[ 2 gennaio ]
Avevamo già parlato (era l'11 ottobre scorso) e criticato le tesi sostenute da Paul Mason [nella foto] nel suo libro PostCapitalism. A Guide to Our Future. Il libro sta per uscire in Italia e vale la pena tenere tenersi pronti al dibattito.
Qui sotto un articolo comparso sul Corriere della Sera del 6 settembre scorso, a firma di Ennio Caretto. Patetica la difesa del capitalismo, che sarebbe eterno, perché capace di adattarsi a tutto e di soddisfare tutti i bisogni.....
Un libro che s’intitola PostCapitalism. A Guide to Our Future («Post capitalismo. Una guida al nostro futuro») non può non incuriosire e non suscitare polemiche, soprattutto in periodi di crisi come il nostro. E infatti, a un solo mese dalla sua pubblicazione presso l’editrice Allen Lane, a Londra questo saggio sta causando più clamore di quanto ne causò l’anno passato Il capitale nel XXI secolo del francese Thomas Piketty (Bompiani). Probabilmente era ciò che desiderava il suo autore, Paul Mason, un noto giornalista, già alla Bbc, direttore dei programmi economici del Canale 4 della tv britannica e autore di altri libri di successo, tra cui Meltdown. The End of the Age of Greed del 2009 sul crollo delle Borse dell’anno prima, pubblicato in Italia da Bruno Mondadori con il titolo La fine dell’età dell’ingordigia .
Paul Mason non è un economista, ha studiato musica all’università. È un autodidatta di simpatie laburiste, formatosi sui testi di Marx e Keynes e sui teatri delle crisi finanziarie, da Wall Street nel 2008 ad Atene nei mesi scorsi: impegnato socialmente, è quello che gli americani chiamano un liberal . E l’intento del suo libro non è quello di Piketty, uno stimato accademico che ha voluto scrivere una «summa» del capitalismo. L’intento di Mason è stimolare e provocare, un obiettivo realizzato: in Inghilterra e in America PostCapitalism, che sarà pubblicato in Italia dal Saggiatore il prossimo anno, è una lettura controversa, ma obbligata per la élite politica, economica e mediatica.
La tesi di Mason è che l’attuale capitalismo finanziario, successore del capitalismo industriale, erede a sua volta di quello mercantile, ha i giorni contati.
«Come accadde alla fine del feudalesimo 500 anni fa», scrive, «la transizione al postcapitalismo sarà accelerata da chock esterni e plasmata dall’emergere di un nuovo tipo di esseri umani. Essa è già iniziata».
Che cosa promuoverà la transizione? I cambiamenti prodotti dalla rivoluzione informatica negli ultimi 25 anni e negli altri a venire, risponde il giornalista, una rivoluzione che sta modificando i concetti di produzione e di valore. E adduce tre ragioni.
Secondo Mason, in primo luogo le tecnologie dell’informazione hanno ridotto e ridurranno ulteriormente la necessità per l’uomo di lavorare e reso più elastico il rapporto tra lavoro, tempo libero e guadagno. Esse hanno inoltre corroso e corroderanno ulteriormente la capacità del mercato di stabilire i prezzi e il diritto alla proprietà privata. Hanno dato infine luogo, e lo daranno ulteriormente, a una «nuova economia» più giusta dell’attuale, di tipo associativo, con monete parallele, cooperative, con beni e servizi alternativi. Qui Paul Mason adduce l’esempio di Wikipedia, l’enciclopedia elettronica, «prodotta gratuitamente da volontari, che sottrae all’industria pubblicitaria 3 miliardi di fatturato annui».
Le information technologies, sostiene Mason, avranno un effetto analogo a quello delle fabbriche nel XIX secolo. «John Thelwall ammonì gli industriali che con i loro impianti creavano una pericolosa forma di democrazia: ogni fabbrica è una società politica, nessun Parlamento può zittirla, nessun magistrato può scioglierla». Internet è la fabbrica di oggi, una fabbrica immensa, prosegue l’autore, e il popolo del web è il suo proletariato, una metafora molto suggestiva. «Noi tutti partecipiamo alla creazione dei marchi, delle norme e delle istituzioni che ci circondano… E internet trabocca di conoscenza e di scontento».
