[ sabato 29 giugno 2019 ]
«L’era liberale, con il dominio globale occidentale, appartengono a una vecchia, superata epoca storica…..La Russia attuale, al passo con i tempi, è un esempio di democrazia e patriottismo…L’ideologia liberale è arretrata…».
L’imperialismo occidentale sta già prefigurando lo scenario ideale: il crollo del modello putiniano significherebbe di conseguenza l’assalto da tutti i lati alla Cina socialconfuciana di Xi Jinping, il dilagare del sionismo nel Vicino Oriente, con il semaforo verde globale alla definitiva macellazione della Siria baathista e la possibile realizzazione su vasta scala della dottrina Schauble, ovverosia della dottrina di fedeltà transatlantica con l’integrazione del mondo eurasiatico confinante con la Cina nel grande Lebensraum occidentale. Si può realizzare effettivamente tale scenario?
E’ passato circa un anno dal decreto attuato come Progetto Nazionale con il quale Putin annunciava che la Russia sarebbe tornata, nel giro di pochissimi anni, tra le prime cinque economie mondiali. Si progettò lo stanziamento di circa 400 miliardi in 6 anni: l’intervento statale, guidato dal ministro delle finanze Siluanov, dovrebbe assicurare la crescita del Pil procapite (previsto oltre i 15 mila dollari nel 2024), la riduzione del tasso di povertà al 5.5% dall’odierno 13%, la diversificazione politico-economica rispetto al modello incentrato nei soli servizi energetici, il contrasto al declino demografico.
«L’era liberale, con il dominio globale occidentale, appartengono a una vecchia, superata epoca storica…..La Russia attuale, al passo con i tempi, è un esempio di democrazia e patriottismo…L’ideologia liberale è arretrata…».
Vladimir Putin 28 Giugno 2019
L’ultimo articolo di Orietta Moscatelli in Limesonline è dedicato alla crisi del putinismo. La Moscatelli, riprendendo taluni topoi che da circa un mese compaiono nelle riviste geopolitiche specializzate occidentali, parla di un “autunno caldissimo” del presidente Putin che sarebbe già iniziato. Nell’ottica degli analisti vicini al Cremlino, si tratterebbe invece di una pianificazione tattica e strategica basata sulla realizzazione di una “Rivoluzione colorata” a Mosca nell’autunno 2019.
Il progetto delle sanzioni si concretizzerebbe con la fine del modello putiniano di “Democrazia sovrana” e la vittoria politica di quell’oligarchia liberale e liberista interna con cui il presidente russo non ha potuto regolare definitivamente e in profondità i conti. La Stampa, lo scorso 31 maggio, in un articolo firmato da Giuseppe Agliastro forniva un quadro assai pessimistico della situazione politica putiniana, parlando di un malcontento abbastanza diffuso, a causa di una linea sociale che colpirebbe soprattutto studenti e pensionati e che avrebbe arrestato quell’ascesa dei ceti medi che aveva caratterizzato i precedenti esecutivi Putin.
L’imperialismo occidentale sta già prefigurando lo scenario ideale: il crollo del modello putiniano significherebbe di conseguenza l’assalto da tutti i lati alla Cina socialconfuciana di Xi Jinping, il dilagare del sionismo nel Vicino Oriente, con il semaforo verde globale alla definitiva macellazione della Siria baathista e la possibile realizzazione su vasta scala della dottrina Schauble, ovverosia della dottrina di fedeltà transatlantica con l’integrazione del mondo eurasiatico confinante con la Cina nel grande Lebensraum occidentale. Si può realizzare effettivamente tale scenario?
E’ passato circa un anno dal decreto attuato come Progetto Nazionale con il quale Putin annunciava che la Russia sarebbe tornata, nel giro di pochissimi anni, tra le prime cinque economie mondiali. Si progettò lo stanziamento di circa 400 miliardi in 6 anni: l’intervento statale, guidato dal ministro delle finanze Siluanov, dovrebbe assicurare la crescita del Pil procapite (previsto oltre i 15 mila dollari nel 2024), la riduzione del tasso di povertà al 5.5% dall’odierno 13%, la diversificazione politico-economica rispetto al modello incentrato nei soli servizi energetici, il contrasto al declino demografico.
