[ 13 dicembre 2017 ]
Volentieri pubblichiamo questo contributo sulla questione delle prossime elezioni. Si tratta di una critica della proposta partita dai napoletani di Je so' pazzo. Segnaliamo, in merito, quanto avevamo già scritto.
In queste settimane, in vista delle prossime elezioni politiche, sono in corso, in un’area variegata e che impropriamente potremmo definire di “movimento” e/o di “sinistra”, alcuni tentativi di dar vita a delle liste alternative ai partiti tradizionali. Questa esigenza, è importante sottolinearlo, è nata anche in seguito alla svolta centrista e moderata del M5S che, con la candidatura di Di Maio (che non ha mancato, come nella migliore tradizione di tutti i candidati premier, di mandare messaggi più che rassicuranti a Washington, Bruxelles, Londra e Berlino) ha virato decisamente verso destra. Il M5S, infatti, esattamente come tutti gli altri partiti, cerca ormai di accreditarsi come una forza politica in grado di garantire la famosa “governance”, cioè quella pace sociale dove i padroni del vapore possono continuare a fare quello che gli pare in totale assenza di conflitto sociale. Questo gli elettori pentastellati probabilmente non lo capiranno mai, non perché sono stupidi ma perché è assai difficile che il M5S possa andare al governo – con la inevitabile conseguenza di far esplodere le proprie contraddizioni – a meno di giravolte e tripli salti carpiati (leggi alleanze improbabili con altri partiti) che però gli sarebbe impossibile gestire di fronte al proprio elettorato. E’ da ricordare che il M5S negli anni scorsi è stato elettoralmente sostenuto, anche se non esplicitamente, anche da una buona fetta di elettorato di sinistra radicale e di “movimento”, sindacati di base, centri sociali, associazionismo vario ecc.
Ora, quest’area politica, sia pure decisamente minoritaria nel paese, ha preso atto della svolta “grillina” e, giustamente lontana anni luce dal nuovo rassemblement messo in piedi dai sempiterni D’Alema e Bersani (validi, si fa per dire, per ogni stagione…) più cespugli al seguito, cerca di dotarsi di una sua rappresentanza politica. Fatto di per sé assolutamente legittimo, qualora ce ne fossero le condizioni politiche, che a mio parere non ci sono, ma questo è un altro discorso.
Questo tentativo è in atto, come dicevo, in queste settimane, in seguito all’iniziativa di un centro sociale napoletano che ha posto la questione di dare vita ad una lista popolare a cui è stato appunto dato il nome di “Potere al Popolo” e che sta coinvolgendo diverse realtà di “movimento” un po’ in tutta Italia. Di seguito si può leggere [la prima bozza, Ndr] il programma:
Ora, un paio di considerazioni. Personalmente penso che una forza politica che abbia l’intenzione di scendere nell’agone politico e quindi di accettare anche il terreno della competizione elettorale, debba essere l’espressione di bisogni e di interessi sociali ben precisi e possibilmente quanto più ampi possibile (senza ovviamente svilire, impoverire o venir meno alla propria “mission”). Per dirla in parole ancora più semplici deve rappresentare degli interessi di classe che debbono altresì – questo è il punto fondamentale – manifestarsi chiaramente, altrimenti non possono oggettivamente tradursi in rappresentanza politica. Faccio un esempio, fino ad una quarantina di anni fa in questo paese il conflitto di classe era decisamente vivo e vivace, c’era una classe operaia ancora molto robusta, anche numericamente, e coesa, che era in grado di esercitare una egemonia e di tirarsi dietro anche altri settori sociali, popolo delle periferie e anche piccola e talvolta media borghesia. Questo blocco sociale, a torto o a ragione, trovava il suo riferimento e la sua rappresentanza politica nei partiti della Sinistra riformista e in particolare nel PCI. Questo partito, sebbene in realtà politicamente molto moderato, per nulla “antagonista” e perfettamente integrato nel quadro istituzionale, raccoglieva dal punto di vista elettorale i frutti di quel conflitto sociale in quel determinato contesto storico.
Quel contesto non esiste più. Quello attuale è ben peggiore, a mio avviso, sotto ogni punto di vista, ed è caratterizzato da una sostanziale pace sociale che sta a testimoniare come il conflitto di classe, che in molti considerano superato (i cantori dell’ideologia dominante) sia stato combattuto e vinto dal capitale e dalle classi dominanti. Nonostante infatti le condizioni materiali di esistenza siano di gran lunga peggiorate per la grande maggioranza delle persone (basti pensare che fino a 40 anni fa il lavoro era garantito per quasi tutti ed oggi si avvia ad essere precario per quasi tutti…), non esiste allo stato attuale neanche un barlume di quella conflittualità e coscienza di classe che c’era allora.
Le ragioni di ciò sono complesse e non possono essere affrontate in questo articolo (del resto ce ne siamo occupati in altri articoli; ne segnalo uno fra i tanti che abbiamo pubblicato).
Tornando a noi, mi sembra oggettivamente contraddittorio proporre la formazione di una “lista di classe“ in (purtroppo) quasi totale assenza di conflitto di classe. Tutt’al più, una formazione di quel tipo potrà raccogliere il consenso di alcune sacche, sia pure molto minoritarie, di conflittualità sociale e cioè alcuni sindacati di base, il variegato arcipelago dei “centri sociali” (ammesso che questi, a parte alcune eccezioni, rappresentino effettivamente delle esperienze significative di conflittualità sociale…) e una schiera di vecchi militanti e dirigenti dei vecchi micropartitini comunisti che, guarda caso, stanno cercando di incistarsi (con l’obiettivo di prenderne la guida) in questa possibile nuova formazione politica di “movimento”. Non gliela voglio certo tirare, sia chiaro, tuttavia mi sembra che la questione posta non sia eludibile. Dare vita ad una lista che prenda l’ennesimo 1,5% non mi sembra che abbia alcuna utilità, soprattutto nella auspicata direzione di riaprire quella benedetta conflittualità sociale, senza la quale nessuna Sinistra potrà mai sperare di avere una rappresentanza politica.
