[ 19 aprile 2018 ]
Nel momento in cui i trans-umanisti ci promettono un avvenire nel quale coloro che sono inadatti diverranno gli «scimpanzé del futuro», dove l'imminenza della catastrofe nucleare abita il nostro quotidiano, e gli oggetti tecnici sembrano colonizzare sempre più a maggior velocità le nostre vite. Come pensare la tecnica, allorché la densità, la complessità e la potenza dei suo artefatti va crescendo, e la nostra intimità viene violata da dei dispositivi che spettacolarizzano e rendono mediatica la nostra vita nella sua interezza? A tale domanda, Günther Anders [ nella foto ]sembra poter fornire delle salutari chiavi di lettura e di comprensione.
Günther Stern — che negli anni '30 scelse lo pseudonimo di Anders («l'altro», in tedesco) al fine di nascondere la sua ebraicità — dedico gli anni della sua gioventù all'elaborazione di un'antropologia filosofica detta «negativa», nella quale la libertà è la categoria fondamentale dell'uomo, «abbandonato» nel mondo. Ma ben presto, storicizzando la sua antropologia filosofica, Anders si rese conto che l'uomo non si trova più circondato «da api, da granchi e da scimpanzé, ma da stazioni radio e fabbriche». A partire dall'inizio degli anni '40, comincia a costruire un'opera che considera l'uomo, non più dal punto di vista della natura, ma da quello della tecnica. Di più, egli cerca di pensare la tecnica, anche quando l'uomo - la cui artificialità aumenta - si dota dei mezzi per il suo stesso annientamento. Auschwitz, e poi Hiroshima, rende attuale la coscienza della catastrofe e l'arma nucleare ordina l'avvento della tecno-scienza. L'oggetto di quel che è la sua opera principale, "L'uomo è antiquato" [Bollati Boringhieri, in 2 volumi], diventa allora «lo stato dell'anima la tempo della seconda rivoluzione industriale». A partire dagli anni '40, Anders si domanda in che misura viviamo l'epoca storica che realizza l'obsolescenza dell'uomo attraverso la tecnica, e che diventa una certezza: «Il soggetto della libertà e quello della sottomissione si sono invertiti; le cose sono libere, ed è l'uomo a non esserlo più».
L'essenza della tecnica moderna porta al totalitarismo dell'apparato
Il nostro ambiente, così come la nostra stessa vita, è dotato di macchine. Queste macchine, non contente di essere prodotte da altre macchine, per il loro buon funzionamento, necessitano continuamente di nuove macchine. Esse formano perciò una rete interdipendente, la mega-macchina, la quale tende a svilupparsi da sé sola e non ci consente più di poter imporre dei limiti al funzionamento dei nostri oggetti tecnologici. Dopo il 1958, Anders non parla nemmeno più di «famiglia» o di «generazione» di macchine, ma piuttosto di «volksgemeinschaft», che è il termine per mezzo del quale i nazisti definivano quella che è la «comunità del popolo», unita dal sangue e dal suolo. Tale comunità è autonoma, e forma una nuova «nazione» guidata da un medesimo sogno: «Il mondo in quanto macchina, è l'impero millenarista verso cui sono stati rivolti i sogni di tutte le macchine, fin dalla prima». In questo modo, poco a poco, per Anders, si instaura un totalitarismo dei dispositivi. Inoltre, per lui la sua metafora a partire dalla mega-macchina ed il Terzo Reich non ha solo un effetto retorico, poiché «la tendenza al totalitarismo appartiene all'essenza della macchina e originariamente proviene dal dominio della tecnica». La tecnologia moderna perciò non può essere neutrale, dal momento che essa è per sua essenza totalitaria - in quanto totalizzante.
