[ 15 gennaio 2018]
In risposta al mio articolo MACCHINE E ROBOT PRODUCONO PLUSVALORE? un lettore ha scritto un commento (vedi qui sotto) a cui provo a rispondere.
Caro Giorgio
Il tuo commento critico è denso di stimoli per l’approfondimento della discussione teorica su questo tema centrale. Tu affermi che la teoria del valore lavoro sembra implicare un’essenza “metafisica” nel lavoro umano. Perché solo il lavoro umano e non quello di un robot di silicio può produrre valore?
NOTE
1. Qui apro una postilla filosofica. Il discorso sulla tecnica apre inquietanti interrogativi filosofici sul suo potere di manipolazione dell’uomo. La tecnica, come si sviluppa in regime capitalistico, è un Giano bifronte: da una parte ha potenzialità emancipatorie (potenza) previste da Marx, dall’altra è un nuovo Leviatano (atto) che si nutre di energia umana per accrescere la sua potenza. Ed è quello che sta succedendo ora, brillantemente previsto da Heidegger e colpevolmente sottaciuto dai teorici del “Comune” come Toni Negri.
2. Uno dei corollari della teoria del valore lavoro è proprio questo: se una nazione sostituisse 20 milioni di operai con 20 milioni di robot facenti le stesse funzioni, essa sarebbe più ricca di valori d’uso ma più povera di valori di scambio. Più ricca di disoccupati e più povera di potere di acquisto. Per mantenere lo stesso surplus o sovrappiù, i 20 milioni di operai dovrebbero essere reintegrati in altre mansioni produttive. Il capitale, per mantenersi in vita, è costretto dalle leggi coercitive della concorrenza ad espellere forza-lavoro con macchinari per poi ricreare lavoro vivo in altre mansioni. Ove non riuscisse in questo compito si apre tale scenario: macchine che producono macchine che producono beni di consumo senza più valore di scambio. Questa è la contraddizione in cui si dimena il capitale che lo fa essere una corda tesa nell’abisso. E’ l’anticamera del passaggio dal suo essere al suo non essere, al suo nulla radicale!
3. Il compito storico del capitalismo è aver accresciuto esponenzialmente la massa della ricchezza prodotta, ma il suo limite invalicabile è aver posto questa ricchezza in antitesi alla massa dei cittadini che possono solo guardarla nei centri commerciali e non goderne. Mai come come ora, che viviamo nell’apogeo del capitalismo, il dislivello tra valore d’uso e valore di scambio, tra miseria e ricchezza è stato cosi alto!
In risposta al mio articolo MACCHINE E ROBOT PRODUCONO PLUSVALORE? un lettore ha scritto un commento (vedi qui sotto) a cui provo a rispondere.
«Facciamo un esperimento mentale, sempre coll’esempio di prima [della lavanderia automatizzata]. Giustamente dici che, una volta automatizzata un’attività, resta sempre una minima parte di lavoro umano (pulire, controllare, manutenere le macchine ecc.). Poniamo però che la tecnologia renda disponibili lavanderie completamente automatiche, che si controllano/aggiustano da sole. Hanno però un alto costo di acquisto, che solo pochi possono permettersi. Dovremmo pensare che chi possiede una simile impresa non sia più un capitalista, che non percepisca un profitto, e che tale profitto non sia più un “furto” ?
Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione: dal mio punto di vista, sta nella “privatezza” l’origine dell’ingiustizia del sistema. Il capitalista produce beni, tramite uomini o macchine (è indifferente), e poi senza aver lavorato, per il semplice fatto di essere proprietario dell’impresa, si appropria dei prodotti finiti (che quindi vengono sottratti ai lavoratori e alla collettività), che poi rivende sul mercato.
Solo un’infima minoranza di persone ha le risorse per possedere una fabbrica di automobili, una rete televisiva, una catena di supermercati ecc. (non stiamo parlando degli artigiani insomma).
