venerdì 12 aprile 2019

LA DISTOPIA DELLA "CONFEDERAZIONE EUROPEA" di Moreno Pasquinelli

[ 12 aprile 2019 ]




Premessa


Non fu solo perché il campo del "sovranismo" era oramai saldamente colonizzato dalle destre nazionaliste-xenofobe che noi decidemmo un anno fa di definirci sinistra patriottica — spiegammo quindi cosa ciò significhi per noi.
Un sintagma, quello di sinistra patriottica, dirimente, e non solo dal lato di quelli che ci considerano "rossobruni" (poiché impugniamo la questione della sovranità nazionale), lo è pure nell'area della variopinta sinistra-più-o-meno-no-euro. Questa sinistra, al netto di tutto il resto, è infatti divisa. Ci sono al suo interno, non vi sembri un paradosso, non solo quelli che considerano oramai obsoleta e fuori corso la dicotomia sinistra-destra —avemmo modo anni addietro di spiegare perché non lo fosse affatto—; ci sono coloro che
hanno del tutto rimosso la centralità della sollevazione popolare — senza la quale secondo noi non ci si libererà da un bel niente e la riconquista piena della sovranità nazionale e democratica è una chimera. Ci sono infine coloro i quali, alla domanda "cosa proponete al posto dell'Unione europea?", rispondono: "una "Confederazione europea di stati sovrani". Proveremo a spiegare perché quella della "Confederazione europea" è una distopia, un miraggio, quindi uno slogan politico deviante.


Cos'è una confederazione?



Cos'è infatti una Confederazione? ce ne sono mai state? E se sì, che fin han fatto?
Così l'Enciclopedia UTET:
«Confederazione, unione organizzata permanente di stati, avente lo scopo della comune difesa esterna dei membri e del mantenimento della pace fra essi. Questa Unione, a differenza dello stato federale, che è un'unione di diritto interno, è un'unione di diritto internazionale, costituita cioè in base a norme di diritto internazionale, poste da un trattato o patto confederale, il quale costituisce il fondamento dell'unione. Ogni confederazione si costituisce fra un gruppo di stati confinanti, aventi interessi comuni nel campo dell'attività internazionale».
Vediamo se riusciamo ad essere più precisi. Si ha una Confederazione quando, in un contesto internazionale policentrico e conflittuale (ovvero segnato dalla contesa per il predominio regionale o globale) un gruppo di stati aventi interessi convergenti, stipulano un patto in cui sanciscono comuni finalità geopolitiche, da cui discendono dunque l'inderogabile tutela e difesa collettiva da ogni eventuale nemico, ciò sia in tempo di pace, a maggior ragione in tempo di guerra. La qual cosa implica, da parte di ogni Stato, la cessione di quote di sovranità ad un organismo esecutivo confederato nei campi di reciproco interesse (difesa, politica estera, commercio).

In epoca moderna, cioè capitalistica — che per sua stessa natura non è irenica ma segnata dalla spietata concorrenza economica con gli stati a fare da guardiani ai loro mercati e capitalismi nazionali —, i casi di entità confederali si contano nel palmo di una mano. Quella  delle 13 ex colonie inglesi del Nordamerica, durata solo nove anni (1781-1789);  quella svizzera tra il 1814 e il 1848; infine quella germanica dopo il Congresso di Vienna del 1815. Nessuna è quindi durata a lungo e tutte sono state forme propedeutiche e ancillari di forti stati nazionali, federali o meno. 

Il caso più recente di entità confederale è quello sorto sulle ceneri dell'URSS, ovvero la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Nata nel 1991 essa sopravvive, date le forze centrifughe, più che altro in forma simbolica visto che i suoi organismi esecutivi nulla decidono e se qualcosa decidono è per formalizzare quanto stabilito dal dominus russo. Degno di nota che nel 2005 la CSI, malgrado non sia riuscita a concordare una comune politica di difesa, ha creato una zona di libero scambio tra gli stati membri.


