[ 27 gennaio ]
La Piattaforma sociale Eurostop da alcuni mesi, ha avviato un confronto, non solo rivolto al proprio interno per trasformarsi, da coordinamento, in soggetto politico, per quanto nella forma di un fronte plurale. Domani, sabato 28 gennaio, con inizio alle ore 10:00, si svolgerà a Roma, presso il Centro sociale Intifada (Via Casabruciato 13) l'assemblea nazionale —vedi grafica più sotto. Ne avevamo dato conto il 15 gennaio, successivamente ospitando le 16 tesi di Giorgio Cremaschi.
«La Piattaforma Sociale Eurostop è nata a novembre del 2015 indicando chiaramente in tre No – all’Unione Europea, all’Euro e alla Nato – i punti discriminanti sui quali costruire, nel nostro e in altri paesi, un movimento politico popolare e con chiaro orientamento di classe, e una prospettiva di rottura con gli interessi e gli apparati istituzionali edificati dalle classi dominanti in Italia e in Europa.
La Piattaforma Sociale Eurostop intende rivolgersi alle masse popolari, ai lavoratori, ai ceti sociali impoveriti e proletarizzati dalla crisi e dalle politiche d’austerità, per proporre una alternativa di sistema all’Unione Europea che di quelle politiche e di quella crisi è responsabile, un’alternativa che passi per la rottura dei vari meccanismi di “vincolo esterno” (economici, politici, militari) e la fuoriuscita dalle organizzazioni sovranazionali che lo rappresentano.
Unione Europea, Banca Centrale Europea e Nato sono organizzazioni fondate su trattati internazionali che non sono mai stati sottoposti a referendum popolare. Dopo i primi quaranta anni di atlantismo ed europeismo verticistico, le conseguenze concrete della subalternità a quei trattati si sono manifestate chiaramente: in una feroce polarizzazione sociale che ha visto precipitare le condizioni di vita dei ceti popolari; in una crescente concentrazione industriale, finanziaria e tecnologica sotto il controllo di pochi grandi gruppi multinazionali europei; in un coinvolgimento ripetuto in guerre e operazioni militari; in una gerarchizzazione dei poteri decisionali tramite una governance autoritaria che si articola dai centri di Bruxelles/Francoforte fino alle amministrazioni locali.
Il percorso e il progetto della Piattaforma Sociale intendono praticare la rottura con gli apparati costruiti dalle classi dominanti in Europa e la ricomposizione dei settori sociali interessati ad una trasformazione democratica e socialista dell’ordine economico e politico esistente. È in quest’ottica che proponiamo un percorso per “l’Italexit”.
Riteniamo che questa proposta possa raccogliere un vasto e maggioritario consenso popolare. In tal senso consideriamo incoraggiante il successo del referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e prima ancora dall’Oxi del popolo greco contro il memorandum imposto dall’Unione Europea. Tale incoraggiamento è rafforzato dalla vittoria del No nel referendum costituzionale di dicembre in Italia.
Il referendum britannico ha confermato che ogni volta che i Trattati europei o i loro effetti vengono sottoposti al voto popolare, le scelte delle oligarchie europee escono sconfitte. È accaduto in Grecia nel 2015, in Francia e Olanda nel 2005, era accaduto ancora prima in Irlanda e Danimarca. Questi risultati spiegano l’isteria alla quale abbiamo assistito in seguito al risultato del referendum sulla Brexit, un’isteria che ha rotto molti freni inibitori delle classi dominanti anche sul terreno della democrazia rappresentativa.
Con i Trattati costitutivi della UE l’intero impianto democratico, che i movimenti popolari e dei lavoratori europei hanno sempre rivendicato come proprio patrimonio, è stato bruscamente rimesso in discussione in nome della supremazia della governabilità. Abbiamo sentito appelli al divieto di sottoporre al giudizio popolare questioni strategiche (come avviene in Italia con l’articolo 75 della Costituzione, che vieta il referendum sui trattati internazionali); abbiamo sentito perfino appelli a diffidare del suffragio universale e a reintrodurre il voto per censo (i poveri non devono votare, perché non capiscono i meccanismi dell’economia globalizzata).
