[ 18 luglio ]
Nella Polonia ultra conservatrice si muove qualcosa a sinistra con la nascita di Razem – che significa Insieme – un nuovo partito che col 4 per cento dei consensi si è guadagnato pieno diritto di partecipazione al dibattito politico e mediatico nazionale. Nato dai movimenti sociali, si ispira alla Podemos spagnola e, almeno in una prima fase, ha deciso di rompere coi partiti classici e novecenteschi del Paese. Una storia tutta da raccontare.
intervista a Marcelina Zawisza e Maciej Konieczny di Lorenzo Marsili
“Noi non siamo la vecchia sinistra. E’ evidente a tutti quanti dalle nostre facce, dalla nostra età, da come parliamo e dai nuovi modi di fare politica”. Non sarà ancora come Podemos in Spagna, perché il consenso è ancora basso, ma in Polonia si muove qualcosa di simile. Almeno a livello teorico e di sperimentazioni. Lanciata da un gruppo di giovani solamente due mesi prima delle ultime elezioni nazionali dell’ottobre 2015, Razem – che significa Insieme – ha raccolto quasi il 4% dei consensi guadagnandosi pieno diritto di partecipazione al dibattito politico e mediatico nazionale. E un cospicuo gruzzolo – frutto di un generoso sistema di finanziamento pubblico ai partiti - che permette ora di pensare in grande. Incontriamo due dei fondatori per parlare del loro progetto e degli scenari in Polonia – dalle sorprendenti politiche sociali dell’attuale governo autoritario a un’opposizione liberale che difende la libertà d’informazione ma si dimentica delle ineguaglianze. E di cosa significa lanciare un nuovo partito di sinistra.
Venite dal mondo dei movimenti e dell’attivismo. Perché avete deciso di fondare un partito?
In Polonia non esisteva un vero partito di sinistra. Abbiamo un partito socialista o post-comunista, ma che è poco più di un vecchio apparato burocratico. Una forza in realtà neoliberale, socialmente conservatrice, assolutamente non di sinistra, ma che ha comunque occupato quello spazio politico fino ad oggi. Il nostro compito è stato riaprirlo. Nessuno si fida più dei partiti da noi, anche per questo eravamo molto scettici sul successo dell’operazione. Ma se i partiti sono in affanno, i movimenti sociali sembrano stare peggio: piccoli gruppi frammentati, senza grande impatto, e perennemente divisi.
Così avete pensato di far convergere tutte queste forze in un unico soggetto?
Abbiamo scritto una lettera aperta indirizzata ai movimenti. Sono arrivate duemila firme in pochi giorni, quasi tutte – e questo ci ha molto sorpreso – da parte di persone che non conoscevamo e che mai hanno preso parte a mobilitazioni organizzate. Volevamo sapere chi fossero! Ci siamo quindi incontrati con molti di loro e siamo rimasti sorpresi dal sentire che quasi nessuno era interessato a organizzazioni o movimenti della sinistra tradizionale. Non li conoscevano o li consideravano vecchi e inutili.
E’ un racconto che abbiamo già sentito. Se si parla con i fondatori di Podemos ci si sente dire che per lanciare un nuovo progetto politico sono dovuti uscire dalla realtà dei movimenti organizzati, che anzi in principio gli erano anche antagonisti, per intercettare l’energia diffusa del 15M e solo in seconda battuta ritornare a includere le realtà organizzate. E’ qualcosa di simile?
Assolutamente. La sinistra organizzata è stata in conflitto con noi fin dall’inizio. Ma ora molti dei movimenti tradizionali hanno deciso di unirsi a Razem, di uscire dalla loro bolla. Abbiamo scelto di inserirci nella scia della nuova sinistra che in Europa parte dal basso. Podemos in questo è una grande ispirazione. Ci ha dimostrato che si può fare.
Alle ultime elezioni però c’era una coalizione di sinistra, che univa post-comunisti, Verdi, e liberali di sinistra… perché non vi siete uniti ma avete deciso di correre da soli?
Abbiamo una nostra agenda e modi nuovi di concepire la politica e l’organizzazione. I vecchi modi sono morti e sono incarnati dai medesimi politici e gruppi di potere che, elezione dopo elezione, tentano di fondare nuove coalizioni col solo obiettivo di restare in Parlamento. Parliamo di ceti politici. Non funziona più e non è quello che vogliamo fare. Questi partiti, poi, quando erano al potere varavano leggi per permettere gli sfratti e sono in perfetta sintonia col pensiero unico dominante.
