[ mercoledì 11 dicembre 2019 ]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Nell’agosto 2019, in più occasioni, Haftar promise ai suoi soldati del LNA che entro la fine del 2019 Tripoli sarebbe stata conquistata. Cosa bolliva in pentola? Il profilo forte panrusso e panortodosso sul Medio Oriente e sul Mediterraneo, di cui da tempo abbiamo parlato, c’entra sicuramente. Contractors russi e tecnologia militare abbastanza aggiornata al servizio dell’ENL hanno agevolato l’offensiva delle milizie haftariane. Inevitabile a questo punto la reazione turca, che ha velocemente stretto accordi militari con Tripoli. Di conseguenza: o Haftar conquisterà Tripoli o sarà respinto dalle forze del GNA di Al Sarraj. Una terza soluzione non ci pare possibile.
Ci sarebbe anche una terza forza sul campo, di cui le cronache di questi giorni stranamente non parlano. E’ l’Esercito del deserto, guidato da Abu Musab Al Libi, appartenente alla galassia jihadista dell’ISIS, che avrebbe di nuovo messo piede nel paese dopo la sconfitta dei jihadisti del dicembre 2016 a Sirte. Il Governo di Tripoli
— riconosciuto, va precisato, dalle Nazioni Unite — ha accusato Haftar di aver dato di recente protezione ad ISIS in Libia e di aver appoggiato poi il “transito dei terroristi dell’ISIS provenienti dal fronte siriano”, fornendo loro visti e passaporti e smistandoli attraverso l’aeroporto di Benina, situato a Est di Bengasi. L’aeroporto di Benina copre infatti la rotta Damasco-Benina. Tobruk ha ridimensionato quella che sarebbe la forza effettiva di ISIS in Libia; Al Mismari, voce politica del fronte di Haftar, ha sostenuto, dando una lettura assai particolare, che l’ISIS praticamente non esiste in Libia e laddove c’è non sosterrebbe di certo Haftar.
Abbiamo dunque più fronti, confusi e senza una logica politica concreta. Il fronte Haftar che marcia su Tripoli, per quanto sostenuto da Putin, gode dell’appoggio economico e politico-militare di Sauditi, Egitto, Usa, Francia, Sionisti e, almeno secondo le ripetute denunce del Governo di Tripoli, di ISIS stesso.
Il Fronte tripolino guidato da Al Sarraj è sostenuto anzitutto e soprattutto dalla Turchia, con un profilo forte, ma anche dall’Iran, dalla Cina e, con meri scambi energetici, dal Venezuela di Maduro; per quanto l’alleanza globale che sostiene Tripoli rimandi al network della Fratellanza mussulmana, è errato identificare il Governo di Tripoli con la Fratellanza. Quest’ultimo, sostanzialmente, nonostante la presenza di Ministri effettivamente appartenenti alla Fratellanza, tende a contrapporsi alle interferenze occidentali o di altro tipo, non ultime quelle di terroristi provenienti da altri paesi; in questa direzione, si può comprendere la posizione italiana, di supporto al patriottismo del GNA di Al Sarraj. Viceversa, negli ultimi giorni, analisti italiani invitano il Governo a un prudente cambio di casacca, come è nella tradizione patria, o una attenta osservazione delle mosse dei vari fronti dispiegati sul campo onde evitare una ulteriore retrocessione, che pare ora inarrestabile, delle posizioni italiane sul fronte libico.
Praticamente, gli organi di punta istituzionali e geopolitici italiani sono pronti a scommettere sulla certa vittoria di Haftar e sulla effettiva conquista di Tripoli entro la fine del 2019. In verità, però, a Putin non interessa la vittoria definitiva di Haftar e men che meno vorrebbe, in questo momento, entrare in una nuova disputa geopolitica o militare con la Turchia di Erdogan la quale, per evidenti ragioni, non può certamente tollerare né accettare che Tripoli finisca sotto il controllo del LNA.
L’offensiva multipla di ieri l’altro contro le forze del GNA a sud di Tripoli non ha visto, si noti bene, l’ingresso in campo dei “mercenari” russi e i soldati del Governo di Tripoli non solo hanno infatti respinto gli uomini di Bengasi, ma avrebbero anche contrattaccato costringendo al ripiego il fronte haftariano. L’obiettivo tattico è la conquista di Aziziyah per dividere in due la strada che porta da Tripoli a Gharyan: ciò isolerebbe l’altopiano dando ad Haftar maggiori possibilità di conquista. Ma il tempo stringe per l’offensiva, anche alla luce del fatto che le rotte di rifornimento via terra per la prima linea ad ovest andrebbero velocemente ripristinate.