Si tratta quindi, in questa fase che a mio parere sarà molto lunga se non lunghissima, di fare quello che una volta si chiamava il “lavoro della talpa, cercare cioè di seminare, di lavorare dietro le quinte e fra le pieghe della società a tutti i livelli (sia pratico che teorico) per cercare di far esplodere le contraddizioni e di acutizzare il conflitto di classe, oggi combattuto solo dall’alto. Non credo che scorciatoie elettorali possano, sempre in questa fase, accelerare questo processo. Al contrario rischiano di essere addirittura controproducenti, perché liste che si richiamano al conflitto di classe (senza peraltro rappresentarlo…) e ad una critica radicale dello stato di cose presente, se poi fanno un buco nell’acqua, ottengono il risultato di allontanare ancora di più nel tempo la possibilità di costruire quel blocco sociale in grado di sviluppare quella conflittualità reale di cui sopra.
A tal proposito, mi sembra interessante questo articolo del collettivo Militant che condivido nel complesso.
Ci sono altri due aspetti fondamentali che minano alla radice, il tentativo, pur in parte lodevole (se non altro per lo spirito di iniziativa) messo in campo dai giovani militanti di “Potere al Popolo”.
Uno di questi è stato a mio parere messo in evidenza da questo articolo di Ugo Boghetta e Mimmo Porcaro.
L’iniziativa di “Potere al Popolo” rischia molto concretamente di essere velleitaria se non pone con chiarezza in questa fase la coniugazione del conflitto e della rappresentanza di classe con la questione del recupero della sovranità popolare e nazionale. E’ bene subito chiarire un punto fondamentale di ordine teorico, storico e politico. Il capitalismo e l’imperialismo, per decenni, hanno avuto come bandiera ideologica proprio il nazionalismo. Le nazioni (e il concetto di nazione) erano lo strumento ideologico attraverso il quale le vecchie classi dominanti capitaliste e le vecchie borghesie, attraverso gli stati-nazione imperialisti imponevano il loro dominio sul mondo, anche e soprattutto attraverso la guerra (imperialista). La prima guerra mondiale (e in parte la seconda) è senz’altro la principale estrinsecazione di quel vecchio ordine mondiale che dal punto di vista ideologico si fondava appunto sugli stati nazione e sull’esaltazione del concetto di patria e di nazione.
Oggi la situazione è decisamente mutata, sotto questo profilo. Gli stati (con l’esclusione di quelli dominanti, a cominciare dagli USA e dal loro gigantesco apparato militare industriale, per ciò che concerne il mondo occidentale), in particolare quelli “periferici” come peraltro l’Italia e tutta l’area mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia), sono stati completamente esautorati dai vari trattati di Lisbona, Maastricht ecc. non hanno più nessuna autonomia politica e decisionale e i rispettivi governi sono stati ridotti a fantocci preposti ad eseguire le direttive che vengono loro impartite da organismi sovranazionali (UE, BCE, FMI e naturalmente la NATO, per ciò che concerne gli aspetti militari) a loro volta alle dipendenze dei grandi gruppi capitalisti finanziari sovranazionali e transnazionali.
Non è un caso che, anche da questo punto di vista, la vecchia ideologia nazionalista, sia stata sostituita con quella “neo-cosmopolitista” e “neo-universalista” politicamente corretta, molto più funzionale agli interessi delle classi ultra-capitaliste sovra e transnazionali di cui sopra. Del resto, a cosa servono ancora i concetti di patria e di nazione quando si va a bombardare a 15.000 km. di distanza? E’ evidente che serve una nuova ideologia: si va a bombardare a 15.000 km. di distanza per portare democrazia e diritti umani. E questa è la modalità (risultato, appunto, dell’ideologia politicamente corretta) con cui viene oggi viene declinato l’universalismo di matrice kantiana.
Da tutto ciò ne consegue che, allo stato attuale, una rottura con questo “ordine” mondiale non può che avvenire – oltre che con la ripresa del conflitto sociale – anche con il recupero di una dimensione statuale e nazionale che consenta da una parte di fuoriuscire da quella gabbia (e quindi di recuperare la possibilità di battere moneta, di avere una “propria” politica economica, di uscire dal Fiscal Compact, di fermare il progressivo sgretolamento dello stato sociale e di non essere sotto costante ricatto da parte delle oligarchie finanziarie transnazionali) e dall’altra di creare quello spazio politico necessario anche a ricreare le condizioni per la ripresa del conflitto sociale che sono il primo ad auspicare. Io credo che una forza politica di classe debba oggi fuoriuscire da una certa vocazione velleitaria e minoritaria (che caratterizza da tempo e forse da sempre la “sinistra antagonista”) e porsi il problema di lavorare per la costruzione di un potenziale ampio blocco sociale. Allo stato attuale, in un contesto di scarsissima conflittualità sociale e soprattutto, purtroppo (e sottolineo, purtroppo) di coscienza di classe, la costruzione di quel blocco, che deve necessariamente essere tenuto insieme da una mediazione politica, potrebbe avvenire intorno ad alcuni punti fondamentali che sono quelli che ho elencato prima e che sono presenti in parte anche nell’articolo citato (anche se io personalmente ho una posizione diversa da quella di Boghetta e Porcaro sul tema dell’immigrazione, pur rendendomi conto che è un nodo che non può essere eluso ) e in parte anche nel programma di “Potere al Popolo” (con una eccezione di cui parlerò fra breve). Onde evitare ambiguità, derive destrorse di ogni genere o fraintendimenti, penso che sia importante, politicamente parlando (poi è ovvio che ciascuno all’interno di quello stesso blocco, come è giusto che sia, lavori nella direzione che auspica) fare riferimento alla Costituzione Italiana che certamente non è una Costituzione socialista (né avrebbe potuto esserlo) ma che sicuramente rappresenta un argine al razzismo, al fascismo e a quelle derive xenofobe e razziste che caratterizzano la destra e nel complesso la neo destra europea in crescita esponenziale. Questo riferimento si rende necessario in una fase che vede le classi dominanti all’offensiva (che infatti, guarda caso, stanno tentando di stravolgere o comunque modificare le Costituzioni democratiche dei vari stati europei e in parte ci sono anche riuscite, vedasi approvazione del Fiscal Compact, palesemente incostituzionale) e le classi subalterne, a voler essere ottimisti, sulla difensiva, se non in piena ritirata.
