[ lunedì 9 dicembre 2019 ]
Riceviamo a volentieri pubblichiamo
E’ molto difficile scrivere di Qasim Soleimani. Il tema va affrontato con delicatezza e devozione, non esistendo oggi una figura che nella sua Azione con così nobile impulso morale riassuma con un semplice sguardo una visione del mondo e dell’uomo. Leonid Ivashov, militare russo di altissima scuola e esperienza, attuale presidente dell’Accademia geopolitica di Mosca, ha di recente definito Soleimani il simbolo mondiale della libertà e della resistenza contro i poteri materialistici di questa terra. La Guida Suprema, Seyyed Alì Khamenei, lo considera “il martire vivente della Rivoluzione” nella linea più avanzata del fuoco antimperialista, laddove vita e morte sono ormai sul medesimo piano ed ogni minuto in più di vita è solo un dono che lui fa a tutti gli oppressi della terra, in modo particolare a quelli Palestinesi. L’ultimo tentativo, del “fronte imperialistico arabo-ebreo” di eliminarlo, è dell’ottobre 2019.
Lui ha già superato in molti casi e situazioni la soglia della morte, ma ha deciso di rimanere sulla terra per servire l’umanità: i poveri, gli oppressi, i malati e le vittime del terrorismo. Il suo desiderio di martirio è estinto quotidianamente a vantaggio di un grande progetto globale basato sulla tolleranza per il sacrificio, per la sofferenza, per il dolore e dunque sull’Amore.
Qasim non è un militare, ma un autentico uomo politico di vedute mondiali ed universali, lo stratega della Rivoluzione. Il suo approccio ai problemi spaziali o marittimi riguardanti il nomos della terra è quello tipico dello statista che non sacrifica affatto la dimensione ideale a quella realistica contingente. Questo non significa che Soleimani ami giocare con le vite dei suoi soldati come questo fosse un divertissement; tutt’altro, la devozione della truppa verso il generale iraniano ricorda quella che i mujaheddin afghani del Fronte Unito riservavano al comandante Massud, che fu, quest’ultimo, in stretta relazione politica operativa con Soleimani dal 1981 fino ai suoi ultimi giorni di vita. Quando verso la fine degli anni ’90 notò che l’impulso originario della Rivoluzione si stava spegnendo, al punto che molti valenti commilitoni della prima ora dell’Imam Khomeini non pensavano che al commercio internazionale o ad abbassare il prezzo dei cocomeri e dei pistacchi, Qasim riportò all’ordine del giorno i motivi rivoluzionari per i quali una intera generazione aveva combattuto e aveva dato il sangue.
L’essenza della Rivoluzione del ‘79 fu metafisica ed universale; il popolo iraniano, nella concezione di Soleimani, non poteva abdicare alla sua missione escatologica cedendo alle sirene della normalizzazione nazionalistico-borghese. Esaurita e realizzata la prima fase, con l’annientamento del bipolarismo globale di Yalta, il Nostro incarna la strategia della seconda fase rivoluzionaria. La prima fase internazionale ed universale fu contrassegnata dalla strategia del né Usa né Urss e dell’unità dell’ecumene islamica contro gli imperialismi. La resistenza popolare contro la “Guerra Imposta” e contro l’imperialismo sovietico in Afghanistan concretizzò la vittoria dell’Iran islamico e la fine di Yalta. La seconda fase si è aperta con la netta rottura strategica rispetto al nazionalcapitalismo egoista e borghese dei Khatami o dei Rafsanjani da un lato, al neonazionalismo persiano dall’altro. Entrambi modelli “cinesi” di importazione basati sulla modernizzazione scientifica tecnologica, l’uno più borghese e liberista, l’altro più populista e capitalista di stato, ma entrambi fondati sul precetto “Prima l’Iran” e con la centralità del politico statale sull’economico.
