[ 13 gennaio ]
Come sempre in Libia, le cose non sono affatto chiare. Cosa è successo esattamente ieri? C'è stato davvero un tentativo di prendere i palazzi del potere nella capitale da parte delle forze dell'ex premier tripolino al-Ghwell? La risposta sembrerebbe essere: sì e no. Sì, perché le sue milizie sono effettivamente entrate negli edifici dei ministeri della Difesa, della Giustizia e del Lavoro. No, perché si è trattato più che altro di un'azione dimostrativa.
Dimostrativa, ma non per questo meno indicativa di uno scontro che si sta sicuramente avvicinando, e che vede l'Italia in una posizione alquanto scomoda.
Per capire cosa stia davvero succedendo bisogna fare il punto sul caos politico-militare seguito alla guerra d'aggressione della NATO del 2011. Ad un primo grossolano sguardo, e tralasciando le zone desertiche del sud del paese, oggi la Libia appare divisa in due: ad est le forze che fanno capo al generale Haftar, apertamente sostenuto dall'Egitto e dalla Russia, che dalla Cirenaica sono arrivate alla cittadina di Sidra nell'est della Tripolitania; ad ovest - nel grosso della Tripolitania - le milizie che appoggiano in qualche modo il governo al Serraj, quello insediato dall'esterno dalle potenze occidentali e riconosciuto dall'ONU.
Detto così le cose sembrerebbero relativamente semplici, ma ci sono altri decisivi elementi di complicazione. Vediamo quelli più importanti:
1. Il governo fantoccio di al Serraj più che disporre di forze proprie vive grazie al sostegno (ben remunerato) di alcune decine di milizie tribali, tra le quali spicca quella di Misurata. La fedeltà di queste milizie è assai dubbia. E' probabile che il loro appoggio duri finché reggerà il sostegno internazionale ad al Serraj. Ma è proprio questo l'elemento decisivo che sembra ora scricchiolare (vedi punto 4).
2. Nella capitale e nell'ovest del paese agiscono anche le forze che fanno capo a Ghwell, almeno in parte legate alla Fratellanza Musulmana. Dopo aver guidato (con l'appoggio della Turchia e del Qatar) il governo tripolino nel 2015-2016, Ghwell aveva lasciato Tripoli nel maggio scorso. Un allontanamento temporaneo che non era però una rinuncia alla lotta, come i fatti di questi ultimi mesi (ed anche quelli di ieri) dimostrano. Per capire la situazione nella capitale, basti pensare che Ghwell - formalmente sotto sanzioni internazionali ed a rischio di arresto - risiede adesso tranquillamente all'Hotel Rixos di Tripoli.
3. In questi mesi le posizioni del generale Haftar - che oltre all'est del paese controlla anche una vasta area della Tripolitania a sud-ovest di Tripoli, grazie soprattutto al ruolo della milizia di Zintan - si sono rafforzate, sia militarmente che politicamente. Sta di fatto che egli, al pari del parlamento di Tobruk, mai ha riconosciuto il governo al Serraj.
4. Il rafforzamento politico di Haftar, ed il conseguente indebolimento di al Serraj, è facilmente riscontrabile nei fatti delle ultime ore. Mentre a Tripoli andava in scena l'ennesimo scontro, Haftar era ospite della portaerei russa Admiral Kuznestsov al largo delle coste della Cirenaica. Ma se l'appoggio russo (oltre a quello dell'Egitto e degli Emirati Arabi) è cosa del tutto ufficiale, quello della Francia è solo un po' più nascosto. Sta di fatto che ieri all'appello dell'Italia per concordare una dichiarazione comune a sostegno di Serraj (vedi La Stampa) hanno risposto picche sia gli Stati Uniti (ufficialmente "poco interessati" alla Libia) ma anche i governi di Parigi, Londra e Berlino. Uno smacco per il governo italiano, ma anche un annuncio di condanna a morte per l'attuale governo fantoccio di Tripoli.
5. Nel dicembre scorso si è consumata la sconfitta del Califfato a Sirte. Ma proprio l'asprezza di quella battaglia - la resistenza è durata sette mesi e gli attaccanti (in primo luogo le milizie di Misurata) hanno avuto 700 caduti e più di 3.500 feriti (leggi QUI) - dimostra la vitalità delle forze jihadiste in Libia. Sconfitti in primo luogo dai 492 attacchi aerei sostenuti dagli Stati Uniti, con l'uso di bombardieri, elicotteri d'attacco e droni, queste forze hanno ora ripiegato verso la zona di Sebha, al confine tra Libia, Algeria e Niger. E non è escluso che rientrino in azione insieme ai miliziani islamisti ancora forti in Cirenaica.
Da questi cinque elementi si può ben capire come definire la situazione libica come complessa è ancora troppo poco.
