[ 11 dicembre 2017 ]
L'altro ieri pubblicavamo, col titolo Per un'uscita dal liberalismo la critica del compagno Alessandro Chiavacci alla nostra organizzazione, Programma 101.
«Sabato scorso, sulla prima pagina di questo giornale, c’erano una notizia e un commento, apparentemente senza legami fra loro, che, insieme, attestavano l’esistenza di persistenze, di continuità storiche, confermavano il fatto che gli orientamenti di fondo di questo Paese non siano mai davvero cambiati, siano oggi gli stessi di molti decenni fa. La notizia consisteva nel risultato di un sondaggio che dà il movimento dei 5 Stelle al 29,1 per cento, lo conferma, nelle intenzioni di voto degli italiani, come primo partito. Il commento era quello di Francesco Giavazzi che documentava la rimonta dello statalismo dopo una breve stagione, durata pochi anni, in cui era sembrato in ritirata, che descriveva una classe politico-parlamentare di nuovo preda di una frenesia anti-mercato come dimostrano tanti provvedimenti sfornati recentemente dal Parlamento. Pochi, mi pare, hanno notato che i 5 Stelle raggiungono, per lo meno nei sondaggi, più o meno la stessa percentuale di consensi che era propria del Partito comunista all’epoca della cosiddetta Prima Repubblica. Vero, una cosa sono le intenzioni di voto e un’altra cosa sono i voti ma, tenendo conto del fatto che spesso i partiti antisistema sono sottorappresentati nei sondaggi, il sospetto è che, proprio come ai tempi del Pci, ci sia grosso modo un terzo degli italiani disponibile a votare per un partito programmaticamente ostile alla democrazia liberale.
I 5 Stelle non sono l’unico partito di questo tipo? Anche questo è vero. Ma era vero pure nella Prima Repubblica: oltre al Pci c’era l’Msi e c’erano componenti illiberali (di minoranza) all’interno della Democrazia Cristiana e del Partito socialista. Se si tirano le somme si vede che ben poco è cambiato, poniamo, rispetto agli anni Sessanta dello scorso secolo: la percentuale di elettori attratti da partiti e gruppi illiberali è oggi più meno la stessa di allora.Ma le persistenze non si fermano qui. Nel suo editoriale («Statalismi di ritorno in economia») Francesco Giavazzi ha mostrato come la classe politico-parlamentare non abbia ormai più remore nell’alzare la bandiera di un nuovo statalismo. Osserva Giavazzi che: «Dopo le liberalizzazioni del secondo governo Prodi (2006-2008) il virus dell’antimercato si sta di nuovo diffondendo». Al punto che, truffaldinamente, si è arrivati a chiamare «privatizzazione» la vendita di quote di aziende possedute dallo Stato alla Cassa Depositi e Prestiti, un ente che è nelle mani dello stesso Stato.
Proprio come ai tempi della Prima Repubblica il controllo statale sui gangli vitali dell’economia è tornato a essere un ideale di vita pubblica e, per quel che è possibile (Europa permettendo), anche una pratica politica. Quando finì la Prima Repubblica, ufficialmente a causa della corruzione, in realtà a causa di uno spettacolare «fallimento dello Stato» dovuto all’accumulazione di un debito pubblico gigantesco e fuori controllo, si affermò ed ebbe una qualche fortuna per un certo periodo — benché ciò andasse contro le tradizioni del Paese — l’idea che bisognasse dare molto più spazio di un tempo alle forze del mercato. Quella breve stagione sembra ora alle nostre spalle. Si torna agli antichi vizi. Ma i provvedimenti statalisti che danneggiano i consumatori generando le rendite politiche di cui ha parlato Giavazzi, non sarebbero possibili se il Paese non fosse attraversato, oggi come un tempo, da vigorose correnti anti-mercato, se il mercato non fosse avversato da un cospicuo numero di nostri concittadini.
Ancora una volta, le intenzioni di voto sono rivelatrici: se è molto ampio il bacino elettorale in cui possono pescare i gruppi politici illiberali, ancora più ampio appare quello in cui sono diffusi orientamenti anti-mercato. Grosso modo la metà degli elettori di questo Paese sembra disponibile a votare per gruppi politici (di destra o di sinistra) più o meno esplicitamente statalisti. Il cosiddetto «sovranismo», la critica dell’economia aperta, il favore per il protezionismo, non sono invenzioni estemporanee, intercettano una domanda diffusa, di protezione statale dal mercato. Non ci sarebbe lo statalismo di ritorno di cui ha parlato Giavazzi se non ci fosse nel Paese quella domanda.