Soleimani, viceversa, riportando al centro da soldato di Ruhollah Khomeini la spada dell’Islam e il sangue di Hosayn, agisce: “Prima Al Quds”. Nessuna correlazione politica vi può essere tra il riformismo liberalnazionalista di Rohuani e l’universalismo rivoluzionario, politico-metafisico di Qasim Soleimani. Il JCPOA del luglio 2015 fu considerato da subito dal Nostro una nuova versione del trattato di Turkmenchay del 1828, trattato con cui l’impero persiano perse i suoi territori settentrionali in favore dell’impero russo. Questa volta era l’imperialismo sionista occidentale di Obama a minacciare in prima istanza l’Iran travestendosi da agnello, visto che decenni di assedio e guerre frontali non erano state sufficienti a debellare lo spirito di resistenza dei soldati e del popolo antimperialista. Nonostante avesse intuito immediatamente il raggiro imperialista anglosionista sull’Iran, nonostante i fatti gli daranno ragione, nonostante lui sia il testamento vivente del messaggio rivoluzionario antimperialista di Imam Khomeini, il generale delle IRGC non cede al personalismo o all’ego, non crea una sua fazione elitaria, ma continua a servire lealmente e totalmente la Guida Suprema e la Repubblica islamica dell’Iran.
“L’esercito islamico dell’Iran è stato scelto per liberare Gerusalemme dai miscredenti sionisti” (Imam Khomeini). Da qui è ripartito Qasim Soleimani , contrastando la normalizzazione interna, che significa indifferenza verso i fratelli oppressi della Palestina e dello Yemen. E questa è la linea rossa tracciata dal generale, la frontiera sacrale e politica da cui non si può trascendere. Così è rinata dopo la normalizzazione degli anni ‘90, grazie ad Al Quds, la Resistenza globale e planetaria al Sionismo e alle forze dell’Arroganza globale. Cosa gridavano i nazionalisti di destra o i modernizzatori di sinistra, entrambi sovvertitori e devianti, nelle strade di Tehran nord? “La mia casa è l’Iran, non è Gaza né lo Yemen!”. Ma non è possibile de-mondializzare e de-globalizzare il Risveglio rivoluzionario e lo spirito del ’79. Non è possibile l’islamonazionalismo o l’Islam rivoluzionario in un solo paese, la Repubblica islamica precipiterebbe in una fase di neo-kemalismo conservatore o neo-mossadeqismo occidentale, in un momento in cui la stessa Turchia ripudia queste fallimentari esperienze storiche.
La Repubblica islamica, considerata dal saggio analista putiniano Il Saker uno Stato libero e sovrano più di quanto lo siano Cina e Russia e il più grande punto di contraddizione per l’anglosionismo imperiale, è l’Asse della Resistenza e viceversa. Soleimani, taciturno e schivo, refrattario alle interviste e alle telecamere, nel luglio 2018 ha ammonito le élite sioniste americane, ha ammonito Donald Trump, dichiarando che l’Iran “è la nazione del martirio, la nazione di imam Hosayn”. Migliaia e migliaia di reparti specializzati dell’Al Quds stanno aspettando da anni e anni che la minaccia dell’attacco di civiltà occidentale diretto all’Iran prenda finalmente corpo. “La carovana di Hosayn si sta muovendo, un’altra Karbala ci aspetta. Il mondo terreno è solo una parte della creazione. E’ importante anche ciò che sta oltre, il mondo eterno, divino, il regno dello splendore” (Imam Khomeini, durante i primi momenti della “guerra imposta” in un suo discorso ai Basiji). I sionisti israeliani, nonostante lo schiacciante potere finanziario e culturale in occidente, senza la sponda militare del Pentagono non vanno da nessuna parte, abbaiano ma non mordono.
Vi è corruzione borghese, vi è materialismo, vi è desiderio di benessere anche in Iran, ci ricorda Alberto Negri. E’ normale, passati 40 anni da una Rivoluzione che ha anzitutto educato il popolo alla sopportazione del dolore e del sacrificio per i fratelli oppressi in ogni parte del mondo, oltre ogni differenza religiosa o ideologica; storicamente, con ciclica regolarità, a momenti di grande espansionismo ideologico rivoluzionario seguono momenti di ripiegamento. La saggezza di uno statista rivoluzionario è allora quella di non arretrare nello pseudo-tatticismo o nella ritirata strategica ma radicalizzare l’espansione sovranazionale con il supporto di una avanguardia che sia emanazione diretta dell’ideologia rivoluzionaria originaria. Vi è quindi, nonostante ciò, una rivoluzione politica e culturale in marcia, che non pare essersi arrestata.
Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relations, ha in più casi parlato, dalla guerra siriana a oggi, con Assad e il Baath siriano non sconfitti, di un tramonto dell’era sionista americana in Medio Oriente. Secondo E. Primakov, rilevante geopolitico russo sovietico, chi possiede le chiavi mediorientali possiede il potere globale. Al Quds di Soleimani ha quindi saputo condurre la sfida strategica al nemico di civiltà nella fase di ripiegamento tattico post-rivoluzionario; per tale motivo, oggi in Iran Soleimani è una scuola di pensiero e azione che va ben oltre la sua figura di statista e eroe di stato. E’ una coscienza spirituale e morale la quale, con ogni probabilità, sopravvivrà allo stesso “martire vivente della Rivoluzione”.
