[ 18 luglio ]
RICOSTRUIRE LA SPERANZA
Ripensando politiche radicali di sinistra dopo l'esperienza greca
dI Panagiotis Sotiris
L'esperienza
della partecipazione di SYRIZA al governo è qualcosa che deve essere studiato
con molta attenzione. In quanto primo confronto di un partito
non-social-democratico di sinistra con l'esercizio del potere governativo, esso
rappresenta un esempio da manuale dei deficit strategici e dei limiti della
sinistra europeista e della sua incapacità di resistere alle pressioni ed ai
ricatti da parte del capitale e delle organizzazioni capitalistiche internazionali.
Il
nostro punto di partenza è molto semplice: la Grecia non era destinata a vedere
una intera sequenza di lotte e aspirazioni collettive finire nella sconfitta e nella
disperazione con un governo guidato da un presunto partito di sinistra che ha portato le stesse politiche
neoliberiste aggressivamente dettate dalla Troika. Al contrario, la Grecia
offre ancora un modo per ripensare la possibilità di un rinnovamento della
strategia di sinistra a patto che si cerchi davvero di pensare alla possibilità
di rotture.
Panagiotis (terzo da sinistra) è stato tra i promotori del II. Forum internazionale no-euro svoltosi ad Atene nel giugno 2015 |
Per
capire questo, dobbiamo, prima di tutto, pensare alla estensione e alla
profondità delle trasformazioni politiche e ideologiche in Grecia in tutto il
periodo del Memorandum. In primo luogo: la crisi greca non era solo una
manifestazione locale della crisi economica globale. In realtà, è stata la
combinazione della crisi globale, della crisi dell'architettura monetaria,
finanziaria e istituzionale della zona euro, e della crisi del peculiare
“modello di sviluppo” greco, basato sul credito a basso costo, i finanziamenti
della Ue, il turismo, e le faraoniche e inutili opere pubbliche come quelle per
gli stadi per le Olimpiadi del 2004. Questo combinato disposto ha accentuato sia
le contraddizioni della società greca che quelle della “integrazione europea” e
ha reso evidente che non vi era più modo di tornare indietro.
Per
il capitale e le forze sociali greche dominanti, come pure per le forze
dominanti all'interno della Ue, questa crisi è stata considerata l'occasione
per un imporre un “cambiamento di paradigma” alla società greca e un modo per
sbarazzarsi di tutti i compromessi che erano stati precedentemente effettuati a
favore di le classi subalterne. Tuttavia, questo sforzo ha portato a una
sequenza di proteste e contestazioni senza precedenti nella recente storia
greca, soprattutto nel periodo 2010-12, ma anche in seguito, espressosi in
grandi battaglie come la lotta in difesa della televisione pubblica (ERT) e,
naturalmente, quella del referendum del 5 luglio culminata nel voto massiccio a
favore del NO. Queste lotte non erano solo l'espressione di rabbia e di
protesta; erano anche il catalizzatore di un processo più ampio di convergenza
tra i diversi segmenti delle classi popolari. Questo è stato particolarmente
evidente nel 2011 con il Movimento delle
Piazze che ha riunito classe operaia, giovani, gli strati nuovi e
tradizionali della piccola borghesia, intellettuali ecc. Se dovessimo dirla in
termini gramsciani potremmo dire che abbiamo assistito alla nascita di un
potenziale nuovo “blocco storico” tra le classi lavoratrici, le forze della
cultura e quelle della conoscenza. Inoltre, questo processo che ha combinato il
brusco e negativo cambiamento sociale e la partecipazione di massa in una
sequenza quasi insurrezionale di lotte, ha avuto anche un aspetto ideologico
“catartico”, nel senso di una generale radicalizzazione e di ricerca di
alternative radicali. Il popolo era disposto a riconsiderare tutto ciò che era
stato dato per scontato ed a mettere in discussione tutti i principi centrali
del discorso dominante, dal neoliberismo ai protocolli greci per l’integrazione
europea.
Atene, giugno 2015: la delegazione internazionale durante la manifestazione conclusiva del II. Forum internazionale no-euro |
È
ovvio che questa particolare congiuntura chiedeva alla sinistra un profondo
ripensamento della propria strategia. Per la prima volta dal 1970 le forze
della sinistra radicale erano poste davanti al problema del governo e, in
generale, del potere politico e dell'egemonia. Ciò è avvenuto dopo un lungo
periodo in cui la sinistra radicale poteva pensare solo a resistere ed a
movimenti che non ponevano la questione del potere. Tuttavia, fare i conti con queste domande richiede la
riapertura del dibattito sulla strategia socialista e come combinare le misure
necessarie per porre fine immediatamente alla devastazione sociale con profonde
trasformazioni sociali e politiche.