Se gli orientamenti di fondo in materia di mercato o di democrazia liberalenon sono cambiati rispetto a trenta o quaranta anni fa è però cambiato il contesto. Ai tempi della Guerra fredda era il sistema delle alleanze internazionali a proteggerci, almeno in parte, da noi stessi, dalle nostre peggiori inclinazioni. Oggi un’Europa in crisi non ne ha la forza. Le componenti, fortunatamente non sparute, della società italiana che non si arrendono all’idea di un futuro «peronista» (illiberale e statalista) devono arrangiarsi, contare solo sulle proprie forze. Fallito il tentativo di creare una democrazia maggioritaria, prevale la frammentazione politica e i poteri di veto sono forti diffusi e radicati, come, del resto, lo erano un tempo. In queste condizioni, chiunque vinca le prossime elezioni (ammesso che qualcuno le vinca) non avrà la forza per imporre le sue scelte. Più che una resa dei conti fra amici e nemici della società aperta si prevede un lungo periodo di stallo».
L'altro ieri pubblicavamo, col titolo Per un'uscita dal liberalismo la critica del compagno Alessandro Chiavacci alla nostra organizzazione, Programma 101.
Qual è il succo della critica che ci è stata rivolta? Chiavacci ritiene che la lotta contro il capitalismo casinò, quindi contro il blocco sociale e politico neoliberista, è del tutto vana, anzi fallimentare, se non si respinge allo stesso tempo ed in ogni sua forma la concezione liberale del mondo. C'è un livello teorico della questione —è legittimo affermare che il neoliberismo odierno e il liberalismo sono la stessa cosa? Dalla risposta al quesito si giunge subito al piano squisitamente politico: se non lo sono quale tattica deve adottare un movimento politico rivoluzionario? Non è forse necessario costruire un'alleanza con i settori liberali nazional popolari contro le forze neoliberiste e antinazionali?
La nostra risposta era e resta che quest'alleanza non è solo auspicabile ma necessaria.
A conforto della nostra tesi giunge la testa d'uovo liberista anti-populista Angelo Panebianco [nella foto sopra] il quale, sul Corriere della Sera di oggi, si strappa le vesti e lancia l'allarme poiché le idee "stataliste, illiberali e sovraniste" stanno avanzando.
Proprio allo scopo di continuare questa discussione consigliamo un'attenta lettura dell'arguto pezzo del Nostro il cui punto di vista ci pare corrisponda a quello del Chiavacci: liberalismo = neoliberismo.
* * *
LA SOGLIA DEL 30%
Il mercato e quel bacino di ostilità
Il sospetto è che, come ai tempi del Pci, un terzo degli italiani sia pronto a votare per forze programmaticamente avverse al mercato. Il caso di M5S
di Angelo Panebianco
«Sabato scorso, sulla prima pagina di questo giornale, c’erano una notizia e un commento, apparentemente senza legami fra loro, che, insieme, attestavano l’esistenza di persistenze, di continuità storiche, confermavano il fatto che gli orientamenti di fondo di questo Paese non siano mai davvero cambiati, siano oggi gli stessi di molti decenni fa. La notizia consisteva nel risultato di un sondaggio che dà il movimento dei 5 Stelle al 29,1 per cento, lo conferma, nelle intenzioni di voto degli italiani, come primo partito. Il commento era quello di Francesco Giavazzi che documentava la rimonta dello statalismo dopo una breve stagione, durata pochi anni, in cui era sembrato in ritirata, che descriveva una classe politico-parlamentare di nuovo preda di una frenesia anti-mercato come dimostrano tanti provvedimenti sfornati recentemente dal Parlamento. Pochi, mi pare, hanno notato che i 5 Stelle raggiungono, per lo meno nei sondaggi, più o meno la stessa percentuale di consensi che era propria del Partito comunista all’epoca della cosiddetta Prima Repubblica. Vero, una cosa sono le intenzioni di voto e un’altra cosa sono i voti ma, tenendo conto del fatto che spesso i partiti antisistema sono sottorappresentati nei sondaggi, il sospetto è che, proprio come ai tempi del Pci, ci sia grosso modo un terzo degli italiani disponibile a votare per un partito programmaticamente ostile alla democrazia liberale.