Riceviamo a volentieri pubblichiamo
E’ molto difficile scrivere di Qasim Soleimani. Il tema va affrontato con delicatezza e devozione, non esistendo oggi una figura che nella sua Azione con così nobile impulso morale riassuma con un semplice sguardo una visione del mondo e dell’uomo. Leonid Ivashov, militare russo di altissima scuola e esperienza, attuale presidente dell’Accademia geopolitica di Mosca, ha di recente definito Soleimani il simbolo mondiale della libertà e della resistenza contro i poteri materialistici di questa terra. La Guida Suprema, Seyyed Alì Khamenei, lo considera “il martire vivente della Rivoluzione” nella linea più avanzata del fuoco antimperialista, laddove vita e morte sono ormai sul medesimo piano ed ogni minuto in più di vita è solo un dono che lui fa a tutti gli oppressi della terra, in modo particolare a quelli Palestinesi. L’ultimo tentativo, del “fronte imperialistico arabo-ebreo” di eliminarlo, è dell’ottobre 2019.
Lui ha già superato in molti casi e situazioni la soglia della morte, ma ha deciso di rimanere sulla terra per servire l’umanità: i poveri, gli oppressi, i malati e le vittime del terrorismo. Il suo desiderio di martirio è estinto quotidianamente a vantaggio di un grande progetto globale basato sulla tolleranza per il sacrificio, per la sofferenza, per il dolore e dunque sull’Amore.
L'emblema dell'IRCG (Forza Quds o Sepah) |
Qasim non è un militare, ma un autentico uomo politico di vedute mondiali ed universali, lo stratega della Rivoluzione. Il suo approccio ai problemi spaziali o marittimi riguardanti il nomos della terra è quello tipico dello statista che non sacrifica affatto la dimensione ideale a quella realistica contingente. Questo non significa che Soleimani ami giocare con le vite dei suoi soldati come questo fosse un divertissement; tutt’altro, la devozione della truppa verso il generale iraniano ricorda quella che i mujaheddin afghani del Fronte Unito riservavano al comandante Massud, che fu, quest’ultimo, in stretta relazione politica operativa con Soleimani dal 1981 fino ai suoi ultimi giorni di vita. Quando verso la fine degli anni ’90 notò che l’impulso originario della Rivoluzione si stava spegnendo, al punto che molti valenti commilitoni della prima ora dell’Imam Khomeini non pensavano che al commercio internazionale o ad abbassare il prezzo dei cocomeri e dei pistacchi, Qasim riportò all’ordine del giorno i motivi rivoluzionari per i quali una intera generazione aveva combattuto e aveva dato il sangue.
L’essenza della Rivoluzione del ‘79 fu metafisica ed universale; il popolo iraniano, nella concezione di Soleimani, non poteva abdicare alla sua missione escatologica cedendo alle sirene della normalizzazione nazionalistico-borghese. Esaurita e realizzata la prima fase, con l’annientamento del bipolarismo globale di Yalta, il Nostro incarna la strategia della seconda fase rivoluzionaria. La prima fase internazionale ed universale fu contrassegnata dalla strategia del né Usa né Urss e dell’unità dell’ecumene islamica contro gli imperialismi. La resistenza popolare contro la “Guerra Imposta” e contro l’imperialismo sovietico in Afghanistan concretizzò la vittoria dell’Iran islamico e la fine di Yalta. La seconda fase si è aperta con la netta rottura strategica rispetto al nazionalcapitalismo egoista e borghese dei Khatami o dei Rafsanjani da un lato, al neonazionalismo persiano dall’altro. Entrambi modelli “cinesi” di importazione basati sulla modernizzazione scientifica tecnologica, l’uno più borghese e liberista, l’altro più populista e capitalista di stato, ma entrambi fondati sul precetto “Prima l’Iran” e con la centralità del politico statale sull’economico.