Risultati, nel primo anno, sembrerebbero esservi stati: prescindendo dal Pil, che potrà essere con precisione calcolato preferibilmente dal 2020, va rilevato il significativo e stabile stanziamento dei fondi alle coppie con figli oltre all’apertura di asili nido, scuole e centri pedagogico culturali nelle aree rurali per futuri insegnanti. I punti critici paiono però in particolare due; il primo è rappresentato dal fatto che un investimento di 400 miliardi di dollari è forse non abbastanza cospicuo se si pensa che la Cina, ad esempio, in un anno investe qualche cosa in più, di 400 miliardi di dollari, sul solo piano della infrastruttura interna, il secondo dal fatto che la Russia dal 2014 perde annualmente 150 miliardi di dollari per effetto delle sanzioni e potrebbe così esser necessaria una allocazione delle risorse a trazione fiscale o fondata sull’aumento della quota pensionabile.
Questo quadro chiama di conseguenza in causa il significato politico del putinismo. A talune iniziative effettivamente brillanti e coraggiose, la più significativa ed importante delle quali è la nuova strategia mediterranea di una Russia tornata anche grazie a ciò, di nuovo, potenza globale (come peraltro scrivevo mesi fa Putin avrebbe rivisto il suo atteggiamento libico, schierandosi a fianco di Turchia Qatar Iran) , ma senza trascurare una alleanza che sembra ormai quasi strategica con la Cina, non sempre ha corrisposto una politica interna da grande statista il quale Putin potrebbe essere pure considerato.
Il putinismo poteva inverarsi, nella storia russa, come l’eéite politica del blocco sociale egemonico della piccola proprietà urbana ed anche, o forse soprattutto rurale; la necessaria e strategica alleanza con il capitalismo energetico di stato ha reso effettivamente problematica una tale correlazione e sicuramente senza una tale alleanza la Russia non sarebbe rientrata, con la realpolitik putiniana figlia della scuola machiavellica sovietica e russa (Evgenij Primakov), a giocarsi un ruolo di peso e di primissimo piano nel conflitto inter-imperialista globale che contrassegna la nuova fase strategica. Putin ha subito passivamente dal subimperialismo franco-tedesco più del dovuto; dalla serie di rivoluzioni colorate ucraine e georgiane alla politica sanzionatoria contro la Federazione russa, anche in questo caso la necessità di proteggere e incentivare il capitalismo energetico di stato, base economica e sociale della nuova Russia, ha avuto il sopravvento. Senza dimenticare che nel corso della crisi del 2015 Putin avrebbe potuto forzare a proprio vantaggio la situazione greca, anche alla luce della tradizionale ortodossia del popolo ellenico, colpendo in profondità, in modo irreversibile, il fronte trans-atlantico europeistico di Clinton-Obama ma non lo ha fatto. L’Unione europea lo avrebbe ripagato poco dopo con sanzioni su tutta la linea. Infine, pur avendo inferto un significativo vulnus al liberismo elstiniano, i residui di quest’ultimo sopravvivono tuttora nello stesso indirizzo sociale putiniano.
Nonostante questo, il proposito strategico della fazione Clinton — e dunque degli stessi apparati profondi della Unione europea ancora subalterni alla stessa — fondato sulla “Rivoluzione colorata” a Mosca non ha, almeno secondo il nostro modesto punto di vista, possibilità di successo.
