[ 4 luglio]
Per la democrazia e la sovranità popolare, contro l’integrazione neoliberista e un’unione monetaria fallimentare
Con l’attuazione del mercato unico europeo e del Trattato di Maastricht, l’integrazione europea si è affermata come progetto di ristrutturazione a lungo termine dell’economia europea in senso neoliberista. Il Patto di Stabilità e Crescita, l’affermazione delle “libertà fondamentali” del mercato unico e l’Unione monetaria europea, rappresentano l’impalcatura istituzionale che ha alimentato le politiche di austerità, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dello stato sociale e le politiche di privatizzazione in tutti gli stati membri dell’UE.
Contrariamente alla tesi che vuole l’UE come un campo di gioco neutrale, gli eventi successivi alla Grande Recessione del 2007/9 hanno evidenziato come l’attuale progetto di integrazione europea sia segnato dalla natura regressiva dei trattati che lo definiscono e da una radicalizzazione senza precedenti del suo carattere neoliberista. Rapporti asimmetrici e relazioni gerarchiche di potere (centro-periferia) caratterizzano da lungo tempo l’integrazione europea, ma hanno raggiunto il loro culmine con il dominio tedesco sugli orientamenti di politica economica negli anni successivi alla Grande Recessione. Gli sviluppi normativi che hanno accompagnato la creazione dell’eurozona e le misure prese in risposta alla crisi dell’euro, con l’imposizione di vincoli sempre più stringenti e di regole e strumenti di governance con sempre minore legittimazione (Patto EuroPlus, Fiscal Compact ecc.) hanno accentuato il carattere autoritario e neoliberista di tale progetto di integrazione, che è diventato una vera minaccia alla democrazia e alla sovranità popolare.
La crisi dell’euro è il prodotto di un errore di concezione e un difetto di costruzione dell’Unione Monetaria Europea (UME), che ha avuto fin dall’inizio quali obiettivi prioritari l’austerità e il contenimento dell’inflazione. Per gli stati membri dell’eurozona, lungi dal condurre ad un processo di convergenza economica e sociale, la prospettiva di uno “sviluppo economico reale” (in termini di salari, produttività ecc.) si è progressivamente allontanata. L’Emu ha finito per alimentare pesanti squilibri macroeconomici (crescenti deficit delle partite correnti non solo nell’Europa meridionale più periferica, ma anche in Francia e in Italia, cui hanno corrisposto crescenti surplus in Germania e in altri paesi) e ha condotto, in una prima fase, a ingenti flussi di capitali dal centro alla periferia dell’eurozona. La disponibilità di credito a buon mercato ha alimentato bolle speculative immobiliari e finanziarie, determinando un aumento consistente del debito privato e, in alcuni casi, di quello pubblico.
Un’importante determinante di tali squilibri è stata la politica di contenimento del costo del lavoro in Germania, realizzata attraverso la riorganizzazione della filiera produttiva dell’export tedesco, con l’utilizzo di lavoro a buon mercato dell’Europa orientale, con politiche di dumping salariale e fiscale e con tagli alla spesa sociale.
La conseguenza di tutto questo è stata una forte pressione sulle economie più deboli perché aumentassero la “competitività internazionale” dei rispettivi settori produttivi nell’industria e nei servizi. Dal momento che nel quadro dell’UME non era possibile farlo attraverso un riallineamento delle valute, l’unica strada era quella della svalutazione interna. In termini pratici, voleva dire smantellamento dello stato sociale, privatizzazione dei servizi e delle infrastrutture pubbliche, riduzione dei salari e della spesa sociale, concorrenza fiscale, attacco alla contrattazione collettiva, riduzione del peso dei sindacati e demonizzazione, o in alcuni casi licenziamento, dei dipendenti pubblici.
È importante sottolineare che nessuna di queste cose è accaduta a causa di difetti di costruzione imprevedibili: dal punto di vista di chi ha concepito tale costruzione in un’ottica neoliberista, l’euro ha funzionato bene. Non ha funzionato rispetto agli obiettivi di equilibrio economico tra gli stati membri, di crescita economica e di piena occupazione, ma è stato molto efficace nel distruggere i diritti del lavoro, il sistema di sicurezza sociale, il settore pubblico, la tassazione dei profitti e nell’imporre il salvataggio delle banche con I soldi pubblici.