E’ nata infatti a Zawiya, proprio quando Haftar ha lanciato la nuova offensiva su Tripoli, la coalizione militare costiera e montana anti-Haftar; la coalizione ha di nuovo portato sullo stesso fronte forze tribali militari dei Consigli locali in contrapposizione sino a pochi giorni fa.
La coalizione anti-Haftar ha abbattuto un velivolo avversario e catturato un pilota del LNA e ciò è stata una umiliazione per Tobruk. La componentistica aerea in dote ad Haftar pare iniziare a latitare, di recente colpita dall’abbattimento di ben 3 Mig-23. Dall’inizio della campagna, le milizie haftariane avrebbero perso ben 16 velivoli ma la maggior parte tra questi proprio in questo periodo.
In conclusione, l’unica certezza che emerge dal quadro tecnico è che la milizia del Governo di Tripoli è sul campo molto più agguerrita e preparata, gode del favore dei Consigli locali tripolini, decisivi e il cui peso non va sottovaluto, ed ha dato dall’inizio del conflitto la dimostrazione di essere sul terreno meglio organizzata dell’avversario. Inoltre, un fronte che vede bene o male sulla stessa barricata russi, israeliani, americani, sauditi e francesi non solo non fornisce ai soldati alcun tipo di motivazione ideologica o tattica ma è destinato a frantumarsi alla prima occasione seria e alla scarsa resistenza strategica.
La scommessa degli sponsor era probabilmente sulla tenuta del carisma militare dell’uomo forte della Cirenaica; non è detto peraltro, lo ripetiamo, che la presenza dei “mercenari” russi indichi che la strategia putiniana voglia effettivamente Tripoli sotto il definitivo controllo di Haftar, che significherebbe la rottura con Ankara ed anche uno sgarbo a Tehran. In tempi di mere analisi geopolitiche o di esibizione di quasi sempre inutile tecnologia militare, peraltro, è sempre bene non trascurare il fatto che la guerra la fanno i soldati e decidono, anche loro, come altri e talvolta più di altri, di percorrere ed espandere la loro linea politica
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Nell’agosto 2019, in più occasioni, Haftar promise ai suoi soldati del LNA che entro la fine del 2019 Tripoli sarebbe stata conquistata. Cosa bolliva in pentola? Il profilo forte panrusso e panortodosso sul Medio Oriente e sul Mediterraneo, di cui da tempo abbiamo parlato, c’entra sicuramente. Contractors russi e tecnologia militare abbastanza aggiornata al servizio dell’ENL hanno agevolato l’offensiva delle milizie haftariane. Inevitabile a questo punto la reazione turca, che ha velocemente stretto accordi militari con Tripoli. Di conseguenza: o Haftar conquisterà Tripoli o sarà respinto dalle forze del GNA di Al Sarraj. Una terza soluzione non ci pare possibile.
Ci sarebbe anche una terza forza sul campo, di cui le cronache di questi giorni stranamente non parlano. E’ l’Esercito del deserto, guidato da Abu Musab Al Libi, appartenente alla galassia jihadista dell’ISIS, che avrebbe di nuovo messo piede nel paese dopo la sconfitta dei jihadisti del dicembre 2016 a Sirte. Il Governo di Tripoli
— riconosciuto, va precisato, dalle Nazioni Unite — ha accusato Haftar di aver dato di recente protezione ad ISIS in Libia e di aver appoggiato poi il “transito dei terroristi dell’ISIS provenienti dal fronte siriano”, fornendo loro visti e passaporti e smistandoli attraverso l’aeroporto di Benina, situato a Est di Bengasi. L’aeroporto di Benina copre infatti la rotta Damasco-Benina. Tobruk ha ridimensionato quella che sarebbe la forza effettiva di ISIS in Libia; Al Mismari, voce politica del fronte di Haftar, ha sostenuto, dando una lettura assai particolare, che l’ISIS praticamente non esiste in Libia e laddove c’è non sosterrebbe di certo Haftar.
Abbiamo dunque più fronti, confusi e senza una logica politica concreta. Il fronte Haftar che marcia su Tripoli, per quanto sostenuto da Putin, gode dell’appoggio economico e politico-militare di Sauditi, Egitto, Usa, Francia, Sionisti e, almeno secondo le ripetute denunce del Governo di Tripoli, di ISIS stesso.
