[ 8 dicembre 2017 ]
Oggi Gerusalemme è paralizzata dallo sciopero dei palestinesi. Domani, 8 dicembre, sarà il "giorno dell'ira", e - secondo quanto invocato da Hamas, quello che segnerà l'inizio di una nuova Intifada: quella per la liberazione di Gerusalemme. Intanto, nelle manifestazioni di oggi (che hanno interessato Gaza e tutta la Cisgiordania) si contano al momento 114 feriti tra i palestinesi colpiti dalle armi da fuoco, dai proiettili di gomma e dai gas lacrimogeni delle truppe dell'occupazione sionista.
Qualcuno ha paragonato la mossa di Trump, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, alla famosa "passeggiata" che Ariel Sharon compì il 28 settembre 2000 - accompagnato da una consistente scorta armata - nella Spianata delle Moschee. L'oltraggio non solo ai palestinesi, ma all'intero mondo islamico fu violentissimo, il segno che l'oppressione israeliana si sarebbe fatta ancor più dura. Altro che "processo di pace"!
Già, "processo di pace", solo a sentirla pronunciare questa locuzione grida vendetta. E dovrebbe far davvero male all'intelligenza d'ognuno sentirla ripetere dopo 17 anni come se niente fosse. Ma quale processo di pace? Anche se già nel 2000 era chiaro l'imbroglio di questa formula, tanti allora credevano (e molti di più fingevano di credere) all'irreale prospettiva dei "due stati per due popoli". Ma oggi chi può crederci più?
In questi 17 anni Gaza è stata trasformata in un enorme campo di concentramento, come se non bastasse è stata bombardata di continuo, ed ha subito tre massicce aggressioni nel 2008-2009, 2012 e 2014. Allo stesso tempo, mentre le colonie israeliane crescevano come tumori in tutta la Cisgiordania, si è costruito il muro dell'apartheid, circa 800 km di una barriera che simboleggia più di ogni altra cosa la natura razzista dello stato di Israele. Tutto ciò senza dimenticare l'aggressione del 2006 alle forze di Hezbollah in Libano, accusate di appoggiare la resistenza palestinese. E questo sarebbe un "processo di pace"?
Adesso, di nuovo, è la volta di Gerusalemme, il cui valore simbolico non ha paragoni.
La città subisce la prima invasione sionista nel 1948, con l'occupazione della sua parte occidentale, mentre quella orientale viene occupata nel 1967. Nell'ormai lontano 1980 il governo israeliano la proclamò come sua "capitale unica e indivisibile", ma nessuno al mondo le riconobbe tale status. Tant'è che nessun Paese ha spostato fino ad oggi la propria sede diplomatica a Gerusalemme. Neppure gli USA, nonostante la decisione in tal senso presa dal Congresso statunitense nel 1995, in piena amministrazione Clinton. Gli equilibri regionali coltivati dall'imperialismo americano richiedevano anche quel tipo di equilibrismo.
Oggi è arrivato Trump, ed il passo è ormai compiuto. Netanyahu può dunque cantare vittoria, annunciando che altri stati seguiranno. Quali non si sa, ma si parla della Repubblica Ceca e delle Filippine. Per adesso davvero poco, ma quel che conta per la cupola sionista è che siano proprio gli USA a fare da apripista.
In realtà la scelta di Trump è stata criticata non solo dal mondo arabo, e più in generale da quello musulmano. Una dissociazione è arrivata pure dall'Unione Europea e perfino dal solitamente fido governo inglese. Niente di serio ovviamente. Più che altro il segnale di come i governi europei non intendano per ora rinunciare alla loro tradizionale ipocrisia.
Più forte ed esplicita - ma questo era scontato vista la portata politico-religiosa della partita di Gerusalemme - la condanna espressa dal Vaticano.
Perché dunque Trump ha deciso di fare questo regalo a Netanyahu anche a costo di un forte isolamento internazionale?
