[ lunedì 23 dicembre 2019 ]
«Le imprese manifatturiere della provincia di Udine hanno visto la produzione scendere dello 0,9% nel primo trimestre 2019, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel secondo trimestre il calo è stato del 2,7% e nel terzo del 3,7. Una valanga che aumenta di velocità con il passar del tempo.La Lombardia si avvicina alla crescita zero».
I dati del Bollettino economico della Bce ci dicono che stessa è la tendenza in Veneto, Piemonte ed anche in Emilia, ovvero nelle eree che sono il motore industriale del Paese.
Dati che si spiegano con il forte calo delle esportazioni, causato a sua volta dalla crisi delle locomotiva tedesca.
Afferma Anna Mareschi Danieli, presidente della Confindustria udinese: «Cos'altro ci vuole per capire che il Paese deve urgentemente cambiare rotta».
Non è difficile immaginare a quale alluda il grande padronato: avanti con la globalizzazione liberista, rispetto delle compatibilità eurocratiche, subalternità economica alla locomotiva (spompata) tedesca, insistere quindi sul modello esportativo basato sulla competizione sfrenata fondata su maggiore sfruttamento della manodopera e bassi salari. Quindi non solo accettare la chiusura di migliaia di aziende con l'accrescimento della disoccuazione, perciò un'ulteriore compressione della già depressa "domanda interna".
Non un "cambio di rotta" quindi, ma esattamente il contrario, ovvero una "avanti tutta verso il baratro", ciò nella convinzione che la recessione sia solo passeggera e che la tendenza protezionistica avviata dagli Stati Uniti sia solo una "follia" passeggera.
Non è così! La verità è che il lungo ciclo costituito dall'accoppiata della globalizzazione liberoscambista e della finanziarizzazione sfrenata è al tramonto, che la tendenza delle economie e degli stati nazionali a proteggersi dalla concorrenza e premunirsi dal rischio di un nuovo grande shock finanziario non è momentanea ma tenderà a rafforzarsi.
Se questo è vero c'è un solo possibile "cambio di rotta" per il nostro Paese: rilanciare la "domanda interna", stroncare la disoccupazione di massa, aumentare i salari, ciò che chiede riportare lo Stato, come afferma la Cosituzione, ritorni al centro dell'economia affinché ridiventi il motore e la testa di un grande piano economico di rinascita e di investimenti.
Chiediamoci: è questo possibile restando nella gabbia dell'Unione europea?
La risposta è no. L'ITALEXIT, la riconquista della sovranità politica e monetaria sono la sola via per uscire dal marasma.
«Le imprese manifatturiere della provincia di Udine hanno visto la produzione scendere dello 0,9% nel primo trimestre 2019, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel secondo trimestre il calo è stato del 2,7% e nel terzo del 3,7. Una valanga che aumenta di velocità con il passar del tempo.La Lombardia si avvicina alla crescita zero».
I dati del Bollettino economico della Bce ci dicono che stessa è la tendenza in Veneto, Piemonte ed anche in Emilia, ovvero nelle eree che sono il motore industriale del Paese.
Dati che si spiegano con il forte calo delle esportazioni, causato a sua volta dalla crisi delle locomotiva tedesca.
Afferma Anna Mareschi Danieli, presidente della Confindustria udinese: «Cos'altro ci vuole per capire che il Paese deve urgentemente cambiare rotta».
Giusto, ma quale rotta?
Non è difficile immaginare a quale alluda il grande padronato: avanti con la globalizzazione liberista, rispetto delle compatibilità eurocratiche, subalternità economica alla locomotiva (spompata) tedesca, insistere quindi sul modello esportativo basato sulla competizione sfrenata fondata su maggiore sfruttamento della manodopera e bassi salari. Quindi non solo accettare la chiusura di migliaia di aziende con l'accrescimento della disoccuazione, perciò un'ulteriore compressione della già depressa "domanda interna".
Non un "cambio di rotta" quindi, ma esattamente il contrario, ovvero una "avanti tutta verso il baratro", ciò nella convinzione che la recessione sia solo passeggera e che la tendenza protezionistica avviata dagli Stati Uniti sia solo una "follia" passeggera.
Non è così! La verità è che il lungo ciclo costituito dall'accoppiata della globalizzazione liberoscambista e della finanziarizzazione sfrenata è al tramonto, che la tendenza delle economie e degli stati nazionali a proteggersi dalla concorrenza e premunirsi dal rischio di un nuovo grande shock finanziario non è momentanea ma tenderà a rafforzarsi.
Se questo è vero c'è un solo possibile "cambio di rotta" per il nostro Paese: rilanciare la "domanda interna", stroncare la disoccupazione di massa, aumentare i salari, ciò che chiede riportare lo Stato, come afferma la Cosituzione, ritorni al centro dell'economia affinché ridiventi il motore e la testa di un grande piano economico di rinascita e di investimenti.
Chiediamoci: è questo possibile restando nella gabbia dell'Unione europea?
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