mercoledì 5 dicembre 2018

ACCENDIAMO UNA LUCE SUL TAV TORINO– LIONE? (seconda parte) di Aldo Zanchetta

[ 5 dicembre 2018 ]

Segnaliamo la prima parte del contributo di Zanchetta.

Il 3 dicembre i poteri forti riuniti nella Confindustria nazionale, spalleggiati da ben precise forze politiche e da quella parte di società civile purtroppo favorevole al partito del PIL, hanno messo in campo tutti i loro argomenti a favore del TAV.

“Sarà la marcia dei centomila” (P.Griseri – La Repubblica del 30.10)

L’8 dicembre saranno i NO TAV a portare in piazza i loro. Non sbagliamoci, non è uno scontro “localistico” bensì il confronto, indiretto, di due diverse concezioni della politica, due visioni della democrazia e della vita sociale. Le due immagini che seguono sono eloquenti: la gente da un lato, i salotti ovattati del potere dall’altro (un consiglio a Fassino: cambi il suo consulente di immagine su face book). In realtà quello qui illustrato è il salotto dei feudatari del vero potere, che ama meno mostrarsi in forme così banali e che a Torino ha un nome ben preciso, la sempre più cosmopolita famiglia (fu) Agnelli.

Sui motivi per cui la tratta Torino-Lione del Corridoio europeo n.5 non è sostenibile già abbiamo detto e comunque il documento che potete vedere sul documento è esemplare per sinteticità e chiarezza. Se la Francia non riprenderà il discorso fino al 2038 (dico duemilatrentotto!), perché affrettarsi tanto per scavare un tunnel che sboccherebbe nel nulla? L’unica opera accessoria ad oggi realizzata è la galleria geognosticoa di Chiomonte[1]), e i lavori di scavo del tunnel ferroviario non sono ancora stati appaltati. Del resto, come leggerete in fondo, quello che interessa ormai è scavare il tunnel, non il TAV.

La testimonianza di un cittadino della valle, che ho letto in questi giorni sul web, mi pare apportare nuovi elementi per una narrativa più aggiornata. Forse anche voi comprate sul web oggetti che vengono consegnati in 24 o 48 ore da trafelati conduttori di furgoni.
C’è anche un’altra questione, ancora sottovalutata nei suoi effetti dirompenti sul sistema trasportistico italiano, che dimostra come la Torino Lyon sia ormai fuori tempo massimo rispetto all’evoluzione del trasporto delle merci: le due statali valsusine, così come altre direttrici di traffico, sono sempre più percorse, sette giorni su sette, da decine di camioncini con targa polacca o rumena con una capacità di carico compresa tra i 15/18 quintali che guadagnano quote di traffico a danno dei TIR ed anche del trasporto ferroviario che, in Italia, manca di una logistica efficiente.[2] E’ un modello di trasporto, su scala internazionale, che risponde alle nuove e ormai consolidate esigenze produttive delle aziende, che hanno abolito o comunque ridotto il deposito nei magazzini e che hanno quindi necessità di un continuo e flessibile rifornimento ad hoc (che il trasporto ferroviario non può garantire) dei pezzi o materiali per le necessità produttive, e anche per il rifornimento delle attività commerciali di media o grande dimensione.
E c’è un altro motivo dietro l’irreversibile affermazione di questo modello di trasporto: i bassi costi per le retribuzioni degli autisti calcolate su parametri dei Paesi dell’Est, pernottamento degli stessi sul mezzo e pasti consumati lungo la strada, la non percorrenza delle autostrade a pagamento, la possibilità di circolare nei giorni festivi quando sono invece fermi i mezzi più pesanti, il non uso del cronotaghigrafo e quindi, a discapito della sicurezza, la possibilità di guidare anche 14/18 ore giornaliere.[3]
Ed ora inoltriamoci lungo le utopistiche vie del potere: il Corridoio ferroviario europeo n.5

