[ 24 aprile 2019 ]
Il dissidio in seno al governo giallo-verde non è solo una pantomima, e nemmeno, come sostiene l'amico Marco Zanni, una "scaramuccia".
E' una contesa reale, profonda, tra le due frazioni del campo populista, spinte a fare blocco malgrado diano sostanza politica ad aspirazioni sociali e ideali diverse, anzi potenzialmente opposte.
L'una, quella che ha alimentato i 5 Stelle, anch'essa interclassista ma il cui zoccolo duro è prevalentemente proletario e dalle radici meridionaliste; l'altra, quella leghista, certamente ectoplasmatica, ma dall'anima tipicamente borghese-liberista e con radici nordiste. In potenza: la prima nazional-patriottica, l'altra (nascosta dal "sovranismo" federalista salviniano) addirittura anti-nazionale.
La competizione in atto è nient'altro che la sfida per l'egemonia nel campo populista. Una competizione che non vede l'élite indifferente, in cui questa cerca anzi di infilarsi per seminare zizzania e tentare di portare dalla sua parte le frazioni liberiste ed euriste annidate sia nella Lega che nel M5s — ciò nella speranza di poter presto, già in vista della finanziaria lacrime e sangue 2020, cacciare il governo giallo-verde e dare vita ad uno che riporti l'Italia sui binari consueti di obbedienza a Bruxelles, Berlino e Parigi.
Di Maio e Salvini non possono non sapere che un'auto-affondamento sarebbe per sé stessi un disastro ed una manna per i poteri forti italiani poiché spianerebbe loro la strada alla riconquista di Palazzo Chigi. Non solo quelli italiani, evidentemente. L'aristocrazia finanziaria mondiale, l'oligarchia eurocratica, non vedono l'ora di sbarazzarsi del solo governo europeo "populista" che, al netto dei suoi profondi e imperdonabili errori, non ubbidisce ai loro diktat quindi, dal loro punto di vista, rappresenta una minaccia.
Domanda: è nell'interesse del popolo lavoratore e della causa della sovranità nazionale e democratica che questo governo cada? Noi continuiamo a sostenere che non lo è. La situazione sarebbe diversa ove, di contro ai giallo-verdi, vi fosse una opposizione popolare democratica e anti-liberista che avesse la possibilità di portarsi essa al governo del Paese. Non è così purtroppo. Per questo diciamo: teniamoci questo governo, malgrado tutto, altrimenti sarà peggio, molto peggio.
Non si tratta affatto, come ci accusano certi amici, di "menopeggismo". C'è ben altro. La nostra è una posizione tattica che sta dentro una visione strategica, dove dunque il particolare è subordinato al generale e quest'ultimo tiene conto di diversi fattori. E siccome parliamo di fattori essi debbono essere disposti secondo un rango, secondo una gerarchia, con un'ordine ordine d'importanza.
Il quadro strategico per noi non è cambiato con il terremoto elettorale del 4 marzo —preannunciato dalla sconfitta di Renzi al referendum del dicembre 2016. Stesso è il nemico principale: la grande borghesia globalista; stesso è l'ostacolo principale da abbattere: l'Unione euro-pea; uno l'obbiettivo primario: riconquistare la sovranità nazionale.
Chi considera il governo giallo-verde, in quanto governo, il nemico principale commette, in prima battuta, un errore esiziale: non vede (o finge di non vedere) com'è e come funziona effettivamente la mega-macchina liberista globale, quali sono i suoi effettivi centri nevralgici di potere, ovvero che i governi, siano essi democraticamente eletti o meno, non sono che simulacri, organismi accessori. In seconda battuta non vede (o finge di non vedere) che il governo giallo-verde, per le spinte sociali e ideali populistiche che è costretto a rappresentare, è disfunzionale non solo alla casta eurocratica ed ai suoi corifei italiani ma pure all'aristocrazia finanziaria globale — che hanno tutto l'interesse a tenere l'Italia ed il suo popolo lavoratore, col ricatto del debito, in stato di soggezione permanente.
Che le cose stiano così è dimostrato dalla linea di condotta scelta dalla grande borghesia italiana. Vistasi per la prima volta privata di egemonia sociale e della leva del governo, essendo stata costretta a cederlo ai populisti — certo obbligandoli ad riconoscere la tutela del Quirinale e predisponendosi alla controffensiva — essa, spalleggiata da Bruxelles, dai "mercati" (a dalle sinistre più o meno sistemiche), non ha dato tregua al governo giallo-verde e si è dedicata in ogni modo al disfattismo ed al sabotaggio, con l'obbiettivo di chiudere in fretta la fase apertasi col 4 marzo. Fino ad ora non ce l'ha fatta: quella che possiamo chiamare "crisi di direzione politica" della borghesia" si è addirittura accentuata con il collasso del Pd e l'agonia di Fi.
