[ venerdì 6 dicembre 2019 ]
Mentre è ora in corso (5.12.2019), in varie città irachene, una manifestazione di pacificazione e di sostegno ai fratelli iraniani, che hanno combattuto imperialisti e terroristi nella terra di Mesopotamia, possiamo però ritenere il fronte di Sayyed Moqtada Al Sadr il perno strategico, sia del movimento di pacificazione sia di quello di protesta. In Irak, chiunque abbia la maggioranza di parlamentari e di ministri ha la possibilità di chiedere le dimissioni del Primo ministro.
Le sanguinosa repressione (dalla fine di ottobre sono diverse decine i manifestanti uccisi e centinaia quelli feriti dalle milizie pro-regime e filo-iraniene, e dalla polizia), e le dimissioni (avvenute il 28 novembre scorso) del primo ministro Adel Abdul Mahd, non hanno spento in Iraq le rabbiose proteste popolari. Iniziate contro l'aumento del prezzo dei carburanti, sono infatti presto diventate mobilitazione politica contro la corruzione e il sistema di potere.
Degno di nota che in un Paese da tempo dilaniato dalla fitna (lo scontro tra le due principali comunità religiose) e governato dai partiti shiiti filoiraniani, la recente rivolta, poi estesasi a tutti gli strati poveri della popolazione, sia scoppiata virulenta proprio nelle città a maggioranza shiita.
Ha fatto scalpore quindi l'incendio del consolato iraniano nella città santa (per gli shiiti) di Najaf avvenuto il 27 novembre. A darlo alle fiamme, questa volta, non i takfiri sunniti seguaci di Al-Qaeda o dello Stato islamico, e nemmeno di quelli di Saddam Hussein, bensì proprio gli stessi infuriati cittadini shiiti. E' evidente che la comunità alide (shiita) è oggi spaccata in due. I capibastone che hanno sostenuto il corrotto regime filo-iraniano hanno infatti accusato lo shiita radicale Moqtada al-Sadr di essere il vero istigatore della grande sollevazione che senza dubbio è diventata una spina nel fianco per Tehran.
L'autore di questo articolo, che non nasconde le sue simpatie per l'Iran, fornisce la sua controversa chiave di lettura
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Mentre è ora in corso (5.12.2019), in varie città irachene, una manifestazione di pacificazione e di sostegno ai fratelli iraniani, che hanno combattuto imperialisti e terroristi nella terra di Mesopotamia, possiamo però ritenere il fronte di Sayyed Moqtada Al Sadr il perno strategico, sia del movimento di pacificazione sia di quello di protesta. In Irak, chiunque abbia la maggioranza di parlamentari e di ministri ha la possibilità di chiedere le dimissioni del Primo ministro.
Moqtada è un nazionalista sciita iracheno, questo sia detto per sbugiardare quanti, sulla scia di analisti israeliani e neocons, tracciano sulle cartine geopolitiche mediorientali la farsa colossale della “mezzaluna sciita” eterodiretta dalla Guida Suprema. Seyyed Moqtada ha trovato continuamente protezione a Tehran, dal 2004 a oggi, soprattutto ogni qualvolta MI6 e sionisti erano sul punto di ucciderlo, ma in Iran nessuno gli avrebbe imposto o gli imporrebbe la linea interna da seguire. Fonti occidentali, ad esempio, hanno messo in connessione le proteste sociali con l’incendio, a Najaf, del consolato iraniano. Nulla di più lontano dal vero: a Najaf ad appiccare il fuoco sono stati i sodali di A. al-Zurfi, i quali si sono poi diretti non a caso al santuario di Sayyed Mohammed Baqer al Hakim. Il santuario fu spesso protetto dalle milizie di Baqer, guidate da Jalaleddine al-Saqer, braccio destro di al-Hakim, ucciso, quest’ultimo, nel 2003 da un’autobomba piazzata all’esterno del santuario dell’Imam Alì, da una fazione legata a al Zarqawi.
I sadristi si sono sempre rifiutati di proteggere il santuario di Baqer in quanto da tempo è in atto una guerra di fazione tra sciiti di Moqtada e quelli di al-Hakim. Baqer, infatti, era lo zio di Sayyed Ammar al-Hakim; le lotte di frazione politico-religiosa si trasmettono di padri in figli. La lotta di fazione, nel mondo sciita iracheno, chiama in causa tutti i principali leader seguaci della fazione di Imam Alì. Non è ancora emerso un uomo di stato o un buon politico capace di redimere le storiche controversie interne ai confini irakeni: il maraiya di Najaf, il grande ayatollah Sayyed Sistani, l’unica figura ascoltata e rispettata da tutti, ha infatti di recente criticato Moqtada per il suo comportamento e lo stesso ha fatto con le altre correnti di orientamento sciita. Tutte correnti che, dopo aver inizialmente appoggiato Abdel Mhadi, si sono rifiutate di collaborare con lui nel processo riformistico. Moqtada ad esempio aveva detto che avrebbe dato ad Abdel Mahdi un anno di tempo per riformare il paese e combattere la corruzione, ma solo pochi mesi dopo l’insediamento di quest’ultimo mobilitava i sadristi di Baghdad verso la famosa “zona verde”, il posto principale in cui protestare contro il governo.
