[ 6 aprile 2018 ]
«Dobbiamo stare con il popolo, che ha le idee assai più chiare di tanti pensatori che si spaventano davanti all'ignoto».
Aldo Giannuli ha dunque salutato il Movimento Cinque Stelle. Per la verità la scelta non sorprende vista la sua dichiarazione di voto del febbraio scorso. Dichiarazione pittoresca assai, visto l'annuncio di un voto simultaneo a Potere al Popolo (alla Camera), di uno a M5S (Senato), di un terzo nientemeno che a Liberi e Uguali (Regione Lombardia).
Tornando all'oggi, quel che colpisce non è dunque la scelta, quanto le argomentazioni che la motivano, che ci rimandano a quel problema di "estraneità dal contesto" che caratterizza l'intera sinistra italiana.
La nostra netta divergenza con Giannuli non sta infatti nel posizionamento verso M5S. Chi scrive, al pari dello storico milanese, non ne ha mai fatto parte, lo ha sostenuto criticamente (anche con il voto) in passato, mentre lo ha sempre più apertamente disapprovato negli ultimi tempi.
Nulla da dire quindi sulle critiche all'attuale gestione Di Maio, sulla sua immagine neo-democristiana, sul suo moderatismo, sul suo europeismo, sulla sua assidua frequentazione con alcune cupole del potere economico e finanziario. Quelle critiche sono giuste, le abbiamo sempre fatte apertamente e non c'è altro da aggiungere.
Qual è allora il problema? Il problema è che Giannuli ritiene che M5S abbia compiuto semplicemente una "svolta a destra", mentre la cosa è molto, ma molto più complessa. Ecco cosa scrive:
Il tema su cui confrontarsi è dunque ben definito: sarebbe, oppure no, una svolta a destra un eventuale governo con la Lega? Giannuli pensa certamente di sì. Viceversa, noi pensiamo l'esatto contrario, visto che l'alternativa sarebbe un'alleanza governativa con il Pd, quella sì un vero suggello a quel percorso di normalizzazione di M5S che pure il Nostro denuncia.
Riguardo alla ricostruzione della "svolta a destra", c'è da dire che l'argomentare del Giannuli è debole assai in almeno tre passaggi.
Il primo sta nella contrapposizione tra un movimento delle origini fondato sulla democrazia diretta, rovesciata oggi in mero antiparlamentarismo. Su questo terreno M5S era criticabile cinque anni fa, tre anni fa, come è criticabile oggi. L'illusione della democrazia diretta ha sempre — sottolineo, sempre — fatto a pugni sia con le reali modalità decisionali del movimento, sia con le concrete necessità della politica che non possono quasi mai prescindere dal meccanismo della delega.
Il secondo riguarda la legge elettorale. Secondo il Nostro il movimento delle origini era «per la legge proporzionale», mentre oggi si appresterebbe «a sostenere il ritorno ad una qualche forma di maggioritario». Come si possa raccontare una simile novella è misterioso assai. Se purtroppo è vero che la tentazione di un maggioritario ancor più forte (ricordiamoci che il Rosatellum lo è già al 36%) è reale, è invece assolutamente falso che M5S sia mai stato per la proporzionale. Non lo è stato il movimento delle origini, che casomai pendeva per l'iper maggioritario del Mattarellum; non lo è stato quando è arrivato (nel 2014) ad elaborare il cosiddetto Democratellum, cioè un sistema simil-spagnolo, proporzionale solo all'apparenza, maggioritario e non poco nella sostanza.
E qui, mi dispiace, ma occorre essere piuttosto severi, dato che si arrivò a quel parto anche attraverso una sorta di consulenza al processo decisionale in rete da parte di un certo professor Aldo Giannuli... Di sicuro non un caso di omonimia...
Il terzo passaggio che lascia perplessi è quello sull'euro. Posto che il Nostro non è certo un no-euro, egli rimprovera giustamente M5S per il progressivo slittamento filo-eurista degli ultimi tempi. Solo che contrappone un mai esistito «M5s di Roberto Casaleggio contrario all’Euro senza se e senza ma», all'attuale deriva in cui «si prospetta l’adesione al gruppo più eurista del parlamento europeo, En Marche». Come dire, una falsità ed una suggestione. La falsità è che Casaleggio rappresentasse l'anima no-euro di M5S, visto che perlomeno a noi è sempre apparso vero piuttosto il contrario. La suggestione riguarda En Marche, cioè il partito dell'ambizioso Macron.
