[ 23 gennaio ]
Stasera gli euristi brindano. Da Bonn è arrivata la notizia che attendevano. I delegati della SPD hanno detto sì al quarto governo Merkel. Capito su cosa si regge l'asse eurista? Sulla conservazione della politica austeritaria impersonata proprio dalla figlia del pastore luterano della Ddr. E pensare che ancora c'è chi crede, o più spesso fa finta di credere, alla possibilità di "riformare" l'Unione. L'esempio più vicino a noi di questi fenomeni da baraccone è quello di tutti i partiti italiani che si contenderanno il voto del 4 marzo.
Tra i primi commenti all'esito del congresso socialdemocratico quello di Juncker, che quando si tratta di brindare è notoriamente il più lesto di tutti: «Un’ottima notizia per un’Europa più unita, forte e democratica!». Ma anche pesce lesso Gentiloni, che sente il vento in poppa proprio grazie all'appoggio dei mascalzoni di Bruxelles (vedi la gravissima ingerenza di Moscovici), non è stato da meno. Questo il suo tweet: «#Spd Passata a maggioranza la proposta di @MartinSchulz per concludere un accordo di grande coalizione. Un passo avanti per il futuro dell'Europa».
Ma lasciamo perdere questi miserabili. La prima domanda da porsi è infatti un'altra, e riguarda il futuro della Germania. Davvero l'odierno voto di Bonn segna la fine dell'imprevista crisi politica tedesca, avviatasi con le elezioni del 24 settembre scorso? Noi non crediamo proprio che sia così.
Intanto nessuno credeva davvero ad un esito diverso del congresso della SPD, partito dall'inossidabile natura sistemica. Dunque, in un certo senso, la vittoria di Schultz è sostanzialmente una non-notizia. La notizia, semmai, è nelle striminzite proporzioni di questa affermazione. Sui 641 votanti dell'assise socialdemocratica, hanno espresso un sì solo 362 delegati contro 279. Insomma, Schultz vince, ma il partito è spaccato a metà. Un altro bel tassello da aggiungere al mosaico della crisi politica tedesca.
Il sì di oggi è un via libera all'avvio di negoziati con la CDU/CSU per la formazione del nuovo governo. I risultati del negoziato verranno poi sottoposti ad un referendum tra gli iscritti della SPD. E' davvero sicuro che la trattativa vada a buon fine? Le vicende politiche degli ultimi decenni fanno pensare che sì, andrà così. Ma la situazione attuale è assai diversa da quella del passato. Anche il precedente negoziato tra CDU/CSU, verdi e liberali avrebbe dovuto portare alla nascita della cosiddetta coalizione "Jamaica", ma così non è stato.
In ogni caso, anche se nascerà, il nuovo governo Merkel-Schulz sarà assai più fragile di quelli precedenti. La "Große Koalition" stavolta non potrà essere in nessun caso "grande". Questo per due motivi, il primo di natura numerica, il secondo di natura politica.
A settembre i due partiti del precedente governo Merkel hanno ottenuto il 32,9% l'Unione CDU/CSU, il 20,5% la SPD. Totale un modestissimo 53,4%, certo sufficiente a governare ma con una maggioranza assai meno "grande" del passato. Nelle ultime elezioni la batosta è stata infatti secca per entrambi: meno 8,6% la CDU/CSU, meno 5,2% i socialdemocratici.
Ma c'è anche un serio motivo politico a rendere la coalizione più fragile. Esso risiede nel notevole irrobustimento delle forze che in vario modo si collocano a destra di Angela Merkel. Se i nazionalisti della AfD hanno ottenuto a settembre il 12,6%, rilevante è stata anche l'avanzata degli ultra-liberisti della FDP (10,7%), senza dimenticare i settori più reazionari della CDU ed il peso che ancora mantiene (6,2% la sua percentuale nazionale) la costola bavarese (la CSU) dell'Unione capeggiata da Merkel.
Visti questi equilibri, la CDU/CSU - ammesso e non concesso che lo voglia - non potrà fare vere concessioni alla SPD. Da qui un vicolo abbastanza stretto per la trattativa. Ma forse un cappio al collo per lo stesso governo che ne nascerà. E che alla resa dei conti potrebbe scontentare tutti. Di certo le classi popolari che chiedono un cambio nella politica economica, ma anche i settori di un variegato ma emergente nazionalismo tedesco che il neoliberismo in salsa eurista è riuscito a far risorgere.
Tutto, dunque, può ancora accadere. Quel che ci sentiamo però di escludere è il tranquillo ritorno alla stabilità tedesca degli ultimi decenni, condizione di una qualche stabilità anche nell'Unione Europea. Ecco perché certi brindisi ci sembrano francamente fuori luogo. Insomma, la crisi politica tedesca non è per nulla finita. Questa almeno è la nostra opinione.