A proposito di forme aleatorie simil-confederative possiamo citare L'Unione Africana, la Lega Araba, l'Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, il Mercosur l'ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe). Non stupitevi se affermiamo che la NATO è invece una forma tutt'altro che liquida di confederazione, e non a caso sulle sue basi, ed in perfetto parallelismo, ha preso forma il processo d'integrazione europea.

Ma qual è per la precisione l'idea di Europa confederale che hanno certi compagni?

Lo spettro di De Gaulle ...


Il compagno e amico Manolo Monereo è senza dubbio colui che da tempo e con più forza ha difeso, come alternativa all'Unione europea, la prospettiva di una futura
confederazione degli stati europei. Oltre che in diversi articoli, ne parla ampiamente nel suo saggio España: un proyecto de liberación. Nell'introduzione, a difesa di un "progetto
democratico nazional-popolare all'altezza dei tempi" spiega:

«L'Europa neoliberale ci spinge verso il sottosviluppo sotto l'occhio vigile di classi dominanti che mancano di qualsiasi progetto nazionale. In questo contesto, l'obiettivo deve essere quello di recuperare la sovranità e ricostruire lo Stato su basi democratiche, e questo può essere fatto solo combinando due
aspetti diversi e complementari: la difesa di uno Stato federale [spagnolo, nda] basato sull'unione libera e volontaria di tutte le nazioni che ne fanno parte; e l'impegno per un'Europa confederale che rispetti la sovranità degli Stati e promuova la pace e la cooperazione tra i popoli, allontanandosi dagli Stati Uniti.  Cioè, uno stato federale [spagnolo, nda] in un'Europa confederale».
Monereo, sulla cui onestà intellettuale non è ammesso dubitare, non ha mai nascosto la paternità gollista dell'idea di un'Europa confederata. Ed infatti è proprio così. Vediamo dunque in cosa davvero consisteva il progetto di De Gaulle.

Alla fine degli anni '50, per diversi fattori, tra cui il dissidio anglo-francese che per quello anglo-americano, il processo di integrazione europeo conobbe una paralisi. E' in questo contesto che De Gaulle avanzò l'idea della Confederazione europea (occidentale, non certo quindi con la Russia), più precisamente la "Europa delle patrie". Chi ritiene che il suo progetto fosse opposto a quello neoliberale prende un abbaglio: De Gaulle non era solo un convinto partigiano del mercato comune fondato sul liberoscambismo, pensava altresì che solo sulla base un "asse franco-tedesco" (con gli altri paesi come gregari) il processo d'integrazione sarebbe potuto avanzare. E' in questa cornice che De Gaulle immaginava un'Europa (occidentale) come  "terza forza" tra USA e URSS e sotto la primazia strategica francese — in questi anni Parigi lancia la "force de frappe", si dota della bomba atomica e nel 1966 uscì (vi rientrerà 40 anni dopo) dal Comando integrato della NATO. Con il "Piano Fouchet" la  Francia mise nero su bianco questo progetto. 

Come segnala l'europeista Paolo Caraffini:
«Il problema per de Gaulle era quello di conciliare il suo radicale attaccamento a una visione tradizionale della statualità, fondata sulla sovranità assoluta dello Stato-nazione, e le esigenze del mondo contemporaneo che, già all’epoca, spingevano nella direzione di un suo superamento per la costruzione, almeno in Europa occidentale, di un ordinamento sovranazionale e integrato a vocazione federale. Queste due esigenze contraddittorie, che del resto condizionano spesso l’azione della classe politica, trovarono nella dottrina politica gollista una soluzione nella proposta, appunto, di un assetto confederativo per il Vecchio continente, che, a partire dal riconoscimento che i soli soggetti dotati della necessaria legittimità rimanevano gli Stati, prefigurava una forma di unione politica ed economica fondata sulla cooperazione intergovernativa istituzionalizzata e sul rispetto della sovranità assoluta delle parti contraenti».
Il progetto gollista fallì, e ciò accadde appunto perché non potevano stare assieme il diavolo e l'Acqua santa, la sovranità assoluta degli stati-nazione europei ed un ordinamento a
vocazione federativa. 