E' vero, in un recente intervento sulla stampa italiana, l'uomo che cura le alleanze europee per il presidente francese, Shahin Vallée, ha corteggiato il partito di Di Maio come altre forze convertitesi alla riformabilità dell'Unione (ad esempio Diem, il movimento di Varoufakis). Ma lo ha fatto con un preciso auspicio: la (testuale) «syrizazione di M5S», concetto che dovrebbe far fischiare le orecchie in primo luogo dalle parti di quella sinistra sinistrata verso cui il Nostro sembra adesso dirigersi. Concetto, quello della syrizazione, contrapposto non casualmente dal francese all'ipotesi di un governo M5S-Lega, questo sì visto come il peggiore di tutti i mali da Vallée come da tutti gli esponenti dell'oligarchia europea. Insomma, se il problema è davvero quello di fermare la svolta eurista dei Cinque Stelle, quale miglior vaccino di un'alleanza con la Lega?
Orbene, chiarito che la ricostruzione di Giannuli è quantomeno di comodo, noi non neghiamo di certo — anzi! — la svolta subita dal Movimento Cinque Stelle. Decine di articoli, in particolare nell'ultimo anno, sono lì a dimostrarlo. Ma è semplicemente una svolta a destra, come pensa il Nostro, o è piuttosto una svolta moderata (neo-democristiana, abbiamo detto) tendente a non urtare troppo le compatibilità sistemiche interne ed europee? Noi propendiamo nettamente per questa seconda lettura. Che — si badi — non è meno severa verso M5S della prima. Semplicemente è molto diversa, non solo nell'analisi, ma ancor di più al fine di ogni ragionamento sulle prospettive politiche del nostro Paese.
Quando si esamina un partito, specie se delle dimensioni raggiunte dai Cinque Stelle, non ci si può limitare alle tattiche ed alle strategie dei gruppi dirigenti. Bisogna anche interrogarsi sul blocco sociale che ne determina sia la base che il consenso elettorale. Chiedendosi, con riferimento a quest'ultimo, quali siano le aspettative che lo rendono nel nostro caso così consistente. Il tutto visto nel contesto generale, che con il voto del 4 marzo è quello di un Paese che chiede un profondo cambiamento politico e sociale, a partire da un deciso stop alle politiche di austerità.
Sia la natura intrinseca del blocco sociale pentastellato (che non è certo catalogabile come di destra), che l'oggettiva incompatibilità sistemica della domanda sociale che esso esprime, rende di fatto il Movimento Cinque Stelle un aggregato altamente instabile, che nessuna alchimia del vertice potrà sopire fino in fondo. Un discorso non troppo dissimile riguarda la Lega, dove tenere insieme (tanto per fare un esempio) la giusta abolizione della Legge Fornero con l'ultra-liberista Flat tax sarà semplicemente impossibile.
Ma proprio il mix tra la domanda sociale e politica generata, e la contraddittorietà (ed inadeguatezza) delle soluzioni proposte, potrà essere il vero propellente di un processo aperto a sviluppi più avanzati, quantomeno rispetto al decisivo nodo europeo. Un processo aperto, giova precisarlo, proprio perché espressione di un effettivo fermento popolare, certamente confuso, da non enfatizzare ma neppure da sottovalutare.
Torniamo ora a Giannuli, ponendo in conclusione tre domande secche. La prima, è possibile restare indifferenti rispetto alla questione del governo? Secondo, cosa dobbiamo augurarci: un governo destra-Pd, uno M5S-Pd od uno Cinque Stelle-Lega? La terza, qual è la cosa più a sinistra che può fare M5S?
La prima domanda è retorica solo fino ad un certo punto. Per noi è ovvio che l'indifferenza — che sarebbe, in ultima istanza, un'indifferenza verso le sorti del popolo lavoratore — è inaccettabile. Ma è così per tutti? Non si direbbe. Nel tradizionale recinto della sinistra, e perfino in aree che hanno maturato una sana posizione no-euro e no-UE, non è così. La questione del governo è un tabù sul quale non si spiccica parola. Che è poi l'atteggiamento, rivelatore assai, dello stesso Aldo Giannuli. Eppure un tempo, in simili frangenti, la questione del «che fare» era il primo pensiero di ogni militante della sinistra. Non sarebbe bene tornare a certe usanze?
