[ 23 novembre 2018 ]
Cosa sanno gli italiani del Treno Alta Velocità Torino-Lione?
Ah no, scusate, del “treno trasporto ad alta intensità di merci” Torino–Lione?
Come, non lo sapevate che è questa in realtà la natura del
progetto. L’alta velocità (di trasporto passeggeri) è servita a eccitare la
fantasia di quegli italiani, tanti sia destra che a sinistra, ammaliati dal
mito del Progresso e dello Sviluppo. Alta intensità di trasporto merci che
richiede binari diversi, atti a sopportare grandi carichi, rispetto a quelli
per l’alta velocità dei treni passeggeri. Due cose fra loro incompatibili sullo
stesso binario.
Ho scritto “progetto” e non “realizzazione in corso”. Anche
qui l’informazione corrente ha confuso le idee. Sospendere un “progetto” è ben
diverso, dal punto di vista finanziario, che sospendere dei lavori in corso,
specie se già avanzati. A parte una serie di lavori accessori, fra i quali il
tunnel geognostico di Chiomonte (6 mt di diametro e 7 km di lunghezza; sul
significato di questa parola oscura tornerò), nessuna opera di scavo del tunnel
è stata fino ad oggi appaltata (sta per esserlo, però) e quindi in caso di
cancellazione non c’è nessuna penale da pagare, a nessuno, né alle imprese, né
alla controparte francese, solo 500 milioni di euri all’Unione Europea, nulla rispetto
ai tanti miliardi per la realizzazione di un progetto inutile, che verrebbero
gettati al vento (o meglio, in conti correnti bancari ben precisi).
Inutile trasportare le merci? Ma lo sviluppo, il PIL? Allora
iniziamo a vedere meglio le cose.
L’idea di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione nacque
all’inizio degli anni ’90 del secolo passato nei salotti di casa Agnelli, i
grandi patron di Torino. Cioè quasi trent’anni or sono. Coi tempi che corrono
30 anni sono un’eternità. Si prevedeva un ingente aumento di traffico merci con
la Francia per cui la linea ferroviaria esistente sarebbe stata presto saturata
(ma nessuno ha mai visto le carte su cui era basata la previsione: solo
discorsi, non studi circostanziati). E in 30 anni succedono molte cose: il traffico
merci totale con la Francia è rimasto praticamente costante, e quello sulla
linea ferroviaria è diminuito, anche perché nel frattempo è stata costruita una
nuova autostrada che percorre la Val di Susa, sfregiandola ulteriormente. Ma di
questo parlerò nella seconda parte di questo excursus.
Il voto del Consiglio comunale di Torino che il 29 ottobre scorso
ha bocciato il TAV Torino-Lione, decidendo il ritiro del Comune dall’Osservatorio
ufficiale sul TAV, opera “non importante”, è stato il detonatore che ha
innescato uno scontro politico di alto livello che, per essere ben compreso, è
bene venga affrontato sapendo un po’ di cose che i media non raccontano (o
raccontano male, salvo lodevoli eccezioni).
Dopo la manifestazione pubblica SI TAV del 10 novembre a
Torino, città epicentro dello scontro, organizzata dalla locale Confindustria, alla
quale si dice abbiano presenziato 25mila persone, ora scende in campo la
Confindustria nazionale che ha deciso di riunirsi in seduta straordinaria lunedì
3 dicembre in questa città alla presenza di tutti i presidenti delle
associazioni e delle categorie che ne fanno parte.
Confindustria ha così deciso di schierare il suo ingente
potenziale di fuoco contro la sindaca Appendino e sui suoi sostenitori e di
conseguenza anche contro il Movimento 5 Stelle e lo stesso governo
giallo-verde, sperando di ottenere la dissociazione della componente leghista
da quella stellata per farlo quindi affondare. Questo perché la posta in gioco
è altissima e non è limitata al famigerato TAV ma all’ideologia stessa delle
Grandi Opere. E alla grossa “torta” di 280 miliardi che è in gioco nel
complesso delle Grandi Opere previste, prima di sbloccare o rifinanziare le
quali il governo ha meritoriamente costituito un comitato di esperti per valutare
per ciascuna di esse il ropporto costi/benefici.