Sarebbe tuttavia un errore pensare che l'attuale Unione europea sia l'opposto di quella confederativa che immaginava De Gaulle. Al contrario, essa ne mantiene tre aspetti essenziali: la centralità egemonica dell'asse franco-tedesco, il mercato unico e, infine,  l'assetto istituzionale fondato su un Consiglio intergovernativo dai pieni poteri e le cui decisioni prese all'unanimità sono vincolanti, ed un Parlamento con poteri meramente consultivi.

I compagni e gli amici che vorrebbero opporre la Confederazione europea all'attuale assetto dell'Unione non si avvedono che quest'ultima è già, in effetti, un'entità confederale. La differenza, certo importante, con quella immaginata da De Gaulle, al netto di tutti gli altri fattori, è che l'Unione a posto la moneta unica come suo pilastro.


... e quello di Lenin


Mimmo Porcaro, in un articolo a difesa del manifesto sottoscritto con Patria e Costituzione e Senso Comune è colui che ha argomentato con più coerenza la strategia confederazionistica. Ha scritto il 20 marzo scorso:
«Si deve quindi da un lato insistere sulle evidenze: è evidente che l’Unione è piuttosto “disunione” europea: si veda la vicenda migranti; è evidente che l’euro ci danneggia: si vedano i risultati economici e si ascoltino le opinioni di decine di economisti, Nobel inclusi; è quindi evidente che così non si può andare avanti. Poi si deve battere sul tasto della responsabilità e della ragionevolezza: chiunque non si prepara all’exit unilaterale è un irresponsabile, perché una grave crisi dello spread può imporre in ogni momento l’uscita; ma noi ragionevolmente preferiamo in prima battuta uscire in maniera negoziata, e intanto lavorare sull’ipotesi di una Confederazione europea di stati sovrani, sia per minimizzare i costi dell’exit, sia per aprire una nuova prospettiva continentale, orientata alla piena occupazione ed alla pace. E’ chiaro che anche quest’ultima proposta sarebbe tale da scatenare una reazione: ma il consenso alla nostra linea sarebbe maggiore, e maggiori i margini di manovra. In ogni caso, c’è sempre l’opzione unilaterale».  [sottolineatura nostra]
Ci sbaglieremo ma questo discorso a noi pare uno stratagemma, un espediente cosmetico per essere accettati come potabili da certa sinistra "radicale" che lancia anatemi e scomuniche di "rossobrunismo" contro chiunque metta al primo posto la battaglia per la  sovranità nazionale e l'uscita dall'euro. In apparenza l'argomento di Porcaro è una versione non-economicistica del fantasmatico "piano B" (quello, per capirci di Mélenchon e che quest'ultimo ha chiuso in un cassetto): in prima battuta smontare consensualmente l'Unione e costruire al suo posto una Confederazione e, come soluzione subordinata, leggi estrema, "l'uscita unilaterale".

E' davvero "ragionevole" questa strategia? Non lo è per niente. E non lo è perché non risolve la contraddizione che fece fallire il piano di De Gaulle e spiega l'attuale marasma in cui si dimena l'Unione: non possono stare assieme il diavolo e l'Acqua santa, la sovranità assoluta degli stati-nazione europei ed un ordinamento sovranazionale: nemmeno la forma confederativa, a meno che non sia un'accozzaglia puramente formale in stile Lega araba et similia, può risolvere questa contraddizione. Senza dimenticare che ogni forma di unione, per quanto confederativa, implica, da parte degli stati che ne fanno parte, cessioni di quote rilevanti di sovranità. Come minimo singolare che chi oggi ripropone la soluzione confederativa si guarda bene dall'indicare di quali quote esattamente uno Stato dovrebbe privarsi per devolverle al potere confederale.

