo e a ragione, perché piaccia o non piaccia, per quanto con tantissimi limiti, ha invertito la tendenza austeritaria degli ultimi anni che è ciò che gli italiani vogliono; dicono anche di voler stare nel campo populista e di volerne costituire la terza gamba e hanno ben individuato nell’Unione europea e nell’euro il nemico principale.
Vedo più di 100 mila lettori di questo blog, vedo tantissimi commentatori, assieme siamo una forza.
A europee svoltesi, i rapporti di forza dentro il governo si sono invertiti, l’Europa sta mandando un attacco frontale e il rischio che il governo capitoli, esiste.
Chiedo a tutti i lettori di sollevazione e ai commentatori che sentono l’urgenza del momento, di uscire fuori dal blog, di incontrarci in assemblea e trovare il modo di incalzare questo governo sul serio.
Contiamoci.
Effettivamente stando ai numeri di lettori, non siamo 4 gatti.
Se tutti facessimo una donazione di 10€, entro un mese potremmo chiedere a sollevazione di affittare una sala a Roma, conoscerci de visu e avviare un percorso condiviso per la nascita di un soggetto politico all’altezza della situazione nuova creatasi, un soggetto che sia l’espressione di quella che sollevazione e P101 chiamano “sinistra patriottica”, che proprio nei tantissimi rivoli dell’attuale sinistra, non verrà mai fuori.
Organizziamoci noi!
E’ una proposta assurda, o ce lo chiede il momento importantissimo verso cui stiamo andando incontro?
Il Paese che ha fatto la Resistenza vuole arrendersi senza combattere? Continuando a fare il lettore passivo o il commentatore seriale virtuale?
Lettori di Sollevazione, uniamoci.
Se siete d’accordo, commentate e proponete.
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