[ 23 gennaio ]NELLA FOSSA DEI LEONI
L'impeccabile e coraggioso intervento di Sergio Cesaratto al Seminario internazionale "Europe…What’s Left ?" organizzato da: Transform! europe, Transform! italia, Rosa Luxemburg Stiftung e Alternativa per il Socialismo, sulle “22 tesi per l’Europa”, il 20 gennaio 2017, Casa Internazionale delle Donne, Roma.
«Farò un discorso molto franco. Non c’è molto nelle 22 tesi qui discusse (e in calce riprodotte) con cui mi senta d’accordo. Andando subito al punto, si paga un lip service allo Stato nazionale mentre nei fatti si afferma che nulla di decisivo può essere effettuato a quel livello. Si cita a tal riguardo il caso di Syriza che lo dimostrerebbe. Ma è esattamente l’opposto! Quella tragica vicenda proprio dimostra che nulla è possibile a livello europeo e che ci si deve attrezzare a livello nazionale. Al riguardo ho ascoltato Paolo Ferrero affermare cose piuttosto confuse: "disubbidire ai Trattati sino alla rottura", dunque ritorno alla dimensione nazionale, però no perché si rompe per cambiare le regole europee. Un po’ di concretezza per favore.
Nel documento c’è scarsa consapevolezza su tre questioni:
(a) Lo Stato nazionale è il terreno in cui storicamente si è sviluppato negli ultimi secoli i conflitto sociale, e dunque la democrazia. I disegni sovranazionali e la globalizzazione sono disegni liberisti volti proprio a smantellare quel terreno di conflitto spostando altrove i centri di potere, liberalizzando i movimenti del capitale e del lavoro. Robert Gilpin —uno dei fondatori della International Political Economy— scrisse chiaramente come due siano le correnti internazionaliste: i liberisti e i marxisti, cui si oppone la tradizione che nasce col mercantilismo, prosegue con List ecc. del Developmental State, del nazionalismo economico volto al riscatto economico e dunque sociale del proprio paese. Nei fatti anche la sinistra fin tanto che è stata progressista, cioè ha curato il riscatto dei propri popoli, è stata anche nazionalista. Il cosmopolitismo della sinistra è dunque un abbaglio storico, ad essere generosi.
(b) Non è vero che l’errore dell’Europa sia stato quello di anteporre l’Europa economico/monetaria a quella politico/sociale. Un’Europa federale progressista è un’utopia, l’unica Europa possible è quella che si sta realizzando, ordoliberista. Abbiamo al riguardo più volte citato Hayek che denunciò l’impossibilità di un’Europa redistributiva, perequativa. Ragione per cui ritenne l’unica Europa possibile quella liberista, dello Stato minimo e al massimo regolatore (del mercato non dei diritti). L’Europa federale è la Mecca dei liberisti, come ben sanno i radicali italiani, non dei socialisti.
Ho udito qui Mario Candeias della Luxemburg Stiftung affermare che gli europei capirebbero la proposta di un accesso universale ai servizi sociali in tutti in Paesi europei: siamo, scusate, alle fantasie pure. Così come l’idea di Ferrero che le risorse ci sono per affrontare tutti i problemi europei: sì, potenzialmente ci sono, ciò che manca e mancherà è la volontà dei popoli di condividerle!
Oggi la battaglia è dunque quella opposta: costruire una solidarietà europea attorno all’idea della restituzione a ciascun popolo della propria sovranità democratica sul proprio destino. E la nostra riflessione deve essere indirizzata a quest’obiettivo, oltre a quello di capire come si possa attuare politiche progressiste in un Paese solo (tenuto naturalmente che politiche estere progressiste e spregiudicate possono allargare le alleanze fuori dell’UE). Purtroppo come si comprende ascoltando oggi i costituzionalisti, poco si è capito nella battaglia referendaria che essa costituiva una difesa della sovranità nazionale. Non si può difendere la Costituzione e poi volerla svendere a entità sovranazionali di dubbia democraticità (condite o meno di slogan di sinistra).