Meglio si possono però comprendere le cose passando alla seconda domanda. Lasciando qui perdere lo scenario di un governo destra-Pd, dal quale non dovremmo aspettarci altro che le politiche di sempre al servizio dei soliti gruppi dominanti, quale la scelta migliore di M5S: un'alleanza con la Lega, od una con il Pd? Su questo Giannuli è reticente, ma tanti spingono per gettare Di Maio nelle braccia del Pd. Uno tra tutti il solito Travaglio, uno che ai predicozzi moralisti fa sempre seguire uno sbocco ben chiuso nel recinto del sistema di lorsignori. Ebbene, se così andassero le cose, si tratterebbe di un autentico disastro. Per almeno tre motivi. Primo, perché non vi sarebbe alcuna svolta politica; secondo, perché l'Europa potrebbe così contare sui soliti fedelissimi cani da guardia; terzo, perché il fallimento certo di un simile governo lascerebbe come unica alternativa sul campo una destra autoritaria ed iper-liberista.
Veniamo ora alla terza domanda. E lo facciamo dicendo chiaramente che lo sbocco più avanzato (dunque, se vogliamo, più a sinistra) dell'attuale crisi politica italiana è solo un governo M5S-Lega. Lo abbiamo spiegato in vari modi, lo ripetiamo per l'ennesima volta. Qui il nodo è l'Europa. E senza affrontarlo di petto non c'è alcun cambiamento possibile. Un governo che includa o il Pd o Forza Italia sarebbe appunto il governo della conservazione. Per definizione il governo della destra.
Viceversa, un governo M5S-Lega si porrebbe oggettivamente come il governo del cambiamento, visto che questo è il mandato che li ha sospinti così in alto nei consensi Certo, non ci sfugge, un cambiamento contraddittorio. Ma che aprirebbe, inevitabilmente — al di là delle stesse intenzioni di Di Maio e Salvini — il conflitto con la cupola eurista di Bruxelles e Francoforte. E questo alla fine è quel che conta. Si, lo so, sarebbe solo un inizio. Ma sempre meglio un inizio che la morta gora delle ipotesi alternative.
Comprendo l'obiezione: destra non è solo conservazione, ma anche una determinata cultura, una determinata visione del mondo, con tutte le conseguenze del caso. Giusto, è così. Ma come pensiamo di contrastare l'ondata di destra che percorre l'intera Europa, alleandosi con le forze della conservazione sistemica per il timore del peggio, o cercando di indirizzare la grande spinta al cambiamento anti-oligarchico (che di per sé non è certo di destra) verso sbocchi che rimettano al centro la prospettiva di una nuova società?
La risposta non dovrebbe lasciare adito a dubbi. Dobbiamo stare con il popolo, che ha le idee assai più chiare di tanti pensatori che si spaventano davanti all'ignoto.
Tante volte, in passato, ci è capitato di apprezzare Aldo Giannuli. Proprio per questo non possiamo tacere di fronte alla pericolosità della sua lettura del presente. Una lettura — pericolosa anche perché non solo sua — dove il problema non è tanto il giudizio su M5S, quanto il ritrarsi in una dimensione pre-politica, dove il popolo fa più paura del potere, ed il populismo è peggio della dittatura euroliberista. Dalla quale, invece, prima o poi bisognerà pure liberarsi.
«Dobbiamo stare con il popolo, che ha le idee assai più chiare di tanti pensatori che si spaventano davanti all'ignoto».
Aldo Giannuli ha dunque salutato il Movimento Cinque Stelle. Per la verità la scelta non sorprende vista la sua dichiarazione di voto del febbraio scorso. Dichiarazione pittoresca assai, visto l'annuncio di un voto simultaneo a Potere al Popolo (alla Camera), di uno a M5S (Senato), di un terzo nientemeno che a Liberi e Uguali (Regione Lombardia).
Tornando all'oggi, quel che colpisce non è dunque la scelta, quanto le argomentazioni che la motivano, che ci rimandano a quel problema di "estraneità dal contesto" che caratterizza l'intera sinistra italiana.
La nostra netta divergenza con Giannuli non sta infatti nel posizionamento verso M5S. Chi scrive, al pari dello storico milanese, non ne ha mai fatto parte, lo ha sostenuto criticamente (anche con il voto) in passato, mentre lo ha sempre più apertamente disapprovato negli ultimi tempi.
