[ 24 aprile 2018 ]
Quei giovani selvaggi. Lo spassoso dibattito sul bullismo tra ipocrisia e politicamente corretto
Trovo letteralmente spassoso il "dibattito" sui recenti episodi di bullismo nei confronti di alcuni docenti di scuola media superiore. Giornali e televisioni hanno convocato opinionisti, psicologi, pedagoghi, tuttologi, politici, studenti, professori, genitori e chi più ne ha più ne metta, ma da questo diluvio di chiacchiere non è emerso granché.
Da un lato si è preso atto di alcuni dati di fatto: siamo di fronte a una generazione caratterizzata da un’elevata percentuale di ragazzi narcisisti, privi di freni inibitori, incapaci di distinguere fra realtà e videogiochi, inconsapevoli degli effetti del proprio esibizionismo online (che molti vivono come l’unico strumento in grado di certificarne l’esistenza), incapaci di concentrarsi per più di un minuto su qualcosa che non sia pura immagine, privi di empatia, ma le riflessioni sulle cause del fenomeno sono patetiche.
Colpa delle nuove tecnologie (smartphone, social network ecc.)? Ma chi ha alimentato la corsa al consumo sfrenato di questi strumenti in assenza di qualsiasi addestramento al loro uso critico e consapevole? Colpa dei genitori? Ma quei genitori appartengono in larga misura a una generazione che è cresciuta a sua volta in un clima culturale caratterizzato da consumismo, individualismo, indifferenza (per non dire ostilità) nei confronti degli altri, irresponsabilità personale e collettiva, per cui non c’è da stupirsi se solidarizzano con i loro virgulti, visto che gli somigliano fin troppo.
Colpa dei professori che non impersonano con autorevolezza il proprio ruolo? Ma chi ha imposto loro salari da fame, chi ha affossato la scuola pubblica con demenziali “riforme”, chi li ha additati al comune disprezzo (assieme agli altri dipendenti statali), dipingendoli come parassiti che succhiano denaro ai cittadini? Gli ipocriti che oggi versano lacrime di coccodrillo sulla catastrofe antropologica di questa società appartengono alle élite economiche, politiche, culturali e mediatiche che hanno provocato il disastro, esaltando le magnifiche sorti e progressive del mercato, lo smantellamento della spesa sociale e dei servizi pubblici, il consumismo sfrenato, la gara individualistica di tutti contro tutti, sono i sacerdoti di quella rivoluzione liberal liberista che ha generato e continua a generare mostri.
Dall’altro lato abbiamo i discorsi edificanti delle sinistre politicamente corrette, le quali mettono in guardia contro i rischi di regressione a concezioni gerarchiche e autoritarie del rapporto fra adulti e ragazzi. Quelli che non si deve punire ma educare, quelli che esortano a non fare della scuola pubblica un riformatorio (ma intanto mandano i figli nelle scuole private - meglio se Montessori o Steineriane - perché appartengono a una borghesia rossa fatta di intellettuali, professionisti, quadri intermedi).
Mi riferisco insomma agli eredi dell’onda lunga del Sessantotto, del vietato vietare, della fantasia al potere, di un’ideologia che, smarrita ogni memoria dell’antagonismo di classe che aleggiava in quegli anni, hanno sposato un’ideologia irenica che rifugge da ogni forma di conflitto, che si illude che anche le pulsioni selvagge che questo mondo produce in misura crescente possano essere placate, senza ricorrere a metodi che obblighino i pargoli a fare i conti con la durezza della realtà. Non viviamo del resto nell’era dei bisogni e del lavoro “immateriali”? Ma i ragazzi sono più vicini di noi alla materialità dei corpi e della vita e, più cerchi di ingabbiarli nel mondo virtuale, più sviluppano tensioni represse che prima o poi esplodono e fanno danni.
Quei giovani selvaggi. Lo spassoso dibattito sul bullismo tra ipocrisia e politicamente corretto
Trovo letteralmente spassoso il "dibattito" sui recenti episodi di bullismo nei confronti di alcuni docenti di scuola media superiore. Giornali e televisioni hanno convocato opinionisti, psicologi, pedagoghi, tuttologi, politici, studenti, professori, genitori e chi più ne ha più ne metta, ma da questo diluvio di chiacchiere non è emerso granché.
Da un lato si è preso atto di alcuni dati di fatto: siamo di fronte a una generazione caratterizzata da un’elevata percentuale di ragazzi narcisisti, privi di freni inibitori, incapaci di distinguere fra realtà e videogiochi, inconsapevoli degli effetti del proprio esibizionismo online (che molti vivono come l’unico strumento in grado di certificarne l’esistenza), incapaci di concentrarsi per più di un minuto su qualcosa che non sia pura immagine, privi di empatia, ma le riflessioni sulle cause del fenomeno sono patetiche.
Colpa delle nuove tecnologie (smartphone, social network ecc.)? Ma chi ha alimentato la corsa al consumo sfrenato di questi strumenti in assenza di qualsiasi addestramento al loro uso critico e consapevole? Colpa dei genitori? Ma quei genitori appartengono in larga misura a una generazione che è cresciuta a sua volta in un clima culturale caratterizzato da consumismo, individualismo, indifferenza (per non dire ostilità) nei confronti degli altri, irresponsabilità personale e collettiva, per cui non c’è da stupirsi se solidarizzano con i loro virgulti, visto che gli somigliano fin troppo.