E infatti sono scomparsi. Il partito post-comunista era al 40% e oggi è fuori dal Parlamento. Ma cosa vi fa funzionare? Quali sono alcune politiche o modi di fare particolarmente rappresentativi del vostro modello?
Il nostro programma per certi versi non è così radicale, diremmo socialdemocratico. Ma questo in Polonia è qualcosa di nuovo, non si è mai parlato di tassazione progressiva, redistribuzione delle ricchezze… e ora quando ai media serve una dichiarazione sui lavoratori, o sulla povertà, chiedono a noi. O sulle questioni sociali: siamo gli unici a chiedere la depenalizzazione dell’aborto, che in Polonia rimane illegale. Quando il governo ha manifestato l’intenzione di rendere la legge ancora più restrittiva, rendendolo illegale anche in caso di stupro, abbiamo organizzato una manifestazione a Varsavia con 10mila persone, la più grande manifestazione nella storia della Polonia sul tema dell’aborto.
Parlando di politiche sociali, però, il governo attuale - del partito Law and Justice di Kaczyński - è un caso interessante. E’ certamente un governo autoritario, xenofobo e illiberale e per questo in rotta di collisione con l’UE. Ma sta portando avanti alcune rivendicazioni che si direbbero di sinistra: abbassamento dell’età pensionabile, sussidi di maternità, case popolari. Cosa ne pensate? Siamo di fronte a un nuovo tipo di socialismo nazionalista?
Siamo sorpresi anche noi. Pensavamo che parlassero di agenda sociale durante le elezioni solo per dimenticarsene una volta al potere, come già accaduto l’ultima volta che hanno governato. E invece ora lo stanno facendo per davvero! Rispetto al primo governo, sono molto più nazionalisti e autoritari ma anche molto più sociali. Per la prima volta vediamo un’espansione e non un restringimento del welfare. La legge sulla maternità ridurrà drasticamente la povertà minorile, cosa che in Polonia è molto legata alle famiglie numerose, portandola dal 28% al 10%. E, per la prima volta, la maggioranza della spesa pubblica per questa politica andrà ai più poveri: 6 miliardi di szloty al 10% più povero del Paese, solo 300 milioni al 10% più ricco.
Quindi per la prima volta ci sono politiche redistributive.
E non saremo noi a criticarle. Hanno lanciato un programma di edilizia sociale, che non passa risorse alle banche o ai grandi costruttori, ma mette a disposizione risorse per affitti calmierati. E un’altra cosa ancora: stanno ritoccando il sistema di tassazione per renderlo più progressivo, abbandonando la flat tax ad esempio, o cambiando le storture maggiormente regressive per i più ricchi. Ma sono anche estremamente autoritari. Stanno mettendo in piedi una milizia dotata di armi semi-automatiche che proviene essenzialmente dai gruppi di estrema destra. Stanno facendo passare una legge contro il terrorismo che crea uno stato di emergenza permanente. Per non parlare del bavaglio alla stampa o gli attacchi all’indipendenza della corte costituzionale. E’ abbastanza spaventoso.
E proprio contro questa deriva autoritaria vediamo in questi mesi grandissime manifestazioni di piazza in Polonia. Ma voi avete scelto di non aderire a KOD, la piattaforma che le organizza. Perché?
Il partito al governo è terribile, ma queste manifestazioni sono principalmente organizzate dall’élite del governo precedente e che si è trovata fuori dal potere [Civic Platform, il partito dell’attuale Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ndr]. Manifestano per la libertà di espressione, ma poi attaccano le politiche sociali del governo accusandolo di voler “comprare” gli elettori. Ma non capiscono che questi soldi sono importanti per tantissime persone. Dicono ai più poveri che dovrebbero andare in piazza per difendere il sistema costituzionale ma che se accettano 500 zsloty al mese di sussidio di maternità si stanno facendo comprare. Mentre la maggior parte delle classi medio-basse ne guadagna solo 2.000! Sono fuori dalla realtà. Ed è proprio così che in Ungheria Viktor Orban ha visto una maggioranza assoluta, avendo contro un’opposizione unica che rappresentava solo gli interessi della parte più agiata del Paese.