Inoltre,
la questione del potere politico ha aperto una questione di più ampia portata.
Come già accennato la crisi greca era anche la crisi della “grande strategia”
della borghesia greca, vale a dire la partecipazione della Grecia nel più ampio
processo di integrazione europea e, in particolare della zona euro. L’adesione
alla Ue ed alla zona euro ha esposto l'economia greca a pressioni competitive
che hanno portato alla erosione della base produttiva del paese. Allo stesso
tempo questa è stata anche una strategia di classe della borghesia greca per promuovere
la ristrutturazione capitalista e spostare i rapporti di forza a favore del
capitale. Ciò significa che non ci può essere altro modo per una soluzione
progressiva e democratica alla crisi greca che la rottura con l'Eurozona e il
neoliberismo incorporato nei trattati della Ue. Questo ha anche a che fare con
la questione democratica. L'architettura istituzionale della Ue, con il suo
neoliberismo costitutivo, il suo disprezzo per il processo democratico e la
diffidenza verso la volontà popolare, insomma la sua logica di sovranità limitata
e il trasferimento di autorità alla burocrazia non eletta della Ue, significa
che la riconquistare la democrazia significa oggi anche rivendicare la
sovranità rispetto alla zona euro ed all l'Unione europea. L'euro in
particolare, è ora più evidente che mai, non è solo una moneta; si tratta di
una strategia di classe del capitale mondializzato e delle forze dominanti
all'interno della Ue. E le cose potrebbero solo peggiorare con l'ulteriore
attuazione della logica di “governance economica europea”, che è la logica del
controllo dei bilanci nazionali da parte delle autorità comunitarie, la messa
in atto di “freni automatici" e la penalizzazione del deficit di bilancio.
In questo senso, ciò che sta accadendo in Grecia con il Memorandum come forma
estreme di vigilanza disciplinare e autoritaria dell'economia greca, non è
l'eccezione l’anteprima della “nuova normalità” europea, il pieno dispiegamento
della logica dell’integrazione europea.
Alla
luce di quanto sopra, è palese come fosse giunto il momento per la sinistra
radicale di sbarazzarsi dell’europeismo di sinistra che per molti aspetti ha
causato e causa l’incapacità di immaginare politiche radicali. La ripetizione incessante
della necessità di “cambiare l'Europa dal di dentro” e le fantasie di “un altro
euro e un’altra Bce”, quando in realtà tutto sta a indicare che la direzione è
quella opposta, è stata la “via maestra” per la piena integrazione della
sinistra nella logica dominante del capitale. L’europeismo di sinistra è, allo
stesso tempo, la condensazione e il catalizzatore della crisi strategica della
sinistra europea.
Atene, giugno 2015: un momento della manifestazione conclusiva del II. Forum internazionale no-euro |
Allo
stesso tempo, la questione del potere politico è anche il problema dello Stato.
Lo stato capitalista non è un'istituzione di classe neutra e non è uno
strumento da utilizzare a piacimento. Lo Stato capitalista è la personificazione
di strategie di classe e dell'egemonia capitalistica. Di conseguenza, non può
essere semplicemente utilizzato dalle classi subalterne. Inoltre, la strategia
neoliberista dominante di ristrutturazione capitalistica e gli imperativi
dell’integrazione europea sono inscritti geneticamente nei suoi assetti
istituzionali. Inoltre, la questione dello Stato porta in primo piano la
questione di come contrastare la logica sempre più autoritaria e
antidemocratica incorporata nello stato neoliberista e nelle istituzioni europee.
Ciò significa che ogni discorso di sinistra radicale sulla questione del potere
non deve limitarsi al potere governativo nel rispetto dei limiti della “legalità”
neoliberista esistente, ma dovrebbe anche basarsi sulla forza dei movimenti
sociali e le loro richieste, sulle forme di potere dal basso. In caso
contrario, sarà sconfitto e costretto a capitolare.
Tutto
questo significa che ci sono, nel caso di un’ascesa al governo da parte della
sinistra radicale, due necessità inderogabili con cui fare i conti:
(A)
a ripensare il programma di transizione, sia nel senso delle rotture necessarie
con la zona euro, la Ue ed il meccanismo del debito, ma anche nel senso di un
processo di profonda trasformazione sociale in senso socialista, e
(B)
a ripensare il potere politico, sotto forma di una versione moderna di una
strategia di “dualità di poteri” che unisca il potere governativo con forti
movimenti autonomi “dal basso”.