Colpa dei professori che non impersonano con autorevolezza il proprio ruolo? Ma chi ha imposto loro salari da fame, chi ha affossato la scuola pubblica con demenziali “riforme”, chi li ha additati al comune disprezzo (assieme agli altri dipendenti statali), dipingendoli come parassiti che succhiano denaro ai cittadini? Gli ipocriti che oggi versano lacrime di coccodrillo sulla catastrofe antropologica di questa società appartengono alle élite economiche, politiche, culturali e mediatiche che hanno provocato il disastro, esaltando le magnifiche sorti e progressive del mercato, lo smantellamento della spesa sociale e dei servizi pubblici, il consumismo sfrenato, la gara individualistica di tutti contro tutti, sono i sacerdoti di quella rivoluzione liberal liberista che ha generato e continua a generare mostri.
Dall’altro lato abbiamo i discorsi edificanti delle sinistre politicamente corrette, le quali mettono in guardia contro i rischi di regressione a concezioni gerarchiche e autoritarie del rapporto fra adulti e ragazzi. Quelli che non si deve punire ma educare, quelli che esortano a non fare della scuola pubblica un riformatorio (ma intanto mandano i figli nelle scuole private - meglio se Montessori o Steineriane - perché appartengono a una borghesia rossa fatta di intellettuali, professionisti, quadri intermedi).
Mi riferisco insomma agli eredi dell’onda lunga del Sessantotto, del vietato vietare, della fantasia al potere, di un’ideologia che, smarrita ogni memoria dell’antagonismo di classe che aleggiava in quegli anni, hanno sposato un’ideologia irenica che rifugge da ogni forma di conflitto, che si illude che anche le pulsioni selvagge che questo mondo produce in misura crescente possano essere placate, senza ricorrere a metodi che obblighino i pargoli a fare i conti con la durezza della realtà. Non viviamo del resto nell’era dei bisogni e del lavoro “immateriali”? Ma i ragazzi sono più vicini di noi alla materialità dei corpi e della vita e, più cerchi di ingabbiarli nel mondo virtuale, più sviluppano tensioni represse che prima o poi esplodono e fanno danni.
* Fonte: MICROMEGA
2 commenti:
D'accordo quasi su tutto. E perché dico quasi?
La frase "assenza di qualsiasi addestramento al loro uso critico e consapevole" sembra voler ridurre tutto ad un qualche corso abilitante politicamente corretto che rilascia il diplomino di "esperto in uso consapevole delle nuove tecnologie". E' il solito vizio delle sinistre benestanti di voler ridurre tutto ad una qualche mistica formazione, un vezzo autocelebrativo da ceto medio. Come se si trattasse di un problema di competenzine certificate da risolvere con un "addestramento".
L'altra frase "Ma chi ha imposto loro salari da fame". Di nuovo si riduce un problema composito ad una generalizzazione. Ci stanno persone di ruolo che hanno uno stipendio di circa 1600 euro mensili e magari la casa di proprietà che certo non sono una ricchezza ma non può essere definito salario da fame. Specialmente se in famiglia lavorano in due. Ci stanno altri che ad inizio carriera hanno uno stipendio 1300 circa e magari non hanno neppure la casa, uno stipendio che rende particolarmente difficile arrivare a fine mese. E magari sono pure i precari che sostituiscono il collega di ruolo quando sta male o quando si mette in aspettativa per fare altro e che fanno sempre più fatica ad accedere al ruolo. Questi ultimi precari dal canto loro però non vorrebbero affatto cambiare le cose, vorrebbero solo accedere individualmente al ruolo e non cambiar nulla. Comprensibile ma solo fino ad un certo punto.
Cosa farebbero quelli come Formenti se fossero al governo? Un corso di addestramento all'uso delle nuove tecnologie che non risolverebbe in nulla il problema del bullismo? E magari un aumento di stipendio molto selettivo per tutti quelli che stanno dentro una particolare posizione contrattuale dimenticandosi di tutti gli altri in un mondo del lavoro che da decenni viene sempre più frammentato in miriadi di diverse posizioni contrattuali anche (e soprattutto) in presenza dello stessa mansione lavorativa?
Le generalizzazioni sono sorelle gemelle della media di Trilussa.
Giovanni
In linea di massima è un buon articolo e ne condivido il pensiero anche se una critica la devo fare essendo, a parer mio, concentrato a vedere la causa del problema come cultura post 68ina (e sicuramente è anche quello) ma dimenticandosi un alleato fortissimo che ha lavorato a questo a fianco di quel tipo di cultura, ovvero il mondo commerciale televisivo degli ultimi 30 anni, iniziato dagli anni 80, la propaganda massmediatica dell'apparire, della prepotenza, del "libero di dire qualsiasi cosa", del consumismo esasperato, dell'Americanismo come modello, strumento che in Italia almeno è stato inevitabilmente portato avanti da una certa cultura di destra liberale.
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