Ho però l’impressione che parlare di sovranità nazionale, sia pure in questi termini, ai compagni di “Potere al Popolo”, sia come parlare di corda in casa dell’impiccato. E questo atteggiamento è sbagliato perché presuppone una analisi sbagliata alla radice. Porre infatti il problema del recupero della sovranità nazionale, in questa fase, non significa affatto rinunciare all’internazionalismo, anzi, è l’esatto contrario. Oggi l’internazionalismo deve marcare una cesura netta con il “neo cosmopolitismo” capitalistico ed affermare l’unità di tutte le classi lavoratrici mondiali contro il capitalismo imperialista globalizzato, anche attraverso il sostegno a quelle realtà statuali e nazionali, non necessariamente socialiste (magari lo fossero tutte…), che si oppongono al dominio capitalista e imperialista globale. Non vedo quindi per quale ragione non si debba lavorare in questa direzione anche in casa nostra. In tal senso, la proposta lanciata da Boghetta e Porcaro è, per ciò che mi riguarda, condivisibile.
Infine c’è un altro punto, il più scabroso, e che ovviamente farà sì che questo modestissimo contributo alla discussione verrà cestinato a prescindere.
Nel documento di “Potere al Popolo” c’è il solito scontatissimo riferimento al femminismo, e in particolare alla lotta alla violenza contro le donne. In realtà avrebbero dovuto scrivere lotta alla violenza maschile, ma forse, anche per loro, sarebbe suonato eccessivamente sessista. Ma il concetto non cambia. Per quanto ci riguarda ribadiamo che individuare nel genere maschile la causa e l’origine di ogni forma di violenza (oltre che nella prassi quotidiana), oltre che oggettivamente falso è profondamente sessista e interclassista. Lo è ancora di più la pretesa di continuare a sovrapporre il concetto di oppressione di classe con quello di oppressione di genere. Si tratta di un escamotage ideologico, di una contraddizione in termini che non regge alla prova della logica e dei fatti. E’ a tutti/e evidente, per lo meno a chi ha occhi per vedere, che ci sono donne ricche e donne povere, donne sfruttate e donne sfruttatrici, donne appartenenti alle classi dominanti e donne appartenenti alla classi subalterne, e lo stesso vale per gli uomini, ovviamente. Considerare le donne come una “categoria” oppressa non ha alcun senso, così come non ha alcun senso considerare gli uomini come una “categoria” di oppressori. Una imprenditrice, una manager, una ereditiera, una diva del cinema o della televisione, è forse in una posizione subordinata nei confronti di un operaio, un impiegato o un precario? E viceversa, un operaio, un impiegato o un precario nell’attuale società capitalista, è forse in una posizione di privilegio e di dominio (specie nei confronti delle donne) solo per il fatto di essere maschio? Non scherziamo. E’ una tesi che non avrebbe neanche bisogno di essere confutata tanto è priva di ogni fondamento e di ogni evidenza.
Ancora più obsoleta (a dir poco…) appare la tesi secondo cui l’attuale società capitalista sarebbe a trazione patriarcale. Questo poteva essere vero fino ad un secolo fa (soprattutto se ci riferiamo alla famiglia alto borghese) ma certamente non lo è più oggi e per una semplice ragione. L’attuale sistema capitalista assoluto (nel senso che non c’è spazio materiale o immateriale che non sia sotto il suo dominio) deve disfarsi di ogni legaccio e di ogni vincolo, siano essi di ordine ideologico, culturale, sociale, che possano in qualche modo rappresentare un ostacolo alla sua illimitata accumulazione e riproduzione, e quindi alla mercificazione totale e assoluta non solo dell’agire umano ma dell’umano stesso (la pratica, ad esempio, degli uteri in affitto è soltanto l’anticamera di quello che succederà in un prossimo futuro con gli uteri artificiali…). Di conseguenza, non se ne fa più nulla del patriarcato e in generale del vecchio sistema valoriale-ideologico vetero borghese – il famoso Dio, Patria e Famiglia (cioè un sistema rigido, scarsamente flessibile e certamente non “liquido”, del tutto inadatto e fuori tempo massimo rispetto alle esigenze di un sistema che deve mercificare ogni anfratto del vivere umano) attraverso cui il capitalismo si è declinato per diverso tempo (in particolare fra il XVIII e il XIX secolo). E questo perché quel sistema ideologico, quella falsa coscienza, era funzionale in quella determinata fase storica al suo sviluppo e alla sua crescita. Ma oggi, specie dopo la rivoluzione tecnologica che ha trasformato radicalmente l’organizzazione capitalista del lavoro (e anche, in parte, la divisione sessuale del lavoro), il crollo del comunismo e l’affermazione del capitalismo su scala planetaria, quell’apparato ideologico (falsa coscienza) ha perso di ogni senso ed è già stato da tempo sostituito con quella che usiamo definire come l’ideologia politicamente corretta (di cui il femminismo è uno dei mattoni), cioè un’altra falsa coscienza, molto più funzionale ai fini della attuale riproduzione capitalistica. Se una cosa ci ha infatti dimostrato la storia è che il capitalismo è un sistema estremamente flessibile, capace di incistarsi, convivere e rendere funzionale ai suoi interessi qualsiasi tipo di contesto culturale, anche estremamente diverso l’uno dall’altro. Oggi il capitalismo convive allegramente con le democrazie liberali occidentali, con le monarchie semifeudali wahabite (e nello stesso tempo ultra capitalistiche) e/o con lo stato-partito-cinese. Fino a poco tempo fa ha convissuto con le più feroci dittature militari fasciste sudamericane, con il regime di