Non mi illudo che la Commissione possa lavorare senza forti
ingerenze politiche. E comunque la relazione dei tecnici non sarà decisiva
perché la decisione finale spetterà ai politici. E in realtà possono essere
ragioni di forte valore sociale che in casi eccezionali possono mettere in
secondo piano l’analisi costi/benefici. Ma questo, per essere giustificato,
richiederebbe una classe politica lucida e preparata, cosa che non è evidente
al momento.
Torniamo all’Assemblea di Confindustria. Il Sole - 24 Ore del
19 novembre scrive che questa È, infatti, il segnale della
compattezza della confederazione e di tutto il mondo produttivo a difesa di
un'opera, la Tav Torino-Lione, la cui utilità strategica non riguarda solo il
Piemonte, ma il Paese intero.
Per l’ennesima volta le elite
scambiano il tutto con la parte, la loro, che è l’unica a trarre vantaggio da
questa opera innecessaria ed anzi deleteria finanziariamente e ambientalmente,
come ormai è stato chiaramente dimostrato in varie sedi, tanto che il governo
francese, pressato dal parere ripetutamente negativo dell’equivalente
d’oltralpe della Corte dei Conti italiana, ha rinviato la costruzione della
tratta francese agli anni ’30 del presente secolo. Cioè probabilmente mai. Ma
su questo tornerò poi.
L’organo confindustriale prosegue: la prossima assemblea si collega idealmente,
come ci fanno notare alcuni imprenditori, alla manifestazione torinese del 10
novembre, con i quasi 40mila (ma non erano 25mila?) cittadini in piazza a sostegno delle stesse ragioni. I due appuntamenti
- al di là di qualsiasi coloritura politica […] esprimono chiaramente la
reazione della società civile nei confronti di una certa politica all'insegna
della “decrescita felice”.
Di nuovo, parlando di “reazione
della società civile”, si confonde il tutto con la parte, perché il Consiglio
comunale torinese che ha emesso il fatidico verdetto contro il TAV è quella che
ha vinto le elezioni comunali, fino a prova contraria. Ma per le elite del
potere fattico i rappresentanti eletti dal popolo rappresentano gli elettori
quando decidono cose a loro gradite e rappresentano solo se stessi quando invece
queste sono sgradite.
Il voto del 29 ottobre ha fatto
venire allo scoperto il partito latente del PIL, come rileva il servizio di uno
dei principali cronisti de Il Corriere della Sera, Dario Di Vico, nell’edizione
del giorno successivo al voto, avente per titolo appunto Segnali dal partito del
PIL. Stralciamo alcune
frasi:<<… il partito del PIL si è
fatto sentire in maniera compatta per contrastare decisioni prese dal governo o
dalle amministrazioni comunali …… i presidenti di una dozzina di associazioni
imprenditoriali da una parte e un presidio sindacale della Fim.Cisl dall’altra
hanno marcato la loro presenza (…) e hanno mostrato come la pensino le imprese
e il lavoro. …… Il partito del Pil comincia ad averne abbastanza>>
(dopo il no del Consiglio alle Olimpiadi Invernali del 2024 e alla riunione a
Torino del G8. Personalmente applaudo!).
“Partito del Pil”, quindi, contro partito della “decrescita
felice”. Un nuovo partito politico, quello del PIL, o solo una coincidenza
temporanea di interessi (alcuni veri, quelli dell’elite, e altri presunti erroneamente
tali)? E chi lo compone? Ce lo dice un giornale più ‘sbarazzino’ rispetto ai due
serissimi giornali prima citati, cioè Il Fatto Quotidiano che scrive: … si rivedono insieme Pd e centrodestra,
associazioni imprenditoriali (soprattutto industriali, costruttori e artigiani)
e sindacati dei lavoratori edili (Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil).