Su basi capitalistiche, tanto più se parliamo di nazioni storiche di natura imperialistica (quali sono i paesi dell'Europa occidentale), non è possibile risolvere questa contraddizione poiché sono insopprimibili i contrasti tra essi, tanto più ciò è vero in contesto di rifluesso della globalizzazione e di stagnazione economica generale che accentua i fattori di attrito e di  competizione. O meglio, come le vicende dell'Unione mostrano, unioni inter-statali capitalistiche finiscono per strutturarsi con un centro (dominante) e una periferia (subalterna).

E' noto come a con Lenin avesse duramente condannato l'idea degli "Stati uniti d'Europa". Ci si risponderà che la Confederazione non è "Stati Uniti". Vero, ma resta valida la sostanza della critica leniniana: è un'utopia reazionaria quella di aggruppare, quale sia la forma, stati imperialisti, poiché quest'unione non sarebbe che un consorzio di briganti per meglio depredare i paesi "arretrati". Seguendo la visione di Lenin, cioè badando al contenuto economico e politico della questione, solo su basi socialiste è immaginabile in Europa un'unione armonica di nazioni, la qual cosa per il rivoluzionario russo significava preaparare la dissoluzione quindi la fusione degli stati nazionali.

Porcaro si sofferma dunque lungamente sull'aspetto e la portata geopolitici della Confederazione europea. Sentiamo:

«L’idea, remota quanto si vuole, di una Confederazione risponde ad esigenze strategiche non secondarie. L’exit, comunque declinata, rompe di fatto una posizione geopolitica che data più o meno dal 1945. Una simile rottura implica mutamenti, oltre che nelle alleanze internazionali, nelle alleanze sociali interne e nello stesso apparato di stato: cose che non si realizzano dall’oggi al domani. E’ assolutamente vero che questa fase storica di “multipolarizzazione” del mondo ci apre prospettive mai viste prima (senza le quali non si potrebbe nemmeno accennare all’ exit) e che la rabbia del popolo italiano può crescere e riuscire a motivare una battaglia assai aspra: lo scontro imperialistico mondiale e lo scontro sociale interno sono la realtà che legittima e rende fattibili le nostre proposte.  (...)
E’ in questo contesto che la proposta della Confederazione prende corpo: per giocare (questa volta dal lato dell’Europa), sul conflitto Usa/Unione, e per ampliare il numero degli interlocutori possibili e lo spazio del nostro “gioco”. E qualora questa strada fosse del tutto impraticabile si potrebbe lavorare ad una proposta che affianchi (e in parte compensi) la rottura economica con un’alleanza politica volta ad arginare l’aggressività Usa».
Preso atto che nel frattempo (per l'esattezza nel giro di nemmeno due anni) Porcaro ha del tutto abbandonato l'altra aleatoria proposta del "polo Mediterraneo", scopriamo, particolare di straordinaria importanza, che da nessuna parte si propone di incorporare la Russia in questa cosiddetta "Confederazione europea" (profonda differenza con quanto invece sostiene Manolo Monereo), che quindi sì, essa appare come una metamorfosi dell'attuale Unione europea. Porcaro non ha peli sulla lingua, afferma  che la sua Confederazione, entro il mondo multipolare, sarebbe un mezzo per "giocare dal lato dell'Europa" il conflitto con gli USA. Ci perdonerà Porcaro, ma questa è sembra un'aperta perorazione delle ambizioni imperialistiche certo super-capitalismo europeista, la qual cosa, che Lenin avrebbe definito "reazionaria", non diventa digeribile solo perché in funzione anti-USA. Non sarà un caso che questa idea di Confederazione sia perorata dalla Le Pen in Francia mentre, qui in Italia, è il cavallo di battaglia dei post-fascisti Fratelli d'Italia, di alcuni beluscones e a pare di capire anche della Lega. Ovvero di pressoché tutto l'altreuropeismo di destra.

