[ 13 novembre ]
Dice Stefano Benemeglio (lo scopritore delle Discipline Analogiche, cioè delle “leggi e delle regole che governano i linguaggi emotivi e le dinamiche sistemiche dell’uomo” [1]) :
“Le aspettative naturali che ogni individuo ha, se vengono ripetutamente frustrate, determinano una naturale reazione di rabbia e risentimento nei confronti di se stessi e verso le persone che ci circondano. Tali rancori spesso non vengono espletati, ma interiorizzati e compressi, diventando la causa di depressioni.
La depressione riguarda quindi sentimenti di rabbia e rancori implosi per sensi di colpa.”[2]
Ci viene così offerta una interessante chiave di lettura di questi due fenomeni: mentre la rabbia è l’esplosione delle frustrazioni subite nel corso della vita, la depressione è la sua implosione.
Le frustrazioni vissute si possono quindi muovere su due distinti binari: attraverso la rabbia (verso l’esterno del Sè), oppure attraverso la depressione (verso il suo interno).
Non pensiate che le frustrazioni siano solo episodi che riguardano l’individuo. Esistono anche le frustrazioni sociali.
Gli operai che salgono sul tetto del capannone oppure organizzano picchetti e manifestazioni per manifestare la propria rabbia contro i trasferimenti o i licenziamenti hanno un comportamento ben diverso dagli operai che, volenti o nolenti, li accettano.
L’aspetto politico delle diverse scelte (rabbia o depressione) ha delle ricadute non secondarie sugli esiti sociali. Il corpo sociale dei votanti, ad esempio, a seguito della frustrazione causata dall’annichilimento del panorama politico (ci siamo pericolosamente avvicinati attraverso il maggioritario ad una totale mancanza di offerte politiche storicamente collocabili a destra e a sinistra) si è ammutolito, preferendo il silenzio della propria angoscia alle metaforiche urla rabbiose all’interno di quella stanza di contenimento per malati di democrazia che la cabina elettorale rappresenta. In alcuni casi, ci dicono gli psicologi, la rabbia irrisolta può portare a depressione. Credo che gli elettori delusi possano essere annoverati tra tali casi.
La depressione, quindi, è molto più funzionale della rabbia al sistema, che continua a macinare le proprie farine indisturbato. Nessuno, nella stanza dei bottoni, vuole un nuovo ‘68. Meglio un popolo depresso e ammutolito che uno eccitato dalla rabbia per le mancate “aspettative naturali” di cui parla Benemeglio.
Nel mondo sarebbero 121 milioni le persone che ricorrono agli antidepressivi. Secondo la Commissione Europea le persone affette da depressione in Europa sarebbero oltre il 4,5% della popolazione. E ogni anno sono 58.000 i cittadini che muoiono per suicidio. [4] Questi trend sono in continua ascesa.
Che poi il Prof. Irvin Kirsch avesse evidenziato come “i farmaci [antidepressivi] funzionano non grazie al loro meccanismo d'azione, bensì all'effetto placebo”, è argomento che non approfondisco per brevità. [5] Per quanto discutibili siano questi farmaci, indiscutibile è l’aumento del loro consumo, così come sono indiscutibili i profitti delle case farmaceutiche legati a questo contagioso disagio sociale.
Ma mentre alcuni farmaci tentano di migliorare i citati “squilibri biochimici” favorendo un approccio migliore verso la vita, altri al contrario forzano l’inconsapevole consumatore verso il crinale depressivo.
“La depressione può essere collegata a squilibri biochimici, [e] può anche derivare da fattori ambientali”, puntualizzano i terapeuti. [3]
Biochimici, quindi anche di natura farmacologica.
E qui la storia si complica, perché viene tirata in ballo la seconda causa mondiale di morte: le cardiopatie. L’OMS afferma che oltre 12 milioni di persone muoiono ogni anni per malattie cardiovascolari. Secondo il pensiero corrente il responsabile di tali malattie sarebbe il colesterolo. Risulta quindi necessario tenerlo sotto controllo attraverso la somministrazione delle statine.
