[ 17 novembre ]
Abbiamo scritto più volte di come, nel caos iracheno seguito alla criminale occupazione americana del 2003, la pulizia etnica sia ormai diventata pratica comune, specie negli ultimi anni. Da parte dell'Isis, certo. Ma non di meno da parte delle milizie sciite —vedi la "liberazione" di Falluja, Ramadi e Tikrit. Di quelle dei curdi iracheni si tende ovviamente a non parlare, visto l'allineamento del loro governo agli interessi strategici dell'imperialismo. Ne parla invece l'articolo di Roberto Prinzi che pubblichiamo di seguito.
Nella cartina l'assedio di Mosul, ad opera della "Santa alleanza " a guida USA. I media strombazzano di migliaia di civili in fuga da Mosul; non dicono che gli abitanti, se sono sunniti, vengono chiusi in campi di concentramento.
Secondo la ong statunitense Human Rights Watch, le distruzioni sono avvenute per “nessun legittimo fine militare”. Il governo regionale del Kurdistan iracheno si difende: “è colpa dello Stato Islamico”. Le truppe irachene riconquistano la storica Nimrud. Ma gli attentati continuano a sud di Baghdad
L’accusa di Human Rights Watch (Hrw) è grave: le forze curde irachene avrebbero distrutto case e villaggi arabi nel nord dell’Iraq negli ultimi due anni. Secondo quanto scrive l’ong statunitense in un suo rapporto pubblicato ieri, le violazioni (“equivalenti a crimini di guerra”) risalirebbero al periodo che va dal settembre del 2014 al maggio del 2016 e riguarderebbero 21 villaggi tra le province di Kirkuk e Ninawa. Nominalmente sotto il controllo di Baghdad, questa porzione di territorio iracheno è in realtà controllata dal Governo regionale curdo (Krg) da quando lo ha riconquistato dalle mani dell’autoproclamato Stato Islamico (Is).
Lo studio – spiega la ong che si occupa della difesa dei diritti umani – si basa su oltre una dozzina di visite sul campo e su più di 120 interviste compiute a testimoni e ufficiali. A confermare i dati raccolti però, fa sapere Hrw, ci sarebbero anche le immagini satellitari che mostrerebbero come la distruzione delle proprietà appartenenti ai cittadini arabi sia avvenuta senza alcuna finalità militare. Grazie ai satelliti, inoltre, si è scoperto che altri 62 villaggi presenti nell’area sono stati distrutti dopo essere già stati riconquistati dalle forze curde. Tuttavia, per mancanza di testimonianze, la ong ha affermato che è difficile stabilire qui con certezza chi sia stato il vero responsabile delle demolizioni.
“Villaggio dopo villaggio a Kirkuk e Ninawa, le forze di sicurezza del Krg hanno distrutto le abitazioni arabe, ma non quelle appartenenti ai curdi, per nessun legittimo fine militare” ha detto Joe Stork, vice direttore dell’area mediorientale dell’associazione non governativa statunitense. L’accusa è chiara: “Gli obiettivi politici dei leader del governo curdo non giustificano l’illegale demolizione di case”.
Erbil, “capitale” del Kurdistan iracheno, si difende: “non c’è stata alcuna intenzione di distruggere quelle abitazioni”. “Quello che è successo – ha spiegato ad al-Jazeera Dindar Zebari, capo dell’Alta commissione per rispondere ai report internazionali – è accaduto perché i membri dell’Is hanno combattuto le forze [curde] peshmerga mettendo molti esplosivi in quegli edifici”. “Le distruzioni avvenute – sostiene Zebari – sono quindi il risultato della guerra contro questa organizzazione terroristica”.
Una posizione che non convince però Hrw che sottolinea come le demolizioni “contrastino con le pratiche consuete” con cui avvengono di solito e sarebbero avvenute settimane e fino anche mesi dopo che le forze curde avevano già riconquistato le aree in questione. Ciò, denuncia il rapporto, “non rispetta la legge umanitaria internazionale che impone la necessità impellente come giustificazione per attacchi contro obiettivi civili”. L’attacco della ong si fa incalzante: in alcuni casi le forze curde (peshmerga) avrebbero raso al suolo perfino villaggi che non sono mai stati controllati dall’Is o perché erano abitati da uno o più residenti sostenitori del sedicente “califfato”. Accuse gravissime che fanno il paio con quelle simili pubblicate lo scorso mese dall’ong britannica Amnesty International.
Queste (presunte) violazioni restituiscono ancora una volta il clima profondamente settario che si respira nell’Iraq post Saddam. Se negli ultimi due anni il mostro da combattere è ufficialmente lo Stato Islamico e l’assalto alla sua “capitale” irachena (Mosul) sta vedendo schierate tutte le componenti del Paese (e straniere), in realtà la vera partita in atto, neanche troppo dietro le quinte, è l’influenza che ciascuna comunità si sta costruendo nelle aree post califfato. Nonostante i richiami all’unità, al “rispetto” a non combattere l’Is in una determinata zona abitata da una maggioranza di popolazione non appartenente alla stessa comunità religiosa o etnica dei “liberatori” per paura di alimentare localmente i settarismi, le politiche messe in campo dalle singole componenti anti-califfato continuano ad essere colpevolmente settarie e foriere di gravi conflittualità future.