Ma, mi perdonino quelli de Il Fatto, c’è qualche dimenticanza
ed una è particolarmente grave, la ‘ndrangheta, presente in tutte le Grandi Opere
e specializzata in particolare nei movimenti di terra (e dalla tratta italiana
del tunnel lungo complessivamente 57 km, di terra da trasportare ne uscirebbe
tanta!). Essa è ben presente in zona grazie al lontano confinamento in Val di
Susa di un suo affiliato (Rocco Lo Presti, 1963). Le cronache giudiziarie ci
danno ampie notizie di questa oscura presenza in Val di Susa (oltre 50 morti di
‘ndrangheta nelle ultime decadi dello scorso secolo) e ci ricordano che quello
di Bardonecchia è stato il primo consiglio comunale del centro-nord sciolto per
‘mafia’ (1995).
Come si vede, lo schieramento è complesso, e anche innaturale.
E naturalmente comprende, come già detto, gli inconsapevoli ammiratori dell’equazione
Grandi Opere = Progresso e Sviluppo. Ma mi fermo qui rimandando
l’approfondimento del tema TAV Torino-Lione alla prossima seconda parte, importante
perché se apparirà chiara la non strategicità dell’opera e se si evidenzieranno
le diseconomie e il malaffare ad essa legate, può essere legittimo il dubbio
che tutto il marchingegno disinformativo qui impiegato probabilmente è
all’opera anche per glorificare alcune delle altre grandi opere oggi in ballo.
Qual è lo stato di salute della Grandi Opere nel mondo?
Prima
di chiudere, un cenno allo stato di salute delle Grandi Opere nel mondo, perché
è utile sapere che non è eccellente. Una sintesi non esaustiva è reperibile in
un articolo a firma Ketty Schneider e chiosato da una valente scienziata
italiana, Elena Camino, collaboratrice del Centro Studi Sereno Regis di Torino.
Il titolo è: I progetti infrastrutturali di
grandi dimensioni stanno fallendo a ritmi crescenti e lo potete trovare cliccando
qui: serenoregis.org/.../i-progetti-infrastrutturali-di-grandi-dimensioni-stanno-fallendo-a-rit .
Apprendiamo
così che negli ultimi 10 anni gigantesche Grandi Opere di varia natura e in
vari paesi hanno fatto flop: o per le opposizioni delle popolazioni coinvolte,
o per errore di progettazione ( ad es. errata valutazione dello stato del
terreno o del riempimento dei detriti depositati nel caso di dighe,
sottovalutazione di rischi di terremoti o alluvioni etc), abnorme lievitazione
dei costi, superamento tecnologico nel corso dei lunghi anni spesi fra
progettazione e realizzazione etc. E’ di ieri la notizia che il governo
neoliberista canadese ha cancellato la realizzazione di un grande oleodotto data
la strenua opposizione delle popolazioni dei territori attraversati. Le opere
che hanno ‘floppato’ riguardano dighe, miniere a cielo aperto, oleodotti,
gasdotti, deviazione di corsi d’acqua, autostrade, linee ferroviarie, aeroporti…….
Grandi
Opere che falliscono sempre più spesso trascinano nel baratro anche i relativi
costruttori. E’ accaduto per due dei più famosi costruttori di impianti nucleari,
la Westhinghouse (USA) e la Toshiba (J), rimaste impigliate nel gorgo della
lievitazione dei costi per rendere “più sicuri” gli impianti in costruzione,
dopo lo sfortunato e tuttora irrisolto incidente alla centrale nucleare
giapponese di Fukushima, le cui acque radioattive continuano a fuoriuscire
allegramente nel Pacifico fino a giungere sulle coste statunitensi. E’ di
queste settimane la richiesta di ammissione al concordato preventivo della Astaldi,
la terza grande impresa italiana di costruzione di Grandi Opere, che però non
ha dismesso la propria natura predatoria fino alla fine, complici altre
consorelle. Da Il Fatto Quotidiano di oggi (24 nov., pag. 15): “Delitto perfetto. I bond emessi dal
costruttore, che ha chiesto il concordato, erano destinati a grandi
costruttori. Che però li hanno rivenduti per 250 milioni ai piccoli: ora
perdono fino all’80%.”
Ecco
perché la prova di forza della Confindustria del prossimo 3 dicembre trascende
il caso singolo del TAV in Val di Susa ed è in difesa, senza sé e senza ma, di
un sistema gigantesco di interessi spesso illegittimi. Cancellare il TAV
significa aprirvi, anche in Italia, una prima significativa crepa. Da che parte
stare?
(I – continua)
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