Peccato che il prestigioso Lancet abbia pubblicato uno studio secondo cui i pazienti anziani con basso colesterolo avrebbero “a significant association with mortality”, fatto che oltre a dover far confessare ai ricercatori di essere “unable to explain our results”, li obbliga a porre dei dubbi sulle giustificazioni scientifiche di abbassare comunque il colesterolo a valori molto bassi. [6]
Inoltre si scopre che il 75% delle persone ospedalizzate per problemi di cuore hanno il colesterolo a livelli normali, almeno secondo le linee guida correnti. Il Dr. Gregg C. Fonarow, specialista di medicina cardiovascolare all’UCLA afferma che è quindi necessario rivedere al ribasso tali linee guida, in controtendenza con quanto affermato dal Lancet.[7]
Parlando di “squilibri biochimici”: l’assunzione di statine (spesso associate ad altri farmaci che ne potenziano l’effetto) comporta una serie di disagi, primi fra tutti quelli muscolari (ma il cuore cosa sarebbe, se non un muscolo?). Poi il fegato, che deve essere monitorato; la lista dei disagi fisici è molto lunga. Il raggiungimento dell’ipocolesterolemia non garantisce comunque l’immunità contro le cardiopatie, questo è ciò che alcuni studiosi affermano.
Il colesterolo svolge delle funzioni molto importanti: serve a produrre la bile, protegge le fibre nervose, interviene nella formazione delle membrane cellulari e nella produzione di ormoni e della vitamina D, è presente nelle membrane cellulari e quindi è fondamentale per la loro integrità fisica e per la loro permeabilità.
Una certa quantità di colesterolo è coinvolta anche nel processo dell’assorbimento e della digestione dei grassi. Inoltre viene utilizzato dalle ghiandole surrenali, dalle ovaie e dai testicoli per sintetizzare alcuni ormoni molto importanti, come il progesterone, gli estrogeni e gli androgeni.
Dal colesterolo deriva anche la vitamina D, che è fondamentale per un’adeguata mineralizzazione delle ossa. Da non dimenticare che negli strati superficiali della cute esso impedisce l’evaporazione dell’acqua, conferendo resistenza alla pelle.[8]
Come se non bastasse l’assunzione di statine allo scopo di ridurre il colesterolo ha come effetto collaterale...la depressione.
Uno studio del 2001 ha esaminato l’associazione tra i livelli di colesterolo e la depressione. La ricerca è stata condotta su una popolazione normale utilizzando Hamilton Rating Scale for Depression. La scala di Hamilton per la depressione era, all’epoca, il questionario più utilizzato per fare la diagnosi di depressione ed anche dare un’indicazione di gravità. Lo studio ha rilevato in modo netto che i soggetti con colesterolo basso avevano punteggi significativamente più alti nella scala di Hamilton.[9]
Manca un dato finale: i costi di questa operazione.
Nel 2000 le vendite dei farmaci ipolipemizzanti sono aumentate del 21%, portando la relativa categoria terapeutica al secondo posto nella classifica delle vendite di farmaci a livello mondiale.
All’interno di tale categoria, le statine sono state i medicinali più venduti.
Negli Stati Uniti tale farmaco risulta in assoluto il più venduto – per numero di confezioni - tra quelli soggetti a prescrizione medica, con oltre 48.000.000 di confezioni vendute.
Dal punto di vista della spesa è interessante notare che, tra i farmaci maggiormente venduti, al secondo e terzo posto si collocano due ipolipemizzanti per i quali si è registrata, rispettivamente, una spesa di 5,4 e 4,4 miliardi di dollari.[10]
Tra il 2000 e il 2005 l’uso di statine è aumentato di un enorme 156 per cento, passando da 15,8 milioni di persone a 29,7 milioni di persone. La spesa per questi farmaci è balzata da 7,7 miliardi a 19,7 miliardi di dollari per ogni anno dello stesso periodo. [11]
In Italia i farmaci del sistema cardiovascolare rappresentano la prima categoria terapeutica a maggiore spesa pubblica pari a quasi 2,9 miliardi di euro (48,1 euro pro capite).