Tuttavia,
nonostante queste necessità, che erano più che evidenti fin dall'inizio, la direzione
di Syriza ha scelto la strada opposta. Da un lato, per quanto riguarda la
direzione politica generale, invece di una strategia di rottura e la preparazione
per l'uscita dalla zona euro e la riconquista della sovranità monetaria, la direzione ha puntato alla rinegoziazione entro il perimetro della
strategia dominante della Ue ed entro la logica del Memorandum, mirando, nel
migliore dei casi, ad una “austerità dal volto umano”, ciò che fu reso evidente
coi timidi obiettivi del “programma di Salonicco” del 2014. Inoltre, Syriza, si
era preclusa dall'inizio ogni idea di rottura con la zona euro con l'obiettivo,
invece, di "persuadere" i creditori della Grecia per un allentamento
di austerità e una qualche forma di ristrutturazione del debito. Di fronte alla
ricatto aperta della Troika UE-FMI-BCE, la direzione di Syriza ha iniziato a
fare delle concessioni, come nel 20 febbraio 2015, un accordo che ha aperto la
strada alla resa completa ed alla capitolazione del luglio 2015, ciò nonostante
la plateale sfida da parte delle classi subalterne nel referendum del 5 luglio.
Passo dopo passo, Syriza, ha accettato la logica di austerità, di
privatizzazioni e della riforma delle pensioni, con la marcia indietro su
questioni come la politica educativa e l’abrogazione delle “riforme” del lavoro
già in atto. Inoltre, quando il governo guidato da SYRIZA ha affrontato il
ricatto aperto della UE e della BCE, prima e dopo il referendum, in un momento
in cui l'uscita immediata dalla zona euro era effettivamente non solo urgente ma
anche politicamente possibile, il gruppo dirigente di SYRIZA è giunto alla
conclusione che qualsiasi strategia di rottura era impossibile e pericolosa. Di
conseguenza, ha optato per la piena capitolazione alle richieste della Troika e
accettato un ancora più aggressivo Terzo Memorandum. Il risultato è stato la
completa trasformazione di SYRIZA in un partito pro-austerità, pro-memorandum,
e pro-UE, attuando le politiche neoliberiste aggressive dettate dalla troika.
Le proposte di legge neoliberiste per una riforma del lavoro, l’austerità
fiscale aggressiva, le proposte tecnocratiche per la riforma dell'istruzione,
l'accelerazione delle privatizzazioni, lo smantellamento dell'istruzione
pubblica e della salute pubblica attestano questo. Lo stesso si può dire per
l'accettazione cinica dell’accordo Ue-Turchia, dove il governo greco ha completamente
ceduto alla pressione attuando misure autoritarie anti-rifugiati (deportazioni
forzate, centri di detenzione, ecc) in cambio di una vaga promessa di avere
qualche minimo allentamento dell'austerità.
Allo
stesso tempo, il governo guidato da Syriza, al pari dei governi precedenti, ha continuato nella stessa direzione per
quanto riguarda il funzionamento dello Stato. Dal ricorrere alla violenza della
polizia contro i manifestanti, all’evitare eventuali cambiamenti reali nel funzionamento
della giustizia o dell’amministrazione pubblica. Inoltre, l'accettazione della logica
della “Fortezza Europa” per quanto riguarda la crisi dei rifugiati ha
significato anche una svolta autoritaria. Allo stesso tempo, le dichiarazioni
sula “lotta alla corruzione” non hanno portato ad alcun serio scontro con il
grande capitale, ma solo ad un riarrangiamento dei rapporti con le grandi
imprese ed i grandi media. In questo senso, c'è poca differenza tra la pratica
del governo SYRIZA ed i governi precedenti, ciò che è in linea con una tendenza
più ampia, vale a dire lo svuotamento della sovranità: ogni processo
decisionale e legislativo, il pieno controllo dell’economia greca trasferiti
nelle mai della UE, del FMI e della BCE.
Tuttavia,
denunciare la capitolazione, la resa e la mutazione neoliberista di SYRIZA non
è sufficiente. Ciò che è importante è anche trarre da questa vicenda alcune decisive
lezioni, che valgono per tutta la sinistra radicale in Europa. Ma per farlo
dobbiamo sbarazzarci di alcuni malintesi sella situazione greca.