Sia chiaro: le accuse di Amnesty e Hrw contro i curdi iracheni sono tutte da dimostrare. Eppure non appaiono assurde se contestualizzate e non sarebbero le uniche avvenute nell’Iraq “liberato” dagli occidentali nel 2003. Operazioni simili di pulizia etnica non dissimili sono state infatti compiute anche dalle milizie sciite contro i residenti iracheni “rei” di essere sunniti. Nel “si salvi chi può” in atto nel Paese, o meglio nell’arraffarsi le spoglie di quel che fu l’Iraq di Saddam, ecco dunque che le gravi denunce di due importanti organizzazioni per i diritti umani internazionali non appaiono essere così peregrine. Anzi, appaiono quasi “normali” nel baratro in cui è sprofondato l’Iraq da tredici anni a questa parte.
E mentre la battaglia di Mosul continua (la città ormai è quasi completamente accerchiata), le truppe irachene hanno riconquistato ieri l’antica città di Nimrud occupata due anni fa dall’Is. Nimurd non cambierà le sorti di quello che sempre più la stampa occidentale rappresenta come uno scontro tra “male” (loro) e “bene” (noi). Ma ha alto valore simbolico: subito dopo aver preso possesso del noto sito storico nel 2014, infatti, lo Stato islamico suscitò lo sdegno mondiale con un video di propaganda in cui i suoi combattenti venivano ripresi mentre distruggevano i reperti archeologici presenti sul posto.
E se i jihadisti sembrano essere alle corde perché pressati su tutti i lati a Mosul e in ritirata nella aree ad essa limitrofe, tuttavia riescono ancora a realizzare attacchi fuori dalla città. Stamane un attacco suicida ha ucciso otto persone ad Ain at-Tamer (sud di Baghdad, a 30 miglia dalla città santa sciita di Karbala). L’attentato avrebbe potuto essere molto più devastante: le forze di sicurezza irachene hanno detto di aver ucciso sei attentatori suicidi prima che questi si facessero esplodere in aria.
Abbiamo scritto più volte di come, nel caos iracheno seguito alla criminale occupazione americana del 2003, la pulizia etnica sia ormai diventata pratica comune, specie negli ultimi anni. Da parte dell'Isis, certo. Ma non di meno da parte delle milizie sciite —vedi la "liberazione" di Falluja, Ramadi e Tikrit. Di quelle dei curdi iracheni si tende ovviamente a non parlare, visto l'allineamento del loro governo agli interessi strategici dell'imperialismo. Ne parla invece l'articolo di Roberto Prinzi che pubblichiamo di seguito.
Nella cartina l'assedio di Mosul, ad opera della "Santa alleanza " a guida USA. I media strombazzano di migliaia di civili in fuga da Mosul; non dicono che gli abitanti, se sono sunniti, vengono chiusi in campi di concentramento.
IRAQ. HRW: “Le forze curde irachene hanno distrutto case e villaggi arabi”
di Roberto Prinzi
Secondo la ong statunitense Human Rights Watch, le distruzioni sono avvenute per “nessun legittimo fine militare”. Il governo regionale del Kurdistan iracheno si difende: “è colpa dello Stato Islamico”. Le truppe irachene riconquistano la storica Nimrud. Ma gli attentati continuano a sud di Baghdad
L’accusa di Human Rights Watch (Hrw) è grave: le forze curde irachene avrebbero distrutto case e villaggi arabi nel nord dell’Iraq negli ultimi due anni. Secondo quanto scrive l’ong statunitense in un suo rapporto pubblicato ieri, le violazioni (“equivalenti a crimini di guerra”) risalirebbero al periodo che va dal settembre del 2014 al maggio del 2016 e riguarderebbero 21 villaggi tra le province di Kirkuk e Ninawa. Nominalmente sotto il controllo di Baghdad, questa porzione di territorio iracheno è in realtà controllata dal Governo regionale curdo (Krg) da quando lo ha riconquistato dalle mani dell’autoproclamato Stato Islamico (Is).
Lo studio – spiega la ong che si occupa della difesa dei diritti umani – si basa su oltre una dozzina di visite sul campo e su più di 120 interviste compiute a testimoni e ufficiali. A confermare i dati raccolti però, fa sapere Hrw, ci sarebbero anche le immagini satellitari che mostrerebbero come la distruzione delle proprietà appartenenti ai cittadini arabi sia avvenuta senza alcuna finalità militare. Grazie ai satelliti, inoltre, si è scoperto che altri 62 villaggi presenti nell’area sono stati distrutti dopo essere già stati riconquistati dalle forze curde. Tuttavia, per mancanza di testimonianze, la ong ha affermato che è difficile stabilire qui con certezza chi sia stato il vero responsabile delle demolizioni.