Noi vogliamo cacciare via il partito di governo e per farlo pensiamo non basti mettere assieme i liberali nelle grandi città. Bisogna raggiungere quanti hanno votato per questo governo. E se nessuno ha il coraggio di avere un’agenda sociale ambiziosa, quello spazio verrà occupato solo dalle forze autoritarie.
Qual è la base sociale del partito di governo?
Trasversale. In molti li votano perché sono considerati anti-establishment e non ne potevano più del governo precedente, che ha ignorato completamente la questione sociale. Civic Platform parlava dei polacchi costretti ad emigrare come “fortunati” che potevano fare esperienza all’estero, senza rendersi conto del dolore delle separazioni familiari e che 2 milioni di cittadini non riuscivano a trovare lavoro nel loro Paese. Queste opposizioni – KOD, Civic Platform – sono parte dell’elite post-transizione che ora non vorrebbe altro che tornare indietro a qualche anno fa. Senza accorgersi che con loro la Polonia è diventata il Paese europeo con il più alto tasso di diseguaglianza.
Prossimi passi? Avete appena ricevuto un importante finanziamento statale per il risultato ottenuto alle scorse elezioni. Mancano tre anni alle prossime: cosa contate di fare?
Stiamo aprendo 25 spazi sociali in tutta la Polonia. Che non vogliamo siano normali sezioni di partito. Ma spazi comunitari aperti a tutti per potere organizzare attività, lezioni, classi di ballo, workshop per bambini, assistenza legale e molto altro. Questo è qualcosa che il Partito socialista faceva in Polonia prima della seconda guerra mondiale, abbiamo una lunga tradizione di partiti intesi come forze sociali, partiti che lavorano anche come cooperative, sindacati, perfino club sportivi, e non soltanto come macchine elettorali. Non ci siamo chiamati “sinistra-qualcosa” perché qui le persone non sanno più cosa sia la sinistra. Ci chiamiamo Razem, Insieme. Ma le nostre origini sono chiare, ed è anche da lì che vogliamo ripartire.
* Fonte: Micromega
Nella Polonia ultra conservatrice si muove qualcosa a sinistra con la nascita di Razem – che significa Insieme – un nuovo partito che col 4 per cento dei consensi si è guadagnato pieno diritto di partecipazione al dibattito politico e mediatico nazionale. Nato dai movimenti sociali, si ispira alla Podemos spagnola e, almeno in una prima fase, ha deciso di rompere coi partiti classici e novecenteschi del Paese. Una storia tutta da raccontare.
intervista a Marcelina Zawisza e Maciej Konieczny di Lorenzo Marsili
“Noi non siamo la vecchia sinistra. E’ evidente a tutti quanti dalle nostre facce, dalla nostra età, da come parliamo e dai nuovi modi di fare politica”. Non sarà ancora come Podemos in Spagna, perché il consenso è ancora basso, ma in Polonia si muove qualcosa di simile. Almeno a livello teorico e di sperimentazioni. Lanciata da un gruppo di giovani solamente due mesi prima delle ultime elezioni nazionali dell’ottobre 2015, Razem – che significa Insieme – ha raccolto quasi il 4% dei consensi guadagnandosi pieno diritto di partecipazione al dibattito politico e mediatico nazionale. E un cospicuo gruzzolo – frutto di un generoso sistema di finanziamento pubblico ai partiti - che permette ora di pensare in grande. Incontriamo due dei fondatori per parlare del loro progetto e degli scenari in Polonia – dalle sorprendenti politiche sociali dell’attuale governo autoritario a un’opposizione liberale che difende la libertà d’informazione ma si dimentica delle ineguaglianze. E di cosa significa lanciare un nuovo partito di sinistra.
Venite dal mondo dei movimenti e dell’attivismo. Perché avete deciso di fondare un partito?
In Polonia non esisteva un vero partito di sinistra. Abbiamo un partito socialista o post-comunista, ma che è poco più di un vecchio apparato burocratico. Una forza in realtà neoliberale, socialmente conservatrice, assolutamente non di sinistra, ma che ha comunque occupato quello spazio politico fino ad oggi. Il nostro compito è stato riaprirlo. Nessuno si fida più dei partiti da noi, anche per questo eravamo molto scettici sul successo dell’operazione. Ma se i partiti sono in affanno, i movimenti sociali sembrano stare peggio: piccoli gruppi frammentati, senza grande impatto, e perennemente divisi.
