[ 30 aprile 2018 ]
CHI NON RISPETTA LE REGOLE?
CHI NON RISPETTA LE REGOLE?
Italia e Germania, le doppie morali dell'euro
Il filo rosso del libro
Il ragionamento che svilupperemo nel libro può essere così sintetizzato. Vi sono delle “regole del gioco”, ben note all’analisi economica, che rendono un’unione monetaria sostenibile. Tali principi prescrivono che gli squilibri esterni (delle partite correnti) fra i Paesi di un’area valutaria vadano regolati col concorso sia dei Paesi in avanzo che dei Paesi in disavanzo. Queste regole sono analoghe a quelle già imperfettamente applicate nel sistema aureo, un sistema monetario internazionale a cui l’euro è considerato affine. Con la copertura di precetti monetaristi, le regole nei fatti adottate nell’Eurozona sono invece altre, e sono in buona misura quelle desiderate dalla potenza europea dominante, in maniera tale che la moneta unica non ne contraddica il modello economico mercantilista. Il fatto che tali regole non abbiano funzionato nello stabilizzare l’area euro è condiviso; ma perché sbagliate, oltre che contorte, o perché non rispettate? Il processo di riforma delle regole, attualmente in corso, sembra basarsi sulla seconda tesi.
Nel primo capitolo cominceremo col domandarci perché il nostro Paese si sia imbarcato nella moneta unica. Troveremo la risposta nell’argomentazione, patrocinata in particolare da economisti ed esponenti politici dell’area del centrosinistra, che il Paese sarebbe stato in grado di regolare i propri conflitti e un uso considerato troppo spregiudicato del bilancio pubblico solo attraverso l’importazione di regole dall’esterno. Il Paese sembra però aver pagato duramente tale scelta, in termini economici e sociali, attraverso un rigore fiscale che ne ha minato domanda interna e produttività, e da ultimo i medesimi conti pubblici.
Il filo rosso del libro
Il ragionamento che svilupperemo nel libro può essere così sintetizzato. Vi sono delle “regole del gioco”, ben note all’analisi economica, che rendono un’unione monetaria sostenibile. Tali principi prescrivono che gli squilibri esterni (delle partite correnti) fra i Paesi di un’area valutaria vadano regolati col concorso sia dei Paesi in avanzo che dei Paesi in disavanzo. Queste regole sono analoghe a quelle già imperfettamente applicate nel sistema aureo, un sistema monetario internazionale a cui l’euro è considerato affine. Con la copertura di precetti monetaristi, le regole nei fatti adottate nell’Eurozona sono invece altre, e sono in buona misura quelle desiderate dalla potenza europea dominante, in maniera tale che la moneta unica non ne contraddica il modello economico mercantilista. Il fatto che tali regole non abbiano funzionato nello stabilizzare l’area euro è condiviso; ma perché sbagliate, oltre che contorte, o perché non rispettate? Il processo di riforma delle regole, attualmente in corso, sembra basarsi sulla seconda tesi.
Nel primo capitolo cominceremo col domandarci perché il nostro Paese si sia imbarcato nella moneta unica. Troveremo la risposta nell’argomentazione, patrocinata in particolare da economisti ed esponenti politici dell’area del centrosinistra, che il Paese sarebbe stato in grado di regolare i propri conflitti e un uso considerato troppo spregiudicato del bilancio pubblico solo attraverso l’importazione di regole dall’esterno. Il Paese sembra però aver pagato duramente tale scelta, in termini economici e sociali, attraverso un rigore fiscale che ne ha minato domanda interna e produttività, e da ultimo i medesimi conti pubblici.
Nel secondo capitolo mostreremo come la violazione di corrette regole del gioco abbia generato la crisi dell’Eurozona, sebbene tale inosservanza abbia all’inizio portato momentanei vantaggi ad alcuni Paesi europei, nell’illusione che con la moneta unica gli squilibri di partite correnti fossero irrilevanti.
Nel terzo capitolo illustreremo perché il modello tedesco sia incompatibile con le regole del gioco, anzi sia fondamentalmente basato sulla trasgressione di tali principi. Ciò non sorprende, in quanto quello che definiremo “mercantilismo monetario” tedesco è precisamente l’opposto della cooperazione richiesta in un’unione monetaria mutualmente vantaggiosa, dunque sostenibile. Tratteremo poi dei diversi vantaggi che la Germania ha tratto dalla moneta unica, spesso applicando una morale per sé e una per gli altri, e della sua scarsa memoria storica. In virtù della moneta unica la Germania ha rafforzato il proprio modello realizzando una “super competitività”, ciò che rende oggi difficile il riequilibrio dell’Eurozona, perfino se Berlino cominciasse ad accettare regole del gioco più leali.
