[ 8 ottobre ]
Elenchiamo dunque tutti i fallimenti economici della zona euro: recessione diventata stagnazione nella maggior parte dei paesi, chiusura di aziende e distruzione di forze produttive, crollo degli investimenti, crescita delle insolvenze bancarie, aumento dei debiti pubblici e privati, disoccupazione a due cifre, calo dei consumi, crescita delle diseguaglianze sociali, squilibri anziché convergenza tra i paesi aderenti all'eurozona.
Lo diciamo solo noi? No, lo ammettono (in camera caritatis) anche Lorsignori, lo ha ammesso anche il capo economista della BCE a una recente conferenza. I grafici mostrati in quell’occasione non lasciano adito a dubbi.
La BCE ha iniziato il suo generoso QE da 60 miliardi di euro al mese all’inizio dell’anno e avrebbe dovuto proseguire fino a settembre 2016, ma già ora le élite finanziarie ne chiedono a gran voce ancora di più. Scossa da quanto sta accadendo in Cina, la BCE dice che potrebbe ascoltarle.
Ora Standard and Poor’s avverte o raccomanda – come preferite – che la BCE possa raddoppiare il volume del programma QE a € 2.400 miliardi di euro estendendolo “fino alla metà del 2018”. Non sorprende che le élite finanziarie ne chiedano a gran voce ancora di più: nonostante il QE della BCE e tassi di deposito negativi, i prezzi delle azioni sono calati, con il DAX tedesco in calo del 23% in sei mesi.
Così ecco che arriva Peter Praet, membro del Comitato esecutivo della BCE e capo economista, con una sorprendente presentazione alla conferenza di BVI Asset Management in Germania, e mostra un grafico devastante dopo l’altro su come l’euro ha distrutto l’economia dell’eurozona.
L’ottimismo, quando viene ostentato dagli economisti, serve solitamente a dare fiducia a quello che ha bisogno di fiducia in un certo momento. E’ una regola universale. Ma nell’eurozona, perfino gli economisti si rimangiano il loro ottimismo. Nel grafico sottostante, Praet mostra quanto le aspettative di crescita economica per i cinque anni successive sono scesi nei 15 anni da quando l’euro è stato introdotto:
Ed ecco un’altra immagine che confronta “il sogno” con la realtà: la crescita prevista dagli economisti del settore privato nell’ottobre 2007 (linee tratteggiate). Allora, il denaro scorreva in abbondanza senza che nessuno si facesse troppe domande, neanche riguardo la Grecia, e il futuro appariva roseo. Ed ecco come è andata. Per pietà, non viene mostrata la Grecia; la sua linea sarebbe finita fuori il grafico:
Quanto sono gravi i problemi? L’aumento della produttività è un segno che un’economia è tecnologicamente dinamica, che non sta ferma. Il grafico seguente confronta la produttività negli Stati Uniti a quello dell’eurozona (EA) negli ultimi 20 anni. La produttività nell’epoca pre-euro cresceva, ma non rapidamente come negli Stati Uniti. Una volta che l’euro è stato introdotto, la produttività è ristagnata e dopo la crisi finanziaria è addirittura scesa. Oggi, la produttività nell’eurozona è inferiore a quanto era nel 2007:
In parte questo è il risultato di un livello deprimente di investimenti nei mezzi di produzione. Nonostante l’abbondanza la libera circolazione di denaro e un livello di liquidità esagerato, le aziende non hanno investito per scopi produttivi. Questi investimenti non sono mai stati elevati anche all’inizio dell’eurozona, ma sono precipitati nel 2008. Solo ora si stanno riprendendo un poco in Germania, ma sono ancora in calo complessivamente nell’eurozona. E guardate quanto è scesa la Spagna. Ancora una volta ringraziamo il cielo perché il grafico non mostra la Grecia:
E i prestiti bancari al settore privato sono avvizziti. Qualunque cosa le banche facessero con la liquidità, non la stavano prestando. Da un lato dei prestiti, non c’era nessuna domanda perché l’economia appassiva. Dall’altro lato, le imprese a cui i prestiti servivano non li ottenevano. In Spagna, i prestiti bancari totali in realtà hanno cominciato a declinare nel 2011, in parte perché i crediti inesigibili venivano tolti dal bilancio molto lentamente, e molti sono ancora sui libri delle banche per essere eliminati più avanti.
Il grafico qui sotto, con dati fino al giugno 2015, mostra che i prestiti bancari si sono ripresi quest’anno per la prima volta dal 2011. La Germania (DE) sta riemergendo. Ma la Spagna (ES) è ancora nel baratro.
Di conseguenza, la disoccupazione in molti paesi dell’eurozona è stata un fiasco assoluto, con tassi di disoccupazione del 25% in Grecia e 22% in Spagna e con tassi di disoccupazione giovanile che sono più del doppio. Ma Germania, Austria, Lussemburgo e alcuni altri paesi hanno tassi di disoccupazione molto bassi. Così la media sembra molto meglio rispetto alla realtà dei “paesi vulnerabili,” come li chiama la BCE: Cipro, Grecia, Irlanda, Spagna, Italia, Portogallo e Slovenia
Il tasso di disoccupazione complessivo (linea verde nel grafico qui sotto) è ancora in doppia cifra. Riflette il dato della Francia (10,5%). Le masse di “lavoratori scoraggiati” – coloro che sono in età da lavoro, ma dopo aver sbattuto la testa contro il muro per anni hanno smesso di cercare un lavoro – continua a crescere (linea rossa):
Ed ecco come l’eurozona è divisa in due: da un lato, Paesi che hanno beneficiato di una moneta (relativamente) forte; e dall’altro, Paesi come Grecia, Spagna, Italia, ecc. – inclusa la Francia – che hanno sempre avuto monete da Repubblica delle banane e che svalutavano spesso e volentieri per risolvere ogni tipo di problema, fiscale e non, senza effettivamente risolvere nulla (curioso però che questi problemi quasi non esistessero fino a quando non si è cominciato ad agganciare le varie valute al marco tedesco ndVdE). Ma ora non possono svalutare, sono “vulnerabili”. Questi due lati dell’eurozona non hanno fatto altro che divergere:
Tutto ciò nonostante il costo del denaro per le banche non è mai stato più conveniente. Ecco l’indicatore della BCE per il costo totale dei prestiti bancari, basato sui tassi sia a breve che a lunga scadenza utilizzando una media mobile a 24 mesi dei nuovi volumi di prestito, fino al luglio 2015:
E i crediti inesigibili nei “paesi vulnerabili” non sono mai stati così tanti. O meglio, c’è più di uno sforzo in corso per costringere le banche a portarli alla luce, piuttosto che spazzarli sotto il tappeto, anche se molti rimangono sotto il tappeto. Questo grafico, basato su un campione “sbilanciato” di 32 banche dell’eurozona dei paesi vulnerabili, mostra il rapporto tra crediti deteriorati lordi e prestiti totali.
Questi grafici sono una dimostrazione – forse inconsapevole – che l’euro non funziona per economie e climi politici tanto diversi, che “i paesi vulnerabili” sarebbero stati meglio se fossero rimasti con i loro franchi, lire, pesos, ecc. da Repubblica delle banane, e che le svalutazioni e i fallimenti dei singoli paesi sarebbero stati preferibili rispetto all’attuale spettacolo indecente di salvataggi e “austerità” finanziati dai contribuenti.
* Fonte: Voci dall'estero
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