(c) Trovo al limite dell’infantile ritenere plausibile una congiunzione astrale per cui governi di sinistra si trovino al governo allo stesso momento in un numero congruo di Paesi con l’intenzione di allearsi per cambiare l’Europa. A parte che il potere contrattuale sarebbe infimo (i documento è ingenuo nell’attribuire questo potere a un’alleanza di sinistra Spagna, Portogallo e Grecia, peraltro non verificatasi). Certo utopismo è nemico di una sinistra concreta. Come avvertì Bob Rowthorn molti anni fa —passi ripresi da Cremaschi nella recensione al mio libro:
Siamo per un movimento Pan-europeo, ma che abbia all’ordine del giorno il diritto dei popoli all’autodeterminazione —come sarebbe dovuto accadere nel caso del referendum greco. Poi c’è tanto da capire e studiare, e in particolare come ricostruire questo Paese. Su questo concentrerei gli sforzi —come sulla trasmissione di conoscenze al riguardo fra movimenti nazionali alternativi— e non su mal posti sogni europeisti. Credo che avere il proprio Paese, i propri ceti popolari, i propri figli al centro del discorso politico sia l’unica prospettiva credibile per una sinistra responsabile e veramente internazionalista.
Riferimenti:
Cesaratto, S. Alternative Interpretations of a Stateless Currency crisis, Working paper DEPS 735/2016, forthcoming in the Cambridge Journal of Economics
Hayek, F. A. 1939. The economic conditions of interstate federalism, in ID,Individualism and Economic Order, Chicago: University of Chicago Press.
Luxemburg Stiftung, Europe … what’s left? 22 theses for discussion,http://www.euronomade.info/?p=7318
NOTE
[1] In una lunga giornata di lavori si sono sentiti poveracci come Tonino Perna e i quaquaraquà, ma anche la Castellina (ormai più a destra dei figli) dare del fascista agli operai americani. L’unico discorso un po’ concreto l’ha fatto Alfonso Gianni, secondo il quale le “catene lunghe di valore”, insomma l’inestricabile intreccio industriale che ci legherebbe alla Germania, rende irrealistica una separazione. Non è molto per fondare tanto afflato europeista che ha animato l’attempata nomenklatura tsipraiola lì presente (eccezione i lodevoli Fassina e Cremaschi). Comunque se ne dovrà discutere. Nota dolente: questa nomenklatura controlla l’unico organo di informazione stampata della sinistra.
«Farò un discorso molto franco. Non c’è molto nelle 22 tesi qui discusse (e in calce riprodotte) con cui mi senta d’accordo. Andando subito al punto, si paga un lip service allo Stato nazionale mentre nei fatti si afferma che nulla di decisivo può essere effettuato a quel livello. Si cita a tal riguardo il caso di Syriza che lo dimostrerebbe. Ma è esattamente l’opposto! Quella tragica vicenda proprio dimostra che nulla è possibile a livello europeo e che ci si deve attrezzare a livello nazionale. Al riguardo ho ascoltato Paolo Ferrero affermare cose piuttosto confuse: "disubbidire ai Trattati sino alla rottura", dunque ritorno alla dimensione nazionale, però no perché si rompe per cambiare le regole europee. Un po’ di concretezza per favore.