Nel quarto capitolo effettueremo un viaggio nel surreale, esaminando le proposte di riforma degli ordinamenti che regolano la politica fiscale dell’Eurozona. Alle timide aperture di Macron verso una governance fiscale comune, la Germania sembra aver risposto con la proposta di un irrigidimento delle regole esistenti. Le proposte tedesche si basano sul principio che il settore privato debba subire perdite nel caso di un intervento finanziario europeo a favore di un Paese membro in difficoltà. Con uno sguardo all’Italia, questo significa rendere il suo debito pubblico più rischioso, e dunque maggiormente insicuro e instabile. Il nostro suggerimento è che il Paese ponga un veto a tali irresponsabili progetti, tracciando una “linea del Piave” nell’obiettivo della stabilizzazione del debito pubblico. Se, da un lato, un’effettiva riforma dell’Eurozona richiederebbe un’unione politica, dall’altro nelle conclusioni ricordiamo le ragioni per cui tale unione non sia un obiettivo concepibilmente in vista. Purtroppo il modello tedesco appare di ostacolo anche a ragionevoli e meno ambiziose proposte.
Come nella conferenza, ho cercato di fondare le mie affermazioni sulla migliore e più aggiornata letteratura internazionale, ove possibile citando autori tedeschi. Mi riferirò qui e là alle mie Sei lezioni (Cesaratto 2016), dove ho spiegato in termini accessibili alcuni aspetti più tecnici della crisi europea e, soprattutto, illustrato l’esistenza di impostazioni eterodosse in economia politica (a cui mi riferirò qui col termine “post-keynesiane”).
Chi non rispetta le regole?
Italia e Germania, le doppie morali dell’euro
di Sergio Cesaratto
f.to 14×21 brossura con bandelle | pp. 128
ISBN 978 88 6830 704 2 | € 14,00
Come nella conferenza, ho cercato di fondare le mie affermazioni sulla migliore e più aggiornata letteratura internazionale, ove possibile citando autori tedeschi. Mi riferirò qui e là alle mie Sei lezioni (Cesaratto 2016), dove ho spiegato in termini accessibili alcuni aspetti più tecnici della crisi europea e, soprattutto, illustrato l’esistenza di impostazioni eterodosse in economia politica (a cui mi riferirò qui col termine “post-keynesiane”).
Chi non rispetta le regole?
Italia e Germania, le doppie morali dell’euro
di Sergio Cesaratto
f.to 14×21 brossura con bandelle | pp. 128
ISBN 978 88 6830 704 2 | € 14,00
1 commento:
PREMESSA
Pur non avendo letto il libro, conosco abbastanza bene il punto di vista di Sergio Cesaratto per commentare ciò che, immagino, egli abbia scritto. Quanto al libro, lo comprerò e leggerò.
COMMENTO
Sappiamo ormai abbastanza bene quali siano i meccanismi sottostanti l'adozione dell'euro, per cui la questione che maggiormente intriga è quella posta nel primo capitolo:
"Nel primo capitolo cominceremo col domandarci perché il nostro Paese si sia imbarcato nella moneta unica. Troveremo la risposta nell'argomentazione, patrocinata in particolare da economisti ed esponenti politici dell’area del centrosinistra, che il Paese sarebbe stato in grado di regolare i propri conflitti e un uso considerato troppo spregiudicato del bilancio pubblico solo attraverso l’importazione di regole dall'esterno."
Trattandosi di una scelta politica, e non di una questione tecnica, la risposta deve essere cercata analizzando i rapporti di forza interni al paese, sia politici che economici, e nei vincoli esterni di natura geopolitica esistenti all'epoca della scelta. Il periodo sono gli anni 80, quando il centrosinistra, che Sergio incolpa, non aveva come oggi una controparte. All'epoca si chiamava pentapartito, comprendendo la DC, il PSI, il PSDI, il PLI, il PRI.
Furono gli anni della Thatcher e di Reagan, del crollo dell'URSS, dell'attacco alla scala mobile, della marcia confindustriale dei quarantamila, dell'Atto Unico Europeo, della distruzione della legge bancaria del 1936...
Penso che, più che per "regolare i propri conflitti e un uso considerato troppo spregiudicato del bilancio pubblico attraverso l’importazione di regole dall’esterno", la ratio di tutto vada cercata nel timore che le conquiste del fronte liberale fossero instabili, ed esposte alla controffensiva politica e sociale della "coalizione degli interessi contrari". Mettere in sicurezza le conquiste liberali degli anni '80 richiedeva la disattivazione della democrazia interna per mezzo del vincolo esterno, nonché la dissoluzione di due partiti, la DC e il PSI, i quali, pur essendosi resi complici del blitzkrieg liberale, erano tuttavia strutturati su una democrazia clientelare potenzialmente pericolosa e foriera di instabilità.
Dunque l'adesione all'euro non aveva, fin dall'inizio, motivazioni sia pur sbagliate ma razionali ("regolare i propri conflitti"), bensì la necessità di difendere le conquiste liberali degli anni '80 imponendo la dittatura del pensiero unico. A ciò si prestarono i comunisti, sotto shock per la caduta del muro, con la benevola supervisione degli USA.
A mio avviso, se non capiamo questo e non riusciamo a far diventare senso comune questa lettura dei fatti, continueremo a perder tempo nell'attesa che la razionalità prevalga e che i cattivi capiscano che gli conviene diventare un po' più buoni.
Laddove, ad esempio, "diventare un po' più buoni" può significare addolcire la legge Fornero o rafforzare lievemente gli ammortizzatori sociali chiamandoli "reddito di cittadinanza". Naturalmente con un po' di +leuropa.
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