Il corridoio ferroviario europeo n.5

Un progetto ambizioso di trasporto merci e persone quello dell’Unione Europea
denominato “corridoio ferroviario europeo n.5”: da Lisbona, in Portogallo, a Kiev, in Ucraina, lungo 3335 Km. Sulle ragioni di questo corridoio ferroviario, in un numero de Il Sole - 24 ore del 2007, certamente memorizzato da Fassino come vedremo, si legge:
Corridoio 5, arteria a rete multimodale, appartiene ad uno dei grandi assi ferroviari ed autostradali che l'Unione Europea si è impegnata a realizzare e collegherà Lisbona a Kiev, assegnando all'Italia un ruolo strategico rispetto al processo di integrazione verso quei Paesi che dal 1° maggio 2004 sono entrati a far parte dell'Unione Europea. […] Il "Corridoio 5", partendo da Venezia (ma allora Lisbona, Lione e Torino? nds) raggiunge Trieste, prosegue per Lubiana, capitale della Slovenia, avanza fino a Budapest, per poi valicare il confine dell'Ucraina attraverso L'vov; l'ultima fermata rappresentata da Kiev. Il suo sviluppo è di 1.600 km (da Venezia o da Trieste?, ma è un dettaglio insignificante) […]. Il corridoio 5 porterà alla formazione di un vasto spazio economico di 500 milioni di persone. Inoltre, coi mercati dell'Est in piena espansione, gli scambi tra est e ovest acquisteranno pari se non superiore rilevanza rispetto a quelli nord-sud. Consapevole di ciò, l'Ue ha individuato nove corridoi stradali e ferroviari che protendono verso l'Est la rete transeuropea di trasporto. […] All'urgente necessità per l'Italia di un collegamento rapido, per merci e passeggeri, coi Paesi dell'Europa centro-orientale, risponde appunto il Corridoio 5, che partendo da Trieste arriva sino a Kiev in Ucraina.
Il percorso del corridoio 5 è un ibrido: certe tratte sono progettate per trasporto ad alta intensità di merci (ad es. la Lione-Torino), altre per alta velocità passeggeri. A parte che il giornalista non ha ben chiaro se il Corridoio 5 inizia a Lisbona, Venezia o Trieste, una prima cosa è certa da tempo: il Portogallo nel 2012 ha (ragionevolmente) rinunciato alla tratta sul suo territorio per motivi economici. Quindi la linea partirebbe dalla Spagna (Algeciras). Sorvoliamo sugli scandali per corruzione che si sono verificati in questo paese nella costruzione delle linee TAV e sui problemi, non risolti, dell’attraversamento dei Pirenei. Un’altra cosa è certa: anche la Slovenia ha rinunciato alla sua tratta. Anzi, per alcuni anni, aveva sospeso addirittura ogni transito ferroviario dall’Italia. Addio sbocco nel mercato favoloso dei paesi dell’Est!

In Italia, oltre il traforo, abbiamo altri due problemi, che sul piano progettuale non sono chiariti: l’attraversamento con gallerie sotterranee di Torino e di Vicenza, zone densamente abitate. Queste gallerie fra l’altro interferirebbero necessariamente con le falde acquifere: problema assai delicato. L’attraversamento appenninico fra Firenze e Bologna ha già fatto i suoi danni alle relative falde acquifere, portando un extralavoro ai tribunali, ed altrettanti ne minaccia il futuro attraversamento in sotterranea di Firenze. L’esperienza non insegna. Ma torniamo al Corridoio 5.

“Binario morto” e “Dove sono le ragioni del sì”
Due solerti giornalisti, Andrea de Benedetti e Luca Rastello, nel marzo 2012 hanno deciso di percorrere in treno il tragitto da Lisbona a Kiev per vedere lo stato di avanzamento dei lavori. Ne è uscito un libro il cui titolo è significativo: Binario Morto. Un piacevole libro di avventure di viaggio oltre che una verifica sul campo. Un’altra lettura raccomandabile (facile e veloce, ed anche economica: 96 pagg. e 10 E ben spesi), ci informa in modo chiaro quale sia lo stato di asservimento e vacuità del giornalismo italiano ed anche della classe politica italiana. Il libro ha per titolo Dove sono le ragioni del sí. La “Tav in Val di Susa” nella società della conoscenza. E’ il sobrio resoconto di Antonio G. Calafati, docente di Analisi delle politiche pubbliche (http://calafati,univpm.it), di
un’esercitazione condotta coi suoi studenti universitari alla ricerca sui media delle “ragioni del sì”, esposte da grandi firme del giornalismo nostrano. 
Dopo due mesi di lettura in aula dei tre “giornaloni” nostrani (“Il Corriere della Sera”, “La Repubblica” ,“La Stampa” ) la situazione è disarmante: sotto i titoli roboanti, introvabili le ragioni del sì!