Atene, giugno 2015: Panagiotis interviene all'atto conclusivo della manifestazione del II. Forum internazionale no-euro |
In
primo luogo, è del tutto evidente che non c'è nulla di progressivo nella
direzione e nella politica di SYRIZA e il governo SYRIZA-ANEL. Pertanto,
considerarlo come un esempio di “governo progressista”, come ad esempio fa la
direzione del Partito della Sinistra Europea insieme con le dirigenze dei
numerosi partiti di sinistra in Europa, porta solo alla confusione e all'identificazione
della sinistra con le politiche autoritarie neoliberiste. I legami crescenti
tra Syriza e il Partito dei socialisti europei e, in generale, la svolta verso governi
e partiti apertamente neoliberali e “socialdemocratici” lo dimostrano.
In
secondo luogo, sarebbe altrettanto erroneo trarre la conclusione che la
capitolazione di SYRIZA è la prova che è impossibile avere una forma di governo
radicale in un paese come la Grecia, o che ogni tentativo in direzione di
potere governativo porterà alla sconfitta e alla resa, a causa della mancanza
di una “situazione rivoluzionaria”. Questa è una posizione di sinistra
classica, sostenuta in Grecia sia dal Partito Comunista di Grecia (Kke) che da
alcuni segmenti della sinistra anticapitalista. Si tratta è in realtà di una
posizione molto conservatrice, perché non tiene conto della profondità della
crisi politica in Grecia e delle dinamiche esplosive dei movimenti sociali e
della domanda di un cambiamento
radicale. Inoltre, facendo dipendere la possibilità di cambiamento da un
“idelatipo” di situazione rivoluzionaria e di partito rivoluzionario, è come se
si cercasse di una scusa per non prendere atto della dinamica reale e della congiuntura.
Di
conseguenza è sbagliato dire che l'unico risultato possibile sarebbe stata ciò
che c’è stato o qualcosa del genere, o che la politica della SYRIZA era l'unico
orizzonte storico possibile.
Tuttavia,
porsi davvero la questione del potere e dell'egemonia poggia su determinati
requisiti.
In
primo luogo, è necessario ripensare il rapporto dialettico tra movimento
politico e movimenti sociali. Se vogliamo evitare di pensare semplicemente in
termini elettorali —cioè in termini di rappresentare elettoralmente il
malcontento della società— dobbiamo renderci conto che un movimento politico forte,
con forme estese di auto-organizzazione, di solidarietà, di autogestione e
di coordinamento dal basso, è più
che mai necessario. Le forme più recenti di protesta dagli Indignados spagnoli,
al movimento greco delle “piazze”
e, più recentemente, al movimento francese “Nuit debout”, offrono esattamente
questi esempi, questa sperimentazione di forme di potere e di democrazia dal
basso. Lo stesso vale per le nuove forme di democrazia dal basso e di
coordinamento che emergono nei movimenti e anche i nuovi principi di
deliberazione politica e decisionale come “una testa un voto”, il tentativo di
trovare nuove sintesi. Inoltre, le nuove forme di pratiche di solidarietà nei
movimenti sono anche da prendere in considerazione non solo come espressioni
della domanda per sbarazzarsi di relazioni sociali mercificate e di sfruttamento,
ma anche come lezioni sulle nuove forme di organizzazione sociale.
In
secondo luogo, abbiamo bisogno di fronti politici che si muovano oltre il
modello elettorale tradizionale. Abbiamo piuttosto bisogno di nuovo “processo
costituente” per rifondare la sinistra, punti di incontro per le diverse
esperienze, forme di militanza, sensibilità, tradizioni di lotta, e laboratori
di nuovi programmi, nuove alternative e nuove forme di intellettualità politica
di massa. Ciò richiede una rottura con le forme tradizionali parlamentari e burocratiche
di pensare, nuove pratiche politiche, lasciandoci alle spalle le forme
tradizionali elettoralistiche di
“comunicazione politica”.
