[ 28 gennaio ]
E' in corso oggi a Roma l'assemblea nazionale del coordinamento EUROSTOP. Il tentativo è quello di dare vita ad un nuovo soggetto politico, per quanto plurale e confederato. Qui sotto l'intervento che sarà svolto dal delegato di Programma 101.
Cari compagni
Siamo chiamati, con questa assemblea, a decidere se EUROSTOP debba e possa trasformarsi in un soggetto politico —per quanto plurale e confederato. Che lo si debba fare lo sosteniamo da tempo, scontiamo anzi un enorme ritardo (e non sarebbe secondario chiedersi il perché), che sia possibile, dipende. Da cosa dipende?
Diceva Hegel che: “Quando si hanno tutte le condizioni, la cosa deve diventare reale”.
Tra le diverse condizioni, cinque a noi sembrano quelle determinanti: (1) un’analisi della situazione condivisa; (2) una visione strategica comune; (3) un programma politico di fase unico; (4) una medesima concezione sulla natura del soggetto che vogliamo costruire; infine (5) una squadra dirigente che oltre ad essere di alto profilo sia forte della reciproca fiducia dei suoi componenti.
A noi non pare che tutte queste condizioni esistano già. Molte, purtroppo, sono le differenze (e le diffidenze) tra noi. Dobbiamo per questo rinunciare all’impresa? No, non dobbiamo rinunciarvi, dobbiamo tentare, ma facendo il passo secondo la gamba, mettendo ogni cosa al suo posto, individuando le aree di criticità, giocando a carte scoperte, avviando un processo graduale costituente che affronti i problemi invece di nasconderli.
Abbiamo letto con la dovuta attenzione i documenti fondativi sottoposti all’attenzione di tutti noi. C’è un evidente squilibrio tra l’impegnativa chiamata a fondare un soggetto-politico-fronte e la base politica, francamente striminzita, con cui la si giustifica —e che a ben vedere resta sostanzialmente la stessa che avevamo già come coordinamento. I tre NO (all’Unione europea, all’euro e alla NATO) sono condizioni necessarie ma insufficienti. Un salto organizzativo chiede un proporzionale corrispettivo politico altrimenti il rischio —come ad alcuni di voi accadde con ROSS@—, è che il salto sia mortale.
Proviamo quindi ad individuare i nodi che andrebbero sciolti, se vogliamo davvero gettare le fondamenta di una costruzione che non collassi al primo urto, e ce ne saranno diversi nei prossimi anni.
(1) Per quanto riguarda la situazione generale, al netto dell’accordo sul fatto che questa crisi è sistemica, “organica” come avrebbe detto Gramsci, non tutti siamo d’accordo non solo che la globalizzazione è al tramonto, ma che l’Unione europea (che non nacque affatto come polo antagonista a quello americano ma ben al contrario come sorella gemella dell’imperialismo USA) ha imboccato la via del suo inesorabile disfacimento. La conseguenza, che vi segnalavamo da tempo e che ha enormi conseguenze politiche, è quella che vedrà gli stati nazionali riconquistare il centro della scena.
(2) Noi riteniamo un grave errore strategico opporsi alla tendenza geopolitica alla rinazionalizzazione. Invece di fare esorcismi contro il ritorno alla sovranità nazionale —concetto che nei documenti ci si è guardati bene dal solo nominare, preferendo quello di “sovranità popolare”, come se questa e le procedure democratiche possano esistere oggi senza il demos nazionale— noi dovremmo invece impugnarla, con ragionevole audacia. Dovremmo andare incontro ai risorgenti sentimenti nazionalistici tra le masse popolari (che significano più sovranità nazionale, più Stato, più comunità, più democrazia, più sicurezza) opponendo un patriottismo repubblicano, costituzionale e socialista, contro ogni nazionalismo sciovinistico e imperialistico. Questo è secondo noi il discorso per combattere il nemico principale, il blocco oligarchico mondialista dominante (in cui la nostra grande borghesia è pienamente incapsulata), e quindi lanciare e vincere la sfida dell’egemonia nel campo popolare e antioligarchico, oggi presidiato anzitutto da forze come M5S e nuove destre come Lega nord e FdI.