L’1 per cento più ricco e più potente dell’umanità, afferma Mason, è consapevole che l ’infocapitalismo, ossia il monopolio dell’informazione, di cui sono maestre aziende come Google e Apple, è il suo ultimo strumento di difesa: «I colossi tecnologici sono monopoli su scala non più vista da due secoli». Ma il bisogno fondamentale dell’umanità, aggiunge il giornalista, è «usare liberamente le idee» e il restante 99 per cento, il pubblico del web, il popolo più informato e interconnesso della storia, li abbatterà come i tedeschi orientali abbatterono il Muro di Berlino.
Ci vorrà tempo ovviamente, osserva Mason, e ci vorranno importanti riforme politiche e sociali affinché l’attuale dittatura del mercato teorizzata dal neoliberismo e non contrastata, o meglio appoggiata dallo Stato, venga deposta. Il conflitto tra capitalismo finanziario o infocapitalismo da un lato e il postcapitalismo dall’altro potrebbe durare per decenni, ma lo sbocco più probabile sarà una società con un’economia sempre più sostenibile, con un ambiente e un clima in via di risanamento, senza più disuguaglianze e senza più il problema delle grandi immigrazioni, o quasi.
Se così non fosse, ammonisce Mason, il mondo cadrebbe nel caos: «Nazionalismo, jihadismo, narcotraffico, censura, tortura contraddistinguerebbero lo Stato come accadde in Europa negli anni Trenta».
PostCapitalism è innegabilmente un viaggio di speranza nel futuro, un messaggio raro di questi tempi, ma è difficile condividerne premesse e conclusioni. Sinora il capitalismo ha saputo adattarsi a tutte le rivoluzioni tecniche e scientifiche e a riformarsi di fronte alle proteste popolari, la sua attuale involuzione non può durare a lungo. Di più. Mason ci invita a «immaginare un mondo senza mercato e senza proprietà privata», ma la sua immaginazione va troppo oltre: nel suo postcapitalismo non solo si vive del reddito di cittadinanza, una meta oggi perseguita dalle democrazie più avanzate, ma i banchieri centrali vengono eletti democraticamente e il potere è nelle mani della società civile, non dello Stato.
Più che una guida a un’età in cui il capitale non sarebbe più dominante, il libro è una sorta di manifesto per la sinistra europea, che non ha saputo opporsi costruttivamente al neoliberismo, un invito a tracciare un percorso sociale ed economico diverso, in cui le scosse distruttive siano minori e meno frequenti. I capitoli più incisivi sono quelli di denuncia della sfrenata globalizzazione finanziaria, che ha contribuito a esautorare sindacati e governi, a impoverire il ceto medio, ad aggravare i debiti sovrani e creare le premesse di un ristagno economico di 30-40 anni, come ammoniscono illustri economisti tra cui l’ex ministro del Tesoro americano Larry Summers.
Sull’«Independent», un giornale critico verso il capitalismo, Hamish McCrae ha definito PostCapitalism un’utopia, e lo ha paragonato a Looking Backward 2000-1887 («Guardare indietro. 2000-1887»), un romanzo avveniristico pubblicato nel 1888 da Edward Bellamy negli Stati Uniti, che diede temporaneamente vita a una serie di comunità utopiche. L’opera di Mason ha tuttavia il merito di farci riflettere sui disastrosi effetti di un’austerità spietata, e non solo in Europa, come l’opera di Piketty ci ha fatto riflettere sugli eccessi del capitalismo e come l’opera del Nobel dell’economia Joseph Stiglitz nel 2012, Il prezzo della disuguaglianza (Einaudi), ci ha fatto riflettere sulle tragedie umanitarie.
Avevamo già parlato (era l'11 ottobre scorso) e criticato le tesi sostenute da Paul Mason [nella foto] nel suo libro PostCapitalism. A Guide to Our Future. Il libro sta per uscire in Italia e vale la pena tenere tenersi pronti al dibattito.
Qui sotto un articolo comparso sul Corriere della Sera del 6 settembre scorso, a firma di Ennio Caretto. Patetica la difesa del capitalismo, che sarebbe eterno, perché capace di adattarsi a tutto e di soddisfare tutti i bisogni.....
