[ 26 gennaio 2018 ]
In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump.
Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.
Nel corso dell’ospitata nella trasmissione di Barbara D’Urso, l’intramontabile Silvio ha spiegato – con la consueta franchezza – qual è la posta in gioco. Ha detto cioè che scende in campo contro i grillini, come aveva fatto contro i comunisti negli anni Novanta, perché oggi il pericolo è ancora maggiore. E dal suo punto di vista ha ragione: non perché i grillini siano sovversivi, ma perché la massa inferocita che ribolle negli strati più bassi della società (e che spera di trovare espressione votando M5S) è fatta di persone «che portano invidia e odio verso chi è ricco», di incompetenti che non capiscono la complessità dei problemi su cui sono chiamati a esprimersi (la democrazia sembra essere oggi più indigesta che mai, anche se è stata ridotta ai minimi termini da decenni di guerra di classe dall’alto) e che esprimono leader «ai quali si dovrebbe domandare cosa hanno fatto prima di fare politica e se sono laureati». Infine enuncia un programma che, nel migliore stile trumpista, mette insieme veri regali ai ricchi (la flat tax) e finti regali (che, vedi Trump, verranno immediatamente smentiti dopo l’eventuale vittoria) ai poveri (aumenti delle pensioni minime, reddito di dignità, ecc.).
Insomma: qui, come ormai quasi ovunque in Occidente, si scontrano due populismi nati sulle rovine delle forze politiche tradizionali, di sinistra come di destra. Due populismi che negli Stati Uniti, come ha scritto Nancy Fraser seguendo la lezione di Gramsci in un lungo articolo su American Affairs, incarnano gli interessi di due blocchi sociali contrapposti che lottano per l’egemonia. Con la differenza che, nel caso italiano, non si confrontano un Donald Trump e un Bernie Sanders ma, da un lato una vecchia volpe (anche lui un tycoon reazionario al pari di Trump, ma che la lunga esperienza ha reso meno rozzo nell’uso di espressioni razziste e sessuofobe, mentre ne ha affinato la verve comunicativa), dall’altro lato un progetto abortito di populismo progressivo che (diversamente da Podemos e Mélenchon) non ha la minima chance di aggregare un blocco sociale capace di andare oltre qualche effimero successo elettorale.
Ma l’astuzia berlusconiana si rivela anche nel suo enfatizzare il "pericolo" grillino per preparare il terreno – nel più che probabile caso che nessuno ottenga la maggioranza assoluta – a una Grosse koalition in salsa italiana (sarà per caso che Renzi sostiene a sua volta che la vera sfida è fra Pd e M5S?).
In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump.
Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.
Nel corso dell’ospitata nella trasmissione di Barbara D’Urso, l’intramontabile Silvio ha spiegato – con la consueta franchezza – qual è la posta in gioco. Ha detto cioè che scende in campo contro i grillini, come aveva fatto contro i comunisti negli anni Novanta, perché oggi il pericolo è ancora maggiore. E dal suo punto di vista ha ragione: non perché i grillini siano sovversivi, ma perché la massa inferocita che ribolle negli strati più bassi della società (e che spera di trovare espressione votando M5S) è fatta di persone «che portano invidia e odio verso chi è ricco», di incompetenti che non capiscono la complessità dei problemi su cui sono chiamati a esprimersi (la democrazia sembra essere oggi più indigesta che mai, anche se è stata ridotta ai minimi termini da decenni di guerra di classe dall’alto) e che esprimono leader «ai quali si dovrebbe domandare cosa hanno fatto prima di fare politica e se sono laureati». Infine enuncia un programma che, nel migliore stile trumpista, mette insieme veri regali ai ricchi (la flat tax) e finti regali (che, vedi Trump, verranno immediatamente smentiti dopo l’eventuale vittoria) ai poveri (aumenti delle pensioni minime, reddito di dignità, ecc.).
Insomma: qui, come ormai quasi ovunque in Occidente, si scontrano due populismi nati sulle rovine delle forze politiche tradizionali, di sinistra come di destra. Due populismi che negli Stati Uniti, come ha scritto Nancy Fraser seguendo la lezione di Gramsci in un lungo articolo su American Affairs, incarnano gli interessi di due blocchi sociali contrapposti che lottano per l’egemonia. Con la differenza che, nel caso italiano, non si confrontano un Donald Trump e un Bernie Sanders ma, da un lato una vecchia volpe (anche lui un tycoon reazionario al pari di Trump, ma che la lunga esperienza ha reso meno rozzo nell’uso di espressioni razziste e sessuofobe, mentre ne ha affinato la verve comunicativa), dall’altro lato un progetto abortito di populismo progressivo che (diversamente da Podemos e Mélenchon) non ha la minima chance di aggregare un blocco sociale capace di andare oltre qualche effimero successo elettorale.