A partire da questo, diventa necessario porre le tre tesi fondanti la filosofia della tecnica da lui sviluppata ne "L'uomo è antiquato", e vedere: «che non siamo in grado di misurarci con la perfezione dei nostri prodotti; che quello che noi produciamo eccede la nostra capacità di rappresentazione e la nostra responsabilità; e che noi crediamo solo quello che ci autorizzano credere - o piuttosto quello che dobbiamo credere, o meglio quello che ci costringono a credere - queste tre tesi fondamentali diventate, purtroppo, più attuali ed esplosive di quanto non fossero allora, a causa dei rischi subiti dal nostro ambiente nell'ultimo quarto di questo secolo». La potenza dei processi della tecnologia moderna è tale da eclissare la nostra capacità di immaginare le conseguenze, rendendo in questo modo obsoleta la responsabilità morale. Questa cecità nasconde ogni azione, che viene assoggettata al nuovo divario esistente fra teoria e pratica. D'ora in poi, l'uomo, dal momento che coltiva una «vergogna prometeica» riguardo la perfezione delle sue creazioni, cercherà di colmare il divario esistente fra di lui ed i suoi stessi prodotti. L'irresponsabilità è alla base di un capovolgimento: quello della tecnica che indossa i gioielli della catastrofe. L'arma atomica consacra il proprio incombere, la storia è arrivata al «termine».
Il mondo della mega-macchina tende a funzionare «come un dispositivo». Nel corso della sua opera, Anders descrive la transizione che c'è stata da un'univesalizzazione della categoria del «mezzo» ad un mondo ridotto ad essere un «universo di mezzi». Il divenire-mondo della mega-macchina è quindi al tempo stesso un divenire-macchina del mondo che persegue il proprio fine: la realizzazione del suo funzionamento perfettamente autonomo ed ontologicamente superiore. Questo è stato reso possibile solo a partire dal fatto che noi abbiamo rinunciato a considerarci come il soggetto della storia. Ci siamo detronizzati a favore dell'unico altro Soggetto possibile della storia, la tecnica, rispetto alla quale noi siamo solo co-storici.
Una tecnica disumanizzante
Per Anders, un mondo puramente tecnico, come quello della tecnocrazia, tende a diventare un «paese della cuccagna»: una terra in cui tutti i nostri bisogni verranno istantaneamente soddisfatti. L'eredità della sua antropologia filosofica fonda l'uomo sulla sua capacità di creare il suo mondo per poter rispondere alle necessità del bisogno. Da quel momento in poi, il divenire dell'anima avviene nel contesto di una tecnocrazia che rincorre la sazietà e l'asservimento. Il tempo ed il mondo, in questo paese della cuccagna, dove la noia regna sovrana, languiscono. Ma l'uomo non rimane immobile, poiché resta sottomesso agli imperativi tecnici della produzione, che si rinnovano continuamente, ai quali è chiamato ad adattarsi. Lo stare-insieme che ha maggior importanza, ora consiste nello stare-con le macchine e con i prodotti. Il prezzo che c'è da pagare per un mondo confortevole, consiste in una dipendenza assoluta nei confronti della tecnica, verso il suo modo di essere ed il suo fine. L'anima è stata corrotta dalla tecnica. Tuttavia, siamo incatenati ad un movimento perpetuo, poiché il ritmo che ci viene imposto dalla produzione è troppo rapido per quella che è la nostra condizione umana. Se l'uomo biologico ha accettato la sua propria reificazione, questo è il motivo per cui è in ritardo, sempre nel posto sbagliato. Eppure, egli continua a perseguire sempre un adattamento impossibile, e si condanna, vergognandosene, a non poter mai arrivare ad un qualsiasi completamento.
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, l'idea dell'adattamento perseguiterà Anders. La trarrà a partire da una critica radicale del paradigma cibernetico, che postula il comportamento adattivo come una delle sue chiavi di volta, e che fonda anche l'autonomizzazione della tecnica. Per i primi cibernetici, l'obiettivo è quello di ridurre la differenza ontologica che costituisce la nostra modernità fra l'uomo, l'animale e la macchina, e che li concepisce tutti come se fossero dei sistemi con un comportamento adattivo. Wiener, uno dei padri della cibernetica, sosteneva che «la maggior parte dei tipi di comportamento sono identici sia nelle macchine che negli organismi viventi». Di conseguenza, il cervello non è altro che un meccanismo di comando che permette al sistema umano di adattarsi al suo ambiente. L'uomo, in quanto macchina cibernetica, è il primo sistema di controllo. La cibernetica, che nasce ufficialmente nel 1948, riscuote velocemente un immenso successo e va oltre le sfere delle cosiddette scienze "dure" dalle quali è nata. I primi cibernetici raccomandano di fare ricorso all'ingegneria umana, lo «Human Engineering», per mettere il funzionamento della società sui binari del progresso - l'efficace amministrazione dell'informazione. Anders vede nell'«Human engineering» l'avvento di un mondo artificiale che polverizza i limiti dell'uomo. Pertanto, lo vede come lo strumento principale per realizzare il programma cibernetico. Se la tecnica non ha più nulla di umano, le scienze ingegneristiche, ma anche la psicologia, si sforzano di trasformare l'uomo in modo da superare la sua imperfezione originale e potere alla fine «sottomettere la propria natura psichica» che è diventata ormai un peso morto.
