[ 23 novembre ]
Tutto come previsto: il referendum si avvicina e la carta della paura viene ormai giocata con dosi sempre più massicce. Niente di nuovo sotto il sole, vien da dire. Roba già vista con la Brexit e più recentemente negli USA.
Nel caso italiano c'è però un paradosso in più. Si tratta del fatto che mentre il solito spauracchio dei "mercati" viene giocato spudoratamente dal fronte del Sì per provare a risalir la china, quello ben più concreto della crisi bancaria viene invece accuratamente nascosto sotto il tappeto dei media nostrani.
Non si deve infatti parlar troppo di un problema targato Europa (attraverso la sciagurata norma del bail in), figlio di una crisi ormai quasi decennale che il sistema non sa risolvere, aggravato dall'irresponsabilità di una classe dirigente (governi Monti - Letta - Renzi) che ha accettato senza fiatare le regole di un'Unione Bancaria disastrosa per il nostro Paese.
Altro che le oscillazioni dei mercati del 5 dicembre! Qui siamo di fronte ad un disastro annunciato che con il referendum c'entra quanto i cavoli a merenda.
Di cosa si tratta? Proviamo a ricapitolarlo in poche righe: dopo anni di una recessione intervallata da brevi pause di stagnazione le banche italiane si trovano piene di crediti deteriorati (altrimenti detti npl). Si impongono dunque giganteschi piani di ricapitalizzazione per compensare le perdite di questi crediti recuperabili solo in minima parte. Il mitico "mercato" non risponde però a questa domanda di denaro "fresco". Restano perciò due sole alternative al fallimento di numerosi istituti di credito: il primo è l'intervento pubblico, che però l'Unione Europea sostanzialmente non ammette; il secondo è l'applicazione del bail in, con la prevista tosatura (nell'ordine) di azioni, obbligazioni subordinate e senior, fino ad arrivare ai conti ed ai depositi sopra i 100mila euro.
Lorsignori fanno sempre la solita liturgica professione di fede mercatista, ma se fossero onesti dovrebbero ammettere che se lasciassimo davvero operare il loro adorato "mercato" le banche italiane fallirebbero a frotte. Da qui la loro attuale prudenza in materia: che lo Stato intervenga (Fondo Atlante), ma senza dare troppo nell'occhio. Il fatto è che questo loro badare alla sostanza, pensando di poter salvare pure l'apparenza di buoni europei che rispettano le regole, non regge. A Bruxelles e Berlino non vanno molto per il sottile: le norme in materia di bail in vanno rispettate, punto e basta.
Ecco allora approssimarsi il disastro. Un cataclisma con tre venefici effetti: 1. la sostanziosa tosatura del risparmio, 2. la strozzatura del sistema creditizio, con pesanti ricadute sull'economia nazionale, 3. la svendita di importanti banche italiane agli avvoltoi della finanza internazionale.
Di fronte a questa prospettiva, abbiamo espresso più volte la nostra posizione. Scrivevamo un anno fa:
«Del resto, se le banche non possono essere fatte fallire pena disastrose conseguenze economiche, per quale motivo il costo (pubblico) del loro salvataggio dovrebbe andare a beneficio di ricchi privati? Le banche vengano dunque salvate (evitando il bail-in e mandando a quel paese l'UE), ma nello stesso tempo nazionalizzate. Questa è la posizione che dovrebbe assumere chiunque abbia a cuore le sorti del popolo lavoratore. Altre non ne vediamo».
Il governo va ovviamente in direzione opposta: niente intervento pubblico, meno che mai la nazionalizzazione, pur cercando di negare la prospettiva del bail in.
E' un tentativo senza speranza. Di più, è una strada che porta all'acquisizione di alcune delle maggiori banche nazionali da parte di gruppi stranieri molto interessati ai prezzi di svendita che si profilano.
Di cosa stiamo parlando in concreto? Sia pure con tanta reticenza, il tema viene affrontato in un'intervista rilasciata da Padoan al Corriere della Sera domenica scorsa. Due le banche citate: Monte dei Paschi di Siena (Mps) ed Unicredit.
Su Mps l'intervistatore parla esplicitamente di «bail in mascherato», attraverso una conversione delle obbligazioni subordinate in azioni che verrebbe ad interessare decine di migliaia di famiglie. Sul punto Padoan parla di "volontarietà", ma —come vedremo tra poco— sa bene di mentire. Su Unicredit —che ha bisogno di un aumento di capitale di 13 miliardi— il ministro fa poi finta di non sapere quel che bolle in pentola, cioè la possibile acquisizione della francese Société Générale.
Abbiamo parlato di bail in mascherato. Ma come funzionerà in concreto? Semplice: la banca —che dovrebbe varare il progetto di ricapitalizzazione giovedì prossimo, ma al momento non è neppure certo che verrà raggiunto il numero legale!— chiederà ai possessori delle obbligazioni subordinate (vendute in passato alle famiglie, come nel caso di Banca Etruria e delle sue "sorelle" salite alle cronache l'anno scorso) di convertire i loro titoli in azioni, partecipando così ad una ricapitalizzazione nella quale nessuno vuol mettere soldi. Se non lo faranno in misura sufficiente —dice esplicitamente Mps— si arriverà alla "risoluzione", mandando così in fumo sia il valore delle azioni che quello delle stesse obbligazioni subordinate.
In ogni caso questi obbligazionisti avranno perdite pesantissime. Se convertono in massa dovranno di sicuro scontare il calo delle azioni. Se lo fanno in misura insufficiente rischiano di perdere tutto il capitale. Se non convertono, la tosatura del bail in arriverà implacabile. «Opta!», avrebbe detto il poliziotto di uno sketch in voga negli anni '80. Di volontario in questa operazione "spintanea" c'è ben poco. Ecco perché si parla di «bail in mascherato»: semplicemente perché di questo si tratta.
Ma la tosatura di Mps non è la prima —ricordiamoci delle 4 banche "risolte" un anno fa, come pure dei miliardi persi dagli azionisti di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza— né tantomeno sarà l'ultima.
Si può andare avanti così? Si pensa forse che non vi saranno pesanti ricadute sull'intera economia? Solo dei folli possono pensare cose del genere. Ma un'alternativa può esserci solo uscendo dalla gabbia europea. Con l'euro l'intervento pubblico di nazionalizzazione è infatti impossibile. Come sempre, tutto si tiene. Questi sono i veri nodi di fondo, altro che le baggianate del Bomba !
Concludiamo, allora, tornando al referendum.
In queste due ultime settimane di campagna elettorale ne vedremo di tutti i colori.
A chi vorrà insistere sulla carta della paura del dopo 4 dicembre, contrapponiamogli la carta della verità, quella della descrizione del disastro economico attuale provocato da lorsignori, ed accentuato dalla politica neoliberista di Renzi e della sua banda.
Alla paura del futuro, contrapponiamo il rifiuto di un presente fatto di crisi, disoccupazione, precarietà e povertà. Un presente sempre più inaccettabile per milioni di italiani. Che anche per questo voteranno NO.
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