Gli inibitori della HMG CoA reduttasi (statine) mantengono il primo posto in termini di spesa (8,1 euro pro capite). [12]
Interessante anche notare come da un lato si innalzino le soglie di pericolosità ambientale (inquinanti di aria e acqua, che risultano molto più respirabili e potabili di decenni fa nonostante il notevole aumento di agenti velenosi) mentre dall’altro si abbassano le soglie di salute individuale, facendoci diventare tutti malati e bisognosi di medicinali.
Ecco quindi come funziona il business: si analizza una delle maggiori cause di morte e si afferma che, per essere minimizzata, ha bisogno di essere trattata con farmaci specifici. Nonostante esistano dubbi sulla efficacia di tali farmaci (dato che inibiscono funzioni che non sembrano correlate alle patologie osservate), si chiede che i valori relativi alle funzioni di riferimento siano tenuti sotto una soglia prefissata. Ovviamente questo comporta un notevole incremento delle vendite di quei farmaci. Ma non basta: siccome si notano pochi benefici relativamente ai soldi spesi, si chiede di spenderne di più, e lo si ottiene abbassando i livelli di soglia ritenuti fino a prima accettabili. Una spirale che coinvolge pazienti cardiopatici e Big Pharma dalla quale non sembra esserci via di uscita. Ma l’aspetto più subdolo di questa operazione è che diminuendo costantemente i livelli di colesterolo e aumentando parallelamente le vendite di statine si aumenta di pari passo la depressione che, a seguito del volume di farmaci assunti, può tranquillamente considerarsi endemica. Ovviamente un popolo di depressi saprà ben difficilmente opporsi ai padroni del vapore che preferiscono cittadini sull’orlo del suicidio a masse di rabbiosi che si organizzano in sollevazioni popolari.
Se Maria Antonietta avesse consigliato statine al posto delle brioches avrebbe potuto portare a spasso per Versailles la propria affascinante testa ancora per parecchi anni. Ne sono sicuro.
Dice Stefano Benemeglio (lo scopritore delle Discipline Analogiche, cioè delle “leggi e delle regole che governano i linguaggi emotivi e le dinamiche sistemiche dell’uomo” [1]) :
“Le aspettative naturali che ogni individuo ha, se vengono ripetutamente frustrate, determinano una naturale reazione di rabbia e risentimento nei confronti di se stessi e verso le persone che ci circondano. Tali rancori spesso non vengono espletati, ma interiorizzati e compressi, diventando la causa di depressioni.
La depressione riguarda quindi sentimenti di rabbia e rancori implosi per sensi di colpa.”[2]
Ci viene così offerta una interessante chiave di lettura di questi due fenomeni: mentre la rabbia è l’esplosione delle frustrazioni subite nel corso della vita, la depressione è la sua implosione.
Le frustrazioni vissute si possono quindi muovere su due distinti binari: attraverso la rabbia (verso l’esterno del Sè), oppure attraverso la depressione (verso il suo interno).
Non pensiate che le frustrazioni siano solo episodi che riguardano l’individuo. Esistono anche le frustrazioni sociali.
Gli operai che salgono sul tetto del capannone oppure organizzano picchetti e manifestazioni per manifestare la propria rabbia contro i trasferimenti o i licenziamenti hanno un comportamento ben diverso dagli operai che, volenti o nolenti, li accettano.