Questo è il modo in cui l’euro funziona dal punto di vista politico: costringe chi lo adotta ad una concorrenza al ribasso, per la quale la posizione economica di ciascuno stato membro può migliorare soltanto adottando politiche che vanno contro l’interesse della maggioranza della popolazione e a beneficio del capitale internazionale. Crea una spirale di progressiva riduzione delle retribuzioni, delle pensioni, delle prestazioni sociali, dell’impiego pubblico, degli investimenti pubblici.
Come dimostrato chiaramente da quanto è accaduto in Grecia nell’estate 2015, la struttura di governo dell’eurozona non mostra alcuna apertura verso politiche che seguono il volere espresso democraticamente da una maggioranza di cittadini quando queste sono in contrasto con l’agenda neoliberista. Quando il governo guidato da Syriza ha provato a realizzare il suo programma – e persino dopo il mandato ricevuto con l’Oxi del referendum – la BCE ha usato le sue armi finanziarie per costringere il governo a capitolare e firmare il memorandum.
Come è stato dimostrato ormai da un numero elevato di studiosi, l’eurozona non ha i requisiti per essere un’area monetaria funzionante, né possiamo aspettarci che li possa avere in futuro. Per funzionare, un’area monetaria come l’eurozona, con livelli di produttività e strutture economiche così diverse, necessiterebbe tra le altre cose di ingenti trasferimenti finanziari in grado di compensare gli squilibri economici. Stime attendibili mostrano che occorrerebbe redistribuire qualcosa come il 10% del Pil dalle economie più forti a quelle più deboli. Una passo del genere non solo non è realizzabile politicamente, è anche indesiderabile: come dimostrano tutti i precedenti nella stessa eurozona, i governi dei paesi finanziatori userebbero la loro posizione per influenzare le politiche nazionali nei paesi percettori dei finanziamenti, calpestando la democrazia. Negli anni più recenti abbiamo visto con quale rapidità un tale sistema possa minare la sovranità popolare, dividere I popoli europei e alimentare la xenofobia.
In definitiva, l’opzione di uno stato europeo democratico e federale che non rifletta le attuali disparità di potere tra gli stati membri richiederebbe una società civile europea che al momento non c’è, e che non può certo essere creata dall’alto.
Sullo sfondo dell’allarmante perdita di diritti democratici, dello smantellamento dello stato sociale e della privatizzazione dei beni comuni, le forze di emancipazione presenti in Europa devono proporre un’alternativa praticabile e credibile, basata sull’esercizio della sovranità popolare, al corrente progetto autoritario di integrazione neoliberista. È per questo che occorre avanzare la proposta di una Lexit (left exit, uscita da sinistra) come strumento di rivendicazione democratica.
L’allarmante crescita delle forze di estrema destra nella maggior parte dei paesi dell’eurozona si spiega anche con la loro posizione contraria all’UE e al sistema di governo dell’euro. Le loro proposte politiche sono tuttavia fuorvianti: le forze anti-euro di destra, per esempio, lottano per maggiori controlli sull’immigrazione mentre non fanno alcun cenno alla mobilità incontrollata dei capitali da e verso quei paesi che perseguono politiche di compressione dei salari. Per queste forze sarebbe sufficiente fermare la libera circolazione delle persone in Europa e abbandonare l’euro, lasciando che le valute siano determinate dal libero operare dei mercati e dei movimenti speculativi: possiamo parlare a questo riguardo di “neoliberismo xenofobo”.
Se vogliamo evitare un tale scenario, abbiamo bisogno di una Lexit: un’alternativa internazionalista basata sulla sovranità popolare, sulla fraternità, sui diritti sociali e sulla difesa delle condizioni dei lavoratori e dei beni comuni.
L’insostenibilità dell’eurozona è un fatto oggettivo. Presto o tardi, si porrà una scelta tra alternative vie d’uscita dall’euro, verso destra o verso sinistra, con effetti molto diversi dal punto di vista sociale. Diciamo esplicitamente che l’obiettivo della Lexit è quello di sviluppare strategie di emancipazione di sinistra per superare l’euro e contrastare l’integrazione neoliberista. La discussione è già iniziata e ci sono diverse proposte sul tavolo: invitiamo tutti coloro che condividono l’idea della Lexit a unirsi a questa discussione e alla nostra iniziativa.
Pubblichiamo un importante Manifesto per l'Uscita dall'euro. In fondo l'elenco dei primi firmatari. Molti di loro saranno protagonisti del III. Forum internazionale che si svolgerà dal 16 al 18 settembre prossimi.