La modernità si caratterizza per la sostituzione del lavoro umano (e animale) con lavoro robotico: grazie ai combustibili fossili la gran parte del lavoro fisico è svolto dalle macchine, e gli umani svolgono funzioni di comunicazione/elaborazione delle informazioni o controllo/guida delle macchine. Il problema è che queste macchine non sono di proprietà della collettività, ma di un pungo di capitalisti globali (multinazionali, banche) che vi estorcono i profitti/rendite.
Tutto questo per dire che, dal mio punto di vista, si può essere socialisti, senza introdurre le categorie di valore-lavoro plusvalore sfruttamento e caduta del saggio di profitto. La teoria del valore-lavoro sembra implicare un’essenza “metafisica” nel lavoro umano, assente nel lavoro robotico (o anche animale). Perché solo il lavoro umano dovrebbe produrre valore, visto che “fisicamente”, empiricamente, l’attività umana è identica a quella svolta da una macchina? Cosa cambia se un lavoro è svolto da un operatore composto di carbonio anziché di silicio?! Giorgio»
Caro Giorgio
Il tuo commento critico è denso di stimoli per l’approfondimento della discussione teorica su questo tema centrale. Tu affermi che la teoria del valore lavoro sembra implicare un’essenza “metafisica” nel lavoro umano. Perché solo il lavoro umano e non quello di un robot di silicio può produrre valore?
Se dovessi rispondere filosoficamente ti direi: perché la macchina non sarà mai autocosciente come l’uomo, non può porsi dei fini da realizzare attraverso il lavoro, non potrà avere mai percezione del vero, del bene e del bello misurandosi con essa attraverso l’esercizio di facoltà artistiche e creative. Ma andremmo fuori tema. Per rispondere invece dalla prospettiva economica devo sollevarmi dal piano analitico concreto del robot ad uno totalmente astratto. Dal concreto all’astratto non ci allontaniamo, ma ci avviciniamo alla verità come insegnava Hegel.
Se tutta la ricchezza del mondo piovesse dal cielo non ci sarebbe bisogno di lavoro, i beni non avrebbero nessun valore di scambio, pur continuando a possedere valore d’uso essenziale per noi. L’uomo stesso non sarebbe uomo poiché esso si è auto-costruito storicamente attraverso il lavoro. La scimmia si umanizza tramite il lavoro avrebbe detto Engels!!
Una economia completamente automatizzata (dove le macchine sono eterne, possiedono intelligenza artificiale e producono miracolosamente altre macchine facendo uso solo di energia solare e materie prime illimitate) sarebbe come la manna che proviene dal cielo ed essa annullerebbe di colpo il valore di scambio di tutti i beni e lo stesso capitale, che come sappiamo è il supremo valore di scambio che valorizza stesso. Come puoi ben intuire, non essendoci più lavoro non ci sarebbe neanche più reddito e nessuno potrebbe comprare i beni che piovono dall’industria automatizzata. Qualora quest’ultima fosse monopolio di una oligarchia di super-ricchi, essa potrebbe concedersi una mega-rendita di posizione e vendere le merci solo offrendo ai sudditi un sostanzioso reddito di cittadinanza. Alla fine ci sarebbero 7 miliardi di individui che realizzano i bisogni primari e una piccola minoranza di uomini con ricchezze e proprietà stratosferiche. E’ il sogno o incubo dei Cinque Stelle...
Ma questa prospettiva non sarà mai realizzabile perché le risorse nel pianeta sono scarse e limitate, accumuliamo ogni giorno debito ecologico, le macchine sono deperibili e hanno bisogno di controlli e manutenzioni quotidiane. Inoltre esse racchiudono software cioè saperi, conoscenze, persino affettività forniti non da altre macchine ma dal lavoro vivo dell’uomo.