Il Fronte tripolino guidato da Al Sarraj è sostenuto anzitutto e soprattutto dalla Turchia, con un profilo forte, ma anche dall’Iran, dalla Cina e, con meri scambi energetici, dal Venezuela di Maduro; per quanto l’alleanza globale che sostiene Tripoli rimandi al network della Fratellanza mussulmana, è errato identificare il Governo di Tripoli con la Fratellanza. Quest’ultimo, sostanzialmente, nonostante la presenza di Ministri effettivamente appartenenti alla Fratellanza, tende a contrapporsi alle interferenze occidentali o di altro tipo, non ultime quelle di terroristi provenienti da altri paesi; in questa direzione, si può comprendere la posizione italiana, di supporto al patriottismo del GNA di Al Sarraj. Viceversa, negli ultimi giorni, analisti italiani invitano il Governo a un prudente cambio di casacca, come è nella tradizione patria, o una attenta osservazione delle mosse dei vari fronti dispiegati sul campo onde evitare una ulteriore retrocessione, che pare ora inarrestabile, delle posizioni italiane sul fronte libico.
Praticamente, gli organi di punta istituzionali e geopolitici italiani sono pronti a scommettere sulla certa vittoria di Haftar e sulla effettiva conquista di Tripoli entro la fine del 2019. In verità, però, a Putin non interessa la vittoria definitiva di Haftar e men che meno vorrebbe, in questo momento, entrare in una nuova disputa geopolitica o militare con la Turchia di Erdogan la quale, per evidenti ragioni, non può certamente tollerare né accettare che Tripoli finisca sotto il controllo del LNA.
L’offensiva multipla di ieri l’altro contro le forze del GNA a sud di Tripoli non ha visto, si noti bene, l’ingresso in campo dei “mercenari” russi e i soldati del Governo di Tripoli non solo hanno infatti respinto gli uomini di Bengasi, ma avrebbero anche contrattaccato costringendo al ripiego il fronte haftariano. L’obiettivo tattico è la conquista di Aziziyah per dividere in due la strada che porta da Tripoli a Gharyan: ciò isolerebbe l’altopiano dando ad Haftar maggiori possibilità di conquista. Ma il tempo stringe per l’offensiva, anche alla luce del fatto che le rotte di rifornimento via terra per la prima linea ad ovest andrebbero velocemente ripristinate.
E’ nata infatti a Zawiya, proprio quando Haftar ha lanciato la nuova offensiva su Tripoli, la coalizione militare costiera e montana anti-Haftar; la coalizione ha di nuovo portato sullo stesso fronte forze tribali militari dei Consigli locali in contrapposizione sino a pochi giorni fa.
La coalizione anti-Haftar ha abbattuto un velivolo avversario e catturato un pilota del LNA e ciò è stata una umiliazione per Tobruk. La componentistica aerea in dote ad Haftar pare iniziare a latitare, di recente colpita dall’abbattimento di ben 3 Mig-23. Dall’inizio della campagna, le milizie haftariane avrebbero perso ben 16 velivoli ma la maggior parte tra questi proprio in questo periodo.
In conclusione, l’unica certezza che emerge dal quadro tecnico è che la milizia del Governo di Tripoli è sul campo molto più agguerrita e preparata, gode del favore dei Consigli locali tripolini, decisivi e il cui peso non va sottovaluto, ed ha dato dall’inizio del conflitto la dimostrazione di essere sul terreno meglio organizzata dell’avversario. Inoltre, un fronte che vede bene o male sulla stessa barricata russi, israeliani, americani, sauditi e francesi non solo non fornisce ai soldati alcun tipo di motivazione ideologica o tattica ma è destinato a frantumarsi alla prima occasione seria e alla scarsa resistenza strategica.
La scommessa degli sponsor era probabilmente sulla tenuta del carisma militare dell’uomo forte della Cirenaica; non è detto peraltro, lo ripetiamo, che la presenza dei “mercenari” russi indichi che la strategia putiniana voglia effettivamente Tripoli sotto il definitivo controllo di Haftar, che significherebbe la rottura con Ankara ed anche uno sgarbo a Tehran. In tempi di mere analisi geopolitiche o di esibizione di quasi sempre inutile tecnologia militare, peraltro, è sempre bene non trascurare il fatto che la guerra la fanno i soldati e decidono, anche loro, come altri e talvolta più di altri, di percorrere ed espandere la loro linea politica
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