apartheid in Sudafrica e con i più spregevoli regimi dispotici asiatici (tutti al suo servizio e spesso sue emanazioni dirette). Il capitalismo si è affermato storicamente attraverso il liberalismo, che da sempre ha rappresentato la sua ideologia di riferimento fino ad essere stato totalmente sovrapposto con essa. Ma è un errore, come ho appena spiegato. Il liberalismo è stato il grimaldello ideologico, il piede di porco necessario al capitalismo per liberarsi dell’ancient regime e viaggiare quindi a vele spiegate verso le sorti magnifiche e progressive del mercato e della forma merce. Ma abbiamo visto e ancor più oggi vediamo come il capitalismo possa proliferare ancor meglio in assenza di diritti (specie quelli sociali) piuttosto che in loro presenza. Oggi, sulla scorta di quanto appena detto, l’Occidente capitalista ha fatto sua l’ideologia politicamente corretta perché la ritiene, non a torto, molto più funzionale alla sua riproduzione e alla perpetrazione del suo dominio. Continuare, dunque, ancor oggi, ad individuare nel vecchio sistema valoriale vetero borghese e nel patriarcato gli strumenti ideologici dell’attuale dominio capitalistico, equivale ad individuare le cause dell’attuale “crisi economica” (cioè l’inevitabile acutizzarsi delle contraddizioni del capitalismo) nell’ancient regime e nell’organizzazione feudale del lavoro…
Per non parlare del fatto che è proprio l’ideologia politicamente corretta ad aver creato la sua contraddizione, spingendo le masse popolari verso il neo populismo di destra. QUI un’analisi del fenomeno.
Non posso naturalmente entrare in questa sede nel merito per ovvie ragioni di spazio e tempo, ma mi rendo, come sempre, disponibile in qualsiasi momento e circostanza ad approfondire la questione. Nel frattempo, mi limito a segnalare questo articolo in cui affronto le contraddizioni in cui si trova, a mio modo div edere, la “sinistra antagonista”:
Per queste ragioni ritengo che la proposta dei compagni di “Potere al Popolo” non sia ricevibile e neanche praticabile.
Restano sul piatto alcune ipotesi, in particolare quella della coppia Giulietto Chiesa-Antonio Ingroia, che però, oltre a non rappresentare certo una novità (Chiesa, con tutto il rispetto per la sua professionalità come giornalista, mi pare sia al quarto tentativo di formare un partito, mentre Ingroia ha sulle spalle uno dei più clamorosi fallimenti di una delle diverse liste “arcobaleno” che si sono succedute nel tempo), ha il difetto opposto, e cioè quello di aver dimenticato o di aver messo in soffitta il conflitto di classe che alla fin fine, è l’unico vero conflitto che spaventa i padroni i quali, non a caso, fanno di tutto per scongiurarlo e per disinnescarlo, specie nelle fasi di pace sociale come questa (proprio la pace sociale conferma che la lotta di classe la stanno vincendo le classi dominanti), con tutti i mezzi che hanno a disposizione, in primis quelli ideologici, e naturalmente anche e soprattutto alimentando ad arte altri conflitti come quello fra i lavoratori autoctoni e i lavoratori immigrati (la famosa guerra fra poveri) e quello fra i sessi.
Concludendo e scusandomi per la lunghezza, ritengo che oggi non ci siano gli spazi elettorali per cimentarsi in una competizione elettorale per una sinistra di classe autentica. Ma l’aspetto più grave è che, sempre dal mio modestissimo punto di vista e per le ragioni che ho molto sommariamente cercato di spiegare, non esiste allo stato attuale un’autentica sinistra politica di classe che, per come la vedo io, è tutta da costruire e soprattutto su nuove fondamenta. Molto più importante sarebbe, in questa fase, avviare una riflessione a tutto campo, senza tabù di nessun genere e senza erigere steccati nei confronti di nessuno (ovviamente, con la sola discriminante dell’essere dichiaratamente antifascisti e antirazzisti), fra tutti quei soggetti che comunque si pongono nell’ottica di una critica allo stato di cose presente e nell’orizzonte di un possibile superamento del sistema capitalista.
In queste settimane, in vista delle prossime elezioni politiche, sono in corso, in un’area variegata e che impropriamente potremmo definire di “movimento” e/o di “sinistra”, alcuni tentativi di dar vita a delle liste alternative ai partiti tradizionali. Questa esigenza, è importante sottolinearlo, è nata anche in seguito alla svolta centrista e moderata del M5S che, con la candidatura di Di Maio (che non ha mancato, come nella migliore tradizione di tutti i candidati premier, di mandare messaggi più che rassicuranti a Washington, Bruxelles, Londra e Berlino) ha virato decisamente verso destra. Il M5S, infatti, esattamente come tutti gli altri partiti, cerca ormai di accreditarsi come una forza politica in grado di garantire la famosa “governance”, cioè quella pace sociale dove i padroni del vapore possono continuare a fare quello che gli pare in totale assenza di conflitto sociale. Questo gli elettori pentastellati probabilmente non lo capiranno mai, non perché sono stupidi ma perché è assai difficile che il M5S possa andare al governo – con la inevitabile conseguenza di far esplodere le proprie contraddizioni – a meno di giravolte e tripli salti carpiati (leggi alleanze improbabili con altri partiti) che però gli sarebbe impossibile gestire di fronte al proprio elettorato. E’ da ricordare che il M5S negli anni scorsi è stato elettoralmente sostenuto, anche se non esplicitamente, anche da una buona fetta di elettorato di sinistra radicale e di “movimento”, sindacati di base, centri sociali, associazionismo vario ecc.