Prendiamo ad esempio una nazione, gli Stati Uniti, il paese tecnologicamente più avanzato del mondo. La disoccupazione ora è ivi al 4,1%. Ciò significa che l’immensa ricchezza di questo paese, nonostante l’automazione, è mossa, attivata, controllata da decine di milioni di salariati. La produttività del lavoro e la massa dei valori d’uso prodotti negli Usa sono direttamente proporzionali alla potenza tecnologica delle macchine e del capitale fisso, ma il valore di scambio delle merci è determinato direttamente dal lavoro vivo dei milioni di salariati manuali ed intellettuali che muovono, informano e sorvegliano queste macchine. Tale valore si misura ancora in moneta che riflette sottostanti unità temporali di lavoro vivo. Amazon ha introdotto 200.000 robot nelle proprie aziende ma ha anche assunto 300.000 dipendenti che lavorano a ritmi infernali, con controlli dei tempi e dei ritmi, che farebbero impallidire gli stessi Taylor e Ford. Anche l’industria più automatizzata, quindi, lucra profitti sull’economia di tempo di lavoro. Quale maggiore conferma della teoria di Marx del valore-lavoro!
I nuovi paradigmi produttivi e tecnologici del capitalismo “Bio-cognitivo” (come lo chiamano Fumagalli e Negri) prevedono una crescente umanizzazione delle macchine e robotizzazione dell’uomo. Sicché sembra sempre più difficile distinguere tra il contributo del lavoro morto e quello del lavoro vivo, nella determinazione del valore finale delle merci. Si sta avverando ciò che profetizzò Marx nel “frammento sulle macchine” dei Grundrisse, vertice teorico della sua critica dell’economia politica. Oggi il capitale estrae valore non dal lavoro immediato del singolo o dei singoli, ma dalla potenza sociale, cooperativa, intellettuale, affettiva e reticolare del lavoro, che è sempre più immateriale e difficilmente misurabile in unità temporali. Tony Negri e Andrea Fumagalli si sono incartati su questo passaggio teorico, deducibile dal frammento di Marx, annunciando il superamento della teoria del valore lavoro. Ma sbagliano perché hanno rimosso il passaggio successivo dello scritto che cosi’ recita:
Se tutta la ricchezza del mondo piovesse dal cielo non ci sarebbe bisogno di lavoro, i beni non avrebbero nessun valore di scambio, pur continuando a possedere valore d’uso essenziale per noi. L’uomo stesso non sarebbe uomo poiché esso si è auto-costruito storicamente attraverso il lavoro. La scimmia si umanizza tramite il lavoro avrebbe detto Engels!!
Una economia completamente automatizzata (dove le macchine sono eterne, possiedono intelligenza artificiale e producono miracolosamente altre macchine facendo uso solo di energia solare e materie prime illimitate) sarebbe come la manna che proviene dal cielo ed essa annullerebbe di colpo il valore di scambio di tutti i beni e lo stesso capitale, che come sappiamo è il supremo valore di scambio che valorizza stesso. Come puoi ben intuire, non essendoci più lavoro non ci sarebbe neanche più reddito e nessuno potrebbe comprare i beni che piovono dall’industria automatizzata. Qualora quest’ultima fosse monopolio di una oligarchia di super-ricchi, essa potrebbe concedersi una mega-rendita di posizione e vendere le merci solo offrendo ai sudditi un sostanzioso reddito di cittadinanza. Alla fine ci sarebbero 7 miliardi di individui che realizzano i bisogni primari e una piccola minoranza di uomini con ricchezze e proprietà stratosferiche. E’ il sogno o incubo dei Cinque Stelle...
Ma questa prospettiva non sarà mai realizzabile perché le risorse nel pianeta sono scarse e limitate, accumuliamo ogni giorno debito ecologico, le macchine sono deperibili e hanno bisogno di controlli e manutenzioni quotidiane. Inoltre esse racchiudono software cioè saperi, conoscenze, persino affettività forniti non da altre macchine ma dal lavoro vivo dell’uomo.
Prendiamo ad esempio una nazione, gli Stati Uniti, il paese tecnologicamente più avanzato del mondo. La disoccupazione ora è ivi al 4,1%. Ciò significa che l’immensa ricchezza di questo paese, nonostante l’automazione, è mossa, attivata, controllata da decine di milioni di salariati. La produttività del lavoro e la massa dei valori d’uso prodotti negli Usa sono direttamente proporzionali alla potenza tecnologica delle macchine e del capitale fisso, ma il valore di scambio delle merci è determinato direttamente dal lavoro vivo dei milioni di salariati manuali ed intellettuali che muovono, informano e sorvegliano queste macchine. Tale valore si misura ancora in moneta che riflette sottostanti unità temporali di lavoro vivo. Amazon ha introdotto 200.000 robot nelle proprie aziende ma ha anche assunto 300.000 dipendenti che lavorano a ritmi infernali, con controlli dei tempi e dei ritmi, che farebbero impallidire gli stessi Taylor e Ford. Anche l’industria più automatizzata, quindi, lucra profitti sull’economia di tempo di lavoro. Quale maggiore conferma della teoria di Marx del valore-lavoro!
