[ 9 novembre ]
L'onda lunga che ha portato alla Brexit ha sospinto, con la potenza di uno tsunami, Donald Trump alla Casa Bianca. Un buon auspicio in vista del 4 dicembre.
E' la sanzione, per certi versi spettacolare, che siamo ad un giro di boa della situazione mondiale.
Proprio dal centro dell'impero arriva il de profundis del ciclo della globalizzazione neoliberista. Arriva, questo de profundis, proprio dal luogo da dove esso, con Reagan, iniziò e s'irradiò per tutto il mondo, spazzando via l'Unione Sovietica, concimando la restaurazione del capitalismo in Cina, schiacciando i movimenti politici e sindacali dei lavoratori salariati.
E' già la fine della globalizzazione? E' già la sepoltura del neoliberismo? No, non lo è ancora, contrariamente a certe sentenze frettolose e superficiali che, a sinistra, già leggiamo questa mattina.
Le potentissime forze oligarchiche che hanno tenuto in pugno le sorti del mondo per quattro decenni sono ancora tutte ai loro posti di comando: controllano le borse e le banche sistemiche, sono alla testa dei conglomerati finanziari e dei consigli di amministrazione delle più potenti multinazionali, tirano i fili delle università e dei think tank, spadroneggiano nel mondo della cultura e dell'informazione, hanno infiltrato gli Stati ed i loro apparati coercitivi.
Non abbandoneranno il campo e, ben al contrario, reagiranno con ogni mezzo per non essere spazzate via. La lotta intestina in seno ai dominanti diventa conclamata, e sarà prolungata, senza esclusione di colpi. Il countdown è solo iniziato.
Che in seno alle classi dominanti si apra questa battaglia è meglio o no per le forze popolari, democratiche, rivoluzionarie? Sì, è meglio, a patto che non commettano l'errore speculare di quello compiuto dalle sinistre occidentali e di mezzo mondo davanti all'avanzata neoliberista: l'errore, poi diventato un crimine storico, di essersi prima accodate e poi candidate a rappresentare loro politicamente la modernizzazione globalizzatrice antipopolare.
Le élite mondialiste dominanti, per mezzo della loro schiera di giornalisti e intellettuali a loro libro paga, non nascondono costernazione e collera per la vittoria di Trump. Si deve provare ad immaginare quale sconquasso interiore le travolge. Queste élite inneggiavano sì al cosmopolitismo multinazionalista, ma hanno sempre considerato gli Stati Uniti la loro propria vera patria elettiva. Come dimenticare i loro inni salmodianti per la vittoria di Obama? In preda al panico ora questa intellighentia (vera e propria nomenklatura dei dignitari del pensiero), dopo la fase degli eleganti anatemi contro i "populismi", sta già passando all'artiglieria pesante, paventa e allude ai "rigurgiti fascisti dell'America profonda". Stendiamo un pietoso velo su certa estrema sinistra che accoglie la narrazione dei puritani del neoliberismo.
Che la fase globalista sia al suo travagliato tramonto, che questa tenda oggettivamente a riconsegnare agli stati nazionali il centro della scena, per noi non è una sorpresa. Controcorrente lo diciamo da anni. Che poi questa palingenesi avanzi politicamente nella forma dei populismi, anche questo lo avevamo detto e ripetuto. Noi siamo stati tra i pochi, invece che fare gli esorcismi, ad affermare che la partita politica del futuro si sarebbe giocata proprio nel contesto della rinascita degli stati nazione, del risveglio dei nazionalismi, più esattamente nel campo dei populismi.
In questo campo si vanno ammassando le classi popolari e proletarie falcidiate dalla crisi sistemica del capitalismo, le quali cercano disperatamente una via d'uscita. E' il nostro campo quindi. E' qui che si gioca la partita di domani, la partita della de-globalizzazione, dell'egemonia sul blocco sociale anti-oligarchico e anti-liberista: tra destre nazionaliste risorgenti, con tutte le loro pulsioni reazionarie e le loro fisime xenofobe, e nuove sinistre che faranno del patriottismo democratico, egualitario e antimperialista la loro bandiera.
Vedremo se sarà proprio negli Stati Uniti che assisteremo ai primi round di questa partita dove, a bene vedere, si avvertono già le doglie di una guerra di classe strisciante. O se invece sarà l'Europa, con l'inevitabile collasso dell'Unione, il luogo della grande battaglia.
Ps
E' troppo presto per capire quale sarà la politica estera della Casa Bianca con Donald Trump. Seguirà, dopo il fiasco del neo-wilsonismo clintoniano, la scia di Bush, ovvero del rilancio di un imperialismo bellicoso in difesa del dominio monopolare a stelle e strisce? Oppure Trump incarna davvero la rinascita della tendenza all'isolazionismo americano, mix di protezionismo e interventismo militare mirato?