Ora, quest’area politica, sia pure decisamente minoritaria nel paese, ha preso atto della svolta “grillina” e, giustamente lontana anni luce dal nuovo rassemblement messo in piedi dai sempiterni D’Alema e Bersani (validi, si fa per dire, per ogni stagione…) più cespugli al seguito, cerca di dotarsi di una sua rappresentanza politica. Fatto di per sé assolutamente legittimo, qualora ce ne fossero le condizioni politiche, che a mio parere non ci sono, ma questo è un altro discorso.
Questo tentativo è in atto, come dicevo, in queste settimane, in seguito all’iniziativa di un centro sociale napoletano che ha posto la questione di dare vita ad una lista popolare a cui è stato appunto dato il nome di “Potere al Popolo” e che sta coinvolgendo diverse realtà di “movimento” un po’ in tutta Italia. Di seguito si può leggere [la prima bozza, Ndr] il programma:
Ora, un paio di considerazioni. Personalmente penso che una forza politica che abbia l’intenzione di scendere nell’agone politico e quindi di accettare anche il terreno della competizione elettorale, debba essere l’espressione di bisogni e di interessi sociali ben precisi e possibilmente quanto più ampi possibile (senza ovviamente svilire, impoverire o venir meno alla propria “mission”). Per dirla in parole ancora più semplici deve rappresentare degli interessi di classe che debbono altresì – questo è il punto fondamentale – manifestarsi chiaramente, altrimenti non possono oggettivamente tradursi in rappresentanza politica. Faccio un esempio, fino ad una quarantina di anni fa in questo paese il conflitto di classe era decisamente vivo e vivace, c’era una classe operaia ancora molto robusta, anche numericamente, e coesa, che era in grado di esercitare una egemonia e di tirarsi dietro anche altri settori sociali, popolo delle periferie e anche piccola e talvolta media borghesia. Questo blocco sociale, a torto o a ragione, trovava il suo riferimento e la sua rappresentanza politica nei partiti della Sinistra riformista e in particolare nel PCI. Questo partito, sebbene in realtà politicamente molto moderato, per nulla “antagonista” e perfettamente integrato nel quadro istituzionale, raccoglieva dal punto di vista elettorale i frutti di quel conflitto sociale in quel determinato contesto storico.
Quel contesto non esiste più. Quello attuale è ben peggiore, a mio avviso, sotto ogni punto di vista, ed è caratterizzato da una sostanziale pace sociale che sta a testimoniare come il conflitto di classe, che in molti considerano superato (i cantori dell’ideologia dominante) sia stato combattuto e vinto dal capitale e dalle classi dominanti. Nonostante infatti le condizioni materiali di esistenza siano di gran lunga peggiorate per la grande maggioranza delle persone (basti pensare che fino a 40 anni fa il lavoro era garantito per quasi tutti ed oggi si avvia ad essere precario per quasi tutti…), non esiste allo stato attuale neanche un barlume di quella conflittualità e coscienza di classe che c’era allora.
Le ragioni di ciò sono complesse e non possono essere affrontate in questo articolo (del resto ce ne siamo occupati in altri articoli; ne segnalo uno fra i tanti che abbiamo pubblicato).
Tornando a noi, mi sembra oggettivamente contraddittorio proporre la formazione di una “lista di classe“ in (purtroppo) quasi totale assenza di conflitto di classe. Tutt’al più, una formazione di quel tipo potrà raccogliere il consenso di alcune sacche, sia pure molto minoritarie, di conflittualità sociale e cioè alcuni sindacati di base, il variegato arcipelago dei “centri sociali” (ammesso che questi, a parte alcune eccezioni, rappresentino effettivamente delle esperienze significative di conflittualità sociale…) e una schiera di vecchi militanti e dirigenti dei vecchi micropartitini comunisti che, guarda caso, stanno cercando di incistarsi (con l’obiettivo di prenderne la guida) in questa possibile nuova formazione politica di “movimento”. Non gliela voglio certo tirare, sia chiaro, tuttavia mi sembra che la questione posta non sia eludibile. Dare vita ad una lista che prenda l’ennesimo 1,5% non mi sembra che abbia alcuna utilità, soprattutto nella auspicata direzione di riaprire quella benedetta conflittualità sociale, senza la quale nessuna Sinistra potrà mai sperare di avere una rappresentanza politica.
Si tratta quindi, in questa fase che a mio parere sarà molto lunga se non lunghissima, di fare quello che una volta si chiamava il “lavoro della talpa, cercare cioè di seminare, di lavorare dietro le quinte e fra le pieghe della società a tutti i livelli (sia pratico che teorico) per cercare di far esplodere le contraddizioni e di acutizzare il conflitto di classe, oggi combattuto solo dall’alto. Non credo che scorciatoie elettorali possano, sempre in questa fase, accelerare questo processo. Al contrario rischiano di essere addirittura controproducenti, perché liste che si richiamano al conflitto di classe (senza peraltro rappresentarlo…) e ad una critica radicale dello stato di cose presente, se poi fanno un buco nell’acqua, ottengono il risultato di allontanare ancora di più nel tempo la possibilità di costruire quel blocco sociale in grado di sviluppare quella conflittualità reale di cui sopra.
A tal proposito, mi sembra interessante questo articolo del collettivo Militant che condivido nel complesso.
Ci sono altri due aspetti fondamentali che minano alla radice, il tentativo, pur in parte lodevole (se non altro per lo spirito di iniziativa) messo in campo dai giovani militanti di “Potere al Popolo”.
Uno di questi è stato a mio parere messo in evidenza da questo articolo di Ugo Boghetta e Mimmo Porcaro.