Nulla da dire quindi sulle critiche all'attuale gestione Di Maio, sulla sua immagine neo-democristiana, sul suo moderatismo, sul suo europeismo, sulla sua assidua frequentazione con alcune cupole del potere economico e finanziario. Quelle critiche sono giuste, le abbiamo sempre fatte apertamente e non c'è altro da aggiungere.
Qual è allora il problema? Il problema è che Giannuli ritiene che M5S abbia compiuto semplicemente una "svolta a destra", mentre la cosa è molto, ma molto più complessa. Ecco cosa scrive:
«Il M5s delle origini si diceva “Né di destra né di sinistra”, ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra, oggi quella ambiguità è sciolta e, pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra».Ma perché proprio «oggi» M5S starebbe «imboccando una strada decisamente di destra»? Ovvio come il Nostro stia pensando alla Lega ed alla possibilità di un accordo Di Maio-Salvini per il governo. Lui non ce lo dice, forse per la difficoltà di confrontarsi concretamente col nodo delle scelte politiche da compiere qui ed ora, ma è chiaro che il punctum dolens è questo.
Il tema su cui confrontarsi è dunque ben definito: sarebbe, oppure no, una svolta a destra un eventuale governo con la Lega? Giannuli pensa certamente di sì. Viceversa, noi pensiamo l'esatto contrario, visto che l'alternativa sarebbe un'alleanza governativa con il Pd, quella sì un vero suggello a quel percorso di normalizzazione di M5S che pure il Nostro denuncia.
Riguardo alla ricostruzione della "svolta a destra", c'è da dire che l'argomentare del Giannuli è debole assai in almeno tre passaggi.
Il primo sta nella contrapposizione tra un movimento delle origini fondato sulla democrazia diretta, rovesciata oggi in mero antiparlamentarismo. Su questo terreno M5S era criticabile cinque anni fa, tre anni fa, come è criticabile oggi. L'illusione della democrazia diretta ha sempre — sottolineo, sempre — fatto a pugni sia con le reali modalità decisionali del movimento, sia con le concrete necessità della politica che non possono quasi mai prescindere dal meccanismo della delega.
Il secondo riguarda la legge elettorale. Secondo il Nostro il movimento delle origini era «per la legge proporzionale», mentre oggi si appresterebbe «a sostenere il ritorno ad una qualche forma di maggioritario». Come si possa raccontare una simile novella è misterioso assai. Se purtroppo è vero che la tentazione di un maggioritario ancor più forte (ricordiamoci che il Rosatellum lo è già al 36%) è reale, è invece assolutamente falso che M5S sia mai stato per la proporzionale. Non lo è stato il movimento delle origini, che casomai pendeva per l'iper maggioritario del Mattarellum; non lo è stato quando è arrivato (nel 2014) ad elaborare il cosiddetto Democratellum, cioè un sistema simil-spagnolo, proporzionale solo all'apparenza, maggioritario e non poco nella sostanza.
E qui, mi dispiace, ma occorre essere piuttosto severi, dato che si arrivò a quel parto anche attraverso una sorta di consulenza al processo decisionale in rete da parte di un certo professor Aldo Giannuli... Di sicuro non un caso di omonimia...
Il terzo passaggio che lascia perplessi è quello sull'euro. Posto che il Nostro non è certo un no-euro, egli rimprovera giustamente M5S per il progressivo slittamento filo-eurista degli ultimi tempi. Solo che contrappone un mai esistito «M5s di Roberto Casaleggio contrario all’Euro senza se e senza ma», all'attuale deriva in cui «si prospetta l’adesione al gruppo più eurista del parlamento europeo, En Marche». Come dire, una falsità ed una suggestione. La falsità è che Casaleggio rappresentasse l'anima no-euro di M5S, visto che perlomeno a noi è sempre apparso vero piuttosto il contrario. La suggestione riguarda En Marche, cioè il partito dell'ambizioso Macron.
E' vero, in un recente intervento sulla stampa italiana, l'uomo che cura le alleanze europee per il presidente francese, Shahin Vallée, ha corteggiato il partito di Di Maio come altre forze convertitesi alla riformabilità dell'Unione (ad esempio Diem, il movimento di Varoufakis). Ma lo ha fatto con un preciso auspicio: la (testuale) «syrizazione di M5S», concetto che dovrebbe far fischiare le orecchie in primo luogo dalle parti di quella sinistra sinistrata verso cui il Nostro sembra adesso dirigersi. Concetto, quello della syrizazione, contrapposto non casualmente dal francese all'ipotesi di un governo M5S-Lega, questo sì visto come il peggiore di tutti i mali da Vallée come da tutti gli esponenti dell'oligarchia europea. Insomma, se il problema è davvero quello di fermare la svolta eurista dei Cinque Stelle, quale miglior vaccino di un'alleanza con la Lega?