La risposta non può che essere nel nuovo approccio della Casa Bianca rispetto all'intero scacchiere mediorientale, esemplificata dalla scelta di denunciare l'accordo sul nucleare iraniano. Nuove nubi si addensano dunque sul Medio Oriente. E mentre il pendolo della strategia imperiale americana - a dispetto dei tanti smacchi subiti negli ultimi 15 anni - sembra ora oscillare verso un revival dell'impostazione bushiana, non è difficile intravedere nuovi e più estesi scenari di guerra.
Già, "processo di pace", solo a sentirla pronunciare questa locuzione grida vendetta. E dovrebbe far davvero male all'intelligenza d'ognuno sentirla ripetere dopo 17 anni come se niente fosse. Ma quale processo di pace? Anche se già nel 2000 era chiaro l'imbroglio di questa formula, tanti allora credevano (e molti di più fingevano di credere) all'irreale prospettiva dei "due stati per due popoli". Ma oggi chi può crederci più?
In questi 17 anni Gaza è stata trasformata in un enorme campo di concentramento, come se non bastasse è stata bombardata di continuo, ed ha subito tre massicce aggressioni nel 2008-2009, 2012 e 2014. Allo stesso tempo, mentre le colonie israeliane crescevano come tumori in tutta la Cisgiordania, si è costruito il muro dell'apartheid, circa 800 km di una barriera che simboleggia più di ogni altra cosa la natura razzista dello stato di Israele. Tutto ciò senza dimenticare l'aggressione del 2006 alle forze di Hezbollah in Libano, accusate di appoggiare la resistenza palestinese. E questo sarebbe un "processo di pace"?
Adesso, di nuovo, è la volta di Gerusalemme, il cui valore simbolico non ha paragoni.
La città subisce la prima invasione sionista nel 1948, con l'occupazione della sua parte occidentale, mentre quella orientale viene occupata nel 1967. Nell'ormai lontano 1980 il governo israeliano la proclamò come sua "capitale unica e indivisibile", ma nessuno al mondo le riconobbe tale status. Tant'è che nessun Paese ha spostato fino ad oggi la propria sede diplomatica a Gerusalemme. Neppure gli USA, nonostante la decisione in tal senso presa dal Congresso statunitense nel 1995, in piena amministrazione Clinton. Gli equilibri regionali coltivati dall'imperialismo americano richiedevano anche quel tipo di equilibrismo.
Oggi è arrivato Trump, ed il passo è ormai compiuto. Netanyahu può dunque cantare vittoria, annunciando che altri stati seguiranno. Quali non si sa, ma si parla della Repubblica Ceca e delle Filippine. Per adesso davvero poco, ma quel che conta per la cupola sionista è che siano proprio gli USA a fare da apripista.
In realtà la scelta di Trump è stata criticata non solo dal mondo arabo, e più in generale da quello musulmano. Una dissociazione è arrivata pure dall'Unione Europea e perfino dal solitamente fido governo inglese. Niente di serio ovviamente. Più che altro il segnale di come i governi europei non intendano per ora rinunciare alla loro tradizionale ipocrisia.
Più forte ed esplicita - ma questo era scontato vista la portata politico-religiosa della partita di Gerusalemme - la condanna espressa dal Vaticano.
Perché dunque Trump ha deciso di fare questo regalo a Netanyahu anche a costo di un forte isolamento internazionale?
La risposta non può che essere nel nuovo approccio della Casa Bianca rispetto all'intero scacchiere mediorientale, esemplificata dalla scelta di denunciare l'accordo sul nucleare iraniano. Nuove nubi si addensano dunque sul Medio Oriente. E mentre il pendolo della strategia imperiale americana - a dispetto dei tanti smacchi subiti negli ultimi 15 anni - sembra ora oscillare verso un revival dell'impostazione bushiana, non è difficile intravedere nuovi e più estesi scenari di guerra.
3 commenti:
"i governi europei non intendano per ora rinunciare alla loro tradizionale ipocrisia."