I nuovi paradigmi produttivi e tecnologici del capitalismo “Bio-cognitivo” (come lo chiamano Fumagalli e Negri) prevedono una crescente umanizzazione delle macchine e robotizzazione dell’uomo. Sicché sembra sempre più difficile distinguere tra il contributo del lavoro morto e quello del lavoro vivo, nella determinazione del valore finale delle merci. Si sta avverando ciò che profetizzò Marx nel “frammento sulle macchine” dei Grundrisse, vertice teorico della sua critica dell’economia politica. Oggi il capitale estrae valore non dal lavoro immediato del singolo o dei singoli, ma dalla potenza sociale, cooperativa, intellettuale, affettiva e reticolare del lavoro, che è sempre più immateriale e difficilmente misurabile in unità temporali. Tony Negri e Andrea Fumagalli si sono incartati su questo passaggio teorico, deducibile dal frammento di Marx, annunciando il superamento della teoria del valore lavoro. Ma sbagliano perché hanno rimosso il passaggio successivo dello scritto che cosi’ recita:
«Il capitale chiama in vita tutte le potenze della scienza e della natura, come della combinazione sociale e del traffico sociale allo scopo di rendere indipendente la creazione della ricchezza dal tempo di lavoro in essa impiegato. Per l’altro verso vuole misurare con il tempo di lavoro le gigantesche forze sociali cosi create e relegarle nei limiti che sono richiesti per conservare come valore il valore già creato». K. Marx, Grundrisse, Einaudi, frammento sulle macchine.
Marx qui profetizza che le condizioni oggettive per l’abolizione del valore di scambio sono mature, perché la creazione di ricchezza dipende più dall’intelletto generale, dalla conoscenza immateriale, dalle potenze della scienza e della tecnica piuttosto che dal lavoro del singolo operaio; ma il capitale non può fare a meno, pena la sua dissoluzione, di misurare con il tempo di lavoro e con la forma valore la ricchezza che emana dal lavoro vivo, materiale ed immateriale. La contraddizione esplosiva è nel capitale stesso che vuole racchiudere nella camicia di forza del valore di scambio e della proprietà privata, la forza emancipante della tecnica, diventata a tutti gli effetti una potenza sociale, culturale, cooperativa e relazionale. Basterebbe togliere questa camicia di forza per rendere fruibile a tutti i benefici della forza produttiva sociale! [1]
Oggi più che mai facciamo difficoltà a misurare il valore delle merci in ore di lavoro. Infatti se prendiamo un cellulare come calcolare le ore di lavoro necessarie alla sua produzione? Sarebbe un compito improbo che rimanda, a ritroso, ad una catena di processi cognitivi ed esecutivi mondializzati interminabili. Tale compito lo lasciamo risolvere post festum al mercato attraverso la determinazione del prezzo. Ma la potenza sociale del lavoro è facilmente riconducibile alla misura dell’unità temporale, se gettiamo uno sguardo complessivo, olistico sulla produzione globale, cioè se calcoliamo l’intera ricchezza di una nazione o di un insieme di nazioni moltiplicando le ore di lavoro di tutti i loro salariati per il numero di essi, date certe condizioni di produttività media e al netto dei patrimoni mobiliari ed immobiliari. [2] Uno sciopero generale che bloccasse gli Usa per alcune settimane farebbe piombare la nazione più potente del mondo nella crisi più nera, a conferma che in ultima istanza è sempre il lavoro vivo e non quello morto a decidere sui destini della ricchezza delle nazioni.