Così avete pensato di far convergere tutte queste forze in un unico soggetto?
Abbiamo scritto una lettera aperta indirizzata ai movimenti. Sono arrivate duemila firme in pochi giorni, quasi tutte – e questo ci ha molto sorpreso – da parte di persone che non conoscevamo e che mai hanno preso parte a mobilitazioni organizzate. Volevamo sapere chi fossero! Ci siamo quindi incontrati con molti di loro e siamo rimasti sorpresi dal sentire che quasi nessuno era interessato a organizzazioni o movimenti della sinistra tradizionale. Non li conoscevano o li consideravano vecchi e inutili.
E’ un racconto che abbiamo già sentito. Se si parla con i fondatori di Podemos ci si sente dire che per lanciare un nuovo progetto politico sono dovuti uscire dalla realtà dei movimenti organizzati, che anzi in principio gli erano anche antagonisti, per intercettare l’energia diffusa del 15M e solo in seconda battuta ritornare a includere le realtà organizzate. E’ qualcosa di simile?
Assolutamente. La sinistra organizzata è stata in conflitto con noi fin dall’inizio. Ma ora molti dei movimenti tradizionali hanno deciso di unirsi a Razem, di uscire dalla loro bolla. Abbiamo scelto di inserirci nella scia della nuova sinistra che in Europa parte dal basso. Podemos in questo è una grande ispirazione. Ci ha dimostrato che si può fare.
Alle ultime elezioni però c’era una coalizione di sinistra, che univa post-comunisti, Verdi, e liberali di sinistra… perché non vi siete uniti ma avete deciso di correre da soli?
Abbiamo una nostra agenda e modi nuovi di concepire la politica e l’organizzazione. I vecchi modi sono morti e sono incarnati dai medesimi politici e gruppi di potere che, elezione dopo elezione, tentano di fondare nuove coalizioni col solo obiettivo di restare in Parlamento. Parliamo di ceti politici. Non funziona più e non è quello che vogliamo fare. Questi partiti, poi, quando erano al potere varavano leggi per permettere gli sfratti e sono in perfetta sintonia col pensiero unico dominante.
E infatti sono scomparsi. Il partito post-comunista era al 40% e oggi è fuori dal Parlamento. Ma cosa vi fa funzionare? Quali sono alcune politiche o modi di fare particolarmente rappresentativi del vostro modello?
Il nostro programma per certi versi non è così radicale, diremmo socialdemocratico. Ma questo in Polonia è qualcosa di nuovo, non si è mai parlato di tassazione progressiva, redistribuzione delle ricchezze… e ora quando ai media serve una dichiarazione sui lavoratori, o sulla povertà, chiedono a noi. O sulle questioni sociali: siamo gli unici a chiedere la depenalizzazione dell’aborto, che in Polonia rimane illegale. Quando il governo ha manifestato l’intenzione di rendere la legge ancora più restrittiva, rendendolo illegale anche in caso di stupro, abbiamo organizzato una manifestazione a Varsavia con 10mila persone, la più grande manifestazione nella storia della Polonia sul tema dell’aborto.
Parlando di politiche sociali, però, il governo attuale - del partito Law and Justice di Kaczyński - è un caso interessante. E’ certamente un governo autoritario, xenofobo e illiberale e per questo in rotta di collisione con l’UE. Ma sta portando avanti alcune rivendicazioni che si direbbero di sinistra: abbassamento dell’età pensionabile, sussidi di maternità, case popolari. Cosa ne pensate? Siamo di fronte a un nuovo tipo di socialismo nazionalista?
Siamo sorpresi anche noi. Pensavamo che parlassero di agenda sociale durante le elezioni solo per dimenticarsene una volta al potere, come già accaduto l’ultima volta che hanno governato. E invece ora lo stanno facendo per davvero! Rispetto al primo governo, sono molto più nazionalisti e autoritari ma anche molto più sociali. Per la prima volta vediamo un’espansione e non un restringimento del welfare. La legge sulla maternità ridurrà drasticamente la povertà minorile, cosa che in Polonia è molto legata alle famiglie numerose, portandola dal 28% al 10%. E, per la prima volta, la maggioranza della spesa pubblica per questa politica andrà ai più poveri: 6 miliardi di szloty al 10% più povero del Paese, solo 300 milioni al 10% più ricco.