Orbene, chiarito che la ricostruzione di Giannuli è quantomeno di comodo, noi non neghiamo di certo — anzi! — la svolta subita dal Movimento Cinque Stelle. Decine di articoli, in particolare nell'ultimo anno, sono lì a dimostrarlo. Ma è semplicemente una svolta a destra, come pensa il Nostro, o è piuttosto una svolta moderata (neo-democristiana, abbiamo detto) tendente a non urtare troppo le compatibilità sistemiche interne ed europee? Noi propendiamo nettamente per questa seconda lettura. Che — si badi — non è meno severa verso M5S della prima. Semplicemente è molto diversa, non solo nell'analisi, ma ancor di più al fine di ogni ragionamento sulle prospettive politiche del nostro Paese.
Quando si esamina un partito, specie se delle dimensioni raggiunte dai Cinque Stelle, non ci si può limitare alle tattiche ed alle strategie dei gruppi dirigenti. Bisogna anche interrogarsi sul blocco sociale che ne determina sia la base che il consenso elettorale. Chiedendosi, con riferimento a quest'ultimo, quali siano le aspettative che lo rendono nel nostro caso così consistente. Il tutto visto nel contesto generale, che con il voto del 4 marzo è quello di un Paese che chiede un profondo cambiamento politico e sociale, a partire da un deciso stop alle politiche di austerità.
Sia la natura intrinseca del blocco sociale pentastellato (che non è certo catalogabile come di destra), che l'oggettiva incompatibilità sistemica della domanda sociale che esso esprime, rende di fatto il Movimento Cinque Stelle un aggregato altamente instabile, che nessuna alchimia del vertice potrà sopire fino in fondo. Un discorso non troppo dissimile riguarda la Lega, dove tenere insieme (tanto per fare un esempio) la giusta abolizione della Legge Fornero con l'ultra-liberista Flat tax sarà semplicemente impossibile.
Ma proprio il mix tra la domanda sociale e politica generata, e la contraddittorietà (ed inadeguatezza) delle soluzioni proposte, potrà essere il vero propellente di un processo aperto a sviluppi più avanzati, quantomeno rispetto al decisivo nodo europeo. Un processo aperto, giova precisarlo, proprio perché espressione di un effettivo fermento popolare, certamente confuso, da non enfatizzare ma neppure da sottovalutare.
Torniamo ora a Giannuli, ponendo in conclusione tre domande secche. La prima, è possibile restare indifferenti rispetto alla questione del governo? Secondo, cosa dobbiamo augurarci: un governo destra-Pd, uno M5S-Pd od uno Cinque Stelle-Lega? La terza, qual è la cosa più a sinistra che può fare M5S?
La prima domanda è retorica solo fino ad un certo punto. Per noi è ovvio che l'indifferenza — che sarebbe, in ultima istanza, un'indifferenza verso le sorti del popolo lavoratore — è inaccettabile. Ma è così per tutti? Non si direbbe. Nel tradizionale recinto della sinistra, e perfino in aree che hanno maturato una sana posizione no-euro e no-UE, non è così. La questione del governo è un tabù sul quale non si spiccica parola. Che è poi l'atteggiamento, rivelatore assai, dello stesso Aldo Giannuli. Eppure un tempo, in simili frangenti, la questione del «che fare» era il primo pensiero di ogni militante della sinistra. Non sarebbe bene tornare a certe usanze?
Meglio si possono però comprendere le cose passando alla seconda domanda. Lasciando qui perdere lo scenario di un governo destra-Pd, dal quale non dovremmo aspettarci altro che le politiche di sempre al servizio dei soliti gruppi dominanti, quale la scelta migliore di M5S: un'alleanza con la Lega, od una con il Pd? Su questo Giannuli è reticente, ma tanti spingono per gettare Di Maio nelle braccia del Pd. Uno tra tutti il solito Travaglio, uno che ai predicozzi moralisti fa sempre seguire uno sbocco ben chiuso nel recinto del sistema di lorsignori. Ebbene, se così andassero le cose, si tratterebbe di un autentico disastro. Per almeno tre motivi. Primo, perché non vi sarebbe alcuna svolta politica; secondo, perché l'Europa potrebbe così contare sui soliti fedelissimi cani da guardia; terzo, perché il fallimento certo di un simile governo lascerebbe come unica alternativa sul campo una destra autoritaria ed iper-liberista.