L’aspetto politico delle diverse scelte (rabbia o depressione) ha delle ricadute non secondarie sugli esiti sociali. Il corpo sociale dei votanti, ad esempio, a seguito della frustrazione causata dall’annichilimento del panorama politico (ci siamo pericolosamente avvicinati attraverso il maggioritario ad una totale mancanza di offerte politiche storicamente collocabili a destra e a sinistra) si è ammutolito, preferendo il silenzio della propria angoscia alle metaforiche urla rabbiose all’interno di quella stanza di contenimento per malati di democrazia che la cabina elettorale rappresenta. In alcuni casi, ci dicono gli psicologi, la rabbia irrisolta può portare a depressione. Credo che gli elettori delusi possano essere annoverati tra tali casi.
La depressione, quindi, è molto più funzionale della rabbia al sistema, che continua a macinare le proprie farine indisturbato. Nessuno, nella stanza dei bottoni, vuole un nuovo ‘68. Meglio un popolo depresso e ammutolito che uno eccitato dalla rabbia per le mancate “aspettative naturali” di cui parla Benemeglio.
Nel mondo sarebbero 121 milioni le persone che ricorrono agli antidepressivi. Secondo la Commissione Europea le persone affette da depressione in Europa sarebbero oltre il 4,5% della popolazione. E ogni anno sono 58.000 i cittadini che muoiono per suicidio. [4] Questi trend sono in continua ascesa.
Che poi il Prof. Irvin Kirsch avesse evidenziato come “i farmaci [antidepressivi] funzionano non grazie al loro meccanismo d'azione, bensì all'effetto placebo”, è argomento che non approfondisco per brevità. [5] Per quanto discutibili siano questi farmaci, indiscutibile è l’aumento del loro consumo, così come sono indiscutibili i profitti delle case farmaceutiche legati a questo contagioso disagio sociale.
Ma mentre alcuni farmaci tentano di migliorare i citati “squilibri biochimici” favorendo un approccio migliore verso la vita, altri al contrario forzano l’inconsapevole consumatore verso il crinale depressivo.
“La depressione può essere collegata a squilibri biochimici, [e] può anche derivare da fattori ambientali”, puntualizzano i terapeuti. [3]
Biochimici, quindi anche di natura farmacologica.
E qui la storia si complica, perché viene tirata in ballo la seconda causa mondiale di morte: le cardiopatie. L’OMS afferma che oltre 12 milioni di persone muoiono ogni anni per malattie cardiovascolari. Secondo il pensiero corrente il responsabile di tali malattie sarebbe il colesterolo. Risulta quindi necessario tenerlo sotto controllo attraverso la somministrazione delle statine.
Peccato che il prestigioso Lancet abbia pubblicato uno studio secondo cui i pazienti anziani con basso colesterolo avrebbero “a significant association with mortality”, fatto che oltre a dover far confessare ai ricercatori di essere “unable to explain our results”, li obbliga a porre dei dubbi sulle giustificazioni scientifiche di abbassare comunque il colesterolo a valori molto bassi. [6]
Inoltre si scopre che il 75% delle persone ospedalizzate per problemi di cuore hanno il colesterolo a livelli normali, almeno secondo le linee guida correnti. Il Dr. Gregg C. Fonarow, specialista di medicina cardiovascolare all’UCLA afferma che è quindi necessario rivedere al ribasso tali linee guida, in controtendenza con quanto affermato dal Lancet.[7]
Parlando di “squilibri biochimici”: l’assunzione di statine (spesso associate ad altri farmaci che ne potenziano l’effetto) comporta una serie di disagi, primi fra tutti quelli muscolari (ma il cuore cosa sarebbe, se non un muscolo?). Poi il fegato, che deve essere monitorato; la lista dei disagi fisici è molto lunga. Il raggiungimento dell’ipocolesterolemia non garantisce comunque l’immunità contro le cardiopatie, questo è ciò che alcuni studiosi affermano.
Il colesterolo svolge delle funzioni molto importanti: serve a produrre la bile, protegge le fibre nervose, interviene nella formazione delle membrane cellulari e nella produzione di ormoni e della vitamina D, è presente nelle membrane cellulari e quindi è fondamentale per la loro integrità fisica e per la loro permeabilità.