Ogni sperimentazione fisico-tecnica sui limiti dell'uomo realizza «la diserzione ed il passaggio nel campo degli strumenti». Mossi dalla vergogna prometeica, i cibernetici concorrono a realizzare il solo sogno dell'uomo, quello di diventare una macchina. Secondo Anders, in seguito allo sconvolgimento cibernetico (che definisce anche come inversione taylorista), l'uomo non è più l'agente autonomo dei suoi strumenti. Sembra piuttosto che la tecnica trascenda il suo status originale di strumento. La nostra condizione si sposta: l'uomo diventa l'oggetto - l'elemento atomizzato - di un universo di macchine sempre più autonome, e marcia verso la propria disumanizzazione. Si tratta della dialettica della tecnica che si incarna nelle rivoluzioni industriali, dove ogni cosa si trasforma in mezzo. La terza rivoluzione industriale consacra la trasmutazione dell'uomo in «materia prima» e l'obsolescenza del soggetto razionale che avrebbe potuto essere. L'ideale tecnico è quello che non venga più lasciato niente di inutilizzabile, e quindi di inutilizzato.
Come asserisce Anders nel corso della sua critica della tecnica, «il futuro è già cominciato». E, soprattutto, la tecnica funziona a partire dalla famosa legge di Gabor: «ciò che può essere fatto deve essere fatto, ineluttabilmente». Se il suo modo di essere, è quello dell'espansione, egli considera come il divenire-macchina del mondo sia il programma che segue in tutto e per tutto la logica della mega-macchina. Ma, dal momento che l'obsolescenza colpisce le tradizionali capacità della nostra comprensione, noi rimaniamo ciechi di fronte alle tendenze già in atto. Ecco perché ormai è solo l'immaginazione che permette di interpretare in maniera acuta l'orientamento dell'epoca. L'autonomia della tecnica, secondo questo metro di giudizio, è un'ipotesi formulata da Anders che cerca in realtà di spalancare gli occhi sulla tecnica e sul divenire della nostra umanità. Egli cerca, attraverso l'immaginazione e l'esagerazione, di riprendere la formula usata dal suo principale traduttore in Francia, Christophe David, invitando a «scruter les entrailles» [«scrutare le viscere»] delle macchine, per suscitare una reazione politica. Se Anders si trasforma nell'augure di un'escatologia svuotata da qualsiasi sostanza religiosa, lo fa solo per fare appello ad un'azione radicale, foss'anche violenta.
* Fonte: Franco Senia blogspot e Philitt - Revue de philosophie e de littérature -
Nel momento in cui i trans-umanisti ci promettono un avvenire nel quale coloro che sono inadatti diverranno gli «scimpanzé del futuro», dove l'imminenza della catastrofe nucleare abita il nostro quotidiano, e gli oggetti tecnici sembrano colonizzare sempre più a maggior velocità le nostre vite. Come pensare la tecnica, allorché la densità, la complessità e la potenza dei suo artefatti va crescendo, e la nostra intimità viene violata da dei dispositivi che spettacolarizzano e rendono mediatica la nostra vita nella sua interezza? A tale domanda, Günther Anders [ nella foto ]sembra poter fornire delle salutari chiavi di lettura e di comprensione.