A volte esponenti delle élite dirigenti hanno cercato di farsi paladini del disegno sovranazionale dell’UE contro il risorgere dei nazionalismi, facendo finta d’ignorare la questione dell’assoluta assenza di democrazia nel sistema politico UE. In realtà questo disegno sovranazionale è volto a consolidare un potere centralizzato a Bruxelles e Francoforte che ha ucciso le democrazie parlamentari, ostracizzato sindacati e movimenti sociali alternativi, e consegnato il potere a un’oligarchia politica e tecnocratica che insieme a banche, centri finanziari, imprese capitalistiche hanno il solo scopo di estendere e gestire il mercato unico europeo
D’altronde è ormai dimostrato che il risorgere di sentimenti e risentimenti nazionalisti in tutti i paesi europei è proprio la conseguenza delle politiche neoliberiste, recessive, antioperaie e antidemocratiche messe in atto dalle istituzioni dell’Unione Europea. Queste politiche infatti hanno determinato un rallentamento dello stesso sviluppo capitalistico, un aumento della disoccupazione e della povertà e un crescente divario di ricchezza e di reddito tra le classi di ogni singolo paese, ma anche tra i redditi medi dei paesi cosiddetti “core” e quelli “periferici”.
Sappiamo benissimo che forze reazionarie e conservatrici stanno cavalcando la diffusa ostilità dei ceti popolari contro le istituzioni tecno-burocratiche e le politiche di austerità dell’UE, e che questo fenomeno si è riproposto anche in Gran Bretagna. Ma d’altra parte è un dato di fatto che disoccupati, lavoratori e pensionati hanno in maggioranza votato per la Brexit in Gran Bretagna, mentre il grande centro finanziario di Londra aveva scelto l’UE. Altrettanto noto è il fatto che la maggioranza dei ceti popolari e delle classi subalterne ha votato NO nel referendum costituzionale in Italia, mentre la Confindustria e l’establishment aveva scelto il SI.
Ormai è evidente che il progetto dell’UE è una permanente rivoluzione dall’alto volta a consolidare il potere delle classi dominanti sia economiche che politiche. La retorica “europeista” non riesce più a nascondere il fatto che l’UE è un sistema di potere delle borghesie transnazionali europee. Né riesce a nascondere la dimensione di classe delle politiche economiche di austerità e di “riforma”. È visibile a tutti che quelle politiche hanno mirato a usare la diminuzione dell’occupazione come strumento per mettere in ginocchio i movimenti operai europei in modo da far accettare ai lavoratori le riforme neoliberiste del mercato del lavoro, dello stato sociale e del sistema fiscale, le deregolamentazioni dei mercati, le privatizzazioni delle imprese pubbliche e soprattutto la svalutazione salariale e fiscale; in sostanza: una riduzione del salario diretto, indiretto e differito e un impoverimento dei diritti sociali.
L’Unione europea cerca di gestire la sua crisi politica attraverso una centralizzazione dei poteri politici facendo perno sui paesi della zona euro. Mentre si persegue una linea di austerità con i tagli alle spese sociali si assiste ad un’accelerazione delle spese militari ”comuni” e con un accentramento a livello di UE delle politiche militari.
Le classi dominanti europee affrontano la crisi economica e la competizione globale attraverso le politiche antioperaie e la costruzione di istituzioni antidemocratiche dominate da un’oligarchia garante degli interessi della borghesia transnazionale. Per questo riteniamo che questa Unione Europea non sia riformabile.