Questo quadro chiama di conseguenza in causa il significato politico del putinismo. A talune iniziative effettivamente brillanti e coraggiose, la più significativa ed importante delle quali è la nuova strategia mediterranea di una Russia tornata anche grazie a ciò, di nuovo, potenza globale (come peraltro scrivevo mesi fa Putin avrebbe rivisto il suo atteggiamento libico, schierandosi a fianco di Turchia Qatar Iran) , ma senza trascurare una alleanza che sembra ormai quasi strategica con la Cina, non sempre ha corrisposto una politica interna da grande statista il quale Putin potrebbe essere pure considerato.
Il putinismo poteva inverarsi, nella storia russa, come l’eéite politica del blocco sociale egemonico della piccola proprietà urbana ed anche, o forse soprattutto rurale; la necessaria e strategica alleanza con il capitalismo energetico di stato ha reso effettivamente problematica una tale correlazione e sicuramente senza una tale alleanza la Russia non sarebbe rientrata, con la realpolitik putiniana figlia della scuola machiavellica sovietica e russa (Evgenij Primakov), a giocarsi un ruolo di peso e di primissimo piano nel conflitto inter-imperialista globale che contrassegna la nuova fase strategica. Putin ha subito passivamente dal subimperialismo franco-tedesco più del dovuto; dalla serie di rivoluzioni colorate ucraine e georgiane alla politica sanzionatoria contro la Federazione russa, anche in questo caso la necessità di proteggere e incentivare il capitalismo energetico di stato, base economica e sociale della nuova Russia, ha avuto il sopravvento. Senza dimenticare che nel corso della crisi del 2015 Putin avrebbe potuto forzare a proprio vantaggio la situazione greca, anche alla luce della tradizionale ortodossia del popolo ellenico, colpendo in profondità, in modo irreversibile, il fronte trans-atlantico europeistico di Clinton-Obama ma non lo ha fatto. L’Unione europea lo avrebbe ripagato poco dopo con sanzioni su tutta la linea. Infine, pur avendo inferto un significativo vulnus al liberismo elstiniano, i residui di quest’ultimo sopravvivono tuttora nello stesso indirizzo sociale putiniano.
Nonostante questo, il proposito strategico della fazione Clinton — e dunque degli stessi apparati profondi della Unione europea ancora subalterni alla stessa — fondato sulla “Rivoluzione colorata” a Mosca non ha, almeno secondo il nostro modesto punto di vista, possibilità di successo.
Il popolo russo, per quanto malcontento possa serpeggiare, è tuttora quasi generalmente grato a Vladimir Putin. Il nome di Putin nella storia di questo grande popolo ha significato politicamente e concretamente che la Russia non si fa più mettere i piedi in testa dall’occidente o dall’imperialismo Usa, come è avvenuto sino a pochi anni fa. Ha significato effettivamente che la bandiera neo-imperiale russa possa sventolare ora con stabilità non solo in Crimea, ma nella base stessa di Humaymim e in quella marittima mediterranea di Tartus. Ha significato che russi e cinesi alleati possano riconfigurare la geopolitica globale ben oltre l’Occidente.
Tutto questo nella psicologia profonda di milioni e milioni di uomini e donne della Federazione russa è ben piů importante di tutto il resto.