E' un bene o un male che la "fase populista" resti aperta? La nostra risposta è secca: è un bene e per tre ragioni.
Un bene perché questo governo rappresenta un freno, per quanto malandato, alla rivincita della grande borghesia.
Un bene per chi sta in basso perché ove il blocco populista tenesse la posizione di palazzo Chigi non si tornerà alle politiche di austerità e di massacro sociale.
Un bene infine che la "fase populista" resti aperta anche per le minoranze rivoluzionarie (lo accettino o meno) e per la sinistra patriottica.
C'è infatti bisogno di un tempo ulteriore, non solo affinché queste minoranze si aprano un varco. Serve tempo, ma le cose vanno assieme, affinché nell'eterogeneo ed eteronomo campo populista maturino le condizioni di una diversa configurazione e polarizzazione di forze. Detto in altri termini affinché nel campo populista vengano in superficie le contraddizioni ora solo latenti. Solo da una crisi del campo populista potrà infatti sorgere un polo rivoluzionario di massa.
C'è crisi e crisi, chiusura di fase e chiusura di fase. Un'implosione adesso del campo populista andrebbe anzitutto a vantaggio delle forze sistemiche, che riuscirebbero così a rinsaldare il loro predominio. Un simile evento sarebbe una disgrazia perché, confermerebbe l'idea che il sistema è imbattibile e che nessuna alternativa è praticabile.
Le minoranze rivoluzionarie non avrebbero niente, ma proprio niente da guadagnare ove prevalesse il clima di disincanto, disillusione e frustrazione di massa (vedi la Grecia).
Nessuna concessione dunque al governo, contestarlo quando cede al nemico, incalzarlo quando tentenna, difenderlo quanto il nemico lo attacca.
Il dissidio in seno al governo giallo-verde non è solo una pantomima, e nemmeno, come sostiene l'amico Marco Zanni, una "scaramuccia".
E' una contesa reale, profonda, tra le due frazioni del campo populista, spinte a fare blocco malgrado diano sostanza politica ad aspirazioni sociali e ideali diverse, anzi potenzialmente opposte.
L'una, quella che ha alimentato i 5 Stelle, anch'essa interclassista ma il cui zoccolo duro è prevalentemente proletario e dalle radici meridionaliste; l'altra, quella leghista, certamente ectoplasmatica, ma dall'anima tipicamente borghese-liberista e con radici nordiste. In potenza: la prima nazional-patriottica, l'altra (nascosta dal "sovranismo" federalista salviniano) addirittura anti-nazionale.
La competizione in atto è nient'altro che la sfida per l'egemonia nel campo populista. Una competizione che non vede l'élite indifferente, in cui questa cerca anzi di infilarsi per seminare zizzania e tentare di portare dalla sua parte le frazioni liberiste ed euriste annidate sia nella Lega che nel M5s — ciò nella speranza di poter presto, già in vista della finanziaria lacrime e sangue 2020, cacciare il governo giallo-verde e dare vita ad uno che riporti l'Italia sui binari consueti di obbedienza a Bruxelles, Berlino e Parigi.
Tuttavia escludo che il governo possa cadere, causa sui
Di Maio e Salvini non possono non sapere che un'auto-affondamento sarebbe per sé stessi un disastro ed una manna per i poteri forti italiani poiché spianerebbe loro la strada alla riconquista di Palazzo Chigi. Non solo quelli italiani, evidentemente. L'aristocrazia finanziaria mondiale, l'oligarchia eurocratica, non vedono l'ora di sbarazzarsi del solo governo europeo "populista" che, al netto dei suoi profondi e imperdonabili errori, non ubbidisce ai loro diktat quindi, dal loro punto di vista, rappresenta una minaccia.
Domanda: è nell'interesse del popolo lavoratore e della causa della sovranità nazionale e democratica che questo governo cada? Noi continuiamo a sostenere che non lo è. La situazione sarebbe diversa ove, di contro ai giallo-verdi, vi fosse una opposizione popolare democratica e anti-liberista che avesse la possibilità di portarsi essa al governo del Paese. Non è così purtroppo. Per questo diciamo: teniamoci questo governo, malgrado tutto, altrimenti sarà peggio, molto peggio.