Nel documento c’è scarsa consapevolezza su tre questioni:
(a) Lo Stato nazionale è il terreno in cui storicamente si è sviluppato negli ultimi secoli i conflitto sociale, e dunque la democrazia. I disegni sovranazionali e la globalizzazione sono disegni liberisti volti proprio a smantellare quel terreno di conflitto spostando altrove i centri di potere, liberalizzando i movimenti del capitale e del lavoro. Robert Gilpin —uno dei fondatori della International Political Economy— scrisse chiaramente come due siano le correnti internazionaliste: i liberisti e i marxisti, cui si oppone la tradizione che nasce col mercantilismo, prosegue con List ecc. del Developmental State, del nazionalismo economico volto al riscatto economico e dunque sociale del proprio paese. Nei fatti anche la sinistra fin tanto che è stata progressista, cioè ha curato il riscatto dei propri popoli, è stata anche nazionalista. Il cosmopolitismo della sinistra è dunque un abbaglio storico, ad essere generosi.
(b) Non è vero che l’errore dell’Europa sia stato quello di anteporre l’Europa economico/monetaria a quella politico/sociale. Un’Europa federale progressista è un’utopia, l’unica Europa possible è quella che si sta realizzando, ordoliberista. Abbiamo al riguardo più volte citato Hayek che denunciò l’impossibilità di un’Europa redistributiva, perequativa. Ragione per cui ritenne l’unica Europa possibile quella liberista, dello Stato minimo e al massimo regolatore (del mercato non dei diritti). L’Europa federale è la Mecca dei liberisti, come ben sanno i radicali italiani, non dei socialisti.
Ho udito qui Mario Candeias della Luxemburg Stiftung affermare che gli europei capirebbero la proposta di un accesso universale ai servizi sociali in tutti in Paesi europei: siamo, scusate, alle fantasie pure. Così come l’idea di Ferrero che le risorse ci sono per affrontare tutti i problemi europei: sì, potenzialmente ci sono, ciò che manca e mancherà è la volontà dei popoli di condividerle!
Oggi la battaglia è dunque quella opposta: costruire una solidarietà europea attorno all’idea della restituzione a ciascun popolo della propria sovranità democratica sul proprio destino. E la nostra riflessione deve essere indirizzata a quest’obiettivo, oltre a quello di capire come si possa attuare politiche progressiste in un Paese solo (tenuto naturalmente che politiche estere progressiste e spregiudicate possono allargare le alleanze fuori dell’UE). Purtroppo come si comprende ascoltando oggi i costituzionalisti, poco si è capito nella battaglia referendaria che essa costituiva una difesa della sovranità nazionale. Non si può difendere la Costituzione e poi volerla svendere a entità sovranazionali di dubbia democraticità (condite o meno di slogan di sinistra).
(c) Trovo al limite dell’infantile ritenere plausibile una congiunzione astrale per cui governi di sinistra si trovino al governo allo stesso momento in un numero congruo di Paesi con l’intenzione di allearsi per cambiare l’Europa. A parte che il potere contrattuale sarebbe infimo (i documento è ingenuo nell’attribuire questo potere a un’alleanza di sinistra Spagna, Portogallo e Grecia, peraltro non verificatasi). Certo utopismo è nemico di una sinistra concreta. Come avvertì Bob Rowthorn molti anni fa —passi ripresi da Cremaschi nella recensione al mio libro:
«..La crisi che colpisce milioni di cittadini britannici è ora su di noi. Se la sinistra intende sfruttare questa situazione, essa deve adottare un programma che offra alla gente qualche speranza, e deve dunque ragionare in termini di qualcosa di più pratico della rivoluzione europea o mondiale. Coloro che attaccano una strategia nazionale per il socialismo in Gran Bretagna come destinata al fallimento e si appellano a una rivoluzione europea o mondiale possono sembrare molto rivoluzionari. Ma nei fatti la loro è la dottrina della disperazione, e per quanto molte delle loro opinioni possano ispirare una piccola avanguardia di simpatizzanti, essi non possono che ispirare demoralizzazione fra le masse di lavoratori a cui non offrono niente..»Nella sua recensione Cremaschi ben coglie il senso delle mie Sei lezioni in questa direzione:
«Le vie nazionali di rottura con il liberismo sono l'unica via credibile per mettere in discussione il sistema di disoccupazione di massa e ingiustizia sociale affermatosi con la globalizzazione finanziaria. E questo vale soprattutto in Europa, dove la costruzione reale della Unione ha fatto delle politiche di austerità un fondamento costituente della unione stessa».Con grande franchezza, trovo anche molto di sapore real-liberista, per così dire, il discorso che ci si rivolge: ah, ma voi che volete tornare alla sovranità monetaria (il che vuol dire democratica) trascurate i problemi della rottura dell’euro, gli sconquassi, i costi, la catastrofe a cui si giungerebbe... implicitamente si dice, in fondo si sta meglio al calduccio dell’euro tanto a noi élite cosmopolita nessuno ci nega di coltivare la speranza che le cose cambino. Questa è una posizione oggettivamente (quando non soggettivamente) reazionaria. E, comunque, che sia la paura della rottura dell’euro a sostenere l’europeismo mi sembra una posizione politicamente assai sorprendente. [Non vale neppure menzionare l’altro argomento, assurdo, per cui abbandonare l’euro e perseguire la sovranità nazionale non ha senso in un mondo “globalizzato”. Sì, perché essersi messi nelle mani dei tedeschi (Caffè diceva “mai coi tedeschi!”) ci sta salvando! Ma ché la Corea del sud, un Paese simile all’Italia, vuole fare un’unione con il Giappone o altri Stati? O la Polonia pensa di entrare nell’euro? L’argomento per cui per combattere la globalizzazione la si dovrebbe assecondare, svendendo le istituzioni sovrane, è, di nuovo, oggettivamente neo-liberista.[1]
Naturalmente siamo ben consci dei costi e delle difficoltà di una rottura. Siamo d’altronde consapevoli che la rottura avverrà se e quando le circostanze storiche lo detteranno. E poiché tali circostanze saranno sia oggettive che soggettive, possiamo decidere se contribuire ad accelerare o rallentare questo processo. Chi lo rallenta —o getta confusioni e slogan scopiazzati come certi pseudo-affabulatori e quaquaraquà— fa il gioco dell’unica Europa possibile, che è quella attuale (che se cambia, sarà in peggio).
Tutti i costi di una rottura sono gestibili, se politicamente lo si vuole. Le ritorsioni internazionali (europee naturalmente!) sono la vera minaccia: ma allora dobbiamo essere europeisti sotto minaccia? Bell’ideale!
Tutti i costi di una rottura sono gestibili, se politicamente lo si vuole. Le ritorsioni internazionali (europee naturalmente!) sono la vera minaccia: ma allora dobbiamo essere europeisti sotto minaccia? Bell’ideale!
Siamo per un movimento Pan-europeo, ma che abbia all’ordine del giorno il diritto dei popoli all’autodeterminazione —come sarebbe dovuto accadere nel caso del referendum greco. Poi c’è tanto da capire e studiare, e in particolare come ricostruire questo Paese. Su questo concentrerei gli sforzi —come sulla trasmissione di conoscenze al riguardo fra movimenti nazionali alternativi— e non su mal posti sogni europeisti. Credo che avere il proprio Paese, i propri ceti popolari, i propri figli al centro del discorso politico sia l’unica prospettiva credibile per una sinistra responsabile e veramente internazionalista.
Riferimenti:
Cesaratto, S. Alternative Interpretations of a Stateless Currency crisis, Working paper DEPS 735/2016, forthcoming in the Cambridge Journal of Economics
Hayek, F. A. 1939. The economic conditions of interstate federalism, in ID,Individualism and Economic Order, Chicago: University of Chicago Press.