(3) I documenti parlano di ITALEXIT, ma sono vaghi, non ci dicono niente di preciso su come noi vorremmo utilizzare la riconquistata sovranità nazionale e monetaria. Questa reticenza è inammissibile visto che da anni fuori di qui se ne dibatte e sono state prodotte tesi e proposte di indiscutibile valore scientifico. Ma questa reticenza ha una ragione: c’è chi scongiura un’uscita unilaterale e vaticina (in base a discorsi francamente risibili sulle “economie di scala) improbabili nuove zone di mercato e moneta comune, siano esse mediterranee o meno. Di contro al rischio che l’uscita dall’euro e dall’Unione sia pilotata da forze nazional-liberiste, noi dobbiamo opporre un chiaro programma per dare vita ad un ampio blocco costituzionale che in futuro possa dare vita ad un governo popolare d’emergenza, o di transizione, che metta in sicurezza il Paese. Un programma che sia coerente con la democrazia sociale scolpita nella Costituzione del 1948, che per noi deve avere il profilo di un keynesismo radicale, che potrebbe fungere da anticamera di trasformazioni socialiste vere e proprie. Ma, anche qui, c’è chi fa spallucce lancia anatemi contro il keynesismo “borghese”.
(4) Sulla natura del soggetto politico, che viene prima della forma, qui circolano le idee più disparate. Non parliamo tanto delle regole che debbono tenerci assieme. Qui parliamo, lo diciamo senza peli sulla lingua, del populismo. Anche in questo caso tra noi c’è chi lancia anatemi; si tratta, sia di coloro che ritengono sia oggi percorribile la strada della ricostruzione del partito di classe, ovvero comunista, sia di quelli che rispolverano la tradizione sindacalistica.
Il campo sociale e politiconon è più diviso da una retta verticale che divida la destra dalla sinistra, bensì da una retta orizzontale che divide chi sta sopra (l’oligarchia e la cima della piramide sociale) da chi sta sotto (una poltiglia sociale senza più la classe operaia al suo centro). Formenti ci dice che questa è la nuova forma della lotta di classe. E’ vero, a condizione di precisare che è una nuova forma di lotta di classe per cui, inabissatosi il soggetto sociale teleologico che per sua natura avrebbe una funzione guida, spetta al soggetto politico (politico si badi, né sindacale né tantomeno vagamente “sociale” —non amiamo quindi l’aggettivo “sociale” posto dopo il sostantivo “piattaforma”) dare forma e finalità alla eterogenea sfera sociale, di questi tempi un partito che costruisce e plasma un popolo che sia forza di mutamento e capace di esercitare sovranità.
Per questo non basta avere un programma, né rivendicare l’applicazione delle parti progressive della Costituzione, né tanto meno limitarsi ad affermare tre NO. C’è bisogno di un discorso profetico, di simboli forti, e perché no, di miti e nuovi orizzonti di senso. Dobbiamo saper stabilire connessioni emotive con il popolo lavoratore, precario e marginale, capaci di parlare al suo cuore e non solo alla sua testa. Quando la situazione è drammatica nessuna narrazione politica può sperare di diventare egemonica se non ha pathos. Populismo, per quanto ci riguarda populismo socialista, non è quindi solo linguaggio o retorica discorsiva, è l’incontro tra una visione radicale ed una pratica politica di massa.
Per concludere. C’è molto lavoro da fare affinché “la cosa diventi reale”.