In
terzo luogo, abbiamo bisogno di ripensare il programma di transizione come una
strategia di recupero di sovranità e di controllo democratico contro la zona
euro, l'Ue e in generale contro la violenza sistemica del capitale
internazionalizzato; allo stesso tempo avviando un profondo processo di
trasformazione sociale, basato sulla proprietà pubblica, l’auto-gestione e la
pianificazione democratica e partecipativa, come un processo di sperimentazione
basato sul popolo di lotta, in un orizzonte radicale e socialista. L’uscita dall'euro
e dall'Unione europea non deve essere considerata solo un passo verso una
condizione macroeconomica più favorevole; gli effetti pervasivi dell’integrazione
europea e dei suoi devastanti risultati sulla base produttiva della società rendono l’orientamento
socialista, una necessità e non un lusso, in contrasto con il riformismo
tradizionale e l’economicismo della sinistra. In questo senso, è anche
indispensabile ripensare il socialismo al di là sia socialdemocrazia che del socialismo
burocratico di stato, che significa ripensare il socialismo come un processo di
transizione, pieno di conflitti e lotte al fine di ampliare le "tracce di
comunismo” già latenti nelle aspirazioni e richieste collettive di una
organizzazione sociale liberata del dominio del capitale.
In
quarto luogo, abbiamo bisogno di andare al di là di ogni concezione dello Stato
come strumento neutro. Gli stati capitalisti contemporanei, in particolare all'interno
dei processi d’integrazione, come l'Unione europea, che si basano su forti
cessioni di sovranità, portano i segni delle strategie neoliberiste più
aggressive. Una nuova forma di governo della sinistra radicale deve iniziare
con profonde trasformazioni dello Stato, per mezzo di un processo costituente,
al fine di agevolare nuove forme di democrazia, di controllo operaio e di
restrizioni sulle attività del capitale. Allo stesso tempo, deve essere basarsi
sulla forza dei movimenti autonomi che devono essere indipendenti dello Stato e
sempre incalzanti per cambiamenti radicali. In caso contrario, la logica
neoliberista e capitalista, già inscritta nella configurazione materiale dello
Stato e nelle reti istituzionali dei processi decisionali, prenderà il
sopravvento.
In
sintesi, la lezione fondamentale da imparare dall'esperienza greca è che siamo
entrati in un periodo in cui crisi sociale e politica e l'emergere di grandi
movimenti, possono aprire la strada ad un radicale cambiamento sociale e
politico. Ciò richiede un nuovo incontro tra forze radicali di sinistra,
movimenti sociali e teoria radicale, al fine di facilitare il processo di
rifondazione e non solo di riconfigurazione della sinistra».
* Fonte: EReNSEP
** Traduzione a cura della redazione di SOLLEVAZIONE
2 commenti:
Basta leggere il bestiario (pardon il campionario) semantico dell'autore - auto-organizzazione, autogestione, democrazia dal basso, intellettualità politica di massa, costituente di sinistra, pianificazione democratica partecipativa - per rendersi conto del perché la sinistra è diventata un sepolcro vivente capace solo di avvitarsi in sproloqui fini a se stessi per poi asservirsi ai potenti di turno.
A brigante ... brigante e mezzo
Ciò che nessuno ha il coraggio di ammettere è che tutti i Paesi dell'UE, chi più chi meno, sono governati da "dittature economiche di fatto", cioé a lato di una presunta ma sempre più fragile e soprattutto fittizia dmocrazia di facciata le decisioni che dominano il destino di milioni di persone vengono prese da un ristretto "Neolib-buro", il corrispondente capitalistico del "Politburo". Vediamo i Barroso passare dalla Presidenza dellal commissione UE a Goldman&Sachs, e i Draghi passare in senso inverso alla testa della BCE.
All'interno di una finzione nonci pu?o essere che una finzione diversa, cioé un governo con paramenti sacri di sinistra che però celebra la messa col rito di destra.
Non si tratta di predicare la rivoluzione, anch eperché queste si fanno e non si predicano, ma di uscire dalla'illusione che senza un'opposizione dura che nonsi fermi ai tabú istituzionalizzati dal neoliberismo imperante: controllo del movimento capitali, costrizione delle multinazinali ad assoggettarsi alla fiscalità dei singoli Paesi, fino al protezionismo esplicito ove necessario (riconoscendo che di fatto esso già esiste sotto altro nome - sovvenzioni alle imprese - e con conseguenze molto più deleterie).
Per una "finta rivolouzione" à la "Trippas" e Varoufakis nessuno rischierebbe giustamente un'unghia rotta, ma anche la ex-classe media si unirebbe ai grandi sconfitti del neoliberismo se l'obiettivo fosse un vero e radicale cambiamento allo stato attuale di degrado in TUTTI i Paesi europei (tutti sí, anche in Germania!dove la crescita di AfD non è solo dovuta ai voti dei razzisti ma anche se non soprattutto a quelli dei perdenti del "modello tedesco" di matrice socialdemocrtatica, Schöder in fondo non ha che anticipato Tsipras con le riforme Harz IV).
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