Veniamo ora alla terza domanda. E lo facciamo dicendo chiaramente che lo sbocco più avanzato (dunque, se vogliamo, più a sinistra) dell'attuale crisi politica italiana è solo un governo M5S-Lega. Lo abbiamo spiegato in vari modi, lo ripetiamo per l'ennesima volta. Qui il nodo è l'Europa. E senza affrontarlo di petto non c'è alcun cambiamento possibile. Un governo che includa o il Pd o Forza Italia sarebbe appunto il governo della conservazione. Per definizione il governo della destra.
Viceversa, un governo M5S-Lega si porrebbe oggettivamente come il governo del cambiamento, visto che questo è il mandato che li ha sospinti così in alto nei consensi Certo, non ci sfugge, un cambiamento contraddittorio. Ma che aprirebbe, inevitabilmente — al di là delle stesse intenzioni di Di Maio e Salvini — il conflitto con la cupola eurista di Bruxelles e Francoforte. E questo alla fine è quel che conta. Si, lo so, sarebbe solo un inizio. Ma sempre meglio un inizio che la morta gora delle ipotesi alternative.
Comprendo l'obiezione: destra non è solo conservazione, ma anche una determinata cultura, una determinata visione del mondo, con tutte le conseguenze del caso. Giusto, è così. Ma come pensiamo di contrastare l'ondata di destra che percorre l'intera Europa, alleandosi con le forze della conservazione sistemica per il timore del peggio, o cercando di indirizzare la grande spinta al cambiamento anti-oligarchico (che di per sé non è certo di destra) verso sbocchi che rimettano al centro la prospettiva di una nuova società?
La risposta non dovrebbe lasciare adito a dubbi. Dobbiamo stare con il popolo, che ha le idee assai più chiare di tanti pensatori che si spaventano davanti all'ignoto.
Tante volte, in passato, ci è capitato di apprezzare Aldo Giannuli. Proprio per questo non possiamo tacere di fronte alla pericolosità della sua lettura del presente. Una lettura — pericolosa anche perché non solo sua — dove il problema non è tanto il giudizio su M5S, quanto il ritrarsi in una dimensione pre-politica, dove il popolo fa più paura del potere, ed il populismo è peggio della dittatura euroliberista. Dalla quale, invece, prima o poi bisognerà pure liberarsi.
3 commenti:
Eh l'immortale e imperituro "menopeggismo"dei sinistrati, all'occorrenza riaffiora sempre come un tic indomabile,vedrete ora come spingeranno per una coalizione(sic) M5S/Pd e poi lo si sa per loro il richiamo della foresta è troppo forte.Il partito erede del Pci non è più per loro quel soggetto che ha avvallato e messo in atto le peggiori nefandezze ai danni dei lavoratori(quando mai ah la memoria)ma il male minore da considerare e un alleato da contrapporre a "barbari"inaffidabili vincenti solo per inettitudine e malfondata protesta degli elettori(sic).Il partito della "Buona scuola",del Jobs Act,dell'attacco alla Costituzione invece è affidabile e vicino ai bisogni delle classi dominate vero?
Aggiungiamoci anche Fassina che dalle colonne del sussidiario (guarda caso) chiede un governo M5S-PD.
Dichiara che "chiunque oggi abbia la possibilità di contrastare il formarsi di un governo M5s-Lega, dovrebbe farlo" però poi aggiunge che per forzare i vincoli economici europei "Oggi può farlo solo la Lega".
Un capolavoro di piroette degno di Rudolf Nureyev.
Interessante sarebbe , per me , conoscere in quale città l'A.Autore vive .Io da buon Veneto ,patria della Lega , ribadisco che qui , chi ha votato Lega lo ha fatto per l'immigrazione e la flat tax e non certo per l'uscita dall'euro , anzi , mi spingo piu' avanti e dico che se dovesse mettere in discussione la permanenza dell'Italia nell'euro ,Salvini può scordarsi di mettere piede in Veneto e vista l'importanza nazionale di questa regione , inizierebbe la sua parabola politica discendente : Flavio Tosi docet .
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