L’obiettivo immediato che la Piattaforma Sociale Eurostop si è dato è l’abbattimento dell’Unione Europea. Le classi dirigenti europee si sforzano di garantire la sopravvivenza dell’UE, ma la crisi e le contraddizioni sono tali che la sua rottura potrebbe anche verificarsi a causa di eventi diversi, come la scissione dell’Eurozona in due Eurozone, Sud e Nord; il ritorno concordato in alcuni paesi alle monete nazionali; l’uscita unilaterale di qualche paese “core” (come la Gran Bretagna) oppure di qualche paese “periferico dell’area dei Pigs o dell’Europa dell’est. Ognuna di queste modalità può essere l’innesco di un processo di disgregazione dell’Unione, e dobbiamo essere pronti ad adattarci alle circostanze per trasformare l’innesco in un’esplosione. ????
Come movimento politico radicato in Italia, assumiamo la parola d’ordine dell’ ITALEXIT. Ci sembra evidente che in questa fase la base materiale per la mobilitazione e l’organizzazione delle forze sociali necessarie alla rottura dell’Unione Europea non può darsi che a livello nazionale. Noi ci impegniamo affinché si creino le condizioni per la rottura dell’UE attraverso l’Italexit, facendo leva in Italia sulla crisi politica delle classi dirigenti e del persistere di una grave crisi sociale. Una delle campagne per determinare l’Italexit è la promozione di un referendum perché siano i/le cittadini/ italiani/e a decidere sull’UE, perché la questione dell’UE tocca la vita di tutti/e e da tutti/e deve essere deciso. E’ evidente che, pur se la rottura si darà a livello nazionale, la visione che la ispira e che la deve guidare non può che essere internazionale e internazionalista. La rottura e la fuoriuscita di un paese dall’Unione Europea e dalla Nato deve essere un esempio da seguire e un percorso da coordinare e discutere a livello europeo e mediterraneo. In questo senso, il pieno recupero della sovranità popolare è un obiettivo che dobbiamo perseguire con forza, sul piano nazionale e con una visione internazionalista conseguente».
Gennaio 2017
Domani daremo la parola a Programma 101 che, pur facendo parte di Eurostop e riconoscendone la funzione positiva, vede diverse criticità in questo passaggio a soggetto politico.
Qui sotto la bozza di documento su Europa e Ital/Exit che il Coordinamento nazionale Eurostop sottopone all'attenzione dell'assemblea di domani.
Qui sotto la bozza di documento su Europa e Ital/Exit che il Coordinamento nazionale Eurostop sottopone all'attenzione dell'assemblea di domani.
«La Piattaforma Sociale Eurostop è nata a novembre del 2015 indicando chiaramente in tre No – all’Unione Europea, all’Euro e alla Nato – i punti discriminanti sui quali costruire, nel nostro e in altri paesi, un movimento politico popolare e con chiaro orientamento di classe, e una prospettiva di rottura con gli interessi e gli apparati istituzionali edificati dalle classi dominanti in Italia e in Europa.
La Piattaforma Sociale Eurostop intende rivolgersi alle masse popolari, ai lavoratori, ai ceti sociali impoveriti e proletarizzati dalla crisi e dalle politiche d’austerità, per proporre una alternativa di sistema all’Unione Europea che di quelle politiche e di quella crisi è responsabile, un’alternativa che passi per la rottura dei vari meccanismi di “vincolo esterno” (economici, politici, militari) e la fuoriuscita dalle organizzazioni sovranazionali che lo rappresentano.
Unione Europea, Banca Centrale Europea e Nato sono organizzazioni fondate su trattati internazionali che non sono mai stati sottoposti a referendum popolare. Dopo i primi quaranta anni di atlantismo ed europeismo verticistico, le conseguenze concrete della subalternità a quei trattati si sono manifestate chiaramente: in una feroce polarizzazione sociale che ha visto precipitare le condizioni di vita dei ceti popolari; in una crescente concentrazione industriale, finanziaria e tecnologica sotto il controllo di pochi grandi gruppi multinazionali europei; in un coinvolgimento ripetuto in guerre e operazioni militari; in una gerarchizzazione dei poteri decisionali tramite una governance autoritaria che si articola dai centri di Bruxelles/Francoforte fino alle amministrazioni locali.