Per la democrazia e la sovranità popolare, contro l’integrazione neoliberista e un’unione monetaria fallimentare
Con l’attuazione del mercato unico europeo e del Trattato di Maastricht, l’integrazione europea si è affermata come progetto di ristrutturazione a lungo termine dell’economia europea in senso neoliberista. Il Patto di Stabilità e Crescita, l’affermazione delle “libertà fondamentali” del mercato unico e l’Unione monetaria europea, rappresentano l’impalcatura istituzionale che ha alimentato le politiche di austerità, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dello stato sociale e le politiche di privatizzazione in tutti gli stati membri dell’UE.
Contrariamente alla tesi che vuole l’UE come un campo di gioco neutrale, gli eventi successivi alla Grande Recessione del 2007/9 hanno evidenziato come l’attuale progetto di integrazione europea sia segnato dalla natura regressiva dei trattati che lo definiscono e da una radicalizzazione senza precedenti del suo carattere neoliberista. Rapporti asimmetrici e relazioni gerarchiche di potere (centro-periferia) caratterizzano da lungo tempo l’integrazione europea, ma hanno raggiunto il loro culmine con il dominio tedesco sugli orientamenti di politica economica negli anni successivi alla Grande Recessione. Gli sviluppi normativi che hanno accompagnato la creazione dell’eurozona e le misure prese in risposta alla crisi dell’euro, con l’imposizione di vincoli sempre più stringenti e di regole e strumenti di governance con sempre minore legittimazione (Patto EuroPlus, Fiscal Compact ecc.) hanno accentuato il carattere autoritario e neoliberista di tale progetto di integrazione, che è diventato una vera minaccia alla democrazia e alla sovranità popolare.
L’euro – Una valuta alla radice della crisi
Un’importante determinante di tali squilibri è stata la politica di contenimento del costo del lavoro in Germania, realizzata attraverso la riorganizzazione della filiera produttiva dell’export tedesco, con l’utilizzo di lavoro a buon mercato dell’Europa orientale, con politiche di dumping salariale e fiscale e con tagli alla spesa sociale.
La conseguenza di tutto questo è stata una forte pressione sulle economie più deboli perché aumentassero la “competitività internazionale” dei rispettivi settori produttivi nell’industria e nei servizi. Dal momento che nel quadro dell’UME non era possibile farlo attraverso un riallineamento delle valute, l’unica strada era quella della svalutazione interna. In termini pratici, voleva dire smantellamento dello stato sociale, privatizzazione dei servizi e delle infrastrutture pubbliche, riduzione dei salari e della spesa sociale, concorrenza fiscale, attacco alla contrattazione collettiva, riduzione del peso dei sindacati e demonizzazione, o in alcuni casi licenziamento, dei dipendenti pubblici.
L’euro – Uno strumento a vantaggio del capitale finanziario
Questo è il modo in cui l’euro funziona dal punto di vista politico: costringe chi lo adotta ad una concorrenza al ribasso, per la quale la posizione economica di ciascuno stato membro può migliorare soltanto adottando politiche che vanno contro l’interesse della maggioranza della popolazione e a beneficio del capitale internazionale. Crea una spirale di progressiva riduzione delle retribuzioni, delle pensioni, delle prestazioni sociali, dell’impiego pubblico, degli investimenti pubblici.
Come dimostrato chiaramente da quanto è accaduto in Grecia nell’estate 2015, la struttura di governo dell’eurozona non mostra alcuna apertura verso politiche che seguono il volere espresso democraticamente da una maggioranza di cittadini quando queste sono in contrasto con l’agenda neoliberista. Quando il governo guidato da Syriza ha provato a realizzare il suo programma – e persino dopo il mandato ricevuto con l’Oxi del referendum – la BCE ha usato le sue armi finanziarie per costringere il governo a capitolare e firmare il memorandum.
L’euro – Un progetto sbagliato che non è possibile correggere
In definitiva, l’opzione di uno stato europeo democratico e federale che non rifletta le attuali disparità di potere tra gli stati membri richiederebbe una società civile europea che al momento non c’è, e che non può certo essere creata dall’alto.