Dobbiamo unire le nostre forze, avviarci su questo sentiero, senza temere le difficoltà esistenti che potremo superare come abbiamo già superato alcune delle divergenze che ci dividevano fino a ieri. In questo contesto ci permettiamo di condensare quelli noi consideriamo i dieci punti d’indirizzo per andare verso il popolo e farne il protagonista della rivoluzione democratica:
(1) IL POTERE SPETTA AL POPOLO NON ALL’OLIGARCHIA CAPITALISTA
(2) LA COMUNITÀ VIENE PRIMA DELL’INDIVIDUO
(3) L’EGUAGLIANZA E LA SOLIDARIETÀ SIANO I PRINCIPI DELLA CONVIVENZA CIVILE
(4) LA DIGNITÀ E IL DIRITTO AL LAVORO DI OGNUNO VENGONO PRIMA DI TUTTO
(5) LA POLITICA DIRIGA E PROGRAMMI L’ECONOMIA, PER DIFENDERE AMBIENTE E TERRITORIO NELL’INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ
(6) LO STATO DEVE COMANDARE, NON IL MERCATO
(7) REGOLARE L’IMMIGRAZIONE IN BASE ALLE ESIGENZE DELLA COMUNITÀ CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE ETNICA, RELIGIOSA O RAZZIALE
(8) PER LA SICUREZZA SOCIALE, CONTRO LA CRIMINALITÀ, I SOPRUSI E LE ANGHERIE
(9) PER LA SOVRANITÀ NAZIONALE , CONTRO GLOBALIZZAZIONE, UNIONE EUROPEA E NATO
(10) PER UN PATRIOTTISMO REPUBBLICANO E INTERNAZIONALISTA
-->
E' in corso oggi a Roma l'assemblea nazionale del coordinamento EUROSTOP. Il tentativo è quello di dare vita ad un nuovo soggetto politico, per quanto plurale e confederato. Qui sotto l'intervento che sarà svolto dal delegato di Programma 101.
Cari compagni
Siamo chiamati, con questa assemblea, a decidere se EUROSTOP debba e possa trasformarsi in un soggetto politico —per quanto plurale e confederato. Che lo si debba fare lo sosteniamo da tempo, scontiamo anzi un enorme ritardo (e non sarebbe secondario chiedersi il perché), che sia possibile, dipende. Da cosa dipende?
Diceva Hegel che: “Quando si hanno tutte le condizioni, la cosa deve diventare reale”.
Tra le diverse condizioni, cinque a noi sembrano quelle determinanti: (1) un’analisi della situazione condivisa; (2) una visione strategica comune; (3) un programma politico di fase unico; (4) una medesima concezione sulla natura del soggetto che vogliamo costruire; infine (5) una squadra dirigente che oltre ad essere di alto profilo sia forte della reciproca fiducia dei suoi componenti.
A noi non pare che tutte queste condizioni esistano già. Molte, purtroppo, sono le differenze (e le diffidenze) tra noi. Dobbiamo per questo rinunciare all’impresa? No, non dobbiamo rinunciarvi, dobbiamo tentare, ma facendo il passo secondo la gamba, mettendo ogni cosa al suo posto, individuando le aree di criticità, giocando a carte scoperte, avviando un processo graduale costituente che affronti i problemi invece di nasconderli.
Abbiamo letto con la dovuta attenzione i documenti fondativi sottoposti all’attenzione di tutti noi. C’è un evidente squilibrio tra l’impegnativa chiamata a fondare un soggetto-politico-fronte e la base politica, francamente striminzita, con cui la si giustifica —e che a ben vedere resta sostanzialmente la stessa che avevamo già come coordinamento. I tre NO (all’Unione europea, all’euro e alla NATO) sono condizioni necessarie ma insufficienti. Un salto organizzativo chiede un proporzionale corrispettivo politico altrimenti il rischio —come ad alcuni di voi accadde con ROSS@—, è che il salto sia mortale.
Proviamo quindi ad individuare i nodi che andrebbero sciolti, se vogliamo davvero gettare le fondamenta di una costruzione che non collassi al primo urto, e ce ne saranno diversi nei prossimi anni.
(1) Per quanto riguarda la situazione generale, al netto dell’accordo sul fatto che questa crisi è sistemica, “organica” come avrebbe detto Gramsci, non tutti siamo d’accordo non solo che la globalizzazione è al tramonto, ma che l’Unione europea (che non nacque affatto come polo antagonista a quello americano ma ben al contrario come sorella gemella dell’imperialismo USA) ha imboccato la via del suo inesorabile disfacimento. La conseguenza, che vi segnalavamo da tempo e che ha enormi conseguenze politiche, è quella che vedrà gli stati nazionali riconquistare il centro della scena.