Il percorso e il progetto della Piattaforma Sociale intendono praticare la rottura con gli apparati costruiti dalle classi dominanti in Europa e la ricomposizione dei settori sociali interessati ad una trasformazione democratica e socialista dell’ordine economico e politico esistente. È in quest’ottica che proponiamo un percorso per “l’Italexit”.
Riteniamo che questa proposta possa raccogliere un vasto e maggioritario consenso popolare. In tal senso consideriamo incoraggiante il successo del referendum sulla Brexit in Gran Bretagna e prima ancora dall’Oxi del popolo greco contro il memorandum imposto dall’Unione Europea. Tale incoraggiamento è rafforzato dalla vittoria del No nel referendum costituzionale di dicembre in Italia.
Il referendum britannico ha confermato che ogni volta che i Trattati europei o i loro effetti vengono sottoposti al voto popolare, le scelte delle oligarchie europee escono sconfitte. È accaduto in Grecia nel 2015, in Francia e Olanda nel 2005, era accaduto ancora prima in Irlanda e Danimarca. Questi risultati spiegano l’isteria alla quale abbiamo assistito in seguito al risultato del referendum sulla Brexit, un’isteria che ha rotto molti freni inibitori delle classi dominanti anche sul terreno della democrazia rappresentativa.
Con i Trattati costitutivi della UE l’intero impianto democratico, che i movimenti popolari e dei lavoratori europei hanno sempre rivendicato come proprio patrimonio, è stato bruscamente rimesso in discussione in nome della supremazia della governabilità. Abbiamo sentito appelli al divieto di sottoporre al giudizio popolare questioni strategiche (come avviene in Italia con l’articolo 75 della Costituzione, che vieta il referendum sui trattati internazionali); abbiamo sentito perfino appelli a diffidare del suffragio universale e a reintrodurre il voto per censo (i poveri non devono votare, perché non capiscono i meccanismi dell’economia globalizzata).
A volte esponenti delle élite dirigenti hanno cercato di farsi paladini del disegno sovranazionale dell’UE contro il risorgere dei nazionalismi, facendo finta d’ignorare la questione dell’assoluta assenza di democrazia nel sistema politico UE. In realtà questo disegno sovranazionale è volto a consolidare un potere centralizzato a Bruxelles e Francoforte che ha ucciso le democrazie parlamentari, ostracizzato sindacati e movimenti sociali alternativi, e consegnato il potere a un’oligarchia politica e tecnocratica che insieme a banche, centri finanziari, imprese capitalistiche hanno il solo scopo di estendere e gestire il mercato unico europeo
D’altronde è ormai dimostrato che il risorgere di sentimenti e risentimenti nazionalisti in tutti i paesi europei è proprio la conseguenza delle politiche neoliberiste, recessive, antioperaie e antidemocratiche messe in atto dalle istituzioni dell’Unione Europea. Queste politiche infatti hanno determinato un rallentamento dello stesso sviluppo capitalistico, un aumento della disoccupazione e della povertà e un crescente divario di ricchezza e di reddito tra le classi di ogni singolo paese, ma anche tra i redditi medi dei paesi cosiddetti “core” e quelli “periferici”.
Sappiamo benissimo che forze reazionarie e conservatrici stanno cavalcando la diffusa ostilità dei ceti popolari contro le istituzioni tecno-burocratiche e le politiche di austerità dell’UE, e che questo fenomeno si è riproposto anche in Gran Bretagna. Ma d’altra parte è un dato di fatto che disoccupati, lavoratori e pensionati hanno in maggioranza votato per la Brexit in Gran Bretagna, mentre il grande centro finanziario di Londra aveva scelto l’UE. Altrettanto noto è il fatto che la maggioranza dei ceti popolari e delle classi subalterne ha votato NO nel referendum costituzionale in Italia, mentre la Confindustria e l’establishment aveva scelto il SI.