“Villaggio dopo villaggio a Kirkuk e Ninawa, le forze di sicurezza del Krg hanno distrutto le abitazioni arabe, ma non quelle appartenenti ai curdi, per nessun legittimo fine militare” ha detto Joe Stork, vice direttore dell’area mediorientale dell’associazione non governativa statunitense. L’accusa è chiara: “Gli obiettivi politici dei leader del governo curdo non giustificano l’illegale demolizione di case”.
Erbil, “capitale” del Kurdistan iracheno, si difende: “non c’è stata alcuna intenzione di distruggere quelle abitazioni”. “Quello che è successo – ha spiegato ad al-Jazeera Dindar Zebari, capo dell’Alta commissione per rispondere ai report internazionali – è accaduto perché i membri dell’Is hanno combattuto le forze [curde] peshmerga mettendo molti esplosivi in quegli edifici”. “Le distruzioni avvenute – sostiene Zebari – sono quindi il risultato della guerra contro questa organizzazione terroristica”.
Una posizione che non convince però Hrw che sottolinea come le demolizioni “contrastino con le pratiche consuete” con cui avvengono di solito e sarebbero avvenute settimane e fino anche mesi dopo che le forze curde avevano già riconquistato le aree in questione. Ciò, denuncia il rapporto, “non rispetta la legge umanitaria internazionale che impone la necessità impellente come giustificazione per attacchi contro obiettivi civili”. L’attacco della ong si fa incalzante: in alcuni casi le forze curde (peshmerga) avrebbero raso al suolo perfino villaggi che non sono mai stati controllati dall’Is o perché erano abitati da uno o più residenti sostenitori del sedicente “califfato”. Accuse gravissime che fanno il paio con quelle simili pubblicate lo scorso mese dall’ong britannica Amnesty International.
Queste (presunte) violazioni restituiscono ancora una volta il clima profondamente settario che si respira nell’Iraq post Saddam. Se negli ultimi due anni il mostro da combattere è ufficialmente lo Stato Islamico e l’assalto alla sua “capitale” irachena (Mosul) sta vedendo schierate tutte le componenti del Paese (e straniere), in realtà la vera partita in atto, neanche troppo dietro le quinte, è l’influenza che ciascuna comunità si sta costruendo nelle aree post califfato. Nonostante i richiami all’unità, al “rispetto” a non combattere l’Is in una determinata zona abitata da una maggioranza di popolazione non appartenente alla stessa comunità religiosa o etnica dei “liberatori” per paura di alimentare localmente i settarismi, le politiche messe in campo dalle singole componenti anti-califfato continuano ad essere colpevolmente settarie e foriere di gravi conflittualità future.
Sia chiaro: le accuse di Amnesty e Hrw contro i curdi iracheni sono tutte da dimostrare. Eppure non appaiono assurde se contestualizzate e non sarebbero le uniche avvenute nell’Iraq “liberato” dagli occidentali nel 2003. Operazioni simili di pulizia etnica non dissimili sono state infatti compiute anche dalle milizie sciite contro i residenti iracheni “rei” di essere sunniti. Nel “si salvi chi può” in atto nel Paese, o meglio nell’arraffarsi le spoglie di quel che fu l’Iraq di Saddam, ecco dunque che le gravi denunce di due importanti organizzazioni per i diritti umani internazionali non appaiono essere così peregrine. Anzi, appaiono quasi “normali” nel baratro in cui è sprofondato l’Iraq da tredici anni a questa parte.
E mentre la battaglia di Mosul continua (la città ormai è quasi completamente accerchiata), le truppe irachene hanno riconquistato ieri l’antica città di Nimrud occupata due anni fa dall’Is. Nimurd non cambierà le sorti di quello che sempre più la stampa occidentale rappresenta come uno scontro tra “male” (loro) e “bene” (noi). Ma ha alto valore simbolico: subito dopo aver preso possesso del noto sito storico nel 2014, infatti, lo Stato islamico suscitò lo sdegno mondiale con un video di propaganda in cui i suoi combattenti venivano ripresi mentre distruggevano i reperti archeologici presenti sul posto.
E se i jihadisti sembrano essere alle corde perché pressati su tutti i lati a Mosul e in ritirata nella aree ad essa limitrofe, tuttavia riescono ancora a realizzare attacchi fuori dalla città. Stamane un attacco suicida ha ucciso otto persone ad Ain at-Tamer (sud di Baghdad, a 30 miglia dalla città santa sciita di Karbala). L’attentato avrebbe potuto essere molto più devastante: le forze di sicurezza irachene hanno detto di aver ucciso sei attentatori suicidi prima che questi si facessero esplodere in aria.
* Fonte: NENA NEWS
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