Tutto questo ha portato all’interruzione violenta del processo di riforma e alle conseguenti proteste.
L’Iran ordinò a Moqtada di tacere in quanto non apparisse, la sua, una decisione in armonia con la volontà geopolitica di Tehran, che non avrebbe mai interferito nella politica interna irakena; Sayyed allora fece armi e bagagli e se ne andò da Tehran tornando in Irak. Moqtada, che tutt’oggi sarebbe comunque a Tehran, ha specificato che condanna l’incendio al consolato iraniano di Najaf e che i suoi militanti non avrebbero avuto nessun ruolo nell’azione, in quanto le milizie sciite sadriste non hanno mai usato la tecnica dell’incendio a consolati e ambasciate, nemmeno durante l’occupazione americana dell’Iraq. Seyyed, peraltro, è accusato dell’assassinio di Wissam al El’yawi e di suoi tre militanti (tra cui il fratello) nello scorso ottobre: Wissam era il comandante del gruppo sciita filoiraniano Asaeb Ahl al-Haq, la cui tribù operante soprattutto nella provincia del Missan ha giurato vendetta ai sadristi.
Nella provincia di Kirkuk (nord Irak), nel frattempo, in cui quattro soldati italiani, si ricorderà, sono stati feriti a seguito di un’esplosione, l’ISIS si sta riorganizzando.
A lato della questione interna irakena, dove purtroppo Tehran continua, in omaggio ad una visione anticolonialistica novecentesca, a lasciare mano libera a tutti e tutto, si sta radicalizzando la questione internazionale. Pochi giorni fa il New York Times ha parlato per la prima volta di uno spostamento di missili balistici a corto raggio da parte iraniana. L’intelligence statunitense ha accusato il reparto iraniano al Quds di Qasim Soleimani di operazioni congiunte con l’Unità di Mobilitazione Popolare (Pmu) sciita irachena ed ha avvisato di essere a conoscenza del fatto che l’Iran si sta militarmente mobilitando in tutto il Medio Oriente per rispondere ad una eventuale aggressione. I missili a corto raggio iraniani vanno a posizionarsi in zone strategiche, non lontane dai confini dell’entità sionista denominata Israele o ad esempio, in Irak, non lontano dalla base di Ayn al-Asad, una delle principali occupare dalle forze Usa. L’amministrazione USA ha minacciato l’invio di un nuovo contingente militare di circa 15 mila unità, ma il Pentagono ha immediatamente smentito.
il leader shiita iracheno Moqtada al-Sadr |
La situazione, come si vede, è ingarbugliata e complessa. La speranza iraniana di trovare un leader irakeno “giovane” e saggio, patriota ed antimperialista, sul modello dell’illuminato fratello Sayyed Hassan Nasrallah, capace di attuare un modello costituente democratico ed islamico è per ora fallito. Il popolo irakeno è un popolo di militari martiri e eroi, ma carente sul piano strategico politico. La certezza, unica, che si può trarre dal quadro che abbiamo tentato di delineare è la seguente. Per i comunisti ed i maoisti l’imperialismo americano sarebbe stato una tigre di carta, ma alla fine gli USA avranno ragione di sovietici e maoisti. Per i rivoluzionari occidentali il blocco sionista che guida l’Occidente era ed è il Grande Satana. Il Grande Satana ha giurato di fronte al mondo intero, dal febbraio 1979, di regolare i conti con la Repubblica islamica iraniana; viceversa, passati quarant’anni, anche le ultime spettacolari azioni della Resistenza globale, dallo Yemen alla Nigeria per finire alla recente controffensiva politica in tutto il Vicino Oriente contro la ipotizzata Rivoluzione Colorata, mostrano che il blocco sionista non ha nulla della tigre, è solo carta e minacce per Tehran. Forte con i deboli (europei e popoli occidentali), assai più prudente e timoroso con i forti (compresa la gloriosa Jihad islamica palestinese, movimento di devoti e martiri), contro i quali alle parole non seguono azioni, ma solo nuove parole e minacce. Israele, Trump, Bloomberg, tre volti e tre cervelli ma la stessa debolezza. Ahmded Yassin (la pace su di lui) lo aveva sempre detto: il forte sarà debole, il debole sarà forte.
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