(2) Noi riteniamo un grave errore strategico opporsi alla tendenza geopolitica alla rinazionalizzazione. Invece di fare esorcismi contro il ritorno alla sovranità nazionale —concetto che nei documenti ci si è guardati bene dal solo nominare, preferendo quello di “sovranità popolare”, come se questa e le procedure democratiche possano esistere oggi senza il demos nazionale— noi dovremmo invece impugnarla, con ragionevole audacia. Dovremmo andare incontro ai risorgenti sentimenti nazionalistici tra le masse popolari (che significano più sovranità nazionale, più Stato, più comunità, più democrazia, più sicurezza) opponendo un patriottismo repubblicano, costituzionale e socialista, contro ogni nazionalismo sciovinistico e imperialistico. Questo è secondo noi il discorso per combattere il nemico principale, il blocco oligarchico mondialista dominante (in cui la nostra grande borghesia è pienamente incapsulata), e quindi lanciare e vincere la sfida dell’egemonia nel campo popolare e antioligarchico, oggi presidiato anzitutto da forze come M5S e nuove destre come Lega nord e FdI.
(3) I documenti parlano di ITALEXIT, ma sono vaghi, non ci dicono niente di preciso su come noi vorremmo utilizzare la riconquistata sovranità nazionale e monetaria. Questa reticenza è inammissibile visto che da anni fuori di qui se ne dibatte e sono state prodotte tesi e proposte di indiscutibile valore scientifico. Ma questa reticenza ha una ragione: c’è chi scongiura un’uscita unilaterale e vaticina (in base a discorsi francamente risibili sulle “economie di scala) improbabili nuove zone di mercato e moneta comune, siano esse mediterranee o meno. Di contro al rischio che l’uscita dall’euro e dall’Unione sia pilotata da forze nazional-liberiste, noi dobbiamo opporre un chiaro programma per dare vita ad un ampio blocco costituzionale che in futuro possa dare vita ad un governo popolare d’emergenza, o di transizione, che metta in sicurezza il Paese. Un programma che sia coerente con la democrazia sociale scolpita nella Costituzione del 1948, che per noi deve avere il profilo di un keynesismo radicale, che potrebbe fungere da anticamera di trasformazioni socialiste vere e proprie. Ma, anche qui, c’è chi fa spallucce lancia anatemi contro il keynesismo “borghese”.
(4) Sulla natura del soggetto politico, che viene prima della forma, qui circolano le idee più disparate. Non parliamo tanto delle regole che debbono tenerci assieme. Qui parliamo, lo diciamo senza peli sulla lingua, del populismo. Anche in questo caso tra noi c’è chi lancia anatemi; si tratta, sia di coloro che ritengono sia oggi percorribile la strada della ricostruzione del partito di classe, ovvero comunista, sia di quelli che rispolverano la tradizione sindacalistica.
Il campo sociale e politiconon è più diviso da una retta verticale che divida la destra dalla sinistra, bensì da una retta orizzontale che divide chi sta sopra (l’oligarchia e la cima della piramide sociale) da chi sta sotto (una poltiglia sociale senza più la classe operaia al suo centro). Formenti ci dice che questa è la nuova forma della lotta di classe. E’ vero, a condizione di precisare che è una nuova forma di lotta di classe per cui, inabissatosi il soggetto sociale teleologico che per sua natura avrebbe una funzione guida, spetta al soggetto politico (politico si badi, né sindacale né tantomeno vagamente “sociale” —non amiamo quindi l’aggettivo “sociale” posto dopo il sostantivo “piattaforma”) dare forma e finalità alla eterogenea sfera sociale, di questi tempi un partito che costruisce e plasma un popolo che sia forza di mutamento e capace di esercitare sovranità.