Günther Stern — che negli anni '30 scelse lo pseudonimo di Anders («l'altro», in tedesco) al fine di nascondere la sua ebraicità — dedico gli anni della sua gioventù all'elaborazione di un'antropologia filosofica detta «negativa», nella quale la libertà è la categoria fondamentale dell'uomo, «abbandonato» nel mondo. Ma ben presto, storicizzando la sua antropologia filosofica, Anders si rese conto che l'uomo non si trova più circondato «da api, da granchi e da scimpanzé, ma da stazioni radio e fabbriche». A partire dall'inizio degli anni '40, comincia a costruire un'opera che considera l'uomo, non più dal punto di vista della natura, ma da quello della tecnica. Di più, egli cerca di pensare la tecnica, anche quando l'uomo - la cui artificialità aumenta - si dota dei mezzi per il suo stesso annientamento. Auschwitz, e poi Hiroshima, rende attuale la coscienza della catastrofe e l'arma nucleare ordina l'avvento della tecno-scienza. L'oggetto di quel che è la sua opera principale, "L'uomo è antiquato" [Bollati Boringhieri, in 2 volumi], diventa allora «lo stato dell'anima la tempo della seconda rivoluzione industriale». A partire dagli anni '40, Anders si domanda in che misura viviamo l'epoca storica che realizza l'obsolescenza dell'uomo attraverso la tecnica, e che diventa una certezza: «Il soggetto della libertà e quello della sottomissione si sono invertiti; le cose sono libere, ed è l'uomo a non esserlo più».
L'essenza della tecnica moderna porta al totalitarismo dell'apparato
È una profonda mutazione antropologica quella che consacra la rottura analizzata da Anders: in questo modo, si passa da un uomo che si evolve su uno sfondo naturale ad un uomo il cui topos è costituito soltanto dagli artefatti che egli stesso ha generato. Questo punto di svolta è causato dall'avvento della tecnica moderna. Secondo Anders, quest'ultima è il prodotto di tre rivoluzioni industriali. La sua visione della rivoluzione industriale si distingue dalla tradizionale storiografia. La prima rivoluzione industriale avviene quando si è cominciato a «ripetere il principio di quello che è meccanico», vale a dire a «produrre macchine attraverso l'utilizzo di altre macchine o, quanto meno a produrre dei pezzi di macchine». Le due rivoluzioni successive non sono altro che delle conseguenze di quel momento fondamentale durante il quale l'uomo, che è il padre della tecnica, lascia che siano le macchine a generare, esse stesse, delle altre macchine. Viene perciò consumata la rottura della filiazione, e da questa rivoluzione nasce una nuova famiglia di macchine. Quindi, ormai, da quel momento in poi, «Ogni merce, una volta acquisita, per poter rimanere utilizzabile, esige l'acquisto di nuove merci» e, a partire da questo, «i nostri bisogni ora non sono altro che l'impronta, o la riproduzione, dei bisogni delle merci stesse».
Il nostro ambiente, così come la nostra stessa vita, è dotato di macchine. Queste macchine, non contente di essere prodotte da altre macchine, per il loro buon funzionamento, necessitano continuamente di nuove macchine. Esse formano perciò una rete interdipendente, la mega-macchina, la quale tende a svilupparsi da sé sola e non ci consente più di poter imporre dei limiti al funzionamento dei nostri oggetti tecnologici. Dopo il 1958, Anders non parla nemmeno più di «famiglia» o di «generazione» di macchine, ma piuttosto di «volksgemeinschaft», che è il termine per mezzo del quale i nazisti definivano quella che è la «comunità del popolo», unita dal sangue e dal suolo. Tale comunità è autonoma, e forma una nuova «nazione» guidata da un medesimo sogno: «Il mondo in quanto macchina, è l'impero millenarista verso cui sono stati rivolti i sogni di tutte le macchine, fin dalla prima». In questo modo, poco a poco, per Anders, si instaura un totalitarismo dei dispositivi. Inoltre, per lui la sua metafora a partire dalla mega-macchina ed il Terzo Reich non ha solo un effetto retorico, poiché «la tendenza al totalitarismo appartiene all'essenza della macchina e originariamente proviene dal dominio della tecnica». La tecnologia moderna perciò non può essere neutrale, dal momento che essa è per sua essenza totalitaria - in quanto totalizzante.