L’iniziativa di “Potere al Popolo” rischia molto concretamente di essere velleitaria se non pone con chiarezza in questa fase la coniugazione del conflitto e della rappresentanza di classe con la questione del recupero della sovranità popolare e nazionale. E’ bene subito chiarire un punto fondamentale di ordine teorico, storico e politico. Il capitalismo e l’imperialismo, per decenni, hanno avuto come bandiera ideologica proprio il nazionalismo. Le nazioni (e il concetto di nazione) erano lo strumento ideologico attraverso il quale le vecchie classi dominanti capitaliste e le vecchie borghesie, attraverso gli stati-nazione imperialisti imponevano il loro dominio sul mondo, anche e soprattutto attraverso la guerra (imperialista). La prima guerra mondiale (e in parte la seconda) è senz’altro la principale estrinsecazione di quel vecchio ordine mondiale che dal punto di vista ideologico si fondava appunto sugli stati nazione e sull’esaltazione del concetto di patria e di nazione.
Oggi la situazione è decisamente mutata, sotto questo profilo. Gli stati (con l’esclusione di quelli dominanti, a cominciare dagli USA e dal loro gigantesco apparato militare industriale, per ciò che concerne il mondo occidentale), in particolare quelli “periferici” come peraltro l’Italia e tutta l’area mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia), sono stati completamente esautorati dai vari trattati di Lisbona, Maastricht ecc. non hanno più nessuna autonomia politica e decisionale e i rispettivi governi sono stati ridotti a fantocci preposti ad eseguire le direttive che vengono loro impartite da organismi sovranazionali (UE, BCE, FMI e naturalmente la NATO, per ciò che concerne gli aspetti militari) a loro volta alle dipendenze dei grandi gruppi capitalisti finanziari sovranazionali e transnazionali.
Non è un caso che, anche da questo punto di vista, la vecchia ideologia nazionalista, sia stata sostituita con quella “neo-cosmopolitista” e “neo-universalista” politicamente corretta, molto più funzionale agli interessi delle classi ultra-capitaliste sovra e transnazionali di cui sopra. Del resto, a cosa servono ancora i concetti di patria e di nazione quando si va a bombardare a 15.000 km. di distanza? E’ evidente che serve una nuova ideologia: si va a bombardare a 15.000 km. di distanza per portare democrazia e diritti umani. E questa è la modalità (risultato, appunto, dell’ideologia politicamente corretta) con cui viene oggi viene declinato l’universalismo di matrice kantiana.
Da tutto ciò ne consegue che, allo stato attuale, una rottura con questo “ordine” mondiale non può che avvenire – oltre che con la ripresa del conflitto sociale – anche con il recupero di una dimensione statuale e nazionale che consenta da una parte di fuoriuscire da quella gabbia (e quindi di recuperare la possibilità di battere moneta, di avere una “propria” politica economica, di uscire dal Fiscal Compact, di fermare il progressivo sgretolamento dello stato sociale e di non essere sotto costante ricatto da parte delle oligarchie finanziarie transnazionali) e dall’altra di creare quello spazio politico necessario anche a ricreare le condizioni per la ripresa del conflitto sociale che sono il primo ad auspicare. Io credo che una forza politica di classe debba oggi fuoriuscire da una certa vocazione velleitaria e minoritaria (che caratterizza da tempo e forse da sempre la “sinistra antagonista”) e porsi il problema di lavorare per la costruzione di un potenziale ampio blocco sociale. Allo stato attuale, in un contesto di scarsissima conflittualità sociale e soprattutto, purtroppo (e sottolineo, purtroppo) di coscienza di classe, la costruzione di quel blocco, che deve necessariamente essere tenuto insieme da una mediazione politica, potrebbe avvenire intorno ad alcuni punti fondamentali che sono quelli che ho elencato prima e che sono presenti in parte anche nell’articolo citato (anche se io personalmente ho una posizione diversa da quella di Boghetta e Porcaro sul tema dell’immigrazione, pur rendendomi conto che è un nodo che non può essere eluso ) e in parte anche nel programma di “Potere al Popolo” (con una eccezione di cui parlerò fra breve). Onde evitare ambiguità, derive destrorse di ogni genere o fraintendimenti, penso che sia importante, politicamente parlando (poi è ovvio che ciascuno all’interno di quello stesso blocco, come è giusto che sia, lavori nella direzione che auspica) fare riferimento alla Costituzione Italiana che certamente non è una Costituzione socialista (né avrebbe potuto esserlo) ma che sicuramente rappresenta un argine al razzismo, al fascismo e a quelle derive xenofobe e razziste che caratterizzano la destra e nel complesso la neo destra europea in crescita esponenziale. Questo riferimento si rende necessario in una fase che vede le classi dominanti all’offensiva (che infatti, guarda caso, stanno tentando di stravolgere o comunque modificare le Costituzioni democratiche dei vari stati europei e in parte ci sono anche riuscite, vedasi approvazione del Fiscal Compact, palesemente incostituzionale) e le classi subalterne, a voler essere ottimisti, sulla difensiva, se non in piena ritirata.
Ho però l’impressione che parlare di sovranità nazionale, sia pure in questi termini, ai compagni di “Potere al Popolo”, sia come parlare di corda in casa dell’impiccato. E questo atteggiamento è sbagliato perché presuppone una analisi sbagliata alla radice. Porre infatti il problema del recupero della sovranità nazionale, in questa fase, non significa affatto rinunciare all’internazionalismo, anzi, è l’esatto contrario. Oggi l’internazionalismo deve marcare una cesura netta con il “neo cosmopolitismo” capitalistico ed affermare l’unità di tutte le classi lavoratrici mondiali contro il capitalismo imperialista globalizzato, anche attraverso il sostegno a quelle realtà statuali e nazionali, non necessariamente socialiste (magari lo fossero tutte…), che si oppongono al dominio capitalista e imperialista globale. Non vedo quindi per quale ragione non si debba lavorare in questa direzione anche in casa nostra. In tal senso, la proposta lanciata da Boghetta e Porcaro è, per ciò che mi riguarda, condivisibile.
Infine c’è un altro punto, il più scabroso, e che ovviamente farà sì che questo modestissimo contributo alla discussione verrà cestinato a prescindere.