Adesso si fanno molte ipotesi. Una è che l'azione intrapresa da Ghwell miri a disfarsi di al Serraj per poi trattare con Haftar. Ma, nel caso, trattare per cosa? Per spartirsi la Libia (con dietro i relativi protettori internazionali nel ruolo di predoni delle ricchezze del paese) o per raggiungere un difficile equilibrio di potere che vedrebbe comunque Haftar primeggiare?
Difficile, praticamente impossibile, che i clan dell'ovest possano accettare il dominio di Haftar. Per cui i casi restano sostanzialmente due: od una spartizione de facto comunque instabile, o la prosecuzione del conflitto ad oltranza. Si è già parlato di somalizzazione del conflitto libico, e la cosa rende bene l'idea. Ma la Libia non è la povera Somalia, e le ricchezze del suo sottosuolo fanno gola a tante potenze. Potenze regionali come l'Egitto e la Turchia, ed in subordine Emirati, Qatar ed Arabia Saudita (quest'ultima prevalentemente per ragioni strategiche di contrasto alla Fratellanza Musulmana). Ma anche potenze extra-regionali. Non solo gli Stati Uniti e la Russia, ma pure Francia, Gran Bretagna ed Italia.
Ed a proposito del nostro Paese, rimasto da solo a far la guardia al bidone vuoto rappresentato da al Serraj - l'Italia lunedì scorso, unico paese occidentale, ha riaperto l'ambasciata a Tripoli - le cose vanno mettendosi proprio male. Ecco cosa si guadagna ad accodarsi alle aggressioni militari (ricordiamolo a Napolitano), ad appoggiare governi fantoccio senza basi reali nel paese, a giocare alla spartizione degli interessi neo-coloniali se non proprio del territorio, a danno della popolazione libica!
A quasi sei anni dal marzo 2011, quando il dramma libico cominciò, è il momento di dire con più forza via dalla Libia, no allo smembramento di quel paese, diritto all'autodeterminazione del popolo libico, appoggio alle forze patriottiche che intendono resistere agli interessi imperialisti!
Per capire cosa stia davvero succedendo bisogna fare il punto sul caos politico-militare seguito alla guerra d'aggressione della NATO del 2011. Ad un primo grossolano sguardo, e tralasciando le zone desertiche del sud del paese, oggi la Libia appare divisa in due: ad est le forze che fanno capo al generale Haftar, apertamente sostenuto dall'Egitto e dalla Russia, che dalla Cirenaica sono arrivate alla cittadina di Sidra nell'est della Tripolitania; ad ovest - nel grosso della Tripolitania - le milizie che appoggiano in qualche modo il governo al Serraj, quello insediato dall'esterno dalle potenze occidentali e riconosciuto dall'ONU.
Detto così le cose sembrerebbero relativamente semplici, ma ci sono altri decisivi elementi di complicazione. Vediamo quelli più importanti:
1. Il governo fantoccio di al Serraj più che disporre di forze proprie vive grazie al sostegno (ben remunerato) di alcune decine di milizie tribali, tra le quali spicca quella di Misurata. La fedeltà di queste milizie è assai dubbia. E' probabile che il loro appoggio duri finché reggerà il sostegno internazionale ad al Serraj. Ma è proprio questo l'elemento decisivo che sembra ora scricchiolare (vedi punto 4).
2. Nella capitale e nell'ovest del paese agiscono anche le forze che fanno capo a Ghwell, almeno in parte legate alla Fratellanza Musulmana. Dopo aver guidato (con l'appoggio della Turchia e del Qatar) il governo tripolino nel 2015-2016, Ghwell aveva lasciato Tripoli nel maggio scorso. Un allontanamento temporaneo che non era però una rinuncia alla lotta, come i fatti di questi ultimi mesi (ed anche quelli di ieri) dimostrano. Per capire la situazione nella capitale, basti pensare che Ghwell - formalmente sotto sanzioni internazionali ed a rischio di arresto - risiede adesso tranquillamente all'Hotel Rixos di Tripoli.
3. In questi mesi le posizioni del generale Haftar - che oltre all'est del paese controlla anche una vasta area della Tripolitania a sud-ovest di Tripoli, grazie soprattutto al ruolo della milizia di Zintan - si sono rafforzate, sia militarmente che politicamente. Sta di fatto che egli, al pari del parlamento di Tobruk, mai ha riconosciuto il governo al Serraj.
4. Il rafforzamento politico di Haftar, ed il conseguente indebolimento di al Serraj, è facilmente riscontrabile nei fatti delle ultime ore. Mentre a Tripoli andava in scena l'ennesimo scontro, Haftar era ospite della portaerei russa Admiral Kuznestsov al largo delle coste della Cirenaica. Ma se l'appoggio russo (oltre a quello dell'Egitto e degli Emirati Arabi) è cosa del tutto ufficiale, quello della Francia è solo un po' più nascosto. Sta di fatto che ieri all'appello dell'Italia per concordare una dichiarazione comune a sostegno di Serraj (vedi La Stampa) hanno risposto picche sia gli Stati Uniti (ufficialmente "poco interessati" alla Libia) ma anche i governi di Parigi, Londra e Berlino. Uno smacco per il governo italiano, ma anche un annuncio di condanna a morte per l'attuale governo fantoccio di Tripoli.