L'ordine dei fattori
Non si tratta affatto, come ci accusano certi amici, di "menopeggismo". C'è ben altro. La nostra è una posizione tattica che sta dentro una visione strategica, dove dunque il particolare è subordinato al generale e quest'ultimo tiene conto di diversi fattori. E siccome parliamo di fattori essi debbono essere disposti secondo un rango, secondo una gerarchia, con un'ordine ordine d'importanza.
Il quadro strategico per noi non è cambiato con il terremoto elettorale del 4 marzo —preannunciato dalla sconfitta di Renzi al referendum del dicembre 2016. Stesso è il nemico principale: la grande borghesia globalista; stesso è l'ostacolo principale da abbattere: l'Unione euro-pea; uno l'obbiettivo primario: riconquistare la sovranità nazionale.
Chi considera il governo giallo-verde, in quanto governo, il nemico principale commette, in prima battuta, un errore esiziale: non vede (o finge di non vedere) com'è e come funziona effettivamente la mega-macchina liberista globale, quali sono i suoi effettivi centri nevralgici di potere, ovvero che i governi, siano essi democraticamente eletti o meno, non sono che simulacri, organismi accessori. In seconda battuta non vede (o finge di non vedere) che il governo giallo-verde, per le spinte sociali e ideali populistiche che è costretto a rappresentare, è disfunzionale non solo alla casta eurocratica ed ai suoi corifei italiani ma pure all'aristocrazia finanziaria globale — che hanno tutto l'interesse a tenere l'Italia ed il suo popolo lavoratore, col ricatto del debito, in stato di soggezione permanente.
Che le cose stiano così è dimostrato dalla linea di condotta scelta dalla grande borghesia italiana. Vistasi per la prima volta privata di egemonia sociale e della leva del governo, essendo stata costretta a cederlo ai populisti — certo obbligandoli ad riconoscere la tutela del Quirinale e predisponendosi alla controffensiva — essa, spalleggiata da Bruxelles, dai "mercati" (a dalle sinistre più o meno sistemiche), non ha dato tregua al governo giallo-verde e si è dedicata in ogni modo al disfattismo ed al sabotaggio, con l'obbiettivo di chiudere in fretta la fase apertasi col 4 marzo. Fino ad ora non ce l'ha fatta: quella che possiamo chiamare "crisi di direzione politica" della borghesia" si è addirittura accentuata con il collasso del Pd e l'agonia di Fi.
Tre ragioni
E' un bene o un male che la "fase populista" resti aperta? La nostra risposta è secca: è un bene e per tre ragioni.
Un bene perché questo governo rappresenta un freno, per quanto malandato, alla rivincita della grande borghesia.
Un bene per chi sta in basso perché ove il blocco populista tenesse la posizione di palazzo Chigi non si tornerà alle politiche di austerità e di massacro sociale.
Un bene infine che la "fase populista" resti aperta anche per le minoranze rivoluzionarie (lo accettino o meno) e per la sinistra patriottica.
C'è infatti bisogno di un tempo ulteriore, non solo affinché queste minoranze si aprano un varco. Serve tempo, ma le cose vanno assieme, affinché nell'eterogeneo ed eteronomo campo populista maturino le condizioni di una diversa configurazione e polarizzazione di forze. Detto in altri termini affinché nel campo populista vengano in superficie le contraddizioni ora solo latenti. Solo da una crisi del campo populista potrà infatti sorgere un polo rivoluzionario di massa.
C'è crisi e crisi, chiusura di fase e chiusura di fase. Un'implosione adesso del campo populista andrebbe anzitutto a vantaggio delle forze sistemiche, che riuscirebbero così a rinsaldare il loro predominio. Un simile evento sarebbe una disgrazia perché, confermerebbe l'idea che il sistema è imbattibile e che nessuna alternativa è praticabile.
Le minoranze rivoluzionarie non avrebbero niente, ma proprio niente da guadagnare ove prevalesse il clima di disincanto, disillusione e frustrazione di massa (vedi la Grecia).
Nessuna concessione dunque al governo, contestarlo quando cede al nemico, incalzarlo quando tentenna, difenderlo quanto il nemico lo attacca.
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2 commenti:
Dunque dopo le elezioni abbiamo due ipotesi. O il governo cade e provano a mandarci Draghi, oppure il governo resiste e si continua a galleggiare sul filo di mezze misuricchie e mezzi tagli.
Considerando che nessuno di loro riesce ad andare fino in fondo e che non si sa neppure se stavolta sono davvero capaci di imporci il tecnico di loro gradimento come in passato, forse la seconda è l'ipotesi più probabile, forse.
Il tutto sullo sfondo dello psicodramma brexit che ancora non si sblocca ma chi può dirlo.
Che vita grama, che grama vita.
Molto bene, ottima analisi.
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