Una certa quantità di colesterolo è coinvolta anche nel processo dell’assorbimento e della digestione dei grassi. Inoltre viene utilizzato dalle ghiandole surrenali, dalle ovaie e dai testicoli per sintetizzare alcuni ormoni molto importanti, come il progesterone, gli estrogeni e gli androgeni.
Dal colesterolo deriva anche la vitamina D, che è fondamentale per un’adeguata mineralizzazione delle ossa. Da non dimenticare che negli strati superficiali della cute esso impedisce l’evaporazione dell’acqua, conferendo resistenza alla pelle.[8]
Come se non bastasse l’assunzione di statine allo scopo di ridurre il colesterolo ha come effetto collaterale...la depressione.
Uno studio del 2001 ha esaminato l’associazione tra i livelli di colesterolo e la depressione. La ricerca è stata condotta su una popolazione normale utilizzando Hamilton Rating Scale for Depression. La scala di Hamilton per la depressione era, all’epoca, il questionario più utilizzato per fare la diagnosi di depressione ed anche dare un’indicazione di gravità. Lo studio ha rilevato in modo netto che i soggetti con colesterolo basso avevano punteggi significativamente più alti nella scala di Hamilton.[9]
Manca un dato finale: i costi di questa operazione.
Nel 2000 le vendite dei farmaci ipolipemizzanti sono aumentate del 21%, portando la relativa categoria terapeutica al secondo posto nella classifica delle vendite di farmaci a livello mondiale.
All’interno di tale categoria, le statine sono state i medicinali più venduti.
Negli Stati Uniti tale farmaco risulta in assoluto il più venduto – per numero di confezioni - tra quelli soggetti a prescrizione medica, con oltre 48.000.000 di confezioni vendute.
Dal punto di vista della spesa è interessante notare che, tra i farmaci maggiormente venduti, al secondo e terzo posto si collocano due ipolipemizzanti per i quali si è registrata, rispettivamente, una spesa di 5,4 e 4,4 miliardi di dollari.[10]
Tra il 2000 e il 2005 l’uso di statine è aumentato di un enorme 156 per cento, passando da 15,8 milioni di persone a 29,7 milioni di persone. La spesa per questi farmaci è balzata da 7,7 miliardi a 19,7 miliardi di dollari per ogni anno dello stesso periodo. [11]
In Italia i farmaci del sistema cardiovascolare rappresentano la prima categoria terapeutica a maggiore spesa pubblica pari a quasi 2,9 miliardi di euro (48,1 euro pro capite).
Gli inibitori della HMG CoA reduttasi (statine) mantengono il primo posto in termini di spesa (8,1 euro pro capite). [12]
Interessante anche notare come da un lato si innalzino le soglie di pericolosità ambientale (inquinanti di aria e acqua, che risultano molto più respirabili e potabili di decenni fa nonostante il notevole aumento di agenti velenosi) mentre dall’altro si abbassano le soglie di salute individuale, facendoci diventare tutti malati e bisognosi di medicinali.
Ecco quindi come funziona il business: si analizza una delle maggiori cause di morte e si afferma che, per essere minimizzata, ha bisogno di essere trattata con farmaci specifici. Nonostante esistano dubbi sulla efficacia di tali farmaci (dato che inibiscono funzioni che non sembrano correlate alle patologie osservate), si chiede che i valori relativi alle funzioni di riferimento siano tenuti sotto una soglia prefissata. Ovviamente questo comporta un notevole incremento delle vendite di quei farmaci. Ma non basta: siccome si notano pochi benefici relativamente ai soldi spesi, si chiede di spenderne di più, e lo si ottiene abbassando i livelli di soglia ritenuti fino a prima accettabili. Una spirale che coinvolge pazienti cardiopatici e Big Pharma dalla quale non sembra esserci via di uscita. Ma l’aspetto più subdolo di questa operazione è che diminuendo costantemente i livelli di colesterolo e aumentando parallelamente le vendite di statine si aumenta di pari passo la depressione che, a seguito del volume di farmaci assunti, può tranquillamente considerarsi endemica. Ovviamente un popolo di depressi saprà ben difficilmente opporsi ai padroni del vapore che preferiscono cittadini sull’orlo del suicidio a masse di rabbiosi che si organizzano in sollevazioni popolari.