La potenza tecnologica mondiale dell’homo sapiens potrebbe garantire tutti i valori d’uso indispensabili alla sua riproduzione come specie. Ma è la permanenza della forma capitalistica della produzione, che pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza, a fare in modo che i valori d’uso siano inaccessibili per miliardi di persone e che altri miliardi vivano nella precarietà permanente per mantenere l’ozio e la immorale opulenza di una strettissima minoranza. [3] Ergo: la legge del valore potrà essere superata solo con l’abolizione del modo di produzione capitalistico.
Alla fine tu scrivi che si può essere socialisti senza introdurre la teoria del valore-lavoro. Certo. Infatti il comunismo come idea sorge duemila anni prima della teoria del valore lavoro. Ma sarebbe un errore interpolare una questione etica con una di carattere scientifico. La teoria del valore lavoro è uno strumento imprescindibile per comprendere il modo di funzionamento del capitalismo e il suo destino storico. Come tale è di enorme ausilio all’elaborazione di una idea di società eticamente giusta, ma non va confusa con essa. Sono convinto, altresì, che solo un uomo geniale come Marx, partigiano degli ultimi e degli oppressi, potesse svelarla nel suo profondo meccanismo di funzionamento.
Oggi più che mai facciamo difficoltà a misurare il valore delle merci in ore di lavoro. Infatti se prendiamo un cellulare come calcolare le ore di lavoro necessarie alla sua produzione? Sarebbe un compito improbo che rimanda, a ritroso, ad una catena di processi cognitivi ed esecutivi mondializzati interminabili. Tale compito lo lasciamo risolvere post festum al mercato attraverso la determinazione del prezzo. Ma la potenza sociale del lavoro è facilmente riconducibile alla misura dell’unità temporale, se gettiamo uno sguardo complessivo, olistico sulla produzione globale, cioè se calcoliamo l’intera ricchezza di una nazione o di un insieme di nazioni moltiplicando le ore di lavoro di tutti i loro salariati per il numero di essi, date certe condizioni di produttività media e al netto dei patrimoni mobiliari ed immobiliari. [2] Uno sciopero generale che bloccasse gli Usa per alcune settimane farebbe piombare la nazione più potente del mondo nella crisi più nera, a conferma che in ultima istanza è sempre il lavoro vivo e non quello morto a decidere sui destini della ricchezza delle nazioni.
La potenza tecnologica mondiale dell’homo sapiens potrebbe garantire tutti i valori d’uso indispensabili alla sua riproduzione come specie. Ma è la permanenza della forma capitalistica della produzione, che pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza, a fare in modo che i valori d’uso siano inaccessibili per miliardi di persone e che altri miliardi vivano nella precarietà permanente per mantenere l’ozio e la immorale opulenza di una strettissima minoranza. [3] Ergo: la legge del valore potrà essere superata solo con l’abolizione del modo di produzione capitalistico.
Alla fine tu scrivi che si può essere socialisti senza introdurre la teoria del valore-lavoro. Certo. Infatti il comunismo come idea sorge duemila anni prima della teoria del valore lavoro. Ma sarebbe un errore interpolare una questione etica con una di carattere scientifico. La teoria del valore lavoro è uno strumento imprescindibile per comprendere il modo di funzionamento del capitalismo e il suo destino storico. Come tale è di enorme ausilio all’elaborazione di una idea di società eticamente giusta, ma non va confusa con essa. Sono convinto, altresì, che solo un uomo geniale come Marx, partigiano degli ultimi e degli oppressi, potesse svelarla nel suo profondo meccanismo di funzionamento.
Ricardo, pensatore geniale animato da spirito borghese, ci era andato vicino, ma forse si era ritratto, spaventato dalle conseguenze ultime delle sue intuizioni. La scienza sociale si distingue dalla scienza naturale perché può diventare scienza rivoluzionaria se sposa la causa degli ultimi e si libera dell’ipoteca ideologica delle classi dominanti.
Ciò non significa confondere i fatti con i valori ma dare ai fatti il sostegno dei valori, che è l’unico viatico per raggiungere la verità (che è sempre rivoluzionaria per Gramsci) in campo politico-sociale.