Soleimani, viceversa, riportando al centro da soldato di Ruhollah Khomeini la spada dell’Islam e il sangue di Hosayn, agisce: “Prima Al Quds”. Nessuna correlazione politica vi può essere tra il riformismo liberalnazionalista di Rohuani e l’universalismo rivoluzionario, politico-metafisico di Qasim Soleimani. Il JCPOA del luglio 2015 fu considerato da subito dal Nostro una nuova versione del trattato di Turkmenchay del 1828, trattato con cui l’impero persiano perse i suoi territori settentrionali in favore dell’impero russo. Questa volta era l’imperialismo sionista occidentale di Obama a minacciare in prima istanza l’Iran travestendosi da agnello, visto che decenni di assedio e guerre frontali non erano state sufficienti a debellare lo spirito di resistenza dei soldati e del popolo antimperialista. Nonostante avesse intuito immediatamente il raggiro imperialista anglosionista sull’Iran, nonostante i fatti gli daranno ragione, nonostante lui sia il testamento vivente del messaggio rivoluzionario antimperialista di Imam Khomeini, il generale delle IRGC non cede al personalismo o all’ego, non crea una sua fazione elitaria, ma continua a servire lealmente e totalmente la Guida Suprema e la Repubblica islamica dell’Iran.
Tikrit, Iraq: reparti iraniani di al-Quds sono stati decisivi per sconfiggere lo Stato Islamico e i guerriglieri del Baath iracheno |
“L’esercito islamico dell’Iran è stato scelto per liberare Gerusalemme dai miscredenti sionisti” (Imam Khomeini). Da qui è ripartito Qasim Soleimani , contrastando la normalizzazione interna, che significa indifferenza verso i fratelli oppressi della Palestina e dello Yemen. E questa è la linea rossa tracciata dal generale, la frontiera sacrale e politica da cui non si può trascendere. Così è rinata dopo la normalizzazione degli anni ‘90, grazie ad Al Quds, la Resistenza globale e planetaria al Sionismo e alle forze dell’Arroganza globale. Cosa gridavano i nazionalisti di destra o i modernizzatori di sinistra, entrambi sovvertitori e devianti, nelle strade di Tehran nord? “La mia casa è l’Iran, non è Gaza né lo Yemen!”. Ma non è possibile de-mondializzare e de-globalizzare il Risveglio rivoluzionario e lo spirito del ’79. Non è possibile l’islamonazionalismo o l’Islam rivoluzionario in un solo paese, la Repubblica islamica precipiterebbe in una fase di neo-kemalismo conservatore o neo-mossadeqismo occidentale, in un momento in cui la stessa Turchia ripudia queste fallimentari esperienze storiche.
La Repubblica islamica, considerata dal saggio analista putiniano Il Saker uno Stato libero e sovrano più di quanto lo siano Cina e Russia e il più grande punto di contraddizione per l’anglosionismo imperiale, è l’Asse della Resistenza e viceversa. Soleimani, taciturno e schivo, refrattario alle interviste e alle telecamere, nel luglio 2018 ha ammonito le élite sioniste americane, ha ammonito Donald Trump, dichiarando che l’Iran “è la nazione del martirio, la nazione di imam Hosayn”. Migliaia e migliaia di reparti specializzati dell’Al Quds stanno aspettando da anni e anni che la minaccia dell’attacco di civiltà occidentale diretto all’Iran prenda finalmente corpo. “La carovana di Hosayn si sta muovendo, un’altra Karbala ci aspetta. Il mondo terreno è solo una parte della creazione. E’ importante anche ciò che sta oltre, il mondo eterno, divino, il regno dello splendore” (Imam Khomeini, durante i primi momenti della “guerra imposta” in un suo discorso ai Basiji). I sionisti israeliani, nonostante lo schiacciante potere finanziario e culturale in occidente, senza la sponda militare del Pentagono non vanno da nessuna parte, abbaiano ma non mordono.
Vi è corruzione borghese, vi è materialismo, vi è desiderio di benessere anche in Iran, ci ricorda Alberto Negri. E’ normale, passati 40 anni da una Rivoluzione che ha anzitutto educato il popolo alla sopportazione del dolore e del sacrificio per i fratelli oppressi in ogni parte del mondo, oltre ogni differenza religiosa o ideologica; storicamente, con ciclica regolarità, a momenti di grande espansionismo ideologico rivoluzionario seguono momenti di ripiegamento. La saggezza di uno statista rivoluzionario è allora quella di non arretrare nello pseudo-tatticismo o nella ritirata strategica ma radicalizzare l’espansione sovranazionale con il supporto di una avanguardia che sia emanazione diretta dell’ideologia rivoluzionaria originaria. Vi è quindi, nonostante ciò, una rivoluzione politica e culturale in marcia, che non pare essersi arrestata.