Un libro che s’intitola PostCapitalism. A Guide to Our Future («Post capitalismo. Una guida al nostro futuro») non può non incuriosire e non suscitare polemiche, soprattutto in periodi di crisi come il nostro. E infatti, a un solo mese dalla sua pubblicazione presso l’editrice Allen Lane, a Londra questo saggio sta causando più clamore di quanto ne causò l’anno passato Il capitale nel XXI secolo del francese Thomas Piketty (Bompiani). Probabilmente era ciò che desiderava il suo autore, Paul Mason, un noto giornalista, già alla Bbc, direttore dei programmi economici del Canale 4 della tv britannica e autore di altri libri di successo, tra cui Meltdown. The End of the Age of Greed del 2009 sul crollo delle Borse dell’anno prima, pubblicato in Italia da Bruno Mondadori con il titolo La fine dell’età dell’ingordigia .
Paul Mason non è un economista, ha studiato musica all’università. È un autodidatta di simpatie laburiste, formatosi sui testi di Marx e Keynes e sui teatri delle crisi finanziarie, da Wall Street nel 2008 ad Atene nei mesi scorsi: impegnato socialmente, è quello che gli americani chiamano un liberal . E l’intento del suo libro non è quello di Piketty, uno stimato accademico che ha voluto scrivere una «summa» del capitalismo. L’intento di Mason è stimolare e provocare, un obiettivo realizzato: in Inghilterra e in America PostCapitalism, che sarà pubblicato in Italia dal Saggiatore il prossimo anno, è una lettura controversa, ma obbligata per la élite politica, economica e mediatica.
La tesi di Mason è che l’attuale capitalismo finanziario, successore del capitalismo industriale, erede a sua volta di quello mercantile, ha i giorni contati.
«Come accadde alla fine del feudalesimo 500 anni fa», scrive, «la transizione al postcapitalismo sarà accelerata da chock esterni e plasmata dall’emergere di un nuovo tipo di esseri umani. Essa è già iniziata».
Che cosa promuoverà la transizione? I cambiamenti prodotti dalla rivoluzione informatica negli ultimi 25 anni e negli altri a venire, risponde il giornalista, una rivoluzione che sta modificando i concetti di produzione e di valore. E adduce tre ragioni.
Secondo Mason, in primo luogo le tecnologie dell’informazione hanno ridotto e ridurranno ulteriormente la necessità per l’uomo di lavorare e reso più elastico il rapporto tra lavoro, tempo libero e guadagno. Esse hanno inoltre corroso e corroderanno ulteriormente la capacità del mercato di stabilire i prezzi e il diritto alla proprietà privata. Hanno dato infine luogo, e lo daranno ulteriormente, a una «nuova economia» più giusta dell’attuale, di tipo associativo, con monete parallele, cooperative, con beni e servizi alternativi. Qui Paul Mason adduce l’esempio di Wikipedia, l’enciclopedia elettronica, «prodotta gratuitamente da volontari, che sottrae all’industria pubblicitaria 3 miliardi di fatturato annui».
Le information technologies, sostiene Mason, avranno un effetto analogo a quello delle fabbriche nel XIX secolo. «John Thelwall ammonì gli industriali che con i loro impianti creavano una pericolosa forma di democrazia: ogni fabbrica è una società politica, nessun Parlamento può zittirla, nessun magistrato può scioglierla». Internet è la fabbrica di oggi, una fabbrica immensa, prosegue l’autore, e il popolo del web è il suo proletariato, una metafora molto suggestiva. «Noi tutti partecipiamo alla creazione dei marchi, delle norme e delle istituzioni che ci circondano… E internet trabocca di conoscenza e di scontento».
L’1 per cento più ricco e più potente dell’umanità, afferma Mason, è consapevole che l ’infocapitalismo, ossia il monopolio dell’informazione, di cui sono maestre aziende come Google e Apple, è il suo ultimo strumento di difesa: «I colossi tecnologici sono monopoli su scala non più vista da due secoli». Ma il bisogno fondamentale dell’umanità, aggiunge il giornalista, è «usare liberamente le idee» e il restante 99 per cento, il pubblico del web, il popolo più informato e interconnesso della storia, li abbatterà come i tedeschi orientali abbatterono il Muro di Berlino.