L'onda lunga che ha portato alla Brexit ha sospinto, con la potenza di uno tsunami, Donald Trump alla Casa Bianca. Un buon auspicio in vista del 4 dicembre.
E' la sanzione, per certi versi spettacolare, che siamo ad un giro di boa della situazione mondiale.
Proprio dal centro dell'impero arriva il de profundis del ciclo della globalizzazione neoliberista. Arriva, questo de profundis, proprio dal luogo da dove esso, con Reagan, iniziò e s'irradiò per tutto il mondo, spazzando via l'Unione Sovietica, concimando la restaurazione del capitalismo in Cina, schiacciando i movimenti politici e sindacali dei lavoratori salariati.
E' già la fine della globalizzazione? E' già la sepoltura del neoliberismo? No, non lo è ancora, contrariamente a certe sentenze frettolose e superficiali che, a sinistra, già leggiamo questa mattina.
Le potentissime forze oligarchiche che hanno tenuto in pugno le sorti del mondo per quattro decenni sono ancora tutte ai loro posti di comando: controllano le borse e le banche sistemiche, sono alla testa dei conglomerati finanziari e dei consigli di amministrazione delle più potenti multinazionali, tirano i fili delle università e dei think tank, spadroneggiano nel mondo della cultura e dell'informazione, hanno infiltrato gli Stati ed i loro apparati coercitivi.
Non abbandoneranno il campo e, ben al contrario, reagiranno con ogni mezzo per non essere spazzate via. La lotta intestina in seno ai dominanti diventa conclamata, e sarà prolungata, senza esclusione di colpi. Il countdown è solo iniziato.
Che in seno alle classi dominanti si apra questa battaglia è meglio o no per le forze popolari, democratiche, rivoluzionarie? Sì, è meglio, a patto che non commettano l'errore speculare di quello compiuto dalle sinistre occidentali e di mezzo mondo davanti all'avanzata neoliberista: l'errore, poi diventato un crimine storico, di essersi prima accodate e poi candidate a rappresentare loro politicamente la modernizzazione globalizzatrice antipopolare.
Le élite mondialiste dominanti, per mezzo della loro schiera di giornalisti e intellettuali a loro libro paga, non nascondono costernazione e collera per la vittoria di Trump. Si deve provare ad immaginare quale sconquasso interiore le travolge. Queste élite inneggiavano sì al cosmopolitismo multinazionalista, ma hanno sempre considerato gli Stati Uniti la loro propria vera patria elettiva. Come dimenticare i loro inni salmodianti per la vittoria di Obama? In preda al panico ora questa intellighentia (vera e propria nomenklatura dei dignitari del pensiero), dopo la fase degli eleganti anatemi contro i "populismi", sta già passando all'artiglieria pesante, paventa e allude ai "rigurgiti fascisti dell'America profonda". Stendiamo un pietoso velo su certa estrema sinistra che accoglie la narrazione dei puritani del neoliberismo.
Che la fase globalista sia al suo travagliato tramonto, che questa tenda oggettivamente a riconsegnare agli stati nazionali il centro della scena, per noi non è una sorpresa. Controcorrente lo diciamo da anni. Che poi questa palingenesi avanzi politicamente nella forma dei populismi, anche questo lo avevamo detto e ripetuto. Noi siamo stati tra i pochi, invece che fare gli esorcismi, ad affermare che la partita politica del futuro si sarebbe giocata proprio nel contesto della rinascita degli stati nazione, del risveglio dei nazionalismi, più esattamente nel campo dei populismi.
In questo campo si vanno ammassando le classi popolari e proletarie falcidiate dalla crisi sistemica del capitalismo, le quali cercano disperatamente una via d'uscita. E' il nostro campo quindi. E' qui che si gioca la partita di domani, la partita della de-globalizzazione, dell'egemonia sul blocco sociale anti-oligarchico e anti-liberista: tra destre nazionaliste risorgenti, con tutte le loro pulsioni reazionarie e le loro fisime xenofobe, e nuove sinistre che faranno del patriottismo democratico, egualitario e antimperialista la loro bandiera.
Vedremo se sarà proprio negli Stati Uniti che assisteremo ai primi round di questa partita dove, a bene vedere, si avvertono già le doglie di una guerra di classe strisciante. O se invece sarà l'Europa, con l'inevitabile collasso dell'Unione, il luogo della grande battaglia.
Ps
E' troppo presto per capire quale sarà la politica estera della Casa Bianca con Donald Trump. Seguirà, dopo il fiasco del neo-wilsonismo clintoniano, la scia di Bush, ovvero del rilancio di un imperialismo bellicoso in difesa del dominio monopolare a stelle e strisce? Oppure Trump incarna davvero la rinascita della tendenza all'isolazionismo americano, mix di protezionismo e interventismo militare mirato?