A partire da questo, diventa necessario porre le tre tesi fondanti la filosofia della tecnica da lui sviluppata ne "L'uomo è antiquato", e vedere: «che non siamo in grado di misurarci con la perfezione dei nostri prodotti; che quello che noi produciamo eccede la nostra capacità di rappresentazione e la nostra responsabilità; e che noi crediamo solo quello che ci autorizzano credere - o piuttosto quello che dobbiamo credere, o meglio quello che ci costringono a credere - queste tre tesi fondamentali diventate, purtroppo, più attuali ed esplosive di quanto non fossero allora, a causa dei rischi subiti dal nostro ambiente nell'ultimo quarto di questo secolo». La potenza dei processi della tecnologia moderna è tale da eclissare la nostra capacità di immaginare le conseguenze, rendendo in questo modo obsoleta la responsabilità morale. Questa cecità nasconde ogni azione, che viene assoggettata al nuovo divario esistente fra teoria e pratica. D'ora in poi, l'uomo, dal momento che coltiva una «vergogna prometeica» riguardo la perfezione delle sue creazioni, cercherà di colmare il divario esistente fra di lui ed i suoi stessi prodotti. L'irresponsabilità è alla base di un capovolgimento: quello della tecnica che indossa i gioielli della catastrofe. L'arma atomica consacra il proprio incombere, la storia è arrivata al «termine».
Il mondo della mega-macchina tende a funzionare «come un dispositivo». Nel corso della sua opera, Anders descrive la transizione che c'è stata da un'univesalizzazione della categoria del «mezzo» ad un mondo ridotto ad essere un «universo di mezzi». Il divenire-mondo della mega-macchina è quindi al tempo stesso un divenire-macchina del mondo che persegue il proprio fine: la realizzazione del suo funzionamento perfettamente autonomo ed ontologicamente superiore. Questo è stato reso possibile solo a partire dal fatto che noi abbiamo rinunciato a considerarci come il soggetto della storia. Ci siamo detronizzati a favore dell'unico altro Soggetto possibile della storia, la tecnica, rispetto alla quale noi siamo solo co-storici.
Una tecnica disumanizzante
Per Anders, un mondo puramente tecnico, come quello della tecnocrazia, tende a diventare un «paese della cuccagna»: una terra in cui tutti i nostri bisogni verranno istantaneamente soddisfatti. L'eredità della sua antropologia filosofica fonda l'uomo sulla sua capacità di creare il suo mondo per poter rispondere alle necessità del bisogno. Da quel momento in poi, il divenire dell'anima avviene nel contesto di una tecnocrazia che rincorre la sazietà e l'asservimento. Il tempo ed il mondo, in questo paese della cuccagna, dove la noia regna sovrana, languiscono. Ma l'uomo non rimane immobile, poiché resta sottomesso agli imperativi tecnici della produzione, che si rinnovano continuamente, ai quali è chiamato ad adattarsi. Lo stare-insieme che ha maggior importanza, ora consiste nello stare-con le macchine e con i prodotti. Il prezzo che c'è da pagare per un mondo confortevole, consiste in una dipendenza assoluta nei confronti della tecnica, verso il suo modo di essere ed il suo fine. L'anima è stata corrotta dalla tecnica. Tuttavia, siamo incatenati ad un movimento perpetuo, poiché il ritmo che ci viene imposto dalla produzione è troppo rapido per quella che è la nostra condizione umana. Se l'uomo biologico ha accettato la sua propria reificazione, questo è il motivo per cui è in ritardo, sempre nel posto sbagliato. Eppure, egli continua a perseguire sempre un adattamento impossibile, e si condanna, vergognandosene, a non poter mai arrivare ad un qualsiasi completamento.
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, l'idea dell'adattamento perseguiterà Anders. La trarrà a partire da una critica radicale del paradigma cibernetico, che postula il comportamento adattivo come una delle sue chiavi di volta, e che fonda anche l'autonomizzazione della tecnica. Per i primi cibernetici, l'obiettivo è quello di ridurre la differenza ontologica che costituisce la nostra modernità fra l'uomo, l'animale e la macchina, e che li concepisce tutti come se fossero dei sistemi con un comportamento adattivo. Wiener, uno dei padri della cibernetica, sosteneva che «la maggior parte dei tipi di comportamento sono identici sia nelle macchine che negli organismi viventi». Di conseguenza, il cervello non è altro che un meccanismo di comando che permette al sistema umano di adattarsi al suo ambiente. L'uomo, in quanto macchina cibernetica, è il primo sistema di controllo. La cibernetica, che nasce ufficialmente nel 1948, riscuote velocemente un immenso successo e va oltre le sfere delle cosiddette scienze "dure" dalle quali è nata. I primi cibernetici raccomandano di fare ricorso all'ingegneria umana, lo «Human Engineering», per mettere il funzionamento della società sui binari del progresso - l'efficace amministrazione dell'informazione. Anders vede nell'«Human engineering» l'avvento di un mondo artificiale che polverizza i limiti dell'uomo. Pertanto, lo vede come lo strumento principale per realizzare il programma cibernetico. Se la tecnica non ha più nulla di umano, le scienze ingegneristiche, ma anche la psicologia, si sforzano di trasformare l'uomo in modo da superare la sua imperfezione originale e potere alla fine «sottomettere la propria natura psichica» che è diventata ormai un peso morto.