I 5 Stelle non sono l’unico partito di questo tipo? Anche questo è vero. Ma era vero pure nella Prima Repubblica: oltre al Pci c’era l’Msi e c’erano componenti illiberali (di minoranza) all’interno della Democrazia Cristiana e del Partito socialista. Se si tirano le somme si vede che ben poco è cambiato, poniamo, rispetto agli anni Sessanta dello scorso secolo: la percentuale di elettori attratti da partiti e gruppi illiberali è oggi più meno la stessa di allora.Ma le persistenze non si fermano qui. Nel suo editoriale («Statalismi di ritorno in economia») Francesco Giavazzi ha mostrato come la classe politico-parlamentare non abbia ormai più remore nell’alzare la bandiera di un nuovo statalismo. Osserva Giavazzi che: «Dopo le liberalizzazioni del secondo governo Prodi (2006-2008) il virus dell’antimercato si sta di nuovo diffondendo». Al punto che, truffaldinamente, si è arrivati a chiamare «privatizzazione» la vendita di quote di aziende possedute dallo Stato alla Cassa Depositi e Prestiti, un ente che è nelle mani dello stesso Stato.
Proprio come ai tempi della Prima Repubblica il controllo statale sui gangli vitali dell’economia è tornato a essere un ideale di vita pubblica e, per quel che è possibile (Europa permettendo), anche una pratica politica. Quando finì la Prima Repubblica, ufficialmente a causa della corruzione, in realtà a causa di uno spettacolare «fallimento dello Stato» dovuto all’accumulazione di un debito pubblico gigantesco e fuori controllo, si affermò ed ebbe una qualche fortuna per un certo periodo — benché ciò andasse contro le tradizioni del Paese — l’idea che bisognasse dare molto più spazio di un tempo alle forze del mercato. Quella breve stagione sembra ora alle nostre spalle. Si torna agli antichi vizi. Ma i provvedimenti statalisti che danneggiano i consumatori generando le rendite politiche di cui ha parlato Giavazzi, non sarebbero possibili se il Paese non fosse attraversato, oggi come un tempo, da vigorose correnti anti-mercato, se il mercato non fosse avversato da un cospicuo numero di nostri concittadini.
Ancora una volta, le intenzioni di voto sono rivelatrici: se è molto ampio il bacino elettorale in cui possono pescare i gruppi politici illiberali, ancora più ampio appare quello in cui sono diffusi orientamenti anti-mercato. Grosso modo la metà degli elettori di questo Paese sembra disponibile a votare per gruppi politici (di destra o di sinistra) più o meno esplicitamente statalisti. Il cosiddetto «sovranismo», la critica dell’economia aperta, il favore per il protezionismo, non sono invenzioni estemporanee, intercettano una domanda diffusa, di protezione statale dal mercato. Non ci sarebbe lo statalismo di ritorno di cui ha parlato Giavazzi se non ci fosse nel Paese quella domanda.
Se gli orientamenti di fondo in materia di mercato o di democrazia liberalenon sono cambiati rispetto a trenta o quaranta anni fa è però cambiato il contesto. Ai tempi della Guerra fredda era il sistema delle alleanze internazionali a proteggerci, almeno in parte, da noi stessi, dalle nostre peggiori inclinazioni. Oggi un’Europa in crisi non ne ha la forza. Le componenti, fortunatamente non sparute, della società italiana che non si arrendono all’idea di un futuro «peronista» (illiberale e statalista) devono arrangiarsi, contare solo sulle proprie forze. Fallito il tentativo di creare una democrazia maggioritaria, prevale la frammentazione politica e i poteri di veto sono forti diffusi e radicati, come, del resto, lo erano un tempo. In queste condizioni, chiunque vinca le prossime elezioni (ammesso che qualcuno le vinca) non avrà la forza per imporre le sue scelte. Più che una resa dei conti fra amici e nemici della società aperta si prevede un lungo periodo di stallo».