Quindi per la prima volta ci sono politiche redistributive.
E non saremo noi a criticarle. Hanno lanciato un programma di edilizia sociale, che non passa risorse alle banche o ai grandi costruttori, ma mette a disposizione risorse per affitti calmierati. E un’altra cosa ancora: stanno ritoccando il sistema di tassazione per renderlo più progressivo, abbandonando la flat tax ad esempio, o cambiando le storture maggiormente regressive per i più ricchi. Ma sono anche estremamente autoritari. Stanno mettendo in piedi una milizia dotata di armi semi-automatiche che proviene essenzialmente dai gruppi di estrema destra. Stanno facendo passare una legge contro il terrorismo che crea uno stato di emergenza permanente. Per non parlare del bavaglio alla stampa o gli attacchi all’indipendenza della corte costituzionale. E’ abbastanza spaventoso.
E proprio contro questa deriva autoritaria vediamo in questi mesi grandissime manifestazioni di piazza in Polonia. Ma voi avete scelto di non aderire a KOD, la piattaforma che le organizza. Perché?
Il partito al governo è terribile, ma queste manifestazioni sono principalmente organizzate dall’élite del governo precedente e che si è trovata fuori dal potere [Civic Platform, il partito dell’attuale Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ndr]. Manifestano per la libertà di espressione, ma poi attaccano le politiche sociali del governo accusandolo di voler “comprare” gli elettori. Ma non capiscono che questi soldi sono importanti per tantissime persone. Dicono ai più poveri che dovrebbero andare in piazza per difendere il sistema costituzionale ma che se accettano 500 zsloty al mese di sussidio di maternità si stanno facendo comprare. Mentre la maggior parte delle classi medio-basse ne guadagna solo 2.000! Sono fuori dalla realtà. Ed è proprio così che in Ungheria Viktor Orban ha visto una maggioranza assoluta, avendo contro un’opposizione unica che rappresentava solo gli interessi della parte più agiata del Paese.
Noi vogliamo cacciare via il partito di governo e per farlo pensiamo non basti mettere assieme i liberali nelle grandi città. Bisogna raggiungere quanti hanno votato per questo governo. E se nessuno ha il coraggio di avere un’agenda sociale ambiziosa, quello spazio verrà occupato solo dalle forze autoritarie.
Qual è la base sociale del partito di governo?
Trasversale. In molti li votano perché sono considerati anti-establishment e non ne potevano più del governo precedente, che ha ignorato completamente la questione sociale. Civic Platform parlava dei polacchi costretti ad emigrare come “fortunati” che potevano fare esperienza all’estero, senza rendersi conto del dolore delle separazioni familiari e che 2 milioni di cittadini non riuscivano a trovare lavoro nel loro Paese. Queste opposizioni – KOD, Civic Platform – sono parte dell’elite post-transizione che ora non vorrebbe altro che tornare indietro a qualche anno fa. Senza accorgersi che con loro la Polonia è diventata il Paese europeo con il più alto tasso di diseguaglianza.
Prossimi passi? Avete appena ricevuto un importante finanziamento statale per il risultato ottenuto alle scorse elezioni. Mancano tre anni alle prossime: cosa contate di fare?
Stiamo aprendo 25 spazi sociali in tutta la Polonia. Che non vogliamo siano normali sezioni di partito. Ma spazi comunitari aperti a tutti per potere organizzare attività, lezioni, classi di ballo, workshop per bambini, assistenza legale e molto altro. Questo è qualcosa che il Partito socialista faceva in Polonia prima della seconda guerra mondiale, abbiamo una lunga tradizione di partiti intesi come forze sociali, partiti che lavorano anche come cooperative, sindacati, perfino club sportivi, e non soltanto come macchine elettorali. Non ci siamo chiamati “sinistra-qualcosa” perché qui le persone non sanno più cosa sia la sinistra. Ci chiamiamo Razem, Insieme. Ma le nostre origini sono chiare, ed è anche da lì che vogliamo ripartire.
* Fonte: Micromega
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