Commenta Calafati:
«L’ho scritto, nel modo più semplice che ho potuto, anche per dare un sostegno morale a quei lettori che si sentono sopraffatti dall’autorevolezza dei giornalisti, da editoriali e corsivi ai quali non sanno dare un significato, che non capiscono, che cercano di capire. Spero di rincuorarli, mostrando che in molti casi non c’è nulla, proprio nulla da capire. […] … cercavamo delle ragioni razionali, dei ragionamenti con un contenuto empirico, ipotesi chiare e falsificabili, qualche dato per corroborarle. Abbiamo invece trovato i primi, abbozzati elementi di una “mistica” delle infrastrutture».
La resistenza di una valle contro il TAV
E’ riassumibile in poche parole: “Due statali, un’autostrada, una ferrovia, due elettrodotti: che cosa ci vogliamo ancora mettere?” risponde un valligiano al sociologo Marco Augé (Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella Val di Susa). “Di base si vuole salvaguardare il territorio, perché la valle è ormai considerata un tubo di passaggio” ribadisce un parroco. Un tubo di passaggio in una valle che in alcuni tratti è larga appena 2 km!

Da non dimenticare: nella roccia da scavare, come è stato appurato, ci sono asbesto (ovvero amianto: vi dice nulla la parola mesotelioma?), e uranio. Dal punto di vista tecnico nessun problema. Neppure da quello etico.

Questo un brano del dialogo telefonico registrato fra due imprenditori impegnati nello scavo del Terzo valico sulla direttrice Torino-Genova è significativo sugli effetti dell’amianto:

Imprenditore A, riferendosi agli operai che lavorano ogni giorno nelle zone più esposte: «Il primo che si ammala è un casino».

Imprenditore B: «Tanto la malattia arriva fra trent’anni...»[4].

Scavare il tunnel ha come conseguenza, almeno per la parte italiana, un traffico attraverso alcuni paesi della valle per alcuni anni di centinaia di camion al giorno trasportanti la terra di scavo, che oltre a tracce di queste sostanze lasceranno sulle strade anche una scia delle pericolose polveri M 5 e M 25.

Ma che tipo di resistenza hanno manifestato i valligiani che, non tutti certo, sono contrari al TAV? La risposta è intrigante, degna appunto di una riflessione sociologica come quella di Augé. Una resistenza che, nonostante i resoconti dei media, è stata esemplare e raramente è trascesa in violenza. Violenza in risposta ad altra violenza. In ricordo di Genova (2001), dove i micidiali gas lacrimogeni mi eccitarono al punto che se avessi avuto un bastone fra le mani lo avrei usato senza autocontrollo, ho comprato in valle una maglietta con una scritta significativa: “Isolare i violenti! … ci abbiamo provato, abbiamo anche fatto delle barricate, ma loro hanno lacrimogeni, manganelli, idranti … Non è facile”.

Un inciso: la nuova legge sulla sicurezza, ora in discussione al Parlamento, se non subirà modifiche prevede nel caso di partecipazione a blocchi stradali fino a 12 anni di carcere … Inaccettabile! Sicurezza per chi?

Nella valle la cultura della resistenza ha una lunga storia alle spalle, che risale nei secoli. Di qui passarono gli ‘eretici’ valdesi fuggendo le persecuzioni, e di qui tornarono. Una cosa mi ha colpito il 25 aprile del 2013 ad Avigliana, dove assistevo alla locale celebrazione della Resistenza: non ebbi la sensazione di un rito formale bensì di un sentire tuttora vivo, forse rinnovato dalla lotta contro il TAV. Scrive Augé: “… la memoria collettiva della Resistenza, in Val di Susa trova un parziale ricambio generazionale, che ne tiene vivo il ricordo, perché funzionale al contesto del presente”.

Ma non solo, credo. C’è altro in valle, dove mi hanno parlato ad es. di Achille Croce, un valligiano innamorato dal pensiero di Gandhi, la cui azione ha lasciato tracce perduranti. Fu dovuto alla sua influenza quanto accaduto nelle Officine Moncenisio di Condove: <>. (Augé, pag. 26).

Una valle quindi ricca di fermenti culturali che aiutarono la resistenza NO TAV a evitare la fisionomia “localistica”, del tipo Nimby (“non nel mio cortile”), ma a trasformarsi in una seria riflessione sul modello di civiltà che ha una delle sue espressioni più significanti nelle Grandi Opere. 
«Ciò che sta accadendo in Val di Susa va al di là della semplice opposizione al tunnel ferroviario. Da un lato colpisce la notevole competenza su temi ambientali, acquisita e condivisa da gran parte degli abitanti della valle e in particolare della bassa valle. Competenza dovuta appunto non solo a manifestazioni di piazza, ma anche e soprattutto a assemblee e conferenze tematiche e a informazioni ottenute dalla rete». (pag.208). 
Un esempio che ha trovato un riflesso in varie resistenze più recenti in altre zone d’Italia: No Tap in Salento, No Muos in Sicilia. No Triv in Basilicata e altre ancora, accompagnate tutte, in modo più o meno elaborato, da molti Sì alternativi.