E ci perdonerà di nuovo, Porcaro se, stante che la sua Confederazione europea resta appoggiata su basi capitalistiche e imperialistiche, per di più con la Russia esclusa, appare non solo come un cedimento allo "altreuropeismo" ma un facsimile degli Stati Uniti d'Europa, che è appunto la proposta degli europeisti tutti d'un pezzo — in Italia del grosso dell'élite borghese e per suo conto anzitutto  il Pd. Esageriamo? Non ci pare. Tanto più dopo il terremoto sociale e politico che negli
USA ha portato Trump alla Casa bianca l'ala dura dell'europeismo non si fa scrupoli a giustificare il passaggio agli "stati Uniti d'Europa" come via per sganciare l'Unione dalla tutela nordamericana quindi, per fare dell'Europa una grande potenza egemonica globale (imperialistica) nel nuovo ordine multipolare.

On s'engage et puis... on voit


Può essere, un'Europa imperialistica, in qualsiasi maniera confederata, nell'interesse dei popoli, delle classi lavoratrici? Può essere, una confederazione su basi capitalistiche, il luogo di un demos unificato e democratico? Può essere funzionale nella prospettiva di riconsegnare alle nazioni sovranità politica? Può essere un sentiero viabile in vista di una fuoriuscita dal marasma capitalistico?

A queste quattro domande — anche volendo tralasciare i fattori di natura storica, linguistica, culturale e identitaria propri delle nazioni europee — non possono che corrispondere quattro no belli e rotondi.

Invece di lambiccarsi il cervello nel tentativo di escogitare qualche formula geopolitica europeista "ragionevole" e futuribile occorre, nel contesto storico dato segnato dalla crisi non solo della Ue ma della globalizzazione e delle politiche liberoscambiste, pensare a come riconquistare la sovranità nazionale, evitando che questo processo di riconquista sia capeggiato da forze nazionaliste e scioviniste.

In una fase storica segnata dalla accentuazione delle competizioni imperialistiche tra blocchi, dalla latenza di grandi convulsioni — che potrebbero diventare conflitti militari aperti —, nessuno, né a Washingoton, né a Mosca o a Pechino, è in grado di prevedere quali effettivamente sarà l'assetto mondiale futuro. In questo quadro chi vaticina un fantomatico blocco europeo (confederato o meno) oltre a restare impigliato in uno stratosferico astrattismo politico, rischia di diventare una pedina delle ambizioni egemoniche dell'asse franco-tedesco, quindi del grande capitalismo italiano che alla saldatura con quell'asse aspira.

Stiamo forse dicendo di navigare a vista? Che una strategia globale non è necessaria? Per niente. Stiamo dicendo che prima di tutto occorre al nostro Paese riconquistare la sua piena sovranità politica, economica e statuale. E questa non la si ottiene senza un'accanita lotta di liberazione per uscire dall'Unione europea, lotta che deve vedere le masse popolari come protagoniste, che quindi chiede alla sinistra patriottica fermezza, coraggio, tenacia, lucidità strategica e tattica, quindi evitare ogni cedimento e oscillazione.

Lasciateci citare, prima di concludere, ancora Lenin, uno che certo di strategia se ne intendeva). Prima di morire egli ebbe a scrivere:
«Non c'è che dire, un manuale scritto alla maniera di Kautsky era molto utile ai suoi tempi. Ma è ormai venuto il momento di abbandonare una buona volta l'idea che questo manuale avrebbe previsto tutte le forme dell'ulteriore sviluppo della storia mondiale. Coloro che pensano in questo modo dovrebbero essere tempestivamente proclamati puri imbecilli»
Quindi, citando Napoleone concluse: «"On s'engage et puis... on voit". Liberamente tradotto, ciò significa: "Prima bisogna impegnarsi in un combattimento serio e poi si vedrà"».

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Napoleone ha fatto una finaccia!!!

peter patti ha detto...

Ottimo articolo.

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