Stasera gli euristi brindano. Da Bonn è arrivata la notizia che attendevano. I delegati della SPD hanno detto sì al quarto governo Merkel. Capito su cosa si regge l'asse eurista? Sulla conservazione della politica austeritaria impersonata proprio dalla figlia del pastore luterano della Ddr. E pensare che ancora c'è chi crede, o più spesso fa finta di credere, alla possibilità di "riformare" l'Unione. L'esempio più vicino a noi di questi fenomeni da baraccone è quello di tutti i partiti italiani che si contenderanno il voto del 4 marzo.
Tra i primi commenti all'esito del congresso socialdemocratico quello di Juncker, che quando si tratta di brindare è notoriamente il più lesto di tutti: «Un’ottima notizia per un’Europa più unita, forte e democratica!». Ma anche pesce lesso Gentiloni, che sente il vento in poppa proprio grazie all'appoggio dei mascalzoni di Bruxelles (vedi la gravissima ingerenza di Moscovici), non è stato da meno. Questo il suo tweet: «#Spd Passata a maggioranza la proposta di @MartinSchulz per concludere un accordo di grande coalizione. Un passo avanti per il futuro dell'Europa».
Ma lasciamo perdere questi miserabili. La prima domanda da porsi è infatti un'altra, e riguarda il futuro della Germania. Davvero l'odierno voto di Bonn segna la fine dell'imprevista crisi politica tedesca, avviatasi con le elezioni del 24 settembre scorso? Noi non crediamo proprio che sia così.
Intanto nessuno credeva davvero ad un esito diverso del congresso della SPD, partito dall'inossidabile natura sistemica. Dunque, in un certo senso, la vittoria di Schultz è sostanzialmente una non-notizia. La notizia, semmai, è nelle striminzite proporzioni di questa affermazione. Sui 641 votanti dell'assise socialdemocratica, hanno espresso un sì solo 362 delegati contro 279. Insomma, Schultz vince, ma il partito è spaccato a metà. Un altro bel tassello da aggiungere al mosaico della crisi politica tedesca.
Il sì di oggi è un via libera all'avvio di negoziati con la CDU/CSU per la formazione del nuovo governo. I risultati del negoziato verranno poi sottoposti ad un referendum tra gli iscritti della SPD. E' davvero sicuro che la trattativa vada a buon fine? Le vicende politiche degli ultimi decenni fanno pensare che sì, andrà così. Ma la situazione attuale è assai diversa da quella del passato. Anche il precedente negoziato tra CDU/CSU, verdi e liberali avrebbe dovuto portare alla nascita della cosiddetta coalizione "Jamaica", ma così non è stato.
In ogni caso, anche se nascerà, il nuovo governo Merkel-Schulz sarà assai più fragile di quelli precedenti. La "Große Koalition" stavolta non potrà essere in nessun caso "grande". Questo per due motivi, il primo di natura numerica, il secondo di natura politica.
A settembre i due partiti del precedente governo Merkel hanno ottenuto il 32,9% l'Unione CDU/CSU, il 20,5% la SPD. Totale un modestissimo 53,4%, certo sufficiente a governare ma con una maggioranza assai meno "grande" del passato. Nelle ultime elezioni la batosta è stata infatti secca per entrambi: meno 8,6% la CDU/CSU, meno 5,2% i socialdemocratici.
Ma c'è anche un serio motivo politico a rendere la coalizione più fragile. Esso risiede nel notevole irrobustimento delle forze che in vario modo si collocano a destra di Angela Merkel. Se i nazionalisti della AfD hanno ottenuto a settembre il 12,6%, rilevante è stata anche l'avanzata degli ultra-liberisti della FDP (10,7%), senza dimenticare i settori più reazionari della CDU ed il peso che ancora mantiene (6,2% la sua percentuale nazionale) la costola bavarese (la CSU) dell'Unione capeggiata da Merkel.
Visti questi equilibri, la CDU/CSU - ammesso e non concesso che lo voglia - non potrà fare vere concessioni alla SPD. Da qui un vicolo abbastanza stretto per la trattativa. Ma forse un cappio al collo per lo stesso governo che ne nascerà. E che alla resa dei conti potrebbe scontentare tutti. Di certo le classi popolari che chiedono un cambio nella politica economica, ma anche i settori di un variegato ma emergente nazionalismo tedesco che il neoliberismo in salsa eurista è riuscito a far risorgere.
Tutto, dunque, può ancora accadere. Quel che ci sentiamo però di escludere è il tranquillo ritorno alla stabilità tedesca degli ultimi decenni, condizione di una qualche stabilità anche nell'Unione Europea. Ecco perché certi brindisi ci sembrano francamente fuori luogo. Insomma, la crisi politica tedesca non è per nulla finita. Questa almeno è la nostra opinione.
1 commento:
Grazie per questo articolo che chiarisce molto. Ci attendiamo una indicazione chiara per il 4 marzo su base no europeista
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