[ 12 gennaio ]
In un articolo uscito la vigilia dello scorso Natale su queste pagine scrivevo che non era il caso di illudersi: la vittoria del No nel referendum che ha bocciato la “riforme” renziane, non rallenterà gli sforzi delle élites per de–democratizzare il sistema politico (dal quale, per inciso, decenni di controrivoluzione liberal liberista hanno già espunto molti elementi di democrazia). Al contrario, argomentavo, gli sforzi in tale direzione si moltiplicheranno perché per le caste politiche, economiche, accademiche, e per il sistema dei media che le sostiene, la distruzione di quanto resta della democrazia è questione di sopravvivenza.
Nel giro di qualche giorno, questa fin troppo facile previsione ha ottenuto numerose conferme. La tesi che i nemici della democrazia difendono sempre più apertamente, e senza troppi giri di parole, è la seguente: visto che le condizioni socioeconomiche che hanno favorito l’ascesa dei “populismi” (termine che continua a essere usato in modo propagandistico, senza alcuno sforzo di analisi politologica e senza compiere distinzioni ideologiche, mischiando nello stesso calderone Trump e Sanders, Maduro e Marine Le Pen, Podemos e la Lega, l’M5S e i neonazi tedeschi) sono destinate a durare (l’ipotesi di combattere le cause dell’impoverimento di massa e della disuguaglianza non viene nemmeno presa in considerazione, quasi si trattasse di fenomeni “naturali”), non resta che modificare le regole del sistema politico in modo tale da poterlo governare a prescindere dal fatto che esso ottenga il consenso – e un riconoscimento di legittimità – da parte della maggioranza dei cittadini. Propongo qui di seguito tre esempi di questa “filosofia”.
In un articolo sul New York Times tale Eduardo Porter, dopo essersi chiesto se globalizzazione, mutamenti demografici e rivoluzione culturale abbiano eroso il consenso del popolo americano nei confronti della “democrazia del libero mercato”, al punto da indurlo a votare per un uomo come Trump (Sanders non è nemmeno citato!), che ha fatto campagna sostenendo che il sistema serve gli interessi di un’élite cosmopolita contro quelli della gente comune, prosegue ammettendo (bontà sua) che il popolo ha molte ragioni per lamentarsi, ma poi conclude incongruamente che il vero motivo del successo populista non sta in queste ragioni, bensì nei difetti del sistema elettorale (!?), quindi conclude citando i suggerimenti di riforme orientate a garantire la “governabilità” offerti da alcuni solerti politologi.
Gli altri due esempi li ho trovati sulle pagine del “Corriere della Sera” del 4 gennaio. Il primo articolo, a firma di Michele Salvati, ribadisce che sì, la vita della maggioranza dei cittadini è grama e tale resterà a lungo per cui, appurato che : 1) le “leggi” dell’economia non ammettono deroghe e che dunque occorrerà in ogni caso farle digerire al popolo, 2) che a tale scopo servirà comunque “riformare” la costituzione, 3) che il compito si è rivelato impossibile per un’unica forza politica, non resta che lavorare alla costruzione di una grande coalizione “anti populista” che abbia la maggioranza necessaria per compiere le riforme senza che poi debbano essere sottoposte a referendum.
Il secondo articolo, a firma di Gustavo Ghidini, rilancia viceversa con forza l’imprescindibile esigenza di “normalizzare” la comunicazione online. Gli argomenti sono i soliti: combattere le bufale, gli incitamenti all’odio, l’uso di termini offensivi e “politicamente scorretti”, ecc. E’ evidente come il senso di queste e altre definizioni possa essere opportunamente dilatato per colpire ben altri bersagli, come la libertà di opinione ed espressione, ed è altrettanto evidente come questa crociata sia, non casualmente, iniziata subito dopo che sondaggisti e studiosi di comunicazione hanno accusato Internet di avere favorito i successi elettorali “populisti”, bypassando un sistema dei media mainstream sempre più blindato a sostegno del pensiero unico liberal liberista e delle forze politiche che ne incarnano gli interessi.
Insomma: la grande controffensiva è iniziata, ed è destinata a farsi più feroce a mano a mano che l’insofferenza dei cittadini nei confronti delle élites si farà più forte, fino a generare (si spera) una domanda esplicita di rottura sistemica.
1 commento:
Condivo appieno l'analisi prodotta da Formenti ed in base ad essa, se si vuole realmente agire, occorre trarne le dovute conseguenze. Ritengo quindi che per opporsi efficacemente e pragmaticamente a quanto lucidamente denunciato nell'articolo, da subito e senza reticenze, tatticismi, tentennamenti, che oltre che a denunciare le forze che esplicitamente sostengono questa visione, debbano essere pubblicamente smascherate (chiamandole con nome e cognome) anche tutte quelle altre aggregazioni culturali e politiche che anche in modo subalterno, trasversale e subdolo operano per favorire la costruzione di questo blocco politico che Formenti chiama de-democratizzatore mentre, nel contempo, si dovrebbe operare per la costruzione di una conseguente piattaforma politica contro il pensiero unico liberal-liberista dominante causa ed alimento della tragedia politica, culturale, morale e sociale che stiamo vivendo e subendo.
Pasquino55
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