Ci vorrà tempo ovviamente, osserva Mason, e ci vorranno importanti riforme politiche e sociali affinché l’attuale dittatura del mercato teorizzata dal neoliberismo e non contrastata, o meglio appoggiata dallo Stato, venga deposta. Il conflitto tra capitalismo finanziario o infocapitalismo da un lato e il postcapitalismo dall’altro potrebbe durare per decenni, ma lo sbocco più probabile sarà una società con un’economia sempre più sostenibile, con un ambiente e un clima in via di risanamento, senza più disuguaglianze e senza più il problema delle grandi immigrazioni, o quasi.
Se così non fosse, ammonisce Mason, il mondo cadrebbe nel caos: «Nazionalismo, jihadismo, narcotraffico, censura, tortura contraddistinguerebbero lo Stato come accadde in Europa negli anni Trenta».
PostCapitalism è innegabilmente un viaggio di speranza nel futuro, un messaggio raro di questi tempi, ma è difficile condividerne premesse e conclusioni. Sinora il capitalismo ha saputo adattarsi a tutte le rivoluzioni tecniche e scientifiche e a riformarsi di fronte alle proteste popolari, la sua attuale involuzione non può durare a lungo. Di più. Mason ci invita a «immaginare un mondo senza mercato e senza proprietà privata», ma la sua immaginazione va troppo oltre: nel suo postcapitalismo non solo si vive del reddito di cittadinanza, una meta oggi perseguita dalle democrazie più avanzate, ma i banchieri centrali vengono eletti democraticamente e il potere è nelle mani della società civile, non dello Stato.
Più che una guida a un’età in cui il capitale non sarebbe più dominante, il libro è una sorta di manifesto per la sinistra europea, che non ha saputo opporsi costruttivamente al neoliberismo, un invito a tracciare un percorso sociale ed economico diverso, in cui le scosse distruttive siano minori e meno frequenti. I capitoli più incisivi sono quelli di denuncia della sfrenata globalizzazione finanziaria, che ha contribuito a esautorare sindacati e governi, a impoverire il ceto medio, ad aggravare i debiti sovrani e creare le premesse di un ristagno economico di 30-40 anni, come ammoniscono illustri economisti tra cui l’ex ministro del Tesoro americano Larry Summers.
Sull’«Independent», un giornale critico verso il capitalismo, Hamish McCrae ha definito PostCapitalism un’utopia, e lo ha paragonato a Looking Backward 2000-1887 («Guardare indietro. 2000-1887»), un romanzo avveniristico pubblicato nel 1888 da Edward Bellamy negli Stati Uniti, che diede temporaneamente vita a una serie di comunità utopiche. L’opera di Mason ha tuttavia il merito di farci riflettere sui disastrosi effetti di un’austerità spietata, e non solo in Europa, come l’opera di Piketty ci ha fatto riflettere sugli eccessi del capitalismo e come l’opera del Nobel dell’economia Joseph Stiglitz nel 2012, Il prezzo della disuguaglianza (Einaudi), ci ha fatto riflettere sulle tragedie umanitarie.
4 commenti:
I profeti sono Grillo e Casaleggio come molti - ma non tutti - hanno compreso ormai da anni.
Adesso bisogna appoggiare loro nonostante gli errori e le ambiguità, tutto il resto è solo una perdita di tempo.
Bell'articolo su un libro che pare interessante.
Sorvolo sulle considerazioni finali che sembrano uscite più dalla testa di un parroco ottocentesco che da un giornalista.
Per quel poco che ho letto comunque nutro qualche dubbio riguardo questa fede illimitata nelle tecnologie multimediali e nelle tecnologie in generale.
Non penso che questi strumenti siano di per se nocivi,ma credo che proprio perche sono strumenti siano utilizzabili potenzialmente in qualsiasi direzione.
Sembra quasi che si pensi all uomo di oggi come l'individuo cosciente kantiano,in grado di autodeterminarsi e di avere perciò un ampia autonomia.
Ci sarebbe da domandarsi se questo tipo umano corrisponda al tipo medio che oggi vive nelle società occidentali.