Ormai è evidente che il progetto dell’UE è una permanente rivoluzione dall’alto volta a consolidare il potere delle classi dominanti sia economiche che politiche. La retorica “europeista” non riesce più a nascondere il fatto che l’UE è un sistema di potere delle borghesie transnazionali europee. Né riesce a nascondere la dimensione di classe delle politiche economiche di austerità e di “riforma”. È visibile a tutti che quelle politiche hanno mirato a usare la diminuzione dell’occupazione come strumento per mettere in ginocchio i movimenti operai europei in modo da far accettare ai lavoratori le riforme neoliberiste del mercato del lavoro, dello stato sociale e del sistema fiscale, le deregolamentazioni dei mercati, le privatizzazioni delle imprese pubbliche e soprattutto la svalutazione salariale e fiscale; in sostanza: una riduzione del salario diretto, indiretto e differito e un impoverimento dei diritti sociali.
L’Unione europea cerca di gestire la sua crisi politica attraverso una centralizzazione dei poteri politici facendo perno sui paesi della zona euro. Mentre si persegue una linea di austerità con i tagli alle spese sociali si assiste ad un’accelerazione delle spese militari ”comuni” e con un accentramento a livello di UE delle politiche militari.
Le classi dominanti europee affrontano la crisi economica e la competizione globale attraverso le politiche antioperaie e la costruzione di istituzioni antidemocratiche dominate da un’oligarchia garante degli interessi della borghesia transnazionale. Per questo riteniamo che questa Unione Europea non sia riformabile.
L’obiettivo immediato che la Piattaforma Sociale Eurostop si è dato è l’abbattimento dell’Unione Europea. Le classi dirigenti europee si sforzano di garantire la sopravvivenza dell’UE, ma la crisi e le contraddizioni sono tali che la sua rottura potrebbe anche verificarsi a causa di eventi diversi, come la scissione dell’Eurozona in due Eurozone, Sud e Nord; il ritorno concordato in alcuni paesi alle monete nazionali; l’uscita unilaterale di qualche paese “core” (come la Gran Bretagna) oppure di qualche paese “periferico dell’area dei Pigs o dell’Europa dell’est. Ognuna di queste modalità può essere l’innesco di un processo di disgregazione dell’Unione, e dobbiamo essere pronti ad adattarci alle circostanze per trasformare l’innesco in un’esplosione. ????
Come movimento politico radicato in Italia, assumiamo la parola d’ordine dell’ ITALEXIT. Ci sembra evidente che in questa fase la base materiale per la mobilitazione e l’organizzazione delle forze sociali necessarie alla rottura dell’Unione Europea non può darsi che a livello nazionale. Noi ci impegniamo affinché si creino le condizioni per la rottura dell’UE attraverso l’Italexit, facendo leva in Italia sulla crisi politica delle classi dirigenti e del persistere di una grave crisi sociale. Una delle campagne per determinare l’Italexit è la promozione di un referendum perché siano i/le cittadini/ italiani/e a decidere sull’UE, perché la questione dell’UE tocca la vita di tutti/e e da tutti/e deve essere deciso. E’ evidente che, pur se la rottura si darà a livello nazionale, la visione che la ispira e che la deve guidare non può che essere internazionale e internazionalista. La rottura e la fuoriuscita di un paese dall’Unione Europea e dalla Nato deve essere un esempio da seguire e un percorso da coordinare e discutere a livello europeo e mediterraneo. In questo senso, il pieno recupero della sovranità popolare è un obiettivo che dobbiamo perseguire con forza, sul piano nazionale e con una visione internazionalista conseguente».
Gennaio 2017
Nessun commento:
Posta un commento