Lexit – La strada per combattere efficacemente il neoliberismo e sostenere la democrazia
L’allarmante crescita delle forze di estrema destra nella maggior parte dei paesi dell’eurozona si spiega anche con la loro posizione contraria all’UE e al sistema di governo dell’euro. Le loro proposte politiche sono tuttavia fuorvianti: le forze anti-euro di destra, per esempio, lottano per maggiori controlli sull’immigrazione mentre non fanno alcun cenno alla mobilità incontrollata dei capitali da e verso quei paesi che perseguono politiche di compressione dei salari. Per queste forze sarebbe sufficiente fermare la libera circolazione delle persone in Europa e abbandonare l’euro, lasciando che le valute siano determinate dal libero operare dei mercati e dei movimenti speculativi: possiamo parlare a questo riguardo di “neoliberismo xenofobo”.
Se vogliamo evitare un tale scenario, abbiamo bisogno di una Lexit: un’alternativa internazionalista basata sulla sovranità popolare, sulla fraternità, sui diritti sociali e sulla difesa delle condizioni dei lavoratori e dei beni comuni.
L’insostenibilità dell’eurozona è un fatto oggettivo. Presto o tardi, si porrà una scelta tra alternative vie d’uscita dall’euro, verso destra o verso sinistra, con effetti molto diversi dal punto di vista sociale. Diciamo esplicitamente che l’obiettivo della Lexit è quello di sviluppare strategie di emancipazione di sinistra per superare l’euro e contrastare l’integrazione neoliberista. La discussione è già iniziata e ci sono diverse proposte sul tavolo: invitiamo tutti coloro che condividono l’idea della Lexit a unirsi a questa discussione e alla nostra iniziativa.
Primi firmatari
- Tariq Ali, author and filmmaker, UK
- Jorge Amar, Asociación por el pleno empleo y la estabilidad de precios, Spain
- Prof. em. Yangos Andreadis, Pantheion University, Greece
- Cristina Asensi, Democracia Real Ya and Money Sovereignty Commission, Spain
- Prof. Einar Braathen, Oslo and Akershus University College, Norway
- Prof. Lucio Baccaro, Université de Genève, Switzerland
- Gina Barstad, No to the EU and Socialist Left Party, Norway
- Luís Bernardo, Researcher, Portugal
- Simon Brezan, 4th Group of United Left, Slovenia
- Prof. Sergio Cesaratto, University of Siena, Italy
- Prof. Massimo D’Antoni, University of Siena, Italy
- Alfredo D’Attorre, MP Sinistra Italiana, Italy
- Fabio De Masi, MEP GUE/NGL, Germany
- Klaus Dräger, former staff of the GUE/NGL group in the EP, Germany
- Stefano Fassina, former Vice-Minister of Finance, MP Sinistra Italiana, Italy
- Prof. Scott Ferguson, University of South Florida, United States
- Prof. Heiner Flassbeck, Hamburg University and Makroskop, Germany
- Kenneth Haar, Corporate Europe Observatory, Denmark
- Idar Helle, De Facto, Norway
- Inge Höger, MP Die Linke, Germany
- Prof. Martin Höpner, Max Planck Institute for the Study of Societies, Germany
- Dr. Raoul Marc Jennar, Political scientist and author, France
- Dr. Lydia Krüger, Scientific Council of Attac, Germany
- Kris Kunst, Economy for the people, Germany
- Wilhelm Langthaler, Euroexit, Austria
- Prof. Costas Lapavitsas, SOAS University of London, UK
- Frédéric Lordon, CNRS, France
- Stuart Medina, Asociación por el pleno empleo y la estabilidad de precios, Spain
- Prof. William Mitchell, Director of Centre of Full Employment and Equity, University of Newcastle, Australia
- Joakim Møllersen, Attac and Radikal Portal, Norway
- Pedro Montes, Socialismo 21, Spain
- Prof. Andreas Nölke, Goethe University, Germany
- Albert F. Reiterer, Euroexit, Austria
- Dr. Paul Steinhardt, Makroskop, Germany
- Steffen Stierle, Attac and Eurexit, Germany
- Jose Sánchez, APEEP, Anti-TTIP Campaign, Attac, Spain
- Gunnar Skuli Armannsson, Attac, Iceland
- Petter Slaatrem Titland, Attac, Norway
- Dr. Andy Storey, University College Dublin, Ireland
- Prof. Wolfgang Streeck, Max Planck Institute for the Study of Societies, Germany
- Diosdano Toledano, Plataforma por la salida del euro, Spain
- Christophe Ventura, Memoire des luttes, France
- Peter Wahl, Weed e.V., Scientific Council of Attac, Germany
- Erik Wesselius, Corporate Europe Observatory, Netherlands
- Prof. Gennaro Zezza, Università di Cassino e del Lazio Meridionale, Italy
* Fonte: LexitNetwork
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