Ogni sperimentazione fisico-tecnica sui limiti dell'uomo realizza «la diserzione ed il passaggio nel campo degli strumenti». Mossi dalla vergogna prometeica, i cibernetici concorrono a realizzare il solo sogno dell'uomo, quello di diventare una macchina. Secondo Anders, in seguito allo sconvolgimento cibernetico (che definisce anche come inversione taylorista), l'uomo non è più l'agente autonomo dei suoi strumenti. Sembra piuttosto che la tecnica trascenda il suo status originale di strumento. La nostra condizione si sposta: l'uomo diventa l'oggetto - l'elemento atomizzato - di un universo di macchine sempre più autonome, e marcia verso la propria disumanizzazione. Si tratta della dialettica della tecnica che si incarna nelle rivoluzioni industriali, dove ogni cosa si trasforma in mezzo. La terza rivoluzione industriale consacra la trasmutazione dell'uomo in «materia prima» e l'obsolescenza del soggetto razionale che avrebbe potuto essere. L'ideale tecnico è quello che non venga più lasciato niente di inutilizzabile, e quindi di inutilizzato.
Come asserisce Anders nel corso della sua critica della tecnica, «il futuro è già cominciato». E, soprattutto, la tecnica funziona a partire dalla famosa legge di Gabor: «ciò che può essere fatto deve essere fatto, ineluttabilmente». Se il suo modo di essere, è quello dell'espansione, egli considera come il divenire-macchina del mondo sia il programma che segue in tutto e per tutto la logica della mega-macchina. Ma, dal momento che l'obsolescenza colpisce le tradizionali capacità della nostra comprensione, noi rimaniamo ciechi di fronte alle tendenze già in atto. Ecco perché ormai è solo l'immaginazione che permette di interpretare in maniera acuta l'orientamento dell'epoca. L'autonomia della tecnica, secondo questo metro di giudizio, è un'ipotesi formulata da Anders che cerca in realtà di spalancare gli occhi sulla tecnica e sul divenire della nostra umanità. Egli cerca, attraverso l'immaginazione e l'esagerazione, di riprendere la formula usata dal suo principale traduttore in Francia, Christophe David, invitando a «scruter les entrailles» [«scrutare le viscere»] delle macchine, per suscitare una reazione politica. Se Anders si trasforma nell'augure di un'escatologia svuotata da qualsiasi sostanza religiosa, lo fa solo per fare appello ad un'azione radicale, foss'anche violenta.
* Fonte: Franco Senia blogspot e Philitt - Revue de philosophie e de littérature -
3 commenti:
meraviglioso post...avrei voluto scriverlo io
Mauro P.
Io penso che stiamo per essere ingoiati nell'imperio di una tecnocrazia millenaria dove lo strumento diventa il soggetto e la carne viva compresa quella umana il vero oggetto!!
Mauro P.
Un immane pericolo per l'uomo si affaccia all'orizzonte.
Una forza sconosciuta, l'evoluzione, che ha portato all'uomo,
ora vuole superare l'uomo. Quanto tempo manca al superamento?
Quanti secoli o decenni restano all'umanità prima del punto di non ritorno?
In che modo può l'uomo impedire l'ineluttabile destino e restare lui il padrone?
Solo spaventandosi e raccogliendo il testamento spirituale di Giacomo Leopardi
che esortava l'umanità ad unirsi fraternamente contro la natura maligna
e aggiungo io, respingendo l'idolatria della scienza della tecnica ed economia.
Avendo al centro del pensiero un Dio. Un Dio dell'uomo che cammina sulle
acque dell'impossibile. Un popolo sovrano che decide di imbrigliare il progresso
scientifico sotto la sua volontà e lo affida ad un governo pubblico dell'umanità
anzichè alla follia caotica e depravata del privato.
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