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3 commenti:
Sono sostanzialmente d'accordo con l'impostazione dell'articolo,in quanto nella politica degli ultimi anni del Presidente Putin si sono registrati indubbiamente più che errori delle omissioni significative. In primo luogo,come rileva opportunamente l'articolista ( e come notò all'epoca anche il sottoscritto) sulla Grecia. Un deciso sostegno al Paese ellenico,strozzato dall'Ue e sotto i riflettori dei mass-madia,in termini economici e politici,avrebbe significato per la Russia chiudere definitivamente il cerchio dell'annosa questione d'Oriente,cioè la competizione per la presenza russa nel Mediterraneo,iniziata nientemeno che con l'indipendenza greca della guerra di liberazione antiottomana del 1821-1831,proseguita con la guerra di Crimea (1854-55) e infine con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale,dovuto al contenzioso per la Serbia con l'Austria-Ungheria.Per tornare all'oggi,un appoggio russo alla Grecia martoriata dal debito Ue,a livello geo-strategico,economico e militare,sarebbe stata n on solo una spina nel fianco della Nato,ma un formidabile cuneo piantato nel Mediterraneo contro l'Unione Europea e i governi vassalli. In cambio di questa rinuncia ad un'opzione strategica e,forse,risolutiva Putin ha guadagnato solo le sanzioni dell'Ue ed una battuta d'arresto in questo decisivo scacchiere. Altra questione che non si capisce bene è l'eccessiva timidezza sul Donbass,laddove,anche dopo gli accordi di Minsk,un appoggio più incisivo ed un chiaro messaggio di tipo politico-militare,dato l'appoggio della popolazione locale,consistente nell'impiego di tre-quattro brigate di fanteria meccanizzata,basterebbe a ridimensionare la tracotanza dei nazifascisti di Kiev. Che il circo mediatico mondiale si mette poi a strepitare,questo per un leader di statura mondiale può avere una relativa importanza. Cosa fatta,capo ha,come si dice in Toscana.Ed è ciò che viene richiesto a gran voce anche in alcune popolari e seguite trasmissioni televisive in Russia,come "Viecer s Vladimirom Solovjovym" (Sera con Vladimir Solov'jov) a cui intervengono anche ospiti ucraini,che suonano come forte esortazione all'attuale leadership del Cremlino. Quanto infine alla possibile defenestrazione di Putin,ad opera di un movimento arancione,sullo stile di piazza Majdàn,credo sia una prospettiva prematura basata anche sul fatto che,al di là del Quisling o dell'androide di turno (alla Macron) prefabbricato in vitro dalle solite oligarchie mondialiste,non vi sono al momento alternative credibili a Putin,anche perché il popolo russo conserva troppo recente memoria del periodo el'ciniano,in cui spadroneggiavano (con gran plauso dell'Occidente) i vari Khadorkovskij e Berezovskij per fare precipitosamente macchina indietro. Nello De Bellis
Ringrazio il Sign De Bellis per il commento. Sull’Ucraina non penso che vi siano i fascisti o gli islamici al comando ne’ritengo sinceramente che il banderismo sia una forma di fascismo, il contrario direi. Mi attengo a De Felice sul fenomeno fascismo, altrimenti seguirei i sinistrati oggi. Purtroppo, molto peggio che il Fascismo, vi è stato un avanzamento tattico del fronte russofobo e razzista clintoniano, particolarmente fastidioso perché Kiev è il cuore spirituale della Grande Russia. Ritengo però che il presidente Putin, a differenza di quanto esigevano i vari Strelkov Dughin, sia stato molto saggio a non dar fuoco alle polveri. Il tempo lavora per Russia e Cina, allargare il conflitto potrebbe essere negli interessi strategici della frazione imperialista bellicista clintoniana. FS
Perché Putin non interviene ed è eccessivamente timodo?
Se vuole passare dagli attuali trattati mondialisti ad una fase di trattati multilaterali deve evitare rotture guerresche e lavorare di fioretto insieme al new deep state trumpista e contro l'old deep state obama-clintoniano.
Poi all'interno di questi trattati le varie potenze gestiranno i loro conflitti e le loro divergenze con una dinamica instabile, ma prima a questi trattati devono arrivare.
Si pensi ad esempio al trattato della triplice alleanza, fatto in una fase instabile da potenze che avevano delle necessità tattiche convergevano ma anche dei conflitti reciproci non trascurabili sui quali invece divergevano. Esso ebbe una vita travagliata, nato nel 1882 fu poi rinnovato con varie difficoltà nel 1887, 1891, 1896, 1902, 1912. La sua crisi inizia nel 1902 per raggiungere l'agonia finale nel 1912 ormai alle soglie della grande guerra.
Ecco, io penso che una cosa simile stanno cercando di fare le varie potenze oggi. Ma mentre allora c'era un movimento socialista molto vitale, oggi ahimè non sembra vedersi nulla di simile.
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