6 commenti:
Non c'è alternativa al mercato, dopo lo stallo ci aspetta un ritorno alla prima repubblica della cricca, casta e corruzione...Parla come un grillino inseguito dalla sua ombra, di cazzate.
Dopo La Repubblica, anche il Corriere della sega si è guadagnato una bella manifestazione di idioti con fumogeni e svastichelle, l'esercito di riserva del mercato.francesco
Una sola frase.
Fare coalizioni con i liberali nazionalpopolari contro il neoliberismo non mi pare debba significare che dobbiamo tacere il fatto incontestabile che non esiste una ideologia neoliberista, esiste un'unica ideologia, quella liberale, e la logica conseguenza di quella ideologia è il neoliberismo.
Se lo spirito è da CLN, non dovremmo nascondere per nulla i dissensi presenti, le alleanze si devono anzi fare nella chiarezza.
Mi associo, anche perché citato, al commento di Vincenzo. Aggiungo che nel mio scritto la critica a P101 non era certo l'elemento centrale, anche se così poteva sembrare dalla titolazione redazionale
A.C.
il liberista
è figlio maggiorenne del liberale
in tempo di crisi sociale
di forza del proletariato
di conquista dei diritti
di ampliamento del benessere sociale
il liberale appare un moderato dr jeckill
che biasima lo statalismo e gli inevitabili sprechi e diseconomie che esso porta con se
ma appena tramonta l'era delle lotte
quando i nuovi apparati, nati dalle lotte sociali
ripiegano, arretrano e poi spaventati da una possibile perdita di potere
generano generazioni di infanti affetti dalla lebbra capitalista
il liberista esplode nella sua realtà di mr hide ordoliberista
fa diventare religione di stato
il suo ordine piramidale di società
dove il ricco imperialista e la sua corte di tecnocrati
e dove non mancano certo buffoni di corte nani e ballerine
fanno il buono ed il cattivo tempo global affamatore
dispensatore di ignoranza e guerra
essi non temono neanche di distruggere NOSTRA MADRE TERRA
essi pensano che per loro
sarà possibile
trasferirsi su marte
quindi per un rivoluzionario qualsiasi
rimane solo da applicare il libro mastro della rivoluzione
diceva infatti il buon Lenin
FUCILATELI TUTTI
Vorrei conoscere il nome di chi ha scritto questo testo in poesia. Mi sembra di alto valore, se l'autore è chi ha postato il messaggio, non merita certo l'anonimato. (A meno che non sia Brecht, ma non conosco l'opera)
”Non è forse necessario costruire un’alleanza con i settori liberali nazional popolari contro le forse liberiste antinazionali? La nostra risposta era e resta che questa alleanza non solo è auspicabile ma necessaria”
Al cospetto del fallimento storico (paragonabile a quello del socialismo così come realizzato) del liberalismo non si riesce a comprendere e a capacitarsi dell’ostinazione di P101 che lo sta trascinando ad assumere (forse per timore di dover ammettere di essersi sbagliato) in modo sempre più marcato un atteggiamento autoemarginante che gli impedisce di leggere, comprendere e decodificare quello che intorno ad esso sta accadendo condannandolo di conseguenza ad essere e rimanere impietosamente sempre “fuori gioco”. P101, come un disco rotto, incurante di tutto, ripropone la validità e la giustezza di una alleanza con le forze liberali per salvare e liberare il Paese (patria) ma il Paese (patria) da cosa dovrebbe essere liberato e salvato se non proprio dall’etica e concezione liberale che sta ammorbando questo tempo. Sarebbe come chiedere al maligno di collaborare alla costruzione di un mondo giusto e buono. I padroni, volendo distruggere il comunismo, non hanno mai ritenuto giusto e possibile realizzare e dare vita ad una alleanza, anche soltanto tattica in funzione antistalinista con i comunisti perché sapevano bene che, abbattuto lo stalinismo, le idealità del pensiero comunista non solo non sarebbero state sconfitte ma queste si sarebbero potute rafforzare quindi intelligentemente condussero e portarono sempre senza tregua e senza quartiere il loro attacco esclusivamente all’idea e opzione comunista al di là delle forme e specificità che nel tempo o nei luoghi esso poteva conformarsi. GRANDE E’ LA CONFUSIONE SOTTO IL CIELO, LA SITUAZIONE E’ DUNQUE ECCELLENTE.
Pasquino55
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