NOTE
1. Qui apro una postilla filosofica. Il discorso sulla tecnica apre inquietanti interrogativi filosofici sul suo potere di manipolazione dell’uomo. La tecnica, come si sviluppa in regime capitalistico, è un Giano bifronte: da una parte ha potenzialità emancipatorie (potenza) previste da Marx, dall’altra è un nuovo Leviatano (atto) che si nutre di energia umana per accrescere la sua potenza. Ed è quello che sta succedendo ora, brillantemente previsto da Heidegger e colpevolmente sottaciuto dai teorici del “Comune” come Toni Negri.
2. Uno dei corollari della teoria del valore lavoro è proprio questo: se una nazione sostituisse 20 milioni di operai con 20 milioni di robot facenti le stesse funzioni, essa sarebbe più ricca di valori d’uso ma più povera di valori di scambio. Più ricca di disoccupati e più povera di potere di acquisto. Per mantenere lo stesso surplus o sovrappiù, i 20 milioni di operai dovrebbero essere reintegrati in altre mansioni produttive. Il capitale, per mantenersi in vita, è costretto dalle leggi coercitive della concorrenza ad espellere forza-lavoro con macchinari per poi ricreare lavoro vivo in altre mansioni. Ove non riuscisse in questo compito si apre tale scenario: macchine che producono macchine che producono beni di consumo senza più valore di scambio. Questa è la contraddizione in cui si dimena il capitale che lo fa essere una corda tesa nell’abisso. E’ l’anticamera del passaggio dal suo essere al suo non essere, al suo nulla radicale!
3. Il compito storico del capitalismo è aver accresciuto esponenzialmente la massa della ricchezza prodotta, ma il suo limite invalicabile è aver posto questa ricchezza in antitesi alla massa dei cittadini che possono solo guardarla nei centri commerciali e non goderne. Mai come come ora, che viviamo nell’apogeo del capitalismo, il dislivello tra valore d’uso e valore di scambio, tra miseria e ricchezza è stato cosi alto!
3 commenti:
Faccio anche io un esempio, per dimostrare che le macchine non producono plusvalore.
La macchina di carbonio, come la chiama Giorgio, riceve delle calorie sotto forma di cibo, ma ha la magia, l'arcano, come lo chiamava Marx, di produrre per il padrone di più di quanto riceve sotto forma di cibo.
Una macchina di silicio non può farlo e ti mostro perché: se tu hai una macchina che ti costa 10 euro di corrente elettrica e 10 di manutenzione, questa ti produce una marce che costa 20 euro. Tu per guadagnare la rivendi a 25. Poi arriva un tuo rivale che la vende a 24 e nessuno compra più la tua merce, quindi tu sei costretto a venderla a 23, e il tuo rivale allora scende a 22.
In poche parole, con le macchine, si tenderà sempre verso la riduzione del profitto. Questo può aumentare solo con gli umani i quali possono essere sfruttati ad libido, se i rapporti di classe lo consentono; oppure si può andare a fare imperialismo e sfruttare altri umani nei paesi poveri e conquistare quei nuovi mercati.
La machina non può; la macchina ti produce merci del valore del costo del suo funzionamento. L'arcano del plusvalore è magia del tuo organica
Ottima riflessione sul tema delle macchine e sugli scenari che l'automazione apre. Il buon vecchio Marx ci ha dato al riguardo illuminanti chiavi di lettura nei Grundrisse...
Non è molto chiaro l’esempio di Marxista critico. I salari sono determinati dai rapporti di forza tra capitale e lavoro, oltre a leggi consuetudini e contratti collettivi. Per l’imprenditore i salari sono un costo di produzione, paragonabile al costo dell’energia elettrica che fa funzionare le macchine. Se nell’esempio poniamo 20 euro di salari, al posto di 20 euro di energia/manutenzione, non cambia nulla. La concorrenza, se c’è, farà scendere i prezzi al minimo, diminuendo i profitti del capitalista. Lui potrà rivalersi contraendo i salari, ma anche i suoi concorrenti faranno lo stesso. Sicche’ la sostituzione tra lavoro morto e lavoro vivo non cambia nulla a livello di profitti.
Nowork
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