Ma l’astuzia berlusconiana si rivela anche nel suo enfatizzare il "pericolo" grillino per preparare il terreno – nel più che probabile caso che nessuno ottenga la maggioranza assoluta – a una Grosse koalition in salsa italiana (sarà per caso che Renzi sostiene a sua volta che la vera sfida è fra Pd e M5S?).
Una soluzione che gli consentirebbe di svincolarsi della imbarazzante alleanza con Salvini, il quale è la vera controfigura italiana di Trump, almeno per quanto riguarda la scorrettezza politica e le velleità antiglobaliste e antieuropeiste. Perché il populismo di Berlusconi è soprattutto una tecnica elettorale, ma il nostro non coltiva alcuna intenzione di sfidare i diktat dell’Europa a trazione tedesca.
* FONTE: MICROMEGA
2 commenti:
Visto che si tira in ballo la mia quasi omonima...
Tanto il Berlusca quanto il Renzi (e con lui tutto il Piddì) stanno andandoci giù pesante con la retorica anti-M5S, di questo se ne accorgono pure i sassi.
Ma io non credo che il loro motivo primario sia quello di prepararsi meglio alla "Grosse Koalition" che verrà - perché tanto è scontato che questa verrà che lo si voglia o no e sono tutti già pronti, hai voglia a fare teatrino elettorale in cui tutti sono obbligati a mostrarsi desiderosi e sicuri della vittoria.
Il problema principale è assai più terra-terra: il M5S, con la sua totale indisponibilità ad ogni alleanza ed il suo crescente peso elettorale, toglie voti, ergo seggi, ergo ossigeno alle infinite clientele che sono l'ultimo "ridotto centrale" dei mal ridotti partiti eredi di "prima" e "seconda repubblica", oltre a rappresentare un grave ostacolo se non addirittura la fine per le miserabili carriere parlamentari di centinaia di nani e ballerine schierati nelle fila o del Berlusca o del Piddì e cespugli vari. Del tutto comprensibile che ciò susciti reazioni scomposte, rabbiose, con volti paonazzi e bava alla bocca da parte di chi se la vede brutta... e se lo merita ampiamente!
Venendo al Berlusca, anch'io ho visto il suo intervento da Santa Barbara di Cologno Monzese e devo dire che, mentre il suo vecchio messaggio "spaghetti-liberista" ha indubbiamente presa su certi ceti "di mezzo" in questo paese, l'uomo è ormai tremendamente invecchiato, ha perso del tutto brio e lucidità, sembra un pupazzo sempre più ridicolo, impalato e con l'occhio vitreo, che prende papere a ripetizione - memorabile un "premio Nobile"(sic!) riferito a quel criminale economico di Friedman, idolo di tutte le canaglie turbocapitaliste.
Il suo tentativo di seduzione, poi, si riversa solo sui suoi coetanei: daje che insisteva sui pensionati, sui pensionati e ancora sui pensionati! Manco uno straccio di accenno ai giovani, niente, zero! La verità è che la sua accozzaglia elettorale è tenuta assieme solo dal suo denaro e lui è costretto a tenersela per disporre d'una leva politica che impedisca a qualche concorrente economico (di questi tempi, i francesi di Vivendi) di fare un sol boccone del suo decadente impero mediatico.
Chiudo facendo notare che il ricorso al trito argomento della cosiddetta "invidia sociale", oltre che reazionario al cubo, è anche condiviso da un suo nuovo alleato elettorale: il prof. Bagnai! Costui, infatti, qualche anno fa sbatté fuori dal suo blog in maniera assai poco cerimoniosa un commentatore abituale (mi sembra si chiamasse Alessandro Guerani) proprio affibbiandogli 'sto peccato di "invidia sociale". Il signore in questione aveva osato dubitare delle capacità imprenditoriali di titolari d'impresa che si presentavano a chiedere esosi prestiti alla banca dove lui lavorava in Porsche Cayenne... Tanto bastò per suscitare le ire del cattedratico di Pescara-Parioli, rivelandoci al tempo stesso le sue più profonde e sincere pulsioni!
Non amo la Lega ma trovo scorretto descrivere la Lega e Trump come la peste quando il "cancro" del mondo è l'establishment Clinton/Soros/Obama/Kerry.
FI e M5s si contendono il governo col PD (+ cespugli e LeU).
M5s è un partito filo atlantista aveva candidato sia alle europee che negli attuali uninominali personaggi legati agli USA ed alla UE.
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