Usciamo dalla Valle e scendiamo a Torino

Un oltraggio al futuro di Torino ?
«Un oltraggio al futuro di Torino, delle imprese, dei lavoratori. È un colpo basso per il territorio e per le sue speranze di ripresa. È la dimostrazione della ottusità di chi sta governando questa città e questo Paese. Non possiamo stare a guardare la distruzione del nostro futuro e ogni iniziativa sarà messa in campo per impedirlo».(dal blog di Piero Fassino)
La oltraggiante principale è ovviamente la sindaca Appendino, autrice di ben tre NO: alle Olimpiadi del 2024, al G 8, al TAV.

Vediamo meglio. E’ ben noto come il duo Ellkan (Agnelli)/Marchionne abbia trasferito all’estero la capitale della Fiat, oggi FCA. Riprendiamo dal puntuale documento citato sopra che ci ha informato dei camioncini con targa esteuropea in valle:
… all’oggi dove la FIAT non ha più il centro produttivo a Torino ma negli USA, le autovetture sono principalmente costruite all’estero, FCA paga le tasse in Inghilterra ed ha la sede legale in Olanda e il nuovo manager Manley concluderà, con minori problemi d’immagine di Marchionne, l’operazione di rendere sempre più periferico il comparto auto italiano a cui, malgrado i forti utili (divisi tra gli azionisti) rimangono da anni e in particolare a Mirafiori cassa integrazione (a carico dell’INPS), contratti di solidarietà e nessun concreto progetto produttivo.
E’ degli scorsi giorni la vendita della Magneti Marelli ai giapponesi per 6,2 miliardi di euro e già si parla di cessione anche della COMAU, la fabbrica di robotica industriale, centrale per le catene automatizzate di produzione. Un impero in smobilitazione dunque.

Di questo si tace e si urlano invece i 3 NO dell’Appendino che “hanno oltraggiato Torino!”. Vediamoli da vicino:

- primo NO a Torino come sede delle olimpiadi del 2026. Molte le città che stanno rifiutando di ospitare le Olimpiadi: Amburgo, Boston, Toronto, Budapest …. Ci sarà un perché? L’immane debito che si lasciano dietro, con i consuntivi tripli, quadrupli o più rispetto ai preventivi. Torino è la città col più alto debito pro-capite (3.500 E), al quale pare abbiano contribuito le olimpiadi invernali del 2006. Debiti che sono pubblici, mentre i guadagni (hotel, ristoranti etc) sono privati.

- Secondo NO (veniale) a Torino come sede del G 8 2017 in città (dirottato a Venaria). Sabato e domenica prossimi ci sarà il G 20 a Buenos Aires: trasferiti nella capitale 20mila poliziotti … e la ministra degli interni ha raccomandato agli abitanti di passare il week-end fuori città. Ricordate Genova 2001?

- Terzo NO : al tunnel e al TAV

Termino il riferimento ai personaggi della vicenda con il tris d’assi del mazzo PD Fassino-Chiamparino-Bresso, che negli anni passati si era alternato al vertice di amministrazione comunale e regionale. Fassino aveva fatto suo il sogno dell’Oriente: 
«La comunicazione con l’est europeo è strategica e Trieste è la porta di ingresso in Oriente […] L’Europa dell’est sarà il nostro Eldorado, e un sistema di trasporti verso quell’area è indispensabile […] L’alternativa sarebbe quella di chiudere la vocazione industriale di Torino in una logica industriale senza sbocchi».
 Un malevolo sito riporta scrupolosamente tutte le previsioni sbagliate di questo che è stato anche segretario nazionale del suo partito. Non infierisco.

A cancellare la vocazione industriale della città però ci aveva già pensato Marchionne buonanima, fra una partita di scopone e l’altra con Chiamparino (riferisco soltanto) il quale, dimentico di appartenere al partito che aveva ignorato il risultato del referendum nazionale sull’acqua, ora reclama a gran voce il referendum sul TAV. Per chi vuol sapere di più sulle parole a ruota libera del tris d’assi rimando al libro già citato di Calafati.