Per questo non basta avere un programma, né rivendicare l’applicazione delle parti progressive della Costituzione, né tanto meno limitarsi ad affermare tre NO. C’è bisogno di un discorso profetico, di simboli forti, e perché no, di miti e nuovi orizzonti di senso. Dobbiamo saper stabilire connessioni emotive con il popolo lavoratore, precario e marginale, capaci di parlare al suo cuore e non solo alla sua testa. Quando la situazione è drammatica nessuna narrazione politica può sperare di diventare egemonica se non ha pathos. Populismo, per quanto ci riguarda populismo socialista, non è quindi solo linguaggio o retorica discorsiva, è l’incontro tra una visione radicale ed una pratica politica di massa.
Per concludere. C’è molto lavoro da fare affinché “la cosa diventi reale”.
Dobbiamo unire le nostre forze, avviarci su questo sentiero, senza temere le difficoltà esistenti che potremo superare come abbiamo già superato alcune delle divergenze che ci dividevano fino a ieri. In questo contesto ci permettiamo di condensare quelli noi consideriamo i dieci punti d’indirizzo per andare verso il popolo e farne il protagonista della rivoluzione democratica:
(1) IL POTERE SPETTA AL POPOLO NON ALL’OLIGARCHIA CAPITALISTA
(2) LA COMUNITÀ VIENE PRIMA DELL’INDIVIDUO
(3) L’EGUAGLIANZA E LA SOLIDARIETÀ SIANO I PRINCIPI DELLA CONVIVENZA CIVILE
(4) LA DIGNITÀ E IL DIRITTO AL LAVORO DI OGNUNO VENGONO PRIMA DI TUTTO
(5) LA POLITICA DIRIGA E PROGRAMMI L’ECONOMIA, PER DIFENDERE AMBIENTE E TERRITORIO NELL’INTERESSE DELLA COLLETTIVITÀ
(6) LO STATO DEVE COMANDARE, NON IL MERCATO
(7) REGOLARE L’IMMIGRAZIONE IN BASE ALLE ESIGENZE DELLA COMUNITÀ CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE ETNICA, RELIGIOSA O RAZZIALE
(8) PER LA SICUREZZA SOCIALE, CONTRO LA CRIMINALITÀ, I SOPRUSI E LE ANGHERIE
(9) PER LA SOVRANITÀ NAZIONALE , CONTRO GLOBALIZZAZIONE, UNIONE EUROPEA E NATO
(10) PER UN PATRIOTTISMO REPUBBLICANO E INTERNAZIONALISTA
-->
3 commenti:
Pane al pane.
Giusto così
Il partito costruisce e plasma il popolo...
Niente di più sbagliato e soggettivistico, il prossimo passo è Berkley che sostiene di essere un polipo
Berkley, l filosofia, l'oggetto e il soggetto.
L'anonimo qui sopra, con una riga, rivolge a P101 una critica dura e squisitamente filosofica.
Ovviamente manca il bersaglio.
Si capisce che il Nostro è dentro l'orizzonte teorico che potremmo chiamare del determinismo più rigoroso, ovvero della idea meccanicistica che sia la sfera economico-sociale a determinare quella politica.
Questa proposizione, quella della causalità necessaria di ogni fenomeno —per cui, come scriveva Schopenauer quando una causa è è posta, l'effetto sarebbe inevitabile— secondo me, non ha alcun valore di verità, si è rivelata fallace. E' la secolarizzazione dell'idea religiosa, per cui dietro ad ogni cosa starebbe la volontà (ineffabile) di un Dio trascendente che tirerebbe i fili della realtà.
Discorso che si farebbe lungo. Vedremo di tornare sull'argomento.
Possiamo capire che i deterministi ci accusino di "soggettivismo", ma di certo non siamo col vescovo Berkley, che giunge all'assurdo di negare, sic et simpliciter, la realtà oggettiva.
la realtà oggettiva c'è e come, solo che il soggetto agente non solo ne fa parte, non solo ne è parte costitutiva, con la sua azione la cambia. Per cui non si da mai una "realtà" oggettiva che sia metafisicamente esterna e separata al soggetto.
Moreno Pasquinelli
Posta un commento