5. Nel dicembre scorso si è consumata la sconfitta del Califfato a Sirte. Ma proprio l'asprezza di quella battaglia - la resistenza è durata sette mesi e gli attaccanti (in primo luogo le milizie di Misurata) hanno avuto 700 caduti e più di 3.500 feriti (leggi QUI) - dimostra la vitalità delle forze jihadiste in Libia. Sconfitti in primo luogo dai 492 attacchi aerei sostenuti dagli Stati Uniti, con l'uso di bombardieri, elicotteri d'attacco e droni, queste forze hanno ora ripiegato verso la zona di Sebha, al confine tra Libia, Algeria e Niger. E non è escluso che rientrino in azione insieme ai miliziani islamisti ancora forti in Cirenaica.
Da questi cinque elementi si può ben capire come definire la situazione libica come complessa è ancora troppo poco.
Adesso si fanno molte ipotesi. Una è che l'azione intrapresa da Ghwell miri a disfarsi di al Serraj per poi trattare con Haftar. Ma, nel caso, trattare per cosa? Per spartirsi la Libia (con dietro i relativi protettori internazionali nel ruolo di predoni delle ricchezze del paese) o per raggiungere un difficile equilibrio di potere che vedrebbe comunque Haftar primeggiare?
Difficile, praticamente impossibile, che i clan dell'ovest possano accettare il dominio di Haftar. Per cui i casi restano sostanzialmente due: od una spartizione de facto comunque instabile, o la prosecuzione del conflitto ad oltranza. Si è già parlato di somalizzazione del conflitto libico, e la cosa rende bene l'idea. Ma la Libia non è la povera Somalia, e le ricchezze del suo sottosuolo fanno gola a tante potenze. Potenze regionali come l'Egitto e la Turchia, ed in subordine Emirati, Qatar ed Arabia Saudita (quest'ultima prevalentemente per ragioni strategiche di contrasto alla Fratellanza Musulmana). Ma anche potenze extra-regionali. Non solo gli Stati Uniti e la Russia, ma pure Francia, Gran Bretagna ed Italia.
Ed a proposito del nostro Paese, rimasto da solo a far la guardia al bidone vuoto rappresentato da al Serraj - l'Italia lunedì scorso, unico paese occidentale, ha riaperto l'ambasciata a Tripoli - le cose vanno mettendosi proprio male. Ecco cosa si guadagna ad accodarsi alle aggressioni militari (ricordiamolo a Napolitano), ad appoggiare governi fantoccio senza basi reali nel paese, a giocare alla spartizione degli interessi neo-coloniali se non proprio del territorio, a danno della popolazione libica!
A quasi sei anni dal marzo 2011, quando il dramma libico cominciò, è il momento di dire con più forza via dalla Libia, no allo smembramento di quel paese, diritto all'autodeterminazione del popolo libico, appoggio alle forze patriottiche che intendono resistere agli interessi imperialisti!
3 commenti:
Egregio,
Hai ragione. Purtroppo ci vorrebbe una forza tale da mandare tutti a casa (i neocon e chi li simula come il governo italiano).
Chissà...se la Russia da' ad Haftar abbastanza polvere per buttare tutti in mare, forse...
Anche in Libia come in Siria toccherà alla Federazione Russa rimettere un po' d'ordine per riavviare la situazione ad una normalità ancora lontana ma altrimenti mai raggiungibile se continuasse a prevalere la cricca che aveva invaso il malcapitato Paese per democratizzarlo.
In questo delicatissimo e pericoloso contesto l'unico sollievo è che non ci metterà le mani la candidata presidenziale Clinton, due volte trombata alle elezioni, la cui oscena e sguaiata risata chiunque può andarsi a rivedere in you tube a proposito dell'assassinio di Gaddafi ("WE came, WE saw, and he died". Se avesse vinto lei le elezioni, che invece ha fatto perdere al suo partito rubando la candaidatura al rivale Sanders, probabilmente avrebbe fatto della Libia un secondo Vietnam.
L'establishment italiano si schiera con la parte perdente. Somiglia alla mossa di Grillo di schierarsi con la parte declinante al parlamento europeo.
L'establishment italiano si dimostra uno zombie che non sa che pesci prendere, incapace di orientarsi nel disgregamento dell'ordine mondiale di cui è espressione ed insieme al quale sarà prima o poi (ma più prima che poi) travolto.
In USA invece Marchionne si riallinea su Trump, e se a sopravvivere a questo cambiamento epocale saranno solo quelli come Marchionne c'è ben poco da stare allegri.
Prossima tappa, anche se decisamente più piccola, Fassina presenta un emendamento al congresso di SI. Sarà accettato o respinto? Anche quell'accrocco di SI si schiererà coi perdenti? I precedenti non lasciano ben sperare.
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