Sicuro che sia solo ipocrisia? Gli USA di Trump gettano al maschera del "super partes" rinunciando così al presunto ruolo di "mediatore" che veicolava la loro egemonia in quell'area tanto cruciale. Ora si schierano riconoscendo di fatto anche il ruolo delle altre potenze riemergenti. Rinasce la lotta per le sfere di influenza.
Questo manda in allarme tutti quei settori che vivevano nel precedente ordinamento, come il vecchio establishment americano e la EU che in fondo è un loro progetto.
Se la sconfitta della Clinton un anno fa fu un evento che salutai con un certa soddisfazione, oggi non posso non prendere atto che il problema riguardo l'America non è questo o quel candidato, questo o quel partito: è l'America stessa. Punto e basta. La potenza imperialista più grande del mondo è un disgustoso cesso con un sistema politico ridicolo, specchio di una società intellettualmente pietosa, sede di eterni scontri fra pittoreschi conservatives e liberals. Chi capisce un po' d'inglese segua qualche baruffa chiozzotta fra questi fenomeni su Twitter e si capiciti di che subumani stiamo parlando.
Troppi hanno gioito troppo in fretta all'elezione di Trump credendolo chissà quale salvatore delle classi medie e lavoratrici americane... Sì, vabè... Certo, lo scampato pericolo di uno scontro frontale con la Russia bramato dalla Clinton è stato di per sé positivo e ancora credo che sia meglio che questa strega sia stata battuta. Ma Trump alla fin fine è un altro pupazzo pieno di sé, totalmente digiuno di politica, specialmente internazionale. Guardate che figurine marroni colleziona con la piccola, povera e assediata Corea del Nord, che finalmente si è dotata di armi potenti e che nonostante le mille minaccie, il Donald e la sua corte di criminali neo-conservatori ancora non si azzardano a toccare. E bravo Kim, invece, che ha visto che fine hanno fatto Iraq e Libia (e a momenti Siria) a non armarsi e a fidarsi dell'Occidente e ne ha tratto una lezione fondamentale.
Tornando al punto principale, cioè il riconoscimento di Al-Quds come capitale del disgustoso, abominevole e criminale tumore sionista da parte degli Stati Assassini d'America, vorrei portare all'attenzione quanto rilanciato dal benemerito Julian Assange, fondatore e capo di WikiLeaks, da anni ormai confinato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra a causa delle persecuzioni volute da Washington e supinamente recepite dalla Gran Bretagna.
In questo tweet Assange mostra tutti i senatori ameriCani che hanno votato in favore del riconoscimento di Gerusalemme come capitale sionista. Verso la fine fa bella mostra di sé quel Sanders che tanti ancora acclamano come "socialista" e che ha sempre votato in favore di tutte le nefandezze imperiali americane, coronando la sua carriera politica con la partecipazioni alle primarie-farsa truccate vinte dalla Clinton. Costui accettò la "sconfitta" in cambio di un contratto editoriale da quasi un milione di dollari per scrivere un libro pieno di cazzate, che però tanti stronzi americani (e non solo, purtroppo) liberal o addirittura socialist si berranno come fosse il Vangelo. A riprova del carattere intellettuale al livello di scarico fognario dell'americano medio, si veda la discussione sotto il tweet...
Fra i votanti figurano pure il "comico" Al Franken, che si è scoperto essere un molestatore sessuale seriale, ed Elizabeth Warren, molto in vista come possibile "nuova" Clinton. Due democrats, manco a dirlo!
Ed esce un interessante articolo, certo è sull'Huffington Post ma pazienza. Si spartiscono il medio oriente secondo nuovi equilibri.
Verrà il momento anche che si spartiranno quell'ininfluente spettatore che è l'Europa.
Scrive spesso Pasquinelli che questa battaglia alla fine si vincerà o perderà in un giorno solo, ecco quello sarà il giorno. Se si svolgerà senza grosse destabilizzazioni io la vedo piuttosto brutta, si continuerà a galleggiare in un lento declino per l'Italia. Con o senza l'euro.
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