Se Maria Antonietta avesse consigliato statine al posto delle brioches avrebbe potuto portare a spasso per Versailles la propria affascinante testa ancora per parecchi anni. Ne sono sicuro.
[5]http://espresso.repubblica.it/visioni/scienze/2010/02/12/news/bluff-depressione-1.18354?refresh_ce
[11]http://www.comemigliorare.com/tutta-le-verita-sulle-statine-rischi-sottovalutati-e-grandi-affari/
3 commenti:
Non avevo mai pensato alle statine ed al colesterolo in questo modo ma il ragionamento sulla depressione e sul modo in cui viene inquadrata nella nostra società è perfetto.
Segnalo un altro articolo, intitolato "La società suicidogena", che ho trovato per caso tempo fa e che lo dice chiaramente. Ne riporto un estratto (grassetti miei):
la risposta psicologico-psichiatrica continua a inserirsi in una logica di trattamento individualizzato volto a risolvere il problema a livello individuale.
Appurato che una parte significativa del fenomeno-suicidio abbia un fondamento nelle condizioni sociali, va da sé che le soluzioni individualizzate non risolvono da sole il problema. Si deve intervenire sulle cause sociali che producono le tendenze suicidogne. Si tratta cioè di rivolgere gli sforzi collettivi verso un cambiamento del modo in cui le nostre società sono organizzate, dei valori e delle norme su cui si reggono, delle aspettative (contraddittorie) che rivolgono ai loro membri. Non è cosa facile ma, diversamente, tutte le altre iniziative tagliate prevalentemente sull’individuo non potranno risolvere il problema.
Sottolineo che mi sembra uno dei siti nell'area salottiero-sinistrata del famigerato terzo settore ma nonostante ciò l'articolo presenta un buon ragionamento.
Per dar forza al ragionamento centrale dell` articolo consiglio di andare a visionare l` incremento dei suicidi negli stati uniti dalla fine degli anni 70 ad oggi.
3 anni fa, con il malessere tipico dell'ipotiroideo e con il tsh a 7,5 vado dall'endocrinologa che mi dice che devo prendere la pasticca contro l'hashimoto, malattia autoimmune.
gli dico che non prendo medicinali e che preferisco eventualmente cambiare stile di vita.
mi dice che non ho capito e che non si guarisce dall'hashimoto e che senza pasticca rischio gravi conseguenze.
gli chiedo allora cosa scatena la malattia autoimmune.
mi dice che ci sono solo ipotesi, dalla centrale ucraina fusa nell'89 (?) all'ereditarietà.
dopo un lungo digiuno incominciai a fare analisi del sangue a raffica scoprendo, nella mia dieta vegetariana, e isolando di volta in volta un alimento indiziato, che la soya monsanto, la caseina dei latticini (+la tirosina) e il glutine mi alzano il tsh.
oggi, che non si possono prescrivere tutte quelle analisi in esenzione, forse mi sarei rassegnato alle controindicazioni del farmaco (tumori) e non godrei di una ritrovata salute con il tsh che oscilla da 3 a 5 (quando sgarro) con i noduli che si stanno rimpicciolendo.
grazie anche ai consigli di Valdo Vaccaro. francesco
http://valdovaccaro.blogspot.it/
http://www.disinformazione.it/digiuno.htm
http://www.disinformazione.it/lato_oscuro_soia.htm
http://www.mednat.org/
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