Nel documento di “Potere al Popolo” c’è il solito scontatissimo riferimento al femminismo, e in particolare alla lotta alla violenza contro le donne. In realtà avrebbero dovuto scrivere lotta alla violenza maschile, ma forse, anche per loro, sarebbe suonato eccessivamente sessista. Ma il concetto non cambia. Per quanto ci riguarda ribadiamo che individuare nel genere maschile la causa e l’origine di ogni forma di violenza (oltre che nella prassi quotidiana), oltre che oggettivamente falso è profondamente sessista e interclassista. Lo è ancora di più la pretesa di continuare a sovrapporre il concetto di oppressione di classe con quello di oppressione di genere. Si tratta di un escamotage ideologico, di una contraddizione in termini che non regge alla prova della logica e dei fatti. E’ a tutti/e evidente, per lo meno a chi ha occhi per vedere, che ci sono donne ricche e donne povere, donne sfruttate e donne sfruttatrici, donne appartenenti alle classi dominanti e donne appartenenti alla classi subalterne, e lo stesso vale per gli uomini, ovviamente. Considerare le donne come una “categoria” oppressa non ha alcun senso, così come non ha alcun senso considerare gli uomini come una “categoria” di oppressori. Una imprenditrice, una manager, una ereditiera, una diva del cinema o della televisione, è forse in una posizione subordinata nei confronti di un operaio, un impiegato o un precario? E viceversa, un operaio, un impiegato o un precario nell’attuale società capitalista, è forse in una posizione di privilegio e di dominio (specie nei confronti delle donne) solo per il fatto di essere maschio? Non scherziamo. E’ una tesi che non avrebbe neanche bisogno di essere confutata tanto è priva di ogni fondamento e di ogni evidenza.
Ancora più obsoleta (a dir poco…) appare la tesi secondo cui l’attuale società capitalista sarebbe a trazione patriarcale. Questo poteva essere vero fino ad un secolo fa (soprattutto se ci riferiamo alla famiglia alto borghese) ma certamente non lo è più oggi e per una semplice ragione. L’attuale sistema capitalista assoluto (nel senso che non c’è spazio materiale o immateriale che non sia sotto il suo dominio) deve disfarsi di ogni legaccio e di ogni vincolo, siano essi di ordine ideologico, culturale, sociale, che possano in qualche modo rappresentare un ostacolo alla sua illimitata accumulazione e riproduzione, e quindi alla mercificazione totale e assoluta non solo dell’agire umano ma dell’umano stesso (la pratica, ad esempio, degli uteri in affitto è soltanto l’anticamera di quello che succederà in un prossimo futuro con gli uteri artificiali…). Di conseguenza, non se ne fa più nulla del patriarcato e in generale del vecchio sistema valoriale-ideologico vetero borghese – il famoso Dio, Patria e Famiglia (cioè un sistema rigido, scarsamente flessibile e certamente non “liquido”, del tutto inadatto e fuori tempo massimo rispetto alle esigenze di un sistema che deve mercificare ogni anfratto del vivere umano) attraverso cui il capitalismo si è declinato per diverso tempo (in particolare fra il XVIII e il XIX secolo). E questo perché quel sistema ideologico, quella falsa coscienza, era funzionale in quella determinata fase storica al suo sviluppo e alla sua crescita. Ma oggi, specie dopo la rivoluzione tecnologica che ha trasformato radicalmente l’organizzazione capitalista del lavoro (e anche, in parte, la divisione sessuale del lavoro), il crollo del comunismo e l’affermazione del capitalismo su scala planetaria, quell’apparato ideologico (falsa coscienza) ha perso di ogni senso ed è già stato da tempo sostituito con quella che usiamo definire come l’ideologia politicamente corretta (di cui il femminismo è uno dei mattoni), cioè un’altra falsa coscienza, molto più funzionale ai fini della attuale riproduzione capitalistica. Se una cosa ci ha infatti dimostrato la storia è che il capitalismo è un sistema estremamente flessibile, capace di incistarsi, convivere e rendere funzionale ai suoi interessi qualsiasi tipo di contesto culturale, anche estremamente diverso l’uno dall’altro. Oggi il capitalismo convive allegramente con le democrazie liberali occidentali, con le monarchie semifeudali wahabite (e nello stesso tempo ultra capitalistiche) e/o con lo stato-partito-cinese. Fino a poco tempo fa ha convissuto con le più feroci dittature militari fasciste sudamericane, con il regime di apartheid in Sudafrica e con i più spregevoli regimi dispotici asiatici (tutti al suo servizio e spesso sue emanazioni dirette). Il capitalismo si è affermato storicamente attraverso il liberalismo, che da sempre ha rappresentato la sua ideologia di riferimento fino ad essere stato totalmente sovrapposto con essa. Ma è un errore, come ho appena spiegato. Il liberalismo è stato il grimaldello ideologico, il piede di porco necessario al capitalismo per liberarsi dell’ancient regime e viaggiare quindi a vele spiegate verso le sorti magnifiche e progressive del mercato e della forma merce. Ma abbiamo visto e ancor più oggi vediamo come il capitalismo possa proliferare ancor meglio in assenza di diritti (specie quelli sociali) piuttosto che in loro presenza. Oggi, sulla scorta di quanto appena detto, l’Occidente capitalista ha fatto sua l’ideologia politicamente corretta perché la ritiene, non a torto, molto più funzionale alla sua riproduzione e alla perpetrazione del suo dominio. Continuare, dunque, ancor oggi, ad individuare nel vecchio sistema valoriale vetero borghese e nel patriarcato gli strumenti ideologici dell’attuale dominio capitalistico, equivale ad individuare le cause dell’attuale “crisi economica” (cioè l’inevitabile acutizzarsi delle contraddizioni del capitalismo) nell’ancient regime e nell’organizzazione feudale del lavoro…
Per non parlare del fatto che è proprio l’ideologia politicamente corretta ad aver creato la sua contraddizione, spingendo le masse popolari verso il neo populismo di destra. QUI un’analisi del fenomeno.