Richard Haas, presidente del Council on Foreign Relations, ha in più casi parlato, dalla guerra siriana a oggi, con Assad e il Baath siriano non sconfitti, di un tramonto dell’era sionista americana in Medio Oriente. Secondo E. Primakov, rilevante geopolitico russo sovietico, chi possiede le chiavi mediorientali possiede il potere globale. Al Quds di Soleimani ha quindi saputo condurre la sfida strategica al nemico di civiltà nella fase di ripiegamento tattico post-rivoluzionario; per tale motivo, oggi in Iran Soleimani è una scuola di pensiero e azione che va ben oltre la sua figura di statista e eroe di stato. E’ una coscienza spirituale e morale la quale, con ogni probabilità, sopravvivrà allo stesso “martire vivente della Rivoluzione”.
6 commenti:
cONDIVIDO OGNI PAROLA, mi fa piacere non siete più antIraniani
Mai stati antiraniani, casomai Pasquinelli ha stigmatizzato interferenza in Irak ma è stato sempre vicino a Hezbollah e gruppi Palestinesi filoiraniani
Grande interesse per questa figura. Sarei grato se riprenderete l'argomento ideologico sottostante. Qual'è la scuola di pensiero immune alle contaaminazioni e strumntalizzazioni anglo sioniste? Se non è il Bahatismo a che cosa si deve pensare al Trotskysmo? Qual'è l'anima profonda del vostro movimento politico che riemerge nei secoli e tra i popoli?
Grazie
Anonimo delle 6.49
Precisi meglio la domanda.
Grazie
Qasim Soleimani è un modello di leader ideologico nella lotta antimperialista. Come si pone la sua scuola di pensiero rivoluzionario tra il trotskysmo internazionalista e le vie nazionali al socialismo?
Grazie
Sì esattamente. Soleimani è l'ideologo e il politico dell'Asse della Resistenza all'imperialismo. Riteniamo che tali riferimenti non possano essere soddisfacenti per la vita politica e religiosa iraniana. I trotskysti iraniani si organizzarono nel Hezb-e-Kargaran Suyalist Iran (Hks) ma loro principale compito fu opporsi ai maoisti, ai guevaristi, agli stalinisti. Dai primi anni '70 producevano un giornale chiamato Kand-o-Kav. Il problema della sinistra antimperialista iraniana è che nel caso del Tudeh del tutto subalterna a Mosca, al punto che se Mosca sosteneva lo shah il Tudeh sosteneva lo shah, negli altri casi non fu mai nella prima linea della lotta all'Occidente e al regime monarchico. la sinistra tentò sempre di rincorrere e scavalcare il movimento rivoluzionario islamico, ma senza successo alcuno. Lei pensi al caso del discepolo più caro a Imam Khomeini, Motahhari (la pace su di lui), che nelle prime fasi rivoluzionarie fu scientemente e vilmente assassinato dai marxisti seguaci della linea di Alì Shariati (che naturalmente è estraneo a tale barbaro gesto). I trotskysti nel mondo furono invece tra le varie componenti marxiste internazionali, in alcune loro correnti, i più attenti ed oggettivi nell'analisi della rivoluzione iraniana, rifiutando lo astratto schema di classe Down Mullah, Down shah e rifiutando il sostegno comunista internazionale all'aggressione irachena del settembre 1980 che i comunisti nel mondo avevano dato anche alla luce della situazione afghana. Quanto alla via nazionale al socialismo, può essere giusta nella considerazione della sinistra baathista (Irak) o destra baathista (Siria), ma penso che l'universalità metafisica della Rivoluzione metafisica non possa essere ridotta a via nazionale al socialismo. Soleimani dunque, è un figlio della Rivoluzione del '79 che tenta di realizzare sino in fondo l'Islam rivoluzionario di Ruhollah Khomeini e di dissolvere la Normalizzazione borghese interna, di destra o di sinistra. Attuata la prima fase della Rivoluzione mondiale islamica con la distruzione di Yalta, si punta adesso alla creazione di uno Stato democratico palestinese muktirazziale, al superamento storico di prospettive reazionarie o controrivoluzionarie (wahabbismo angloarabo), ad un Iran avanguardia antimperialista del fronte del rifiuto della plutocrazia anglosionista mondiale.
A. V.
Como 12 dicembre 2019
Posta un commento