7 commenti:
Trump incarna la prima confusa fase della democrazia diretta
Quella è la strada
Mi auguro che l sinistra (se esiste) lo capisca per tempo.
Il miglior commento viene al solito dalla imbelle (e sedicente) sinistra PD:
La mucca nel corridoio sta bussando alla porta
Ma che pensiero politico profondo, chissà che non voglia smacchiare pure la mucca.
Sempre apprezzabili la lucidità e profondità di pensiero di Pasquinelli.
All'anonimo sopra:
Trump incarna seppur confusamente "la fase" (??) della "democrazia diretta"?
Forse dovresti spiegarti meglio, a me pare una cavolata.
Anonimo delle 17:29
Forse hai ragione.
Secondo il mio modesto parere però il successo di Trump, che di per sé non significa molto, spingerà i cittadini dei paesi europei e di tutto il mondo a convincersi che tramite il voto si può, se non cambiare effettivamente le cose, almeno creare dei grossi problemi alle oligarchie.
Intendo dire che a mio avviso il risultato delle presidenziali USA potrà essere un fattore che favorirà i no al referendum e la Le Pen in francia (e restano in sospeso le elezioni austriache oltre a quelle tedesche).
Ma probabilmente hai ragione tu e sto dicendo una cavolata.
Grazie per il gentile commento.
Più che politiche xenofobe e altre ipotesi del genere il Financial Times, in un articolo a pagamento uscito da pochissimo, sostiene che i consiglieri economici di Trump hanno dichiarato al giornale che il nuovo presidente vuole mettere da parte le politiche monetarie, implementare politiche fiscali di investimenti in infrastrutture e forse giubilare la Yellen.
The election of Donald Trump as US president will unleash a policy shift away from monetary policy towards fiscal measures in the coming months, some of his key advisers told the Financial Times.
In particular, some members of his economic advisory team are convinced that central banks such as the US Federal Reserve have exhausted their use of super loose monetary policy. Instead, in the coming months they hope to announce a wave of new measures such as infrastructure spending, tax reform and deregulation to boost growth — and combat years of economic stagnation.
Mr Trump’s campaign rhetoric has fuelled concerns about the future of Janet Yellen, the chair of the Federal Reserve, who faced unprecedented levels of criticism by the candidate during the campaign.
A suo modo è una lotta di classe non da parte dei lavoratori né delle oligarchie ma della classe media che, se si realizzeranno questi intenti dichiarati al FT, ne sarebbe la prima beneficiaria.
Una classe media nuovamente benestante sarebbe il miglior viatico per una seconda presidenza Trump ma soprattutto diventerebbe una forte antagonista delle oligarchie finanziarie.
A mio avviso la vera lotta di classe oggi nasce dalla classe media, in America come, credo, nel prossimo futuro in Europa.
Trovo il commento sulla vittoria di Trump di Moreno Pasquinelli corretto e ben calibrato nella quasi totalità della sua analisi. L'unica questione(che per me rimane fondamentale)che non condivido e che può essere determinante nella scelta delle azioni politiche, è quella che viene espressa nella domanda che lui si pone e ci pone "è già la fine della globalizzazione e la sepoltura del neoliberismo?" Io credo che la domanda corretta da porsi dovrebbe essere: è già l'inizio dell'implosione della globalizzazione e l'evidenziazione del rifiuto della democrazia liberale? Il rifiuto del popolo americano (dopo 8 anni di amministrazione democratica non certo ascrivibile ad una classica politica neoliberista) dimostra che vi è in atto in America come nel resto del mondo, in modo diverso, non omogeneo, un crescente e vasto scollamento, distacco, rifiuto da tutto quello che è o viene ritenuto o percepito come èlite o limitante la propria sovranità nazionale. Questo sentire non può essere ascritto in modo grossolano come il rifiuto ad un sistema anti-liberistico ma è più profondo. Esso si spinge, anche se in modo ancora inconscio,fino al rifiuto del sistema liberale quale principio fondante della globalizzazione e del dominio dell'èlite
Caro Pasquino,
1/ l'amministrazione Obama è, in verità, resta rigorosamente dentro il perimetro di politiche economico a sociali neoliberiste classiche. Punto.
2/ senza questa premessa non si capisce davvero perché D.Trump ha vinto, contro tutti e due i partiti storici, le due protesi i due custodi dell,aristocrazia finanziaria globalità.
3/ è un errore confondere, scambiare, neoliberismo, ed anche il liberismo -- ovvero una determinata e specifica politica economica-- con il pensiero liberale in quanto tale.
Nel campo liberale le differenze non sono minori a quelle che ci sono del campo del pensiero socialista. A chi verrebbe in mente di equiparare Pop Pot a Rosa Luxemburg? Enver Oxa a Bertinotti?
4/ per battere il potente blocco dominante è necessaria un'alleanza che comprenderà i liberali anti-liberisti.
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