Non posso naturalmente entrare in questa sede nel merito per ovvie ragioni di spazio e tempo, ma mi rendo, come sempre, disponibile in qualsiasi momento e circostanza ad approfondire la questione. Nel frattempo, mi limito a segnalare questo articolo in cui affronto le contraddizioni in cui si trova, a mio modo div edere, la “sinistra antagonista”:
Per queste ragioni ritengo che la proposta dei compagni di “Potere al Popolo” non sia ricevibile e neanche praticabile.
Restano sul piatto alcune ipotesi, in particolare quella della coppia Giulietto Chiesa-Antonio Ingroia, che però, oltre a non rappresentare certo una novità (Chiesa, con tutto il rispetto per la sua professionalità come giornalista, mi pare sia al quarto tentativo di formare un partito, mentre Ingroia ha sulle spalle uno dei più clamorosi fallimenti di una delle diverse liste “arcobaleno” che si sono succedute nel tempo), ha il difetto opposto, e cioè quello di aver dimenticato o di aver messo in soffitta il conflitto di classe che alla fin fine, è l’unico vero conflitto che spaventa i padroni i quali, non a caso, fanno di tutto per scongiurarlo e per disinnescarlo, specie nelle fasi di pace sociale come questa (proprio la pace sociale conferma che la lotta di classe la stanno vincendo le classi dominanti), con tutti i mezzi che hanno a disposizione, in primis quelli ideologici, e naturalmente anche e soprattutto alimentando ad arte altri conflitti come quello fra i lavoratori autoctoni e i lavoratori immigrati (la famosa guerra fra poveri) e quello fra i sessi.
Concludendo e scusandomi per la lunghezza, ritengo che oggi non ci siano gli spazi elettorali per cimentarsi in una competizione elettorale per una sinistra di classe autentica. Ma l’aspetto più grave è che, sempre dal mio modestissimo punto di vista e per le ragioni che ho molto sommariamente cercato di spiegare, non esiste allo stato attuale un’autentica sinistra politica di classe che, per come la vedo io, è tutta da costruire e soprattutto su nuove fondamenta. Molto più importante sarebbe, in questa fase, avviare una riflessione a tutto campo, senza tabù di nessun genere e senza erigere steccati nei confronti di nessuno (ovviamente, con la sola discriminante dell’essere dichiaratamente antifascisti e antirazzisti), fra tutti quei soggetti che comunque si pongono nell’ottica di una critica allo stato di cose presente e nell’orizzonte di un possibile superamento del sistema capitalista.
* Fonte: l'Interferenza
3 commenti:
Insomma gira che ti rigira quest'intervento che si può condividere nella sua quasi totalità, quando affronta il fenomeno epocale dell'immigrazione voluta pianificata e diretta dalle élites "filantropiche" multinazionali allo scopo di rendere sempre più appetibile per lor signori lo spazio nazionale in cui incassare lauti profitti sostituendo forza lavoro autoctona con quella più "malleabile" proveniente dal continente africano, risuona il solito ritornello del razzismo e del fascismo alle porte per cui non c'è nulla da fare, per questa "sinistra" sedicente "antagonista" i cosiddetti "rifugiati"non costituiscono un problema per le già martoriate classi dominate della nazione ospitante bensì una risorsa per una possibile auspicabile nuova esplosione di quelle contraddizioni che a parer loro ci saranno e considerato che hanno finalmente rotto, non tutti, il tabù della sovranità nazionale si spera aprano gli occhi anche su una strategia di forzata immissione di forza lavoro a buon mercato che ha l'unico scopo di annientare definitivamente ogni traccia di diritto sociale acquisito dagli strati più deboli in anni di durissime lotte. Luciano
Fra i temi interni al politicamente corretto oltre che il femminismo ci sta anche l'ambientalismo. Fu infatti lanciato da Obama in pompa magna come maniera per risolvere la crisi, adesso lo rilanciano i grilli parlanti di MDP-SI e compagnia.
Ambientalismo ed ecologismo fanno contente le anime belle ed alla bisogna possono spingere verso le teorie della decrescita per frenare lo sviluppo delle provincie imperiali.
Anche questo punto dovrebbe essere affrontato una volta e per tutte, invece ad ogni tornata puntualmente ci si ricade.
Ho l'impressione che vista la debolezza in cui ci si trova prenda piede la solita tentazione di rinviare tutto al solito comunismo-di-poi dandosi qui ed adesso ad una strategia della gradualità. Mi sembra che sia una pericolosa illusione. Provo ad illustrarlo con un esempio.
Molti geek si ricorderanno di come intorno al 2000 ci fosse un gran fermento nello sforzo di portare il sistema operativo Linux sul desktop erodendo le quote di Microsoft, seguendo anche li una via di graduale affermazione. In alcuni momenti è parso che ci fosse uno scatto in avanti, Corel lanciò la sua distribuzione dicendo di voler portare la sua suite da ufficio su Linux, Borland lanciò Kylix quale versione Linux di Delphi/Pascal. Tutto però morì in breve tempo e cosa accadde? Che lo spazio che sembrava potesse essere occupato da Linux fu alla fine occupato dalla Apple col suo sistema operativo. Bello per carità ma fatto per soddisfare i palati chic e sofisticati di chi cerca un prodotto esclusivo da sfoggiare e soprattutto non open source. Così il Linux per le masse fu OSX e buonanotte ai sogni.
Cosa voglio dire? Che la strategia della gradualità te la lasceranno portare avanti fin tanto che sei ininfluente, magari ti osserveranno pure. Qualora dovesse il nodo dovesse arrivare al pettine qualcun altro potrà agevolmente infilarsi nelle tue scarpe saltando fuori al momento opportuno. La strategia della gradualità sarà allora servita a preparare la strada a quel qualcuno come il Battista la preparò a Cristo con la differenza che qui invece ci si illude di avversarlo quel qualcuno.
La strategia della gradualità a me sembra proprio una delle tante vie può prendere la pulsione suicidaria della sinistra in crisi. Meditiamo.
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