Un’ultima nota su Paolo Foietta, commissario straordinario per la TAV, il quale sparge disinformazione a piene mani. Leggo su Il Fatto Quotidiano del 30 ottobre: 
«I costi di uno stop per il paese saranno di oltre 4 miliardi contro i 2,9 previsti per realizzare l’opera». 
I 4 sarebbero per le penali, invece inesistenti. E i costi preventivati per l’opera, solo 2,9? Strano il silenzio della commissione anti- fakenews che si diceva operante presso la Presidenza del Consiglio?

Evidentemente Foietta sta parlando del solo scavo del tunnel. E barando sui numeri.

Per i costi dell’intera opera, le cifre sono veramente ballerine. Fra i vari conteggi, per chiarezza complessiva dell’esposizione, faccio riferimento all’intervista fatta da Chiara Carovani per Altraeconomia all’ing Alberto Poggio, <
CC - Oltre al tunnel esplorativo che cosa abbiamo della tratta dopo 27 anni di progetti e oltre 1 miliardo euro già speso?

AP - Nemmeno un metro. Dovrebbe essere lunga 270 chilometri da Torino a Lione, e costituita da tre tronconi: la sezione italiana, quella transfrontaliera e quella francese. […] Se, come sembra dagli ultimi orientamenti politici, le tratte nazionali non saranno realizzate, il tunnel sarà collegato alle ferrovie già esistenti. Pertanto sarebbe un’opera sostanzialmente inutile perché non si avrebbe incremento della capacità di trasporto lungo il percorso ferroviario Torino Lione, che rimarrebbe pari a quelle delle linee attuali.

CC Come sono ripartite le spese?

AP Dunque, quelle previste ammontano a 8,6 miliardi per il Tunnel di Base, più le tratte nazionali che possiamo stimare a 4,4 per l’Italia, più 2 miliardi, causati da una variazione al progetto che ha fatto ricadere sulla tratta nazionale italiana un pezzo di quella frontaliera. La Corte dei Conti francese ha stimato, nel 2012, un costo totale dell’opera pari a 26,1 miliardi di euro, quindi con una spesa per la Francia di 11 miliardi. Ma è importante dire che dei 57,5 chilometri solo 12,5 sono in Italia e il resto ricade sul territorio francese, ma le spese sono ripartite al 58% all’Italia e 42% alla Francia. Perché nei primi accordi nel 2004 la Francia si lasciò convincere solo a fronte della promessa italiana di sostenere la quota maggiore delle spese.

CC L’Europa come partecipa?

AP La partecipazione definitiva alle spese da parte dell’Europa non è ancora stata deliberata. Sarà oggetto di discussione dopo il 2020 e potrà arrivare al massimo a coprire il 40% sul costo del solo Tunnel di Base, meno del 13% sull’intera Torino-Lione. […]

Un’avvertenza. Anni addietro un amico, responsabile progetti di una grande industria chimica italiana, mi disse fra il serio e il faceto: quando l’opera che mi danno da valutare è particolarmente complessa e la realizzazione è lunga nel tempo, per sicurezza io moltiplico i dati presentatimi per π (pi greco=3,14).



NOTE

[1] Il tunnel geognostico di Chiomonte, lungo 7 km, è oggi ultimato. Esso è servito per conoscere la struttura del Moncenisio nel cui ventre dovrebbe essere scavata la nuova galleria di passaggio del TAV (che, ripetiamo, TAV non è) Torino-Lione. Esso servirebbe anche come accesso al cantiere del tunnel di base e, successivamente, come condotto di ventilazione, manutenzione e via di sicurezza. L’investimento è du 173 milioni di euro. Sull’affidamento dei lavori di scavo sembra ci sia stata qualche manfrina. I lavori hanno avuto come capofila la Cooperativa Muratori e Cementieri di Ravenna, di cui all’epoca era presidente Pierluigi Bersani (riferisco, non affermo).

[2] Per inciso, l’argomentazione, a prima vista razionale, che la nuova ferrovia avrebbe ridotto il traffico merci su TIR nella valle, si è dimostrata errata. Infatti sulla attuale linea viaggiano carri attrezzati per ricevere i TIR, ma come già detto, essa è largamente sotto-utilizzata anche dai TIR, per motivi che sarebbe lungo esporre qui.

[3] https://emergenzacultura.org/.../giovanni-vighetti-tav-quello-che-i-media-non-dicono

[4] Inchiesta Terzo valico, intercettazione choc: “C’è l’amianto? Tanto la malattia arriva fra trent’anni - chocwww.lastampa.it/2017/.../inchiesta-terzo-valico-intercettazione-choc

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