Luxemburg Stiftung, Europe … what’s left? 22 theses for discussion,http://www.euronomade.info/?p=7318
NOTE
[1] In una lunga giornata di lavori si sono sentiti poveracci come Tonino Perna e i quaquaraquà, ma anche la Castellina (ormai più a destra dei figli) dare del fascista agli operai americani. L’unico discorso un po’ concreto l’ha fatto Alfonso Gianni, secondo il quale le “catene lunghe di valore”, insomma l’inestricabile intreccio industriale che ci legherebbe alla Germania, rende irrealistica una separazione. Non è molto per fondare tanto afflato europeista che ha animato l’attempata nomenklatura tsipraiola lì presente (eccezione i lodevoli Fassina e Cremaschi). Comunque se ne dovrà discutere. Nota dolente: questa nomenklatura controlla l’unico organo di informazione stampata della sinistra.
8 commenti:
Si è votato un documento finale in quella riunione? Se è stato fatto quale documento è passato? (Me lo posso immaginare.)
Grazie mille al Prof. Cesaratto
Massimo
Finalmente un discorso chiaro e dirimente,diretto e non accomodante, rivolto ad astanti poco avvezzi all'ascolto di tesi che argomentano la necessità oramai non più procastinabile di fuoriuscita dal lager eurocratico.Immagino la smorfia di disappunto di questi "sinistri"abituati da anni al traccheggio inconcludente e narcotizzante del "politicamente corretto";immagino il loro viscerale utopismo "riformistico"messo a dura prova da una lucida requisitoria che smantella ogni argomentazione riguardante la bontà di una "sterzata in senso democratico"di QUESTA EUROPA IRRIFORMABILE. Bravo Cesaratto,un'intervento da incorniciare!Luciano
Credo che avere il proprio Paese, i propri ceti popolari, i propri figli al centro del discorso politico... Giusto!!
Ma con quali obiettivi concreti? Con che strategia? Con quali parole d'ordine? Non si puó proporre alle masse l'obiettivo della sovranitá. Perché quand'anche qualcuno capisse che non si fa riferimento a un sovrano, cosa potrebbe importargli? É un obiettivo troppo astrattoi. Se invece si proponesse cibo, casa e salute gratis per tuttI, credo che sarebbe un po' più comprensibile.
Anche un obiettivo strategico come l'autosufficenza alimentare e energetica sarebbe piú comprensibile. Ma siete a conoscenza che molta gente per paura che scoppi la famosa bolla dei derivati che minaccia il pianeta, ha cominciato a fare scorte di acqua e scatolette o a coltivare un orto?
Ed anche Prodi si riallinea, dice che la Germania vuole uscire dall'euro, che dobbiamo pregare, togliere le sanzioni alla Russia. Però straparla di nuovo ulivo. Che ipocrita. Solo i circoletti imbalsamati ormai insistono col sogno.
Io fra le altre cose lo ricorderò sempre come colui che nel '98 ci regalò la necessità delle scuole di abilitazione all'insegnamento. Una sciocchezza fatta solo per allungare il percorso ad ostacoli di chi cerca un lavoro, frammentare i lavoratori, con la compiacenza delle università. Questa follia, purtroppo, continua tuttora peggiorandosi ed appoggiandosi alla disperazione dei disoccupati.
(purtroppo continuo a non riuscire ad utilizzare il profilo)
Giovanni
Però finché la gente non capisce che l indipendenza del paese è condizione necessaria a tutto quanto hai detto non si otterrà mai nulla.
PRIMA L INDIPENDENZA.
poi il resto.
Luca non so se rispondevi a me, comunque sono d'accordo che prima viene l'indipendenza ovviamente. Quello che dico io é che non puoi proporre l'indipendenza come obiettivo ai ceti popolari. Non é comprensibile capisci? Devi proporre degli obiettivii concreti se vuoi rivolgerti alle masse. Tipo Pane e Pace. Hai presente?
Il discorso sulla necessità di possedere l'indipendenza è giustissimo. Ma una guerra persa significa proprio la perdita dell'indipendenza; purtroppo.
Solo se le masse riusciranno a fare due più due potremo uscire da sto pantano.
Altrimenti aspetteremo un nuovo Mussolini.
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