La mia personale risposta a questa domanda è negativa e penso che essendo il capitalismo odierno una forma di idolatria che poggia sull'individualismo sfrenato questo non si può sconfiggere se non grazie ad una paideia e credo difficile che questa possa autoformarsi grazie ad un qualsiasi strumento.
postcapitalismo, infocapitalismo o postmodernità sono sinonimi ed indicano lo stesso fenomeno sociale ma visto da prospettive differenti. Chi ha letto Baudrillard sa che la postmodernità è legata a doppio filo con il concetto di iperrealtà, possibile solo grazie all'avvento del virtuale. Oggi le macchine più sofisticate non sono necessariamente di tipo meccanico, ma di tipo elettronico. Il capitale ha spostato immense masse di lavoratori verso il terziario, ovvero verso i servizi resi possibili grazie all'avvento del virtuale. La comunicazione virtuale è diventata un must culturale per le nuove generazioni, che tra videogiochi e whatsapp stanno vivendo il progressivo abbandono delle relazioni sociali così come le conoscevamo. La postmodernità ha bisogno della virtualità come un pesce dell'acqua, e sostenere in qualche modo questo processo non può che far piacere al capitale. Dire poi che l'infocapitalismo possa portare a "cambiare i concetti di produzione e di valore riducendo ulteriormente la necessità per l’uomo di lavorare e reso più elastico il rapporto tra lavoro, tempo libero e guadagno", più che un'utopia mi sembra una castroneria. Da che mondo è mondo la riduzione dei tempi di lavorazione (taylorismo) porta ad aumento del plusvalore, non del tempo libero. Per quello servono gli scioperi semmai, non internet. Insomma, da come viene spiegato nell'articolo (ho libri migliori da leggere) resterebbe inalterato il marxiano "lavoro astratto" che serve unicamente a produrre "valore di scambio". Cioè a mantenere intatto il potere del capitale. Sperare che internet trasformi il valore di scambio in valore d'uso è un'operazione di gatekeeping neanche tanto astuta.
A conferma di quanto detto qui sopra ecco un articolo dal titolo chiarificatore:
Con la digitalizzazione addio posti di lavoro
Entro vent'anni a causa della digitalizzazione della società, la metà degli attuali impieghi negli Stati Uniti potrebbero sparire. Anche in Svizzera sarebbero in pericolo centinaia di migliaia di posti.
Impiegati d'ufficio, cassieri, macellai, personale d'accoglienza, impiegati postali, contabili e assistenti di laboratorio: tutte queste attività saranno automatizzate in futuro con una probabilità di oltre il 90%. Lo rivela uno studio dell'Università di Oxford, indica la "NZZ am Sonntag". Gli impiegati d'ufficio figurano tra quelli più minacciati dal fenomeno della digitalizzazione. La Svizzera conta circa 284'000 impiegati di commercio e 48'000 contabili. L'automatizzazione non farà solo scomparire impieghi ma lascerà anche tempo per svolgere altre attività. Gli impiegati del commercio potrebbero svolgere principalmente compiti che sono troppo complessi per essere automatizzati o che implicano contatti personali e competenze sociali.
Secondo gli autori dello studio, negli ultimi dieci anni sono scomparse soprattutto le attività di routine e entro i prossimi 20 il lavoro più qualificato necessiterà solo di qualche persona. Software e i computer si occuperanno di gestire i dati personali, della gestione dello stoccaggio e di stilare bilanci. Uno dei motori di questa quarta rivoluzione industriale sarà l'analisi dei dati. Il computer Watson del gruppo informatico americano IBM riconosce fin da ora la lingua e le immagini. Archivia facilmente i dati non strutturati, come mail, studi e dati sulla sanità. L'assicuratore Swiss Re è stato il primo gruppo svizzero a utilizzare Watson, per valutare i rischi o i danni. La rivoluzione digitale sarà uno dei punti forti del prossimo Forum economico mondiale (WEF) di Davos (GR) che si terrà dal 20 al 23 gennaio. (ATS)
http://www.gdp.ch/svizzera/con